□Nicola Del Gobbo, sac. Direttore de “La Voce delle Marche” pubblica un’intervista a mons. Gabriele Miola *\ il 14 maggio 2017, n. 7- Trascritto per gentile concessione del Direttore. Qui abbreviato per le notizie parimenti edite in ‘Firmana’ nn. 49 e 67.
<Nota del Direttore > Mons. Gabriele Miola … il sacerdote che ha portato nella arcidiocesi di Fermo il rinnovamento del Concilio Vaticano II. Ha traghettato la Chiesa Fermana attraverso i marosi del rinnovamento conciliare. È lui che ha girato in lungo e in largo la diocesi per far conoscere la Dei Verbum (Sacra Scrittura), la Lumen Gentium; e la Gaudium et spes (Chiesa), la Sacrosantum Concilium (Liturgia) … Ha insegnato per tanti anni nell’lstituto Teologico di Fermo facendo conoscere la straordinaria novità dei documenti conciliari. Ha insegnato teologia della rivelazione, teologia ecumenica, esegesi, storia della salvezza, greco biblico, ebraico. È lui che poi ha presieduto l’Istituto di Teologia di Fermo affiliato alla Pontificia Università Lateranense … Ha fortemente voluto un clero preparato suggerendo ai vescovi di far continuare gli studi teologici a molti giovani meritevoli.
Mons. Miola è stato più di un insegnante, un maestro. Un insegnante si limita a trasmettere nozioni in maniera più o meno efficace, un maestro invece introduce nella verità. Indica come Giovanni Battista “Ecco l’agnello di Dio”. Mostra una meta, traccia un cammino, incarna la verità nella semplicità. Fa in modo che i suoi alunni arrivino anche più avanti di lui nella verità.
La diocesi di Fermo infatti ha un corpo insegnanti da fare invidia alle Marche: qualificato, brillante, vivace. Molti insegnanti fermani sono docenti nell’Istituto Teologico Marchigiano di Ancona … I vescovi di Fermo, mons. Cleto Bellucci prima, mons. Gennaro Franceschetti poi e mons. Luigi Conti hanno voluto un clero preparato anche teologicamente.
Più volte Mons. Miola è stato chiamato dal Santo Padre a rivestire i panni dell’episcopato ma ha sempre rifiutato. “Non me la sentivo – ha confidato a qualcuno – di entrare in collisione con qualche altro vescovo. Conoscevo la loro mentalità preconciliare, non la capivo e non la condividevo”.
Vicario generale, docente, Preside dell’lstituto Teologico Marchigiano.
Curriculum <breve> di vita e di studi di mons. Gabriele Miola, traghettatore della chiesa fermana nel post Concilio …Nasce a Montegiberto il 19 Febbraio del 1934. All’età di tre anni inizia a vivere a Falerone con la sua famiglia. Entra nel Seminario di Fermo nel 1945 e vi frequenta le Scuole medie e il Liceo, fino al 1954. Frequenta il Corso di teologia a Roma al Laterano, alunno del Seminario Romano.
<intervista> Domanda: “A chi deve la sua vocazione?”\
*\ – A don Elia Malintoppi, primo parroco di Piane di Falerone. Molti non lo ricordano, ma per me è stato significativo. Fu nominato parroco da mons. Norberto Perini. La frazione di Piane era, allora, una parrocchia di comunisti, don Elia invece era un feroce anticomunista. Apertamente attaccava i comunisti, senza paura. Entrò così in rotta con la popolazione. Mons. Perini fu costretto a mandarlo a Potenza Picena, nel santuario e parrocchia di S. Girio.
Fu lui, don Elia, però a suggerirmi di entrare in Seminario. Fu lui ad accompagnarmi agli esami di ammissione a Fermo. Io non ero mai uscito da Piane di Falerone. Per me fu un’avventura venire a Fermo. Era la prima volta. Ricordo come fosse adesso quando salimmo sul trenino. E, quando, dopo gli esami, mi portò a visitare la Cattedrale e il Girfalco. Tante volte mi viene in mente quando davanti al parapetto di granito del Girfalco, don Elia indicandomi l’orizzonte mi disse: “Guarda laggiù. Quell’azzurro che vedi è il mare!”. Non lo avevo mai visto! In seminario fu mio sostegno Damiano Ferrini, allora teologo.
