LA PREDICAZIONE DI GIOVANNI BATTISTA
GABRIELE MIOLA
Le citazioni bibliche sono prese dall’edizionE CEI 2008. Le NOTE alla fine.
Nell’affrontare questo tema toccheremo due punti: anzitutto il rapporto tra Giovanni e Gesù, poi i tratti della predicazione di Giovanni, come ci è trasmessa nei pochi testi dei vangeli.
- Giovanni e Gesù
Ad una prima domanda su quali siano stati i rapporti tra Giovanni e Gesù viene subito in mente la risposta che Giovanni è stato inviato da Dio a preparare la venuta di Gesù. Dice Giovanni di se stesso: “Viene dopo di me colui che è più forte di me: io non son degno di chinarmi per slegare i lacci dei suoi sandali. Io vi ho battezzato con acqua, ma Egli vi battezzerà in Spirito Santo” (Mc 1 ,7s; cfr. paralleli Mt 3,11; Le 3,16; Gv 1,26). Giovanni è consapevole quindi della sua missione di esser stato mandato a preparare la venuta di Gesù; non solo, ma nel dialogo tra Giovanni e Gesù, riportato al momento del battesimo, appare chiaramente che Giovanni riconosce Gesù e gli dice: “Sono io che ho bisogno di essere battezzato da te e tu vieni da me?” (Mt 3,14). L’evangelista Giovanni ci dice che il Battista non solo riconosce Gesù, ma lo indica ai suoi come “l’agnello di Dio” (Gv 1,36), e ancora che il Battista fa una professione di fede in Gesù in forza della rivelazione fattagli da Dio, che gli ha detto: “ colui sul quale vedrai discendere e rimanere lo Spirito è lui che battezza nello Spirito Santo” e quindi confessa che “questi è il Figlio di Dio” (Gv l,33s).
Dinanzi a questi testi stanno però passi dei vangeli che sembrano contraddire questa conoscenza esplicita e chiara che Giovanni avrebbe avuto di Gesù. Quando Giovanni fu fatto arrestare da Erode Antipa, Giovanni stesso, saputo della predicazione di Gesù e della sua attività, dal carcere “mandò a dirgli per mezzo dei suoi discepoli:” Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?” (Mt 11,2s; cfr. Lc 7,18-20). Questa domanda che Giovanni fa porre a Gesù dai propri discepoli fa sorgere un interrogativo: Giovanni sapeva veramente chi era Gesù? Se lo sapeva, come sembrano attestare i vangeli, perché non esplicita dinanzi ai discepoli questa sua convinzione? Nell’omiletica capita spesso di sentire questa spiegazione: Giovanni sapeva bene chi fosse Gesù, ma mandò alcuni dei suoi discepoli a porre quella domanda perché essi personalmente si rendessero conto di quanto Giovanni aveva detto su Gesù e lo conoscessero direttamente.
Anche nell’esegesi, diversi commentatori danno per storica questa missione che Giovanni dal carcere invia a Gesù, e pensano che Giovanni abbia potuto porre una tale domanda a Gesù perché, conosciuto quale approccio Gesù ha con la gente, sia nella predicazione che nelle opere che compiva, sorpreso di un atteggiamento tanto diverso dal suo, sarebbe rimasto, colto da un dubbio lancinante, come perplesso e stordito, e allora avrebbe mandato questa ambasceria per sincerarsi sulla attività di Gesù (nota1). Non si può negare tuttavia che tra le due prospettive, tra la conoscenza che si attesta Giovanni avesse di Gesù e gli interrogativi invece posti a Gesù attraverso i suoi discepoli, non ci sia una contraddizione e le spiegazioni non convincono, tanto più che negli Atti degli Apostoli troviamo due volte la notizia che “il battesimo di Giovanni”, a trenta anni circa dalla morte del Battista, era conosciuto e amministrato (At 18,24-25; 19,1-7). Ciò significa che i discepoli di Giovanni, dopo la morte del loro maestro continuarono a predicare e a fare il rito del battesimo nel nome di Giovanni, il che non si spiegherebbe se Giovanni avesse conosciuto esattamente chi era Gesù e il battesimo “in Spirito Santo” (Mc 1,8) portato da Gesù di Nazareth. A tal proposito R. Pesch nel suo commentario agli Atti degli Apostoli scrive che questa notizia di Luca: “è una testimonianza storica importante del movimento dei discepoli di Giovanni il Battezzatore, un movimento che si trovò in concorrenza con la Chiesa nascente (n2).
Partendo da questa situazione di “concorrenza” tra le comunità cristiane e quelle giovannite, possiamo dire che la Chiesa delle origini si è trovata nella necessità di precisare a se stessa e agli esterni chi era Giovanni e quindi di chiarire i rapporti tra Giovanni e Gesù. La chiesa nascente sapeva bene che Giovanni aveva battezzato Gesù e quindi doveva mostrare che senso aveva avuto il battesimo chiesto da Gesù a Giovanni per il quale Gesù poteva apparire inferiore al Battista. Ci proponiamo quindi ora di rispondere a questi due interrogativi: che cosa sappiamo storicamente su Giovanni-Battista? come la comunità cristiana ha rimeditato la figura di Giovanni e come l’ha presentata nei suoi scritti.
.1.1. La figura storica di Giovanni
Le fonti storiche dirette su Giovanni sono solo due: i vangeli (e più in generale gli scritti del NT) e Giuseppe Flavio. Tra le fonti storiche indirette, in quanto non parlano di Giovanni Battista, possiamo invece richiamare particolarmente i testi di Qumran perché sono contemporanei a Giovanni e vi si descrivono riti battesimali.
.1.1.1. Giovanni nella testimonianza di Giuseppe Flavio.
Abbiamo già accennato ai problemi che pongono i vangeli per la figura di Giovanni, ora vediamo cosa ci tramanda Giuseppe Flavio (n3) che parla di Giovanni Battista nella sua opera ‘Le antichità giudaiche’ raccontando la guerra tra Erode Antipa e Areta, re di Petra, di cui Erode aveva sposato la figlia e che ripudiò per sposare Erodiade, moglie di suo fratello Filippo. Areta, informato dalla figlia, fece guerra ad Erode e lo sconfisse. Nel richiamare il motivo della sconfitta Giuseppe Flavio scrive:
“Ma ad alcuni Giudei parve che la rovina dell’esercito di Erode fosse una vendetta divina, e di certo una vendetta giusta per la maniera con cui si era comportato verso Giovani soprannominato Battista. Erode infatti aveva ucciso quest’uomo buono che esortava i Giudei ad una vita corretta, alla pratica della giustizia reciproca, alla pietà verso Dio, e così facendo si disponessero al battesimo; a suo modo di vedere questo rappresentava un preliminare necessario se il battesimo, doveva rendere gradito a Dio. Essi non dovevano servirsene per guadagnare il perdono di qualsiasi peccato commesso, ma come di una consacrazione del corpo insinuando che l’anima fosse già purificata da una condotta corretta. Quando altri si affollavano intorno a lui perché con i suoi sermoni erano giunti al più alto grado, Erode si allarmò. Una eloquenza che sugli uomini aveva effetti così grandi, poteva portare a qualche forma di sedizione, poiché pareva che volessero essere guidati da Giovanni in qualunque cosa facessero. Erode, perciò, decise che sarebbe stato molto meglio colpire in anticipo e liberarsi di lui prima che la sua attività portasse ad una sollevazione, piuttosto che aspettare uno sconvolgimento e trovarsi in una situazione così difficile da pentirsene. A motivo dei sospetti di Erode, Giovanni fu portato in catene nel Macheronte, la fortezza che abbiamo menzionato precedentemente, e quivi fu messo a morte. Ma il verdetto dei Giudei fu che la rovina dell’esercito di Erode fu una vendetta di Giovanni, nel senso che Dio giudicò bene infliggere un tale rovescio ad Erode ”(n4).
Stando a questa notizia di Giuseppe Flavio possiamo notare convergenze e differenze tra quanto ci dicono i vangeli e quanto scrive l’autore delle Antichità.