Per l’esame di ammissione alla scuola media di Montegiorgio fui preparato dalla maestra Lina Macchini, sorella dei famosi Macchini impegnati in politica. Ricordo con piacere la scuola media < a Fermo in seminario> dove il livello era buono. Del Ginnasio e del Liceo, negli anni 1948-54, ho un ricordo piuttosto negativo per la mancanza di professori impegnati con noi.
D- “Come le è venuto in mente di studiare Bibbia?”\
*\- Dopo l’esame di maturità, il rettore di allora <nel seminario>, mons. Stefano Cardenà, mi chiese di andare a Roma a studiare teologia presso la Pontificia Università Lateranense, per la formazione presso il Pontificio Seminario Romano, erano gli anni ’54-’58. Io accettai. La formazione era sulla stessa linea di quella di Fermo: disciplina, studio e pratiche di pietà. Ci accorgevamo però di alcune storture nella formazione. Ma il fatto che la Lateranense era una grande università che raccoglieva molti studenti provenienti da altri Seminari, permetteva confronto, dibattiti e apertura. La teologia, il più delle volte, si studiava purtroppo in funzione degli esami.
Mi entusiasmarono invece gli anni al Pontificio Istituto Biblico che frequentai dal 1958 al 1961. Abitavo allora nella parrocchia di S. Ignazio sull’Appia Nuova. Erano due le università pontificie dove si studiava bibbia. Formavano le due scuole di riferimento: il biblico dei gesuiti, progressista e la Lateranense, conservatrice. Ricordo gli insegnanti di allora, dei giganti, come Max Zerwick e Stanislas Lyonnet.
Dovevo discutere la laurea in teologia, ma capitò l’opportunità di perfezionare gli studi biblici a Gerusalemme e colsi quella opportunità. Negli anni ’61-’62 ho frequentato i Corsi nell’Istituto Biblico Francescano di Gerusalemme. Terminai il corso con due amici: Giuseppe Barbaglio (morto il 28 marzo 2007) e Enzo Cortese, di Aqui Terme. Con loro visitammo per lungo e per largo la Palestina, la Giordania, il Sinai, l’Egitto, ci spingemmo a visitare la Mesopotamia, l’Iraq, Babilonia, Ur dei Caldei, l’Eufrate.
- – “Come fu il suo ritorno in Diocesi?”\
*\- Venni ordinato sacerdote il 22 Marzo 1958. Nel 1962 rientrai in diocesi e mi fu chiesto di insegnare greco e latino in ginnasio. In teologia poi insegnai tante discipline: teologia dogmatica, liturgia, ecumenismo, introduzione all’Antico Testamento, ebraico e greco biblico. Dopo aver affiancato come vice-rettore mons. Cardenà, l’allora arcivescovo, mons. Cleto Bellucci mi nominò rettore del Seminario nel 1972 e vi rimasi fino al 1978. Furono anni cruciali. Cercai di guidare quella effervescenza dei tempi post-conciliari e i malcontenti che serpeggiavano tra i seminaristi teologi. Si cercavano esperienze nuove nei movimenti ecclesiali. Alcuni seminaristi vollero fare esperienza nel movimento dei Focolari o nei gruppi di Gioventù Studentesca. Cercai di impostare la vita su una liturgia rinnovata. Fu resa più viva la celebrazione dell’Eucaristia secondo le direttive del Concilio. Vennero mandati in parrocchia i seminaristi per l’attività pastorale al sabato e alla domenica. Alcuni sceglievano le parrocchie di origine, altri no. Per conoscere il mondo degli operai furono fatte esperienze di lavoro in azienda durante l’estate. Dal 1978 al 1988 fui nominato Vicario generale della diocesi di Fermo.
- – “Come trovò la diocesi di Fermo?”
*\- Piuttosto tradizionalista. L’Arcivescovo Mons. Norberto Perini, mons. Marconi, mons. Perfetti erano tutti perplessi sul Concilio Vaticano II. L’unico innovatore fu don Rolando Di Mattia, parroco a Loro Piceno a cui ero legato da una profonda amicizia. Con lui trascorrevo i mesi estivi di ritorno da Roma.