Le possiamo schematizzare come segue:
- a) Sia G. Flavio che i vangeli pongono l’attività del Battista al tempo di Erode Antipa.
- b) Flavio non precisa dove Giovanni svolse il suo ministero; i vangeli dicono nel deserto (Mc 1, 4) o nel deserto della Giudea (Mt 3,1), o nella regione del Giordano (Lc 3,3) o più precisamente a Betania al di là del Giordano (Gv 1,28) e ancora a Ennon, vicino a Salim (Gv 3,23) (n5).
- c) Nei vangeli Giovanni è l’inviato di Dio per predicare un battesimo di conversione (Mc 1,4), in vista del battesimo dato da Gesù; G. Flavio presenta Giovanni come un uomo buono, che esortava ad una vita corretta …, alla pietà verso Dio, e così facendo si disponessero al battesimo.
- d) Marco e Luca dicono che Giovanni amministra un battesimo di conversione per il perdono dei peccati (Mc 1,4; Lc 3,3); afferma G. Flavio, che era di formazione farisaica, dice che il perdono era ottenuto da una condotta corretta, mentre il rito del battesimo era per una consacrazione del corpo.
- e) Il motivo della incarcerazione? dell’esecuzione del Battista per ordine di Erode secondo G. Flavio è di carattere politico: Erode cioè aveva paura di Giovanni per la folla che lo ascoltava, disposta a fare qualunque cosa egli dicesse; temendo quindi una qualche sedizione della folla istigata da Giovanni, lo eliminò; i vangeli sinottici riferiscono che Erode uccise il Battista perché questi rimproverava apertamente il re per essersi presa la moglie del fratello Filippo. Marco (7,17-29) e Matteo (14,3-12) si diffondono a descrivere l’occasione che portò all’uccisione di Giovanni, Luca invece parla solo dell’incarcerazione (3,19). G. Flavio si ferma a parlare della guerra tra Areta ed Erode provocata dal fatto che Erode ripudiò la prima moglie, figlia di Areta, e racconta della sconfitta di Erode, come giusta punizione di. Dio per aver ucciso Giovanni, un uomo giusto; i vangeli si rifanno invece ad un racconto popolare che indugiava sulla passionalità di Erode e le circostanze macabre del ballo di Salome e della testa di Giovanni richiesta dalla ballerina e da sua madre e portata su di un piatto nel bel mezzo del banchetto. Entrambe le notizie fanno però riferimento al matrimonio scandaloso di Erode.
- f) Flavio non pone alcun collegamento tra Giovanni Battista e Gesù, di cui pure parla, ma in tutt’altro contesto(n6); i vangeli evidentemente sottolineano uno stretto legame tra Giovanni e Gesù.
.1.1.2. Giovanni e la comunità dì Qumran.
Per delineare la figura storica di Giovanni è utile conoscere anche spiritualità e ritualità del suo tempo, come sono quelle attestate a Qumran. Chiedendoci se ci sia un rapporto tra Giovanni e Qumran, la domanda principale è se Giovanni abbia fatto parte del gruppo di dissidenti dal sacerdozio gerosolimitano ritiratisi a Qumran o se almeno li abbia conosciuti ed adottato mentalità e riti di costoro, come il battesimo.
Luca, concludendo il racconto della nascita e della fanciullezza di Giovanni, dice di lui: “Il bambino cresceva e si fortificava nello spirito. Visse in regioni deserte fino al giorno della sua manifestazione a Israele” (Lc 1,80). Questa notizia di Luca ha fatto pensare che Giovanni abbia fatto parte del gruppo dei Qumranici dal momento che Qumran si trova nel deserto di Giuda poco distante dalla riva nord-ovest del Mar Morto. E’ stato anche ipotizzato che Giovanni fosse stato adottato dalla comunità di Qumran, ipotesi basata sul fatto che Giovanni, stando ai racconti di Luca, è figlio di genitori anziani, e che la comunità soleva prendere tra i propri membri ragazzi rimasti soli per educarli secondo i suoi principi (n7).
E’ noto che nella comunità di Qumran i membri facessero frequenti riti lustrali e si è pensato che Giovanni avesse ripreso il rito del battesimo proprio dalla comunità degli Esseni. L’ipotesi è seducente, tanto più che tra il luogo del battesimo amministrato da Giovanni secondo i vangeli nel deserto di Giuda lungo il Giordano, e Qumran non c’è molta distanza. Però tra il battesimo di Giovanni e i riti abluzionali degli Esseni ci sono chiare e forti differenze: il battesimo di Giovanni è dato una sola volta, i riti dei Qumranici sono ripetitivi, anche nello stesso giorno; quello di Giovanni è un battesimo di conversione per il perdono dei peccati (Le 3,3) o per la consacrazione del corpo secondo G. Flavio, i riti abluzionali degli Esseni sono in vista di una purità legale (n8).
Un altro elemento di raffronto è l’uso del testo di Isaia 40,3-5 riferito a Giovanni e alla sua predicazione così come pure è detto della comunità di Qumran. Alcuni studiosi hanno notato la stessa simbologia del deserto come luogo della salvezza portata dal Signore. Del Battista Matteo dice: ’’Egli infatti è colui del quale aveva parlato il profeta Isaia quando disse: Voce di uno che grida nel deserto… (Mt 3,3) e nella Regola della comunità di Qumran si dice che i puri si separeranno dagli uomini di iniquità ’’per andare nel deserto e aprire la strada di lui. Come è scritto: nel deserto preparate la strada di**** fate un dritto sentiero nella steppa per il nostro Dio. Questo è lo studio della legge, che [Dio] ordinò per mezzo di Mosè, per operare secondo tutto ciò che è stato rivelato di età in età …” (n9). Il fatto che Giovanni predica nel deserto e la comunità di Qumran si ritira nel deserto potrebbe essere un indizio della provenienza di Giovanni dalla stessa comunità, ma mentre la Regola dice che la salvezza arriverà per i puri con lo studio della Legge di Mosè, Giovanni l’annuncia con la predicazione e il richiamo alla conversione per il regno di Dio.
Certamente questi elementi di vicinanza tra la figura di Giovanni Battista e la comunità degli Esseni di Qumran possono far pensare ad una appartenenza di Giovanni alla comunità qumranica. Ci sono somiglianze, ma che non possono dare certezze; si possono fare ipotesi di una certa plausibilità, ma non si può assolutamente parlare di una vera documentazione per i seguenti motivi:
- a) E’ vero che la comunità, come dice G. Flavio, adottava dei ragazzi, ma non sappiamo se questo sia stato il caso di Giovanni; e se è vero che la cosa può esser più plausibile, data l’età avanzata di Zaccaria ed Elisabetta, genitori di Giovanni, come racconta Luca, non possiamo però assolutamente dire che i racconti dell’infanzia di Giovanni e di Gesù siano storici o non piuttosto di tono midrashico, come diversi esegeti sostengono.
- b) Tra il battesimo di Giovanni e i riti abluzionali di Qumran c’è una certa analoia, ma sono molte di più le differenze: il battesimo di Giovanni, cioè lo scendere nell’acqua o immergersi o semplicemente bagnarsi è gesto unico, segno di conversione e di perdono, per chi accoglieva l’annuncio del regno di Dio, esso non era riservato ad una categoria di persone, ma dato a tutti; non aggregava ad un gruppo, ma voleva purificare il popolo d’Israele; a Qumran invece il rito è riservato agli adepti e per di più non a tutti i membri della comunità (n10).
- c) Si può notare anche una certa sintonia spirituale tra il contesto battesimale di Giovanni, così come ci è testimoniato dai vangeli (G. Flavio, come abbiamo visto, su questo non dice nulla), e la comunità di Qumran: il luogo nel deserto, l’acqua, il richiamo allo spirito di Dio, lo stesso riferimento al testo di Isaia 40,3 sono indici di un sentire comune. Ora noi conosciamo molto dei Qumranici, ormai quasi unanimamente identificati con gli Esseni, dai testi ritrovati della comunità e da quanto scrive G. Flavio(n11), su Giovanni conosciamo quel poco che abbiamo visto. Ebbene dal quadro che ne risulta sono due mondi lontani l’uno dall’altro: una comunità separata, fortemente ritualizzata quella di Qumran, per una prospettiva aperta, popolare quella a cui si rivolge il Battista. Supposto pure che Giovanni abbia fatto parte di quella comunità, nel distaccarsene ha avuto un soffio di spirito profetico che gli ha permesso di guardare con occhio nuovo.