Con lui pensammo di far conoscere i documenti del Vaticano II in Diocesi. Chiedemmo collaborazione. Si formò un gruppo che doveva girare per la diocesi a far conoscere lo spirito del Concilio. A questo gruppo appartenevano don Rolando Di Mattia, don Angelo Fagiani, don Duilio Bonifazi (che poi lasciò per frequentare filosofia ad Urbino), don Romolo Illuminati (che poi lasciò perché prese l’insegnamento di Religione Cattolica al liceo classico di Fermo), don Filippo Concetti. Chiedemmo al vescovo di riunire i preti in incontri zonali. Dividemmo la diocesi in 6 vicarie. Ogni mese incontravamo i preti e facemmo conoscere la SC, la DV, la LG, la GS. Ciò che si diceva creava sorpresa sui preti. Alcuni addirittura facevano opposizione. Avevano paura che con il rinnovamento la chiesa perdesse la sua capacità di guida. Negli anni ’8o è stata promossa una Scuola di Formazione Sociale e Politica a Civitanova Marche.
- – “Come è nata l’idea?”
*\- Le scuole di partito erano scomparse. Ci si improvvisava amministratori, sindaci, assessori. Volevamo allora accompagnare i politici locali ad una preparazione più ampia non solo amministrativa. Volevamo coinvolgere gli assessori, gli uomini politici, i giovani che volevano affacciarsi alla politica. Volevamo indicare l’uomo nella sua interezza, nella sua globalità, nel suo essere immagine di Dio nel mondo. Insomma volevamo offrire una preparazione a 360 gradi: antropologia, economia, teologia, Bibbia. Volevamo proporre una scuola, non soltanto alcune conferenze. All’inizio furono tanti i partecipanti. Ma quando fu il momento degli esami, molti abbandonarono. E quindi, dopo tre anni, quell’esperienza unica nelle Marche, fu chiusa.
- – “Quali furono i cambiamenti nell’insegnamento della Teologia a Fermo?”
*\- Mons. Cardenà fu un bravo rettore. Riguardo alla Sacra Scrittura, disciplina che insegnava, era molto aperto. Mi lasciò il corso sulla Genesi. Insegnavo che nei primi capitoli non si racconta una storia, ma si legge un discorso sapienziale. Non è un libro storico. Ricordo che ebbi molte resistenze. Allora ebbi l’idea di chiamare a Fermo i miei professori del Biblico per fare aggiornamento. Vennero due liturgisti, Max Zerwick, e Stanislas Lyonnet, tre liturgisti: Tommaso Federici, Salvatore Marsili, padre Benedetto Calati; altri. Servì molto per far conoscere agli studenti di teologia, e non solo, il mondo della cultura cattolica.
Chiesi al Vescovo che tutti i giovani capaci cogliessero l’opportunità di formarsi a Roma per approfondire discipline teologiche.
- – “Perché la Diocesi di Fermo ha investito in teologia e le altre diocesi marchigiane molto poco?”
*\- Perché Fermo aveva la fortuna di avere un Seminario e un Istituto Teologico. Aveva bisogno di un corpo docente ben preparato, competente e formato. Ricordo che mons. Perini spinse presso la Congregazione perché l’Istituto Teologico di Fermo avesse il privilegio di rilasciare i titoli Accademici di Baccellierato e Licenza. Non ci riuscì. Ci riprovò senza esito anche mons. Cleto Bellucci, il quale ci teneva molto a che i sacerdoti avessero i titoli accademici. Purtroppo però qualche docente di Fermo ha fatto il doppio gioco. Ha svalutato l’lstituto teologico di Fermo parlandone male e facendolo passare come un istituto di progressisti.
C’è da dire che se l’Istituto Teologico Marchigiano Regionale è nato è grazie all’opera della Conferenza Episcopale Marchigiana e può andare avanti grazie a molti docenti dell’Arcidiocesi di Fermo.
- – “Lei è stato Vicario Generale, poi si è dimesso …”
*\- Per correttezza debbo dire che la mia decisione fu appoggiata da don Rolando Di Mattia. Senza il suo consiglio e il suo conforto non avrei fatto questa scelta. Fu verso la fine degli anni ’80. Si voleva una partecipazione corale dell’intera diocesi anche nei conti nell’amministrazione diocesana. Volevamo che il clero diocesano sapesse le spese della diocesi. Purtroppo <su> appoggio di prelati romani, non si volle questo tipo di trasparenza. Ci fu un momento in cui il suo segretario era economo e anche cassiere della Curia. Noi volevamo che la responsabilità economico-amministrativa diventasse comunitaria, nella diocesi. Invece continuò ad essere personale (…) sotto la pressione del clero diedi le dimissioni.
Nella memoria di molti è rimasta la giornata per i giovani celebrata al Palazzetto dello Sport di Porto S. Elpidio con la presenza di Madre Teresa di Calcutta. Si ricorda anche la celebrazione finale della domenica di Pentecoste, nel parco dinanzi alla Cattedrale con più di 15.000 persone.
- – “Come ricorda quell’incontro con Madre Teresa, oggi santa?”
*\ – Umile e obbediente. Così la ricordo. Avevamo programmato la sua presenza per la Giornata dei Giovani. Andai ad incontrarla un anno prima. Poi lei partì per l’India dove rimase per 6 mesi. Durante la sua permanenza in India le scrissi diverse volte, ma non mi rispose mai. Di ritorno dall’India andai a Roma ma lei declinò l’invito per impegni sopraggiunti. Allora chiamai al telefono il vescovo e lo feci parlare con Madre Teresa. Alla parola del Vescovo divenne obbediente e ribadì la sua presenza in Diocesi.
Per non farle perdere tempo allora andai a prenderla in macchina. Fu il dottor Astorri che mi accompagnò con la sua auto. Madre Teresa era avvolta dalla presenza di Dio. Ricordo che era maggio. Percorrevamo la strada Salaria. La Madre aveva il volto attaccato al finestrino e guardava ammirata la natura fiorita e lussureggiante di verde e del giallo delle ginestre. Il sabato incontrò i giovani al palazzetto dello Sport di Porto Sant’Elpidio e nel pomeriggio dopo l’adorazione in cattedrale parlò agli adulti. Quindi ripartimmo immediatamente perché la Madre aveva impegni. Le offrimmo per le sue opere di carità nove milioni di lire.
- – “Come vede il prete nel futuro?”
*\- Lo vedo come un uomo di Dio pieno di zelo che deve continuamente aggiornarsi. Il Concilio ha indicato alla Chiesa di saper leggere i segni dei tempi. Quindi c’è bisogno di un aggiornamento costante. Non è più tempo di dire “qui comando io!”.
D.- “Non c’è solo la Chiesa gerarchica, ma la Chiesa ’popolo di Dio’ ”.
*\ – Il sacerdote allora deve essere un ponte tra Dio e il mondo. Deve essere competente in teologia e in antropologia, deve conoscere Dio e le persone. Deve essere un pastore che cresce nella conoscenza delle esigenze della Chiesa e della vita sociale. Papa Francesco indica il sacerdote come il pastore che “prende l’odore delle pecore”, che conosce l’ovile, i pascoli erbosi e la sorgente di acqua zampillante.-
<Nota del Direttore>: Mons. Miola non rimpiange niente della sua vita. Si è sempre sentito parte della Chiesa. E ha lavorato alacremente nella Chiesa fermana. Oltre ad essere preside dell’Istituto Teologico Marchigiano per la sede di Fermo, è stato direttore dell’Ufficio diocesano per l’Insegnamento della Religione Cattolica, direttore dell’Ufficio diocesano per la Pastorale della salute. Con Mons. Rolando Di Mattia che è stato tra i fondatori della rivista “Firmana”./
- – “Guardando … la strada percorsa finora, qual è il giudizio che darebbe?”
*\ – Quel che desideravo e che si è realizzato solo in parte, era raggiungere uno spirito di collegialità a tutti i livelli: tra vescovo ed organismi di partecipazione, tra clero nelle vicarie, tra parroci, tra preti ed organismi parrocchiali, tra preti e laici in genere, tra insegnanti negli Istituti di teologia.
Con una visita pastorale, un congresso eucaristico, un sinodo e tante settimane di aggiornamento non sono esplose quella comunione e quella collegialità che l’ecclesiologia del Vaticano II e tutto il Concilio avevano messo a fondamento del rinnovamento della Chiesa. Mi sembra che sia un cammino lento ancor oggi.
- – “E ora, la Religione Cattolica. Direttore dell’Ufficio Catechistico Diocesano (UCD)
*\ – Dopo don David Beccerica, mons. Bellucci aveva nominato vicario generale don Giuseppe Trastulli e don Beccerica direttore dell’Ufficio Catechistico Diocesano (UCD). Come vicepreside dell’Istituto Superiore di Scienze Religiose (ISSR) m’intesi con don David per una formazione degli Insegnanti laici di religione cattolica (IRC) e cominciammo un primo corso di aggiornamento. Ma don Beccerica volle lasciare l’ufficio e il vicario don Trastulli un giorno mi chiamò e mi forzò a prenderne la successione. “Ti aiuterà il diacono Antonio Petrelli, mi disse, (che del resto collaborava con don Beccerica) e non avrai molto da fare”.