1.2. Giovanni Battista nei vangeli.
Abbiamo visto la figura di Giovanni attraverso le notizie che di lui ci ha trasmesso G. Flavio, abbiamo anche cercato di porla nel contesto storico del tempo relazionandola alla comunità di Qumran, ora passiamo a vedere come la figura di Giovanni è stata recepita nei vangeli. Nel fare questo breve esame dobbiamo tener presente, come è stato sopra accennato, due cose:
- a) La comunità cristiana fin dall’inizio si è trovata davanti un’altra comunità che si rifaceva a Giovanni, una comunità che amministrava anch’essa un battesimo e rivendicava Giovanni non solo come fondatore, ma anche come un “profeta” e il profeta definivo, escatologico, che, si può supporre, si sentiva superiore alla nuova comunità di Gesù in quanto Gesù stesso era stato da Giovanni per il battesimo. La comunità cristiana ha trovato una certa concorrenza nelle comunità giovannite, ma forte della fede che aveva maturato dopo l’esperienza di Gesù risorto, che ormai riconosceva e confessava come il Cristo e il Signore (At 2,36), come il Salvatore nel cui nome solamente si può trovare la salvezza (At 4,12), ha riletto la figura di Giovanni, in qualche modo se l’è appropriata, l’ha fatta propria e ha visto in lui il segno di Dio, l’uomo ripieno dello Spirito Santo, che ha operato con lo spirito di Elia per preparare al Signore un popolo ben disposto (Lc 1,15-17), mandato a preparare la venuta e la missione del Cristo Signore. La comunità cristiana rinvigorita dallo Spirito del Cristo risorto diventa consapevole anche della differenza del battesimo dato da Giovanni e di quello che essa amministra nei nome di Gesù: quello è un “battesimo di conversione nell’acqua per il perdono dei peccati” (Mc 1,4), questo di Gesù è un “battesimo nello Spirito Santo” (Mc 1,8) perché Gesù è colui sul quale Giovanni, il battezzatore, ha visto “scendere e rimanere lo Spirito” e quindi “è colui che battezza in Spirito Santo” (Gv 1,33).
- b) Come è ben noto, i Vangeli non sono una biografia o una cronistoria della vita di Gesù, ma sono appunto “vangeli”, cioè “buona, bella notizia” della salvezza, che Dio ha mandato all’uomo per mezzo di Gesù. Essi sono stati scritti, come raccolta del materiale che si era formato nelle prime comunità per mezzo dell’insegnamento degli apostoli, nella rilettura delle Scritture, cioè dell’Antico Testamento, per comprendere la persona di Gesù e particolarmente lo scandalo della croce (cfr. Lc 24.25-27.44-46; At 2,42), sono quindi testimonianze della fede (n12). I vangeli, in un a prospettiva propria a ciascuno dei quattro evangelisti, ci hanno trasmesso questa fede. Ciò non significa che non ci diano notizie storiche, ma certamente una storia lievitata dalla ricomprensione di essa alla luce del mistero di Gesù di Nazareth. Per quel che ci riguarda i Vangeli ci testimoniano la figura di Giovanni, uomo di Dio, predicatore del regno, che ha battezzato Gesù al Giordano, ucciso da Erode, personaggio che la comunità cristiana ha riletto in rapporto a Gesù, che è il Cristo e il Signore.
.1. 2. 2. Giovanni Battista nei sinottici e nel vangelo di Giovanni
Nei vangeli sinottici la figura di Giovanni occupa un posto di rilievo: Luca in parallelo con Gesù ne racconta l’annunzio e la nascita (Lc 1,5-25. 57-80); anzitutto appare come il predicatore e colui che battezza Gesù (Mc 1,1-11; Mt 3,1-17; Lc 1- 22); si parla di lui poi nell’ambasceria che Giovanni manda a Gesù e nell’elogio che Gesù fa di Giovanni (Mt 11,2-15; Lc 7,18-30) (nota13) ; nel racconto degli interrogativi che Erode si pone su Gesù e nel collegato episodio dell’esecuzione di Giovanni Battista voluta da Erode (Mc 6,14-29; Mt 14,1 -12) (nota14); ma è ricordato anche nella questione del digiuno (Mc 2,18; Mt 9,14; Lc 5,33), della preghiera (Lc 11,1) (nota15) ; nel giudizio di Gesù sulla sua generazione, che non ha accettato né Giovanni, che era un asceta, né accetta Gesù che condivide la tavola con i peccatori (Mt 11,18s Lc 7,33s); è messo al primo posto, nella risposta degli apostoli a Gesù quando questi domanda loro che cosa pensasse la gente sul suo conto (Mc 8,28 e paralleli); nella domanda sul ritorno di Elia (Mt 17,10-13; Mc 9,11-13) (nota16) ; negli scontri polemici a Gerusalemme, quello con i sommi sacerdoti, gli scribi e gli anziani sull’autorità di Gesù (Mc 11,27-33; Mt 21,23-27; Lc 20,1-8) e sull’accettazione del battesimo di Giovanni (Mt 21,32 ) (nota17).
Nel vangelo di Giovanni il Battista è posto in una posizione, che è più chiaramente in controluce in rapporto a Gesù, se ne fa una lettura più teologica: nel prologo del quarto vangelo due volte si contrappone Gesù a Giovanni (cfr. 1,6-8. 15); il quarto vangelo non parla direttamente del battesimo di Gesù, ma della testimonianza che il Battista rende a Gesù: di sé Giovanni dice che non è né il Cristo, né Elia, né il profeta (1,19-21), indica invece Gesù come “l’agnello di Dio”, che toglie il peccato del mondo” (1,29), che certamente è una confessione post-pasquale; testimonia che al momento del battesimo ha visto scendere e rimanere lo Spirito su Gesù per cui può indicare Gesù non solo come colui che battezza in Spirito Santo, ma come il Figlio di Dio (l,33s). Solo il quarto vangelo ci dice che anche Gesù battezzava, come il Battista (3,23), anzi più del Battista (4,1) (nota18), ma il Battista dovrà riconoscere davanti ai propri discepoli che solo Gesù è lo sposo, mentre lui è l’amico dello sposo (3,27-30) (nota19). La figura di Giovanni viene inoltre richiamata da Gesù in polemica con i Giudei, che non hanno accettato la testimonianza di Giovanni su di lui (5,21-27) (nota20).
Negli Atti degli Apostoli Giovanni è ricordato come rinviato di Dio a preparare la venuta di Gesù con la chiamata al battesimo di penitenza: lo ricorda Gesù agli undici richiamando quanto aveva detto loro già durante la vita pubblica “Giovanni ha battezzato con acqua, voi sarete battezzati in Spirito Santo, fra non molti giorni” (At 1, 5); lo ricorda Pietro quando propone di rimpiazzare Giuda Iscariota con uno che sia stato testimone della vita di Gesù a partire “dal battesimo di Giovanni” (At 1, 22): ancora lo ricordano Pietro nel discorso a Cornelio (At 10,37) e Paolo nel discorso alla sinagoga di Antiochia di Pisidia (At 13,24s), ove, in entrambi i testi è richiamata la missione e il battesimo di Giovanni come preparatori alla missione e ai battesimo di Gesù; è ricordato a proposito del “battesimo di Giovanni”, conosciuto da Apollo (At 18,25) e che avevano ricevuto alcuni discepoli (At 19,1-7).
Conclusione
- a) La figura storica di Giovanni Battista certamente è stata reinterpretata dalle comunità cristiane delle origini e I vangeli ne sono la testimonianza. Quella di Giovanni è una figura profetica che in un tempo di aspettative messianiche ed apocalittiche ha richiamato Israele con la predicazione e il rito del battesimo ad una vita corretta, alla pratica detta giustizia reciproca, alla pietà verso Dio (G. Flavio). Gesù stesso ha letto la predicazione di Giovanni e il battesimo come un evento provvidenziale, è andato da Giovanni e si è sottoposto al battesimo.