Accettai e nell’agosto-settembre 1993 mi trovai a fare le nomine degli IRC nelle scuole. Mi resi subito conto che erano necessarie alcune cose:
- – fare una graduatoria pubblica con i nominativi per l’insegnamento con ordine e trasparenza;
- – creare posti di lavoro per coloro che si diplomavano all’ISSR o all’ITM;
- – dare una formazione permanente agli stessi IRC.
Formai una commissione composta: da tre membri eletti dagli stessi IRC (uno per ogni grado di scuola: superiori, medie ed elementari), dal diacono Petrelli che fungeva da segretario, da un prete docente di religione nelle scuole pubbliche, da un rappresentante della curia. Con la commissione redigemmo un regolamento per formulare la graduatoria e lo sottoposi all’approvazione in un’assemblea agli IRC. Mi riservai però nel regolamento anche una certa libertà per immettere insegnanti preti, che fossero presentati dal vescovo o per determinati IRC nelle scuole di una certa importanza, come ad esempio i vari licei di Fermo e Civitanova. Lasciai ai tre rappresentanti di formulare la graduatoria sulla base della documentazione che ogni insegnante doveva mandare entro giugno per l’anno seguente. Nonostante i dubbi espressi dai preti e dallo stesso vescovo, la cosa andò bene e dette serenità agli IRC.
Per il secondo aspetto vedevo che non c’era altra possibilità che inserire gli IRC nelle scuole elementari e materne, in cui l’insegnamento di religione cattolica era affidato alle maestre curriculari. Queste non avevano alcuna preparazione e per di più non facevano le due ore di religione stabilite dall’Intesa Governo-CEI, dicevano qualcosa su Gesù a Natale e a Pasqua e usavano le ore per le altre discipline. Del resto le maestre ormai non venivano più dall’Istituto Magistrale “Bambin Gesù”, dove avevano una qualche formazione, se non teologico-biblica almeno cristiana, ma venivano dal magistrale pubblico dove non tutte del resto sceglievano quell’ora facoltativa di religione che è prevista nella scuola. Scrissi ai Direttori didattici, che sono i responsabili della nomina dei docenti nella scuola elementare e materna. Scrissi loro che l’incarico di religione poteva essere conferito solo a maestre che avessero fatto corsi di aggiornamento. Organizzai corsi biblici di 30 ore, prima per due anni in sedi diverse, a Fermo, a Servigliano e a Civitanova e poi per quattro anni solo a Fermo e mi sobbarcai a questo lavoro stressante. Incontrai così tante maestre alle quali spiegavo che l’insegnamento della religione doveva avere un aspetto culturale come le altre discipline e che a ciò non erano state preparate dalla scuola, dicevo che lasciando le due ore di religione loro non perdevano niente sullo stipendio, ci guadagnava la sicurezza dell’insegnamento come orario e come contenuto e che comunque se volevano continuare a fare le due ore di religione, dovevano aggiornarsi e frequentare i corsi. All’inizio ci fu una gran protesta, ma poi lentamente capirono, loro e i dirigenti; le partecipanti da principio erano tante, ma nel corso degli anni diminuirono sempre di più, lasciarono le due ore di religione ed entrarono come insegnanti per religione persone nuove diplomate all’ISSR.
Per la formazione permanente chiesi agli IRC di fare due corsi di aggiornamento ogni anno di almeno 20 ore ciascuno, uno obbligatorio per tutti e uno a scelta, e poi di fare due ritiri spirituali nel pomeriggio di due domeniche, una in Avvento e una in Quaresima, e una domenica completa verso la fine dell’anno scolastico. Per i corsi di aggiornamento mi aiutarono i professori dell’ITM, a volte chiamai relatori di fuori, affidai qualche corso a docenti inviati dall’Ufficio Nazionale; per i ritiri di Avvento e Quaresima chiamai soprattutto proff. laici come Mancini, Alici, Giacchetta, Virgili. Per la giornata di fine anno scolastico andammo presso monasteri o santuari offrendo anche la possibilità di esperienze diverse, invitai dei preti e detti la possibilità di celebrare il sacramento della riconciliazione. Furono esperienze belle e ben accolte dalla maggior parte. Invitai tutti a fare l’abbonamento al Foglio di Collegamento Pastorale (FCP) e ad abbonarsi a riviste di didattica della religione e a riviste biblico-teologiche. Per dare un compenso ai relatori e per le spese di gestione dell’UCD chiesi loro un contributo di cinquanta euro all’anno, che tutti, mi sembra, dettero volentieri.
Con questa politica gli IRC laici, che nel 1993 erano una quarantina, quando lasciai l’UCD nel 2004 erano quasi cento. Questo diede respiro anche all’ISSR che ebbe un buon numero di iscritti ogni anno fino al presente <2017>.
D – L’Istituto Teologico di Fermo: una conquista. Mons. Miola ha creato un ampio gruppo di docenti di teologia.
*\- Ho sempre insegnato nell’ITM-ISSR, fin dal 1962 appena tornato dalla Terra Santa, dove avevo frequentato un anno presso l’Istituto Biblico tenuto dai Francescani. Ho insegnato anche quando ero vicario generale o impegnato con il sinodo, con la Scuola di formazione all’impegno sociale-politico (SFISP) e altro. Facevo le Introduzioni bibliche di Antico e Nuovo Testamento all’Istituto Teologico Marchigiano sezione di Fermo (ITM) e all’Istituto Superiore di Scienze Religiose (ISSR). Per l’insegnamento di esegesi era venuto don Raffaele Canali: era prete della diocesi di Ascoli, aveva fatto la licenza al Pontificio Istituto Biblico (PIB), era del Seminario Romano, compagno di don Paolo De Angelis, che me lo segnalò. In Ascoli non c’era più il seminario teologico, non trovò una cattedra e il vescovo Mons. M. Morgante gli permise di venire a Fermo. Mons. Bellucci lo accolse in diocesi, gli assegnò la cappellania di Stella Maris a Civitanova e i corsi di esegesi in seminario cominciando a sostituire mons. Cardenà. Diventammo amici e collaborammo. Trovò subito buona accoglienza e gli studenti erano entusiasti di lui. Faceva parte del cammino neocatecumenale e ne era un punto di riferimento in diocesi. L’intesa tra noi fu sempre buona; ci scontrammo solo in un punto. Come vicario generale avevo richiamato i neocatecumenali sulla celebrazione della veglia pasquale. La liturgia propone una celebrazione solenne e unitaria e chiesi ai neocatecumenali di partecipare alla veglia parrocchiale. Vennero in commissione per sostenere la loro prassi di una veglia propria, c’era anche don Raffaele, ci scontrammo su questo punto, ma non essendoci direttive specifiche sul movimento e le loro liturgie non ottenni nulla, anche perché l’arcivescovo Cleto, che si diceva d’accordo con la linea che avevo proposta, in pratica tollerò la prassi dei neocatecumenali. Rimanemmo amici anche se con qualche ombra.
Don Canali divenne rettore del seminario neocatecumenale Redemptoris Mater di Macerata e continuava ad insegnare. Nel 1991 accusò una cardiopatia, gli consigliarono di fare un intervento in una clinica specializzata di Roma. Sottoposto ad intervento chirurgico non si risvegliò dall’anestesia. Erano i primi giorni del gennaio 1992. Quasi presago della fine, poco prima del ricovero in clinica, lasciò uno scritto, come una preghiera e un testamento, veramente toccante, ricco di fede; vi annunciava la sua eventuale morte come l’incontro gioioso con Cristo ed invitava a celebrare l’eucaristia del suo funerale con i canti festosi tipici del “cammino”.
Mons. Bonifazi era l’incaricato per la cultura in diocesi e in seminario. Dopo il dottorato in teologia alla Pontificia Università Lateranense, si era laureato in filosofia, aveva fatto l’abilitazione, aveva pubblicato insieme al prof. Luigi Alici “Il pensiero del novecento” un testo di storia della filosofia, aveva vinto il concorso a preside e fece due anni il preside in una scuola superiore di Falconara, era sempre presente a convegni culturali e politici. Faceva un solo corso di teologia nell’lTM e ne conservava la presidenza. Preferiva insegnare all’ITM di Ancona e all’ISSR, che opportunamente da Loreto era stato trasferito nel capoluogo regionale. (… Un giorno) l’arcivescovo mi chiamò e mi pregò di prendere la direzione dei due Istituti di teologia. Così nel 1991 mi sobbarcai anche a questo non piccolo compito.