- b) Matteo e Marco pongono la predicazione del Battista e quella di Gesù in continuità. L’annuncio dì Giovanni suona: “Convertitevi, perché il regno di Dio è vicino” (Mt 3,2) e Gesù riprende le stesse parole all’inizio della sua predicazione: “Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino” (Mt 4,17) e Marco precisa: “Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino, convertitevi e credete al vangelo” (Mc 1,15). La novità è il compimento e il credere al vangelo, che è la buona notizia che il regno di Dio è vicino, anche se nel contesto cristiano evidentemente il compimento e il vangelo assumono un altro significato. Stando al quarto vangelo Gesù ha inizialmente svolto lo stesso ministero battesimale del Battista (Gv 3,22) facendo forse sperare a Giovanni che Gesù potesse essere un suo continuatore, con la forza dello Spirito e il fuoco di Elia.
- c) Matteo e Luca raccontano la missione che il Battista affida ai suoi discepoli per sapere chi è Gesù (Mt 11,2-6 e Le 7,18-23). Il brano è diviso i due parti: la risposta di Gesù ai messaggeri di Giovanni e l’elogio che Gesù fa del Battista. La prima parte serve a controbilanciare la seconda. La precisazione di chi è Gesù e la presentazione delle opere che compie servono a mettere nella giusta luce l’elogio di Giovanni. Già all’inizio i due evangelisti introducono il racconto con due titoli chiaramente post-pasquali: Mt dice che Giovanni ha saputo in carcere delle opere compiute dal Cristo e Lc dice che Giovanni mandò i discepoli a dire al Signore. I due termini evidentemente sono della comunità cristiana. La domanda posta è: “Sei tu colui che viene o dobbiamo aspettare un altro?” Quel colui che viene è chiaramente titolo messianico, che viene esplicitato nelle opere tipiche dei tempi messianici: i ciechi acquistano la vista, gli zoppi camminano (Is 35,5s) (nota21), i lebbrosi vengono sanati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunziata la buona novella (Is 61,1), opere che Gesù sta compiendo. Le infatti dice che Gesù in quell’ora stava facendo queste opere e immediatamente prima Lc aveva raccontato la risurrezione del figlio della vedova di Nain. Lo sviluppo del racconto sembrerebbe supporre che il problema non è di rispondere a Giovanni, ma di dare il giusto peso all’elogio che Gesù ha fatto di Giovanni: “Chi siete andati a vedere? Un profeta? Sì, vi dico, e più che un profeta” (Lc 7,26). La comunità cristiana così precisa l’elogio che Gesù aveva fatto di Giovanni; premettendo all’elogio le opere del messia è come se facesse dire a Gesù stesso velatamente: qui c’è il messia, Giovanni è un profeta, anzi il mio profeta.
- d) I vangeli chiaramente mostrano che la comunità cristiana aveva interpretato la figura di Giovanni, sulla scia di due passi di Malachia, come colui che è stato inviato davanti a Gesù per preparargli la strada (Ml 3,1) e come l’Elia dei tempi ultimi (Ml 3,23). In Ml 3,1 a è Dio che annuncia: Ecco, io mando un mio messaggero a preparare la via davanti a me. La comunità cristiana riferirà questo versetto a Giovanni e il Battista diventa il messaggero di Gesù e quel davanti a me diventerà davanti a te, cioè davanti a Gesù, facendo intuire che Gesù è il Signore che viene sulla strada che Giovanni gli ha preparato. Ml 3,23-24 sull’invio del profeta Elia per il giorno grande e terribile del Signore sono versetti aggiunti a conclusione della raccolta dei dodici profeti minori (n22). Essi sono conosciuti anche dal Siracide (48,10) e questo fa capire che il ritorno di Elia per i tempi messianici era attesa cominciata da lungo tempo, almeno dall’inizio del secondo secolo. Le origini cristiane, e forse Gesù stesso, hanno identificato Giovanni, come messaggero, con Elia.
I vangeli lasciano trasparire il lavorio ermeneutico sulla figura di Giovanni: Marco, all’inizio del vangelo, unisce Ml 3,1 con Is 40,3 per presentare Giovanni e la sua predicazione. Marco e Matteo riferiscono che Gesù stesso ha identificato Giovanni con Elia, ma ha tolto la figura di Elia dall’attesa apocalittica e ha indirizzato i discepoli a leggere la morte di Giovanni per opera di Erode Antipa come prefigurazione della sua stessa morte: Ma io vi dico: Elia è già venuto … L’hanno trattato come hanno voluto. Così anche il Figlio dell’uomo dovrà soffrire per opera loro” (Mt 17,12 e Mc 9,12s ) (nota23). Luca lega Giovanni a quel centro del tempo in cui avviene la demarcazione tra Giovanni che appartiene all’AT e lo chiude e Gesù che inaugura il Nuovo e si pone al centro della storia e del tempo: nei racconti dell’infanzia Le mette in parallelo, cuffie in un dittico, l’annuncio e la nascita di Giovanni e di Gesù (nota24), ma per mettere in rilievo la superiorità di Gesù su Giovanni, che gli camminerà innanzi con lo spirito e la forza di Elia (1,17). Introducendo l’attività del Battista Le pone la figura di Giovanni solennemente al centro della storia di quel momento (3,1-2), ma dopo il battesimo di Gesù introduce la sua genealogia, che risale fino ad Adamo, figlio di Dio (3,23-38) per sottolineare che ora siamo al vertice di uri crinale che divide il vecchio dal nuovo (nota25). Il quarto vangelo, come già sopra notato, rilegge la figura di Giovanni in chiave teologica. Qui la figura del Battista è meno frequente, ma più netta, nella contrapposizione con Gesù, forse dovuto al fatto che quando l’evangelista scriveva si trovava dinanzi ancora le comunità giovannite, che rivendicavano la superiorità di Giovanni Battista. Nel quarto vangelo Giovanni è un uomo mandato solo a testimoniare il Cristo-Verbo di Dio (l,7s. l5), a testimoniare che lui non è lo sposo, ma uno inviato a preparare le sue nozze (3,27-30). L’evangelista mette tassativamente in bocca a Giovanni tre risposte negative: non sono il Cristo, non sono il profeta, non sono Elia, ma nello stesso tempo si autoriconosce come un inviato perché si proclama: voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via del Signore (Gv 1,19-23). Qui l’evangelista si discosta dalla tradizione sinottica negando che Giovanni sia Elia, ma d’altra parte recepisce la presentazione di Giovanni che lo accredita come la voce di un nuovo Isaia (n26).
.2. La predicazione di Giovanni
Chiarito il rapporto tra Giovanni e Gesù, dobbiamo concludere che Giovanni non ne è stato l’annunciatore, ma il precursore. Non l’annunciatore nel senso che Giovanni non conosceva Gesù né poteva individuare la vera identità di Gesù, il precursore nel senso che Giovanni ha preceduto Gesù sia nel dare il battesimo sia nel richiamare il popolo alla conversione per il regno di Dio. Certamente Giovanni ha battezzato Gesù, però se da una parte questo ci attesta incontestabilmente che Gesù ha ricevuto il battesimo da Giovanni, dall’altra non ci dice tanto la consapevolezza che Giovanni aveva di Gesù, piuttosto la consapevolezza che la Chiesa ha di chi è Gesù e di chi è Giovanni. Il racconto del battesimo di Gesù serve a precisare l’inizio della sua attività pubblica, ma esso è prima di tutto, particolarmente nei sinottici, “vangelo”, cioè bella notizia, una scena teofanica, che rivela chi è Gesù: è il servo-figlio del Padre, colui che è pieno dello Spirito per mezzo del quale egli inizia la sua opera di lotta contro il male (Lc 4,ls) e di annunzio della presenza del regno di Dio (Lc 4,14-19). Questa è la fede della Chiesa (n27).