Mio primo impegno fu quello di tenere unito il corpo docente e per quanto possibile di farlo lavorare, consapevole però che Istituti di periferia come i nostri non potevano essere grossi centri di studio e di produzione. Per i due I. T. M., dipendenti dalla Pontificia Università Lateranense, due sedi: Ancona e Fermo, ma la direzione e la segreteria generale stavano nel capoluogo; l’ISSR, anch’esso collegato alla PUL, aveva le sedi a Loreto e a Fermo, ma direzione e segreteria stavano a Loreto. Ci tenni a dare risalto alla nostra sede sia perché a mio parere aveva un corpo docente più qualificato e sia per il numero superiore di iscritti. Alcuni nostri docenti preferivano avere più ore di insegnamento a Loreto e in Ancona perché c’era una retribuzione per ore di lezione e un consistente rimborso viaggi.
Feci un consiglio a Fermo e portammo avanti diverse iniziative. Organizzammo incontri di buon livello. Chiesi collaborazione al Segretariato per Unità dei Cristiani, cioè al sottosegretario Mons. Fortino, che conoscevo bene, e al Pontificio Istituto Biblico, di cui ero stato alunno e presso cui don Antonio Nepi, don Andrea Andreozzi e la signora Rosanna Virgili erano studenti. Cominciò così una serie di giornate di studio con relatori specialisti su temi ecumenici, biblici, teologici e di attualità. Da qui il passo alla pubblicazione di una rivista dell’ITM-ISSR fu breve. Don Rolando Di Mattia, la cui amicizia mi sostenne sempre, mi spronava ad una pubblicazione culturale-pastorale per il clero e mi promise il finanziamento del primo numero. Con lui trovai il titolo per la rivista rifacendoci al nome che i Capranica, vescovi di Fermo, nel ‘500 dettero al collegio romano che accoglieva studenti di Fermo: Sapientia Firmana. Tolsi quel Sapientia che mi sembrava troppo pretenzioso e lasciai Firmana dandogli un colorito neutro di “cose fermane” e aggiunsi come sottotitolo: Quaderni di teologia e Pastorale. Organizzammo un primo convegno su “Giustizia e violenza” e invitammo relatori di prestigio come il prof. Bovati del PIB e il prof. Penna della Pontificia Università Lateranense (PUL). Tutte le relazioni formarono il primo numero della rivista.
Fu un successo tanto che ci fu richiesta da diversi Istituti e docenti. Il mio lavoro fu di far collaborare i professori e trovai risposta da Nepi, Virgili, Petruzzi, Giustozzi, Castelli, Albanesi, Tosoni e da altri. Bonifazi, se richiesto, scriveva. Problema grosso fu poi quello di trovare i soldi per la stampa, ma tra abbonamenti ed offerte di preti, un finanziamento della Carifermo e di qualche laico, come il dott. Patrizio Astorri, feci fronte alle spese. Collaboratrice preziosissima fu la signorina Dolores Dolomiti, che chiamai come applicata di segreteria e mi faceva il paziente lavoro di sbobinatura delle relazioni registrate dei professori invitati, che io correggevo prima di mandarle agli autori per una revisione. La rivista uscì piuttosto regolarmente e s’impose anche nei confronti di Quaderni di Scienze Religiose edita dalla sede di Loreto.
D’accordo con i professori reimpostammo l’orario delle lezioni, stabilimmo lezioni di 45 minuti e così dalle 8.15 alle 12.30 venivano 5 lezioni ogni giorno con la possibilità di dare più ore alle discipline principali, di avere spazi per i corsi opzionali, e lezioni per latino e greco per alunni che ne erano digiuni. Io ero sempre presente negli Istituti e seguivo le vicende di ciascuno. Il segretario, don Ferdinando Pieroni, pur tra impegni di scuola di religione e parrocchia, riuscì, comunque, ad affrontare e sbrigare diversi problemi.
Ci tenni ad invitare professori laici come Luigi Alici prima e poi Roberto Mancini, professori di Filosofia a Macerata; convinsi l’arcivescovo ad investire sui laici che volevano fare teologia e ad aiutarli anche finanziariamente. Fu così che Mons. Bellucci dette sussidi alla Virgili, alla Serio, a Gobbi, mentre Tosoni, Castelli, De Marco, che avevano alcune ore di religione alla scuola statale si pagarono le spese per conto proprio. Sono poi tutti entrati come docenti in ITM-ISSR.
Attenzione posi anche alla biblioteca, strumento indispensabile di lavoro. La biblioteca del seminario era sfornita di recenti opere di teologia, di S. Scrittura, soprattutto di riviste. L’arcivescovo aveva permesso l’affitto alcuni spazi del seminario in modo d’avere entrate per far fronte alle spese di manutenzione di uno stabile immenso; pose mano ad alcuni lavori urgenti: risistemò le camere dei teologi che erano senza bagni interni, spostò i locali di teologia al pian terreno e riportò la biblioteca egualmente al pian terreno vicina all’ingresso del seminario creando così uno spazio omogeneo tra ITM-ISSR e biblioteca. I problemi della biblioteca erano enormi: catalogazione, fondi per l’acquisto di libri e per abbonamenti a riviste. Chiesi ai singoli professori pareri ed indicazioni di acquisti per ogni disciplina e controllai che le somme di spesa stabilite fossero effettivamente fatte (…). Nell’elenco delle riviste io e don Di Mattia mettemmo a disposizione i nostri personali abbonamenti in maniera tale che studenti e professori potevano sempre richiederle. Le cose certamente migliorarono, ma molti problemi rimasero irrisolti, anche perché nessuno si voleva prendere l’incarico di dirigerla.
Un momento delicato per l’ITM fu il passaggio da Istituto “affiliato” ad “aggregato” alla PUL. Si era nell’anno 1994-95. (…) Il vescovo di Senigallia, Mons. Odo Fusi-Peci, incaricato della CEM per gli Istituti Teologici di Ancona e Fermo, avviò presso la Congregazione per l’Educazione Cattolica la pratica per il passaggio dell’lTM da “affiliato” ad “aggregato”. (…) Don Albanesi, come professore di diritto, redasse un preambolo allo statuto, che riservava diritti essenziali all’arcivescovo e alla sede di Fermo, come la presentazione dei professori, del vice-preside, l’autonomia amministrativa…
D-\ Un seme senza frutto. La “Scuola di formazione all’impegno sociale e politico”
* Nella seconda metà degli anni ‘80 giunse al culmine una grande crisi della politica italiana e si sentiva l’esigenza di un rinnovamento. La vecchia DC aveva uomini non davano più affidabilità, l’avanzata del PCI, nonostante la crisi scoppiata nell’URSS e nei paesi satelliti, era irrefrenabile. Si fece interprete della situazione il card. di Milano Carlo Maria Martini lanciando le “Scuole di formazione all’impegno sociale – politico” (SFISP). Se ne fece un gran parlare in tutta Italia, sembravano la via aperta per una presa di coscienza nuova della presenza dei cattolici nella società. In diocesi se ne fece interprete don Lino Ramini, che chiese al vescovo di dare inizio alla scuola. Il vescovo accettò, anche perché la “Cooperativa 13 Maggio” se ne assunse l’onere finanziario. Il vescovo me ne affidò la direzione e tra lo scetticismo della maggior parte e l’entusiasmo di pochi facemmo un progetto e secondo il desiderio di don Ramini decidemmo di aprire la scuola a Civitanova. L’iniziativa della diocesi di Milano era di carattere popolare, da noi si decise di dare un taglio formativo per persone disposte ad entrare nella vita politica locale, comuni e province.
Il progetto era ambizioso: due giorni di lezioni al pomeriggio dalle 16 alle 20, coinvolgemmo docenti universitari: Ferretti, Totaro e Mancini di Macerata, Gatti di Perugia, Niccoli di Ancona ecc. Io mi assunsi l’incarico di tenere lezioni di Bibbia. Fu scelta la sede nella nuova zona commerciale di Civitanova, nei locali di proprietà della diocesi, di facile accesso perché vicino all’uscita dell’autostrada, ma distante dal centro storico della città. Facemmo conoscere l’iniziativa in diocesi e a Macerata, avemmo una trentina di giovani iscritti e nell’ottobre 1989 partimmo.
La “Cooperativa” mise a disposizione venti milioni all’anno, il prof. Andrea Rebichini era il segretario ed aveva l’incarico dell’organizzazione e del compenso ai docenti. L’entusiasmo iniziale fu tanto, ma dopo Natale si cominciò a sentire che l’impegno di frequenza e di studio era grande e quindi cominciarono a diminuire le presenze e lo scacco fu grosso quando a giugno solo pochissimi si dissero disposti a fare i colloqui, che di fatto poi non sostennero. Ci facemmo coraggio, sentimmo gli iscritti, decidemmo di tenere le lezioni solo un giorno la settimana.
Si cominciò il secondo anno col fiatone, andammo avanti ancora per due anni e nel 1993 si chiuse l’esperienza. Lo smarrimento fu profondo, ci consolava il fatto (amara consolazione