Sulla predicazione di Giovanni abbiamo poche cose. G. Flavio dice che Giovanni esortava i Giudei “ad una vita corretta, alla pratica della giustizia reciproca, alla pietà verso Dio” (n28). Nei vangeli troviamo veramente poche notizie sulla predicazione di Giovanni al di là del grido: “Convertitevi perché il regno dei cieli è vicino” (Mt 3,2); solo Mt e Le riportano dei tratti della predicazione di Giovanni, attinti forse da Q dal momento che sono strettamente paralleli, eccetto alcune frasi esclusivamente lucane, intercalate fra i due passi paralleli. Vediamoli in sinossi.
Mt 3,7-10= Vedendo però molti farisei e sadducei venire al suo battesimo, disse loro: «Razza di vipere! Chi vi ha suggerito di sottrarvi all’ira imminente? Fate dunque frutti degni di conversione, e non crediate di poter dire fra voi: Abbiamo Abramo per padre. Vi dico che Dio può far sorgere figli di Abramo da queste pietre. Già la scure è posta alla radice degli alberi: ogni albero che non produce frutti buoni viene tagliato e gettato nel fuoco.
Lc 3,7-9
Alle folle che andavano a farsi battezzare da lui, Giovanni diceva: “Razza di vipere, chi vi ha fatto credere di poter sfuggire all’ira imminente? Fate dunque frutti degni della conversione e non cominciate a dire fra voi: Abbiamo Abramo per padre! Perché io vi dico che da queste pietre Dio può far suscitare figli ad Abramo. Anzi, già la scure è posta alla radice degli alberi; perciò ogni albero che non dà buon frutto viene tagliato e gettato nel fuoco”.
Lc 3,10-14
Le folle lo interrogavano: “Che cosa dobbiamo fare? Rispondeva loro: Chi ha due tuniche, ne dia una a chi non ne ha; e chi ha da mangiare, faccia altrettanto”. Vennero anche dei pubblicani a farsi battezzare, e gli chiesero: “Maestro, che dobbiamo fare?” Ed egli disse loro: Non esigete nulla di più di quanto vi è stato fissato. Lo interrogavano anche alcuni soldati: “E noi che dobbiamo fare?” Rispose: “Non maltrattate e non estorcete niente a nessuno, accontentatevi delle vostre paghe.
Mt 3,11-12 Io vi battezzo con acqua per la conversione; ma colui che viene dopo di me è più potente di me e io non son degno neanche di portargli i sandali; egli vi battezzerà in Spirito santo e fuoco. Egli ha in mano il ventilabro, pulirà la sua aia e raccoglierà il suo grano nel granaio, ma brucerà la pula con un fuoco inestinguibile
Lc 3,15-17
Poiché il popolo era in attesa e tutti, riguardo a Giovanni, si domandavano in cuor loro, se non fosse lui il Cristo, Giovanni rispose a tutti dicendo: “Io vi battezzo con acqua; ma viene colui che è più forte di me, al quale io non son degno di slegare i lacci dei sandali: egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco. Tiene in mano la pala per pulire la sua aia e per raccogliere il frumento nel granaio; ma brucerà la paglia con un fuoco inestinguibile.
La predicazione di Giovanni, partendo dal testo di Mt 3,2, ha come centro l’annuncio che il regno dei cieli (n29) è vicino e quindi invita ad accoglierlo con una profonda conversione, a riconoscere la signoria di Dio, la sua regalità sull’uomo e sul mondo e a vivere secondo le esigenze del regno,
Il mondo giudaico del tempo è fortemente lacerato e spasmodicamente teso ad un rinnovamento nell’attesa di “colui che deve venire”. Dopo la ribellione maccabaica, a partire cioè da metà del II secolo a. C., Israele aveva ritrovato una certa, autonomia ed identità politica, sebbene sotto l’ombrello delle grandi potenze di Siria prima e poi di Roma. L’autorità governativa era però fortemente scaduta, basti pensare alla dinastia asmonea e poi a quella erodiana: erano monarchi ormai segnati fortemente dalla cultura greca, regnanti più di stampo ellenista per tipo di vita e conduzione politica che veri pastori, come li aveva sognati Ezechiele, sul modello idealizzato di David (n30). Sono sovrani mondani, conducono una vita pagana, circondati da una classe corrotta ed avida di potere che teneva in mano l’amministrazione, le grandi proprietà terriere e il commercio. Un potere sostenuto con le armi e la violenza. Erano continui i soprusi dei soldati verso la gente e le vessazioni dei pubblicani, che appaltavano la riscossione, sempre maggiorata, duplicata e triplicata a proprio vantaggio, di tasse e balzelli con il sostegno e la connivenza del potere politico e militare (n31).
Il mondo sacerdotale è legato al culto nel tempio di Gerusalemme, unico luogo legittimo del culto ufficiale, che per una parte dà identità al popolo che partecipa ai riti e alle grandi feste tradizionali di Israele, ma per un’altra riduce la vita religiosa ad esteriorità. Il sommo sacerdote, che presiede il sinedrio (n32), è uomo ligio al potere perché è riconosciuto o addirittura scelto dal monarca o dalle potenze occupanti, la Siria prima e poi Roma. Questo mondo sacerdotale, nelle sue più alte espressioni è delegittimato da quando scoppia la crisi sadoqita (n33). Esercitava un potere che non tollerava novità e tanto meno atteggiamenti, che fossero, per un qualsiasi motivo, invisi alla classe sacerdotale e a Roma, repressivo, al pari dei monarchi, di ogni personaggio e movimento che potessero creare veri o presunti torbidi. Basta ricordare il modo di procedere di Erode Antipa verso Giovanni e di Hanan (Anna) e Kaifas (Caifa) nei riguardi di Gesù.
I farisei (n34) formavano un movimento trasversale di persone appartenenti ad ambienti e ceti differenti, che avevano a cuore l’identità di Israele. Questa identità si esprimeva a tutti i livelli: con la rivendicazione della libertà religiosa e politica, dell’indipendenza nazionale, con l’osservanza scrupolosa della legge, che avevano sminuzzato in centinaia di precetti e di osservanze quotidiane. I membri di questo movimento religioso, che appartenessero al sinedrio, agli scribi, cioè ai dotti che detenevano l’interpretazione della legge, alla classe agiata, erano i custodi della tradizione, vigilavano sul popolo perché osservasse la Torah e detenevano un potere religioso diffuso attraverso la conduzione delle sinagoghe dove ogni sabato si riuniva la gente. Contrari al potere straniero di Roma, tenevano desta un’avversione forte e costante nei confronti dei conniventi con il potere, come i pubblicani, e dei non osservanti della legge, i peccatori. Legati alla Torah, ma anche aperti ad approfondimenti, sotto la spinta di idee culturali nuove come quella greca dell’athanasia cioè dell’immortalità, erano giunti ad accogliere la fede nella risurrezione, nell’esistenza di esseri spirituali, degli angeli. Una presenza diffusa tra la gente, che da una parte li rispettava per la loro religiosità e dall’altra li temeva per il loro controllo pressante, li ha portati a forti contrasti con Gesù, soprattutto per il loro legalismo, che rendeva la pratica religiosa asfissiante, ipocrita ed oppressiva. Gesù aveva conoscenze ed amici tra i farisei (cfr. Gv 3,1; Lc 7,36 ecc.), ma, al pari dei sacerdoti e dei sinedriti, essi rifiutarono la predicazione di Giovanni e quella di Gesù (cfr. Mt 21, 25.32), ma forse per la condanna di Gesù si adoperarono di più i sadducei che non i farisei.
Sotto l’occhio di questi poteri si muovevano la gente semplice della campagna, i braccianti in cerca di qualche giornata di lavoro, gli artigiani umili delle cittadine e dei villaggi, i piccoli commercianti, tutta gente che a malapena riusciva a sopravvivere, sempre in attesa di una luce di liberazione e di salvezza.
In questo quadro sociale, religioso, politico, irto di difficoltà e carico di attese, è iniziata la predicazione e l’amministrazione del battesimo di Giovanni Battista verso l’anno 27-28. Certamente l’annuncio di Giovanni: “Convertitevi perché il regno di Dio è vicino” è carico di richiami morali (“convertitevi”) e di attesa piena di speranza (“il regno dei cieli è vicino”). Non fa meraviglia che folle si siano mosse per andare ad ascoltare Giovanni e a sottoporsi al rito penitenziale, segno di conversione, quale lo scendere nelle acque del Giordano, il battesimo.
Quella di Giovanni è una predicazione veramente in situazione. L’invito alla conversione è rivolto a tutti e alle diverse categorie di persone. Confrontando i testi di Matteo e di Luca sopra riportati si intravede una duplice tonalità, profetica ed apocalittica insieme.
Come i profeti, Giovanni indica chiaramente gli aspetti della vita che vanno cambiati: a tutti annuncia l’esigenza della fraternità e della solidarietà: “chi ha due tuniche ne dia una a chi non ne ha; e chi ha da mangiare, faccia altrettanto”; ai pubblicani rammenta l’onestà nel loro lavoro di riscossione di tasse: “non esigete nulla di più di quanto è stato fissato”; ai soldati richiama che non si può abusare della forza per opprimere persone ed ingiustamente arricchire, perché essi hanno già la loro paga: “non maltrattate e non estorcete niente a nessuno, contentatevi delle vostre paghe”. Così nel testo lucano.
Matteo e Luca poi concordano nel riportare toni apocalittici della predicazione di Giovanni. L’ambiente carico di attese porta Giovanni ad annunciare a tutti, ma specialmente alle classi più alte, che il giudizio di Dio incombe e non si potrà sfuggire. E’ tipico dell’apocalittica questa predicazione (n35). Giovanni tuona: “Siete un covo di vipere, pieni di veleno, razza malvagia”. Giovanni svela la ipocrita pretesa dei suoi uditori, che pensano o dicono di sé: noi siamo figli di Abramo! E Giovanni ironizza: “Dio, che ha tratto l’uomo dalla terra, potrà trarre tanti figli di Abramo da queste pietre!” E’ una condanna dell’ipocrisia e anche dello stesso rito del battesimo se non è accompagnato da una vera conversione. Mt e Lc, dalla loro fonte comune, ci riportano altre due immagini del Battista per descrivere l’imminenza del giudizio di Dio: quella della scure ormai alle radici dell’albero e quella del ventilabro. L’albero che non porta frutto deve essere tagliato e Dio sta già con la scure in mano per abbatterlo; grano e pula sono mescolati e l’inviato di Dio sta col ventilabro in mano per raccogliere il grano e per bruciare la pula.
Nella predicazione di Giovanni c’è una forte tensione escatologica, sicuramente egli non si è identificato con “colui che deve venire”, ma ha espresso il senso profondo dell’attesa dell’inviato di Dio. E’ plausibile che di se stesso abbia detto: non sono il Messia, non sono Elia, non sono il profeta, e che lui si sia definito: Io sono una voce che grida nel deserto: Preparate la via del Signore (Gv 1,20-23). Giovanni è una coscienza forte, che ha rifiutato le diverse correnti del tempo: quella messianico-regale (il Messia), quella apocalittica (Elia), quella profetica e sacerdotale degli Esseni (n36) e si è presentato come la voce che grida nel deserto di Israele: Convertitevi, preparate la via al Signore perché il suo regno è vicino. Il popolo ha accolto il messaggio di Giovanni, i capi no (Mt 3,32) per questo Erode Antipa per motivi politici (G. Flavio) e personali (Sinottici) lo ha eliminato.
Gesù ha ripreso la linea di Giovanni, si è sentito in sintonia con il Battista, ma ha esaltato il regno di Dio come presente tra i poveri e i peccatori che egli accoglie annunciando la misericordia del Padre. Certamente Gesù ha annunciato anche il giudizio imminente di Dio, ma si presenta piuttosto come il vignaiolo, che invece di tagliare la pianta che non porta frutto, la custodisce e la zappa ancora per un anno per vedere se mai porti frutto Lc 13,6-9). Questo tratto della predicazione e della prassi di Gesù deve aver colpito Giovanni ed è plausibile che, già in carcere, gli abbia inviato un’ambasceria per chiedergli: “sei tu colui che viene o dobbiamo aspettare un altro? (Lc 7,19; in Mt 11,3 colui che deve venire). Mt e Le dicono che Gesù non dette una risposta diretta ed esplicita alla domanda posta dagli inviati di Giovanni, ma sottolineano che Gesù invita costoro a guardare le opere da lui compiute per capire la sua identità, i due evangelisti presentano poi Gesù che fa un grande elogio di Giovanni. Per Gesù Giovanni non solo è un uomo forte e schietto (non è una canna agitata dal vento), un uomo austero (non indossa morbide vesti), ma un profeta, anzi più che un profeta perché Giovanni è colui del quale sta scritto: Ecco io mando davanti a te il mio messaggero, egli preparerà la via davanti a te (n37).
Conclusione
Sulle caratteristiche della predicazione di Giovanni Battista si può dire solo qualcosa di generale o addirittura di generico per mancanza di documentazione diretta e possibilità di raffronti: da una parte essa è fortemente situata nel tempo e dall’altra se ne distacca. Ben situata nel tempo, stando a quel poco che ci dicono i vangeli, per una certa tonalità apocalittica, tipica del periodo intertestamentario, che noi conosciamo da tutta quella fioritura di scritti, di carattere per lo più apocalittico, che sono oggi indi¬cati sotto la sigla “apocrifi” (n38). La predicazione di Giovanni mostra accenti apocalittici nel richiamare l’imminenza del giudizio di Dio e nel grido: Razza di vipere! Chi vi ha suggerito di sottrarvi all’ira imminente? (Mt 3,7 e Le 3,7) e nell’ammonimento: Già la scure è posta alla radice degli alberi (Mt 3,10 e Le 3,9), ma è lontana dal lin¬guaggio stracarico di simboli che caratterizza la letteratura apocalittica; si rapporta piuttosto allo stile profetico attento a denunciare concretamente lo storture sociali e religiose richiamando i valori etici della legge (così in Le 3,10-14).
Distaccata anche dalla predicazione di quel tempo, perché non legalista come poteva essere la predicazione degli scribi e dei rabbini nelle scuole e nelle sinago¬ghe. Questi, almeno stando alla raccolta degli insegnamenti dei maestri, trasmessici nella Mishnah (n39), erano intenti a interpretare la Torah sminuzzandone i coman¬damenti in miriadi di precetti. Diversa anche da quella degli adepti di Qumran perché il capo della setta, chiamato il mastro di giustizia, teneva una predicazione esoterica, riservata ai membri della comunità, mentre Giovanni parla al popolo, a tutti coloro che andavano da lui lungo il Giordano.
La predicazione di Giovanni è di tipo profetico, ha due poli: Dio e la sua signoria da una parte e dall’altra l’uomo e la sua responsabilità. La figura profetica più vicina a Giovanni forse è quella di Geremia. Questi predica una profonda riforma religiosa: la conoscenza di Dio, il vero culto e la riforma morale della vita, ma Geremia fu scambiato per un agitatore e avversario politico, non fu creduto e fu rifiutato. Lo stesso per il Battista: predica il regno di Dio, l’imminenza del suo giudizio e la riforma della vita, ma viene eliminato perché la sua predicazione muove le folle e diventa perciò un soggetto pericoloso. Da un punto di vista di sviluppo storico è quello che è capitato anche a Gesù; è il giudizio che ne ha dato Caifa: è meglio che muoia un solo uomo per il popolo e non perisca la nazione inte¬ra (Gv 12,50). La storia della salvezza passa dentro la storia dell’uomo.
La predicazione di Giovanni ci lascia diversi insegnamenti per la predicazione di oggi: primo, il primato di Dio, la sua signoria e il suo giudizio, noi potremo dire: Gesù, il suo vangelo e la tensione escatologica come costituiva della prospettiva cristiana; secondo, il cristiano, le esigenze dei
vangelo e la storia concreta dell’uomo.
-.-.-NOTE
.1. Cfr. J.A. FITZMYER, Luca teologo. Aspetti del suo insegnamento, Brescia 1991, cap. IV:
L’immagine lucana di Giovanni Batista come precursore del Signore, pp. 72-93, scrive: “Ora, avendo sentito parlare dell’attività di Gesù, in base alla quale egli non sembra presentarsi come il fiero riformatore atteso sullo stampo di Elia, Giovanni Battista esita e pone domande”: p. 81. Sulla stessa linea G. BARBAGLIO e R. FABRIS in I Vangeli, Assisi 1975, Barbaglio nel commento a Matteo (p. 271), Fabris nel commento a Luca (p. 1038); cfr. anche J. GNILKA, Il Vangelo di Matteo (CTNT III/1), Brescia 1986, pp. 590-602; H. SCEIUERMANN, Il Vangelo di Luca (CTNT III/l), Brescia 1983, pp. 652-665.\
.2. R. PESCH, Atti degli Apostoli, Assisi, 1992, p. 723. Cfr. anche R. FABRIS, Atti degli Apostoli, Roma 1977, pp. 548-554. Sulla storia del movimento suscitato da Giovanni Battista cfr. E. LUPIERI, Giovanni Battista fra storia e leggenda, Brescia 1988.
.3. Per conoscere Giuseppe Flavio bisogna ricorrere alla sua autobiografia: Vita, annessa alla sua opera maggiore La guerra giudaica. Nella Vita dà solo alcune notizie principali, che sono riportate in ogni presentazione critica delle opere di Giuseppe Flavio, per questo rimando a La guerra giudaica a cura di Giovanni Vitucci, Fondazione L. Valla 1974, poi presso “Biblioteca” Mondadori 1982: Introduzione IX-XLVIII, e a Antichità giudaiche, a cura di L. Moraldi, Torino 1998: Introduzione pp. 7-33. Ampia presentazione critica della vita di Giuseppe Flavio in E. SCHUERER, Storia del popolo giudaico al tempo di Gesù Cristo, I, Brescia 1985, laddove parla delle fonti: Giuseppe pp. 76-99.
.4. GIUSEPPE FLAVIO, Antichità giudaiche, XVIII,V,2, [116-119], II, p. 1125-26.
.5. La localizzazione dei siti menzionati rimane molto incerta. Per una discissione cfr. R. SCHNACKENBURG, II Vangelo di Giovanni, Brescia 1973. T, pp. 393se619s.
.6. Giuseppe Flavio parla di Gesù poco prima, sempre nelle Antichità Giudaiche (XVIII,III,3 [63-64], ma in un altro contesto. G. Flavio non fa minimo cenno ad un rapporto cronologico tra Gesù e Giovanni, il fatto che parli di Gesù prima di Giovanni non significa che l’attività di Giovanni si sia svolta dopo. Per una discussione critica sull’ autenticità della testimonianza di G. Flavio su Gesù, detta appunto Testimonium Flavianum, cfr. SCHUERER, Storia del popolo giudaico I, Excursus II, pp. 524-540 Uno studio approfondito sul rapporto Giovanni-Gesù e sul valore del testimonium flavianum è quello di E. NODET, Jésus et Jean Baptiste selon Josèphe in RB (1985), pp. 321-348 e 495-524; cfr. il breve e preciso studio di G. THEISSEN-A. MERZ, Il Gesù storico, Brescia 1999,
- 88-100.
.7. G. FLAVIO, Guerra giudaica, 11,8 [120-121] p. 136. Cfr. sull’argomento C.R. KAZMIERSKI, Giovanni, il Battista, Cinisello B. (MI) 1999 p. 27-32; J. ERNST, Johannes der Tauefer. Interpretation. Geschichte, Wirkungsgeschichte, Berlin 1989.
.8. Su questo tema cfr. il mio breve studio su Riti battesimali giudaici e battesimo cristiano, in AAVV, Il battesimo come fondamento dell’esistenza cristiana, Milano 1998, pp. 76-96. Nella Regola della Comunità si parla anche di un battesimo escatologico in cui acqua, fuoco, spirito santo da ogni azione empia. Si verserà su di lui, come acque lustrali, lo spirito di verità, [per purificarlo] da contaminazione dello spirito impuro” (IV,20-21): cfr. Testi di Qumram pubblicati da F- Garcoa Martìnez, ediz. italiana a c. di C. Martone, Brescia 1996, p. 79.
.9. Cfr. in Testi di Qumran, p. 87.I sinottici applicano questo testo a Giovanni secondo l’espressione dei LXX: voce di uno che grida nel deserto, nel TM l’espressione è indeterminata e prospettando il ritorno dall’esilio di Babilonia chiaramente si riferisce alla strada da preparare “nel deserto”: Una voce grida: nel deserto preparate … (Is 40,3). Nel vangelo di Giovanni l’espressione è messa in bocca al Battista stesso: Io sono voce di uno che grida nel deserto (Gv 1,23). Cfr. J. A. Fitzmyer, Luca il teologo, cit. pp. 77-80.
.10. Su questi aspetto cfr. G. MIOLA, Riti battesimali giudaici e battesimo cristiano, I riti lustrali di Qumran, p. 77-82, n. 1.
.11. Degli Esseni G. Flavio parla in La guerra giudaica, II, 8, 2-13 [119-161], pp.135-141.
.12. Sulla formazione del materiale evangelico cfr. J. GNILKA, I primi cristiani. Origini e inizio
della Chiesa, (Suppl. CTNT n. 9), Brescia 2000, specialmente cap. V pp. 273-427; V. FUSCO, Le
prime comunità cristiane, Bologna 2000.
. 13. Me non riporta questo episodio.
.14. Le .9,7-9 riporta le perplessità di Erode su Gesù, come Mc e Mt, ma non racconta l’esecuzione di Giovanni, parla solo della prigionia (3,19s).
.15. Mt non fa questo riferimento a Giovanni Battista, anche perché pone l’insegnamento della preghiera del Padre in un altro contesto, quello della preghiera nel discorso del monte (Mt 6,7-15).
.16. Mc riporta la domanda, ma non dice esplicitamente che i discepoli capirono che Gesù si riferiva a Giovanni, come lo dice Mt. Lc non riporta questa domanda che in Mc e Mt è fatta a Gesù dopo l’episodio della trasfigurazione.
.17. Le riporta queste parole di Gesù nel contesto dell’elogio che Gesù fa di Giovanni (7,29-30).
. 18. Il testo nota, come tra parentesi, che di fatto non era Gesù a battezzare, ma erano i suoi discepoli (v. 2): per breve commento a questo inciso cfr. R.E. BROWN, Giovanni, Commento al vangelo spirituale, Assisi 1979, pp. 216-217; SCHNACKENBURG, Il vangelo di Giovanni, Brescia 1973, p. 620-230; R. FABRIS, Giovanni, Roma 1992, p. 282.
.19. Immagine dello sposo nei sinottici è presentata in rapporto ai commensali che non possono digiunare quando si è invitati ad un banchetto di nozze, dove lo sposo presente è Gesù, qui nel quarto vangelo con la stessa immagine si fa il confronto tra Gesù, lo sposo, e Giovanni, l’amico dello sposo.
.20. Probabilmente questo brano è una rielaborazione giovannea sulla linea della “testimonianza’’ del brano sinottico circa il giudizio di Gesù sulla sua generazione, che rifiuta ogni tipo di appello, sia quello di Giovanni sia quello di Gesù, alla conversione (cfr. Mt 11,16-19 e paralleli).
. 21. L’episodio manca nel vangelo di Marco; come è noto, gli studiosi attribuiscono il materiale evangelico comune a Matteo e a Luca ad una fonte, alla quale entrambi attingono, che chiamano Q (iniziale del termine tedesco Quelle, che significa appunto fonte). Per un’analisi della fonte Q su questo brano di Mt e Lc e sul titolo messianico colui che viene, in greco o erxomenos, cfr. FITZMYER, Luca teologo, pp. 80-84.
.22. Per la conclusione del libretto di Malachia cfr. G. BERNINI, Aggeo – Zaccaria – Malachia, (NVB 32), Roma 1974, pp. 355-360.
.23. Tra i due testi di Mc e di Mt c’è una leggera differenza: Mc fa capire che rilegge la morte di Gesù alla luce delle Scritture: come sta scritto di lui, e sotto questa luce rilegge anche la morte di\ Giovanni; Mt parte dalla morte di Giovanni per capire quello che succederà a Gesù.
.24. Sul genere letterario dei racconti dell’infanzia cfr. R.E. BROWN, La nascita del messia secondo Matteo e Luca, Assisi 1981.
.25. Sulla teologia di Luca cfr. H. CONZELMANN, Il centro del tempo, Casale M. 1996.
. 26. Su come i singoli evangelisti hanno trasmesso la recezione che la Chiesa ha fatto del Battista cfr. lo studio significativo di LUPIERI, Giovanni Battista fra storia e leggenda, pp. 26-118 per i sinottici e 132-163 per il quarto vangelo.
.27. Non si deve dimenticare che prima dei vangeli sono state scritte le lettere di Paolo, che avevano approfondito il senso del battesimo cristiano (cfr. Rom 6,3-11) e la comunità cristiana professa che su ogni battezzato Dio, il Padre, dice di nuovo quanto ha detto di Gesù: questi è mio figlio.
.28. Cfr. testo riportato sopra 1.1.
.29. Le espressioni regno dei cieli e regno di Dio si equivalgono: la prima risente di più dell’ambiente giudaico, che è più attento alla trascendenza di Dio e non ama nominarlo sostituendone il nome con cieli, potenza, maestà ecc. Sul senso della espressione regno di Dio cfr. lo studio ampio e sempre buono di R. SCHNACKENBURG, Gottes Herrschaft und Reich, Freiburg i.B. 1959.
.30. Cfr. Ezechiele 34. Il profeta in esilio rifiuta i monarchi della stessa dinastia davidica come pastori avidi ed oppressori e annuncia che Dio stesso si farà pastore del suo popolo e che gli manderà un pastore secondo il suo cuore, come David. Un’attesa che sembrava vana, ma la cui speranza si era riaccesa in quel tempo di profonda corruzione.
.31. Sulla situazione sociale, politica e religiosa del tempo di Gesù si sta sviluppando una ampia letteratura. Per una prima conoscenza rimandiamo a THEISSENAMERZ, Il Gesù storico, specialmente la parte seconda: La cornice della storia di Gesù, pp. 164-231, dove si può trovare un’appropriata bibliografia anche in italiano.
.32. “Sinedrio” è parola di origine greca, composta dalla preposizione syn che significa con, insieme e dal termina edra che significa seggio; il termine, quindi equivale a consesso. Il sinedrio ha assorbito il ruolo degli “anziani”, al tempo di Giovanni e di Gesù aveva i poteri amministrativi, legislativi, giudiziali, che l’autorità romana non si fosse riservati.
. 33. E’ la crisi che scoppiò all’interno delle famiglie che si reputavano discendenti dal sacerdote Sadoq, il sacerdote del tempo di Salomone (1 Re 1,32). Tra il 175-170 a. C. il sommo sacerdozio^ cominciò ad essere ottenuto presso i re di Siria, che occupavano Israele, dietro versamento di forti somme di denaro, così fecero Giasone e Menelao (cfr. 2 Mc 4,9.23s); poi passò alla famiglia dei Maccabei con Gionata, Simone. Fu allora che parte del sacerdozio gerosolimitano si divise e si ritirò nel deserto in attesa del ristabilimento del legittimo sacerdozio per intervento divino. Pare che questa sia l’origine della comunità di Qumran e del movimento degli Esseni, di cui parla con grande ammirazione G. Flavio nella sua opera La guerra giudaica (11,8,2-13). Per una informazione di base aggiornata sugli scritti di Qumran, gli Esseni e i possibili rapporti con il Battista cfr. J.G. VA.NDERKAM, The Dead Sea Scrolls Today, Eerdmans, 1994.
.34. Il termine passato ormai nelle nostre lingue per sé significa distinto, separato. I Farisei sono distinti, separati da quanti non erano israeliti (cioè dai pagani) o israeliti, che non osservavano la legge.
. 35. Apocalisse significa rivelazione. La letteratura apocalittica è fiorita nel periodo intertestamentario, tra l’A. e il N. Testamento, in un ampio arco di tempo che va dal IX secolo a. C. al II sec. d. C. E’ stata una letteratura prolifica, ma nelle Sacre Scritture sono entrati solo due testi: il libro di Daniele (anche se brani di tono apocalittico si ritrovano in Isaia 24-27, in Ezechiele 38-39, in Zaccaria 9-14 e altri) e l’Apocalisse di Giovanni (anche se il linguaggio apocalittico lo troviamo in bocca a Gesù nel discorso escatologico, in S. Paolo nella lettera ai Tessalonicesi e altro). Per uno sguardo sintetico all’apocalittica cfr. l’articolo di U. VANNI, L’apocalittica, in P. ROSSANO, G. RAVASI, A. GIRLANDA, Nuovo dizionario di Teologia Biblica, Cinisello B. 1988, pp. 98-106, con bibliografia.
.36. Dagli scritti di Qumran risulta che la setta aspettava due tipi di messia: il messia profeta per la vera interpretazione della legge e il messia sacerdote, che avesse ristabilito il vero legittimo sacerdozio del tempio.
.37. Come già notato, nella citazione sono cambiati i pronomi; il testo di Malachia (3, 1) dice: manderò il mio messaggero (mal’akì) a preparare la via davanti a me. E’ il Signore che annuncia il suo messaggero-precursore; in Mt e Lc il messaggero viene davanti a te, il Messia, cioè Gesù. E’ chiara la rilettura della comunità cristiana del testo di Ml 3,1. Ma anche l’applicazione di MI 3,23 Io invierò Elia prima che giunga il giorno grande e terribile del Signore a Giovanni Battista, non è il punto di vista di Gesù, ma piuttosto una rilettura della comunità perché Gesù non ha letto la figura di Giovanni come suo precursore o come figura apocalittica al modo degli scribi, che aspettavano il ritorno di Elia prima della venuta del Messia, ma come riferimento della fine che incombe su di lui, per opera delle autorità di Gerusalemme (Mc 11,13; Mt 17,10-13), come Giovanni prima era stato eliminato da Erode. Il brano che riporta l’ambasceria di Giovanni e l’elogio che Gesù fa del Battista, cui segue l’accusa che Gesù rivolge alla generazione presente (Mt vv. 16-19; Lv vv. 31-35) è complesso, proviene da Q, ma Mt e Lc lo hanno rielaborato secondo loro proprie prospettive: concordano nel sottolineare che il più piccolo nel regno dei cieli è più grande di Giovanni Battista, ma mentre per Mt Giovanni è già nel regno, per Lc invece ne è fuori. Per un commento a questi lunghi brani cfr. GNILKA, Il vangelo di Matteo, pp. 590-620 e SCHUERMANN, Il vangelo di Luca, pp. 652- 684, Brescia 1983; J. SCHNIEWIND, Il vangelo di Matteo, Brescia 1977, pp. 245-261; K.H. RENGSTORF, Il vangelo di Luca, Brescia 1980, pp.169-176: R. FABRIS, Matteo, Roma 1982, pp. 253-259; S. GRASSO, Luca, Roma 1999, pp. 217-224.
- Per i testi apocrifi rimandiamo a P. SACCHI (a c.), Apocrifi dell’antico testamento, voli. I-II, Torino, 1989; per le diverse apocalissi a L. MORALDI (a c.), Apocrifi del Nuovo Testamento, voi. II, Torino, 1971. Sui problemi che pone l’apocalittica cfr. K. KOCH, Difficoltà dell’apocalittica, Brescia, 1977; per uno sguardo complessivo cfr. P. SACCHI, L’apocalittica giudaica e la sua storia, Brescia, 1990.
.39. Mishnah plurale Mishnaiot significa “tradizione”, è un’opera, scritta in ebraico, formatasi nel II d.C., che raccoglie l’insegnamento che i maestri hanno trasmesso di generazione in generazione nelle loro scuole e nelle sinagoghe a partire dal III-II sec. prima della nostra era. Ne esiste una traduzione italiana di V. CASTIGLIONI, MISHNAIOT, 3 voll., Roma 1962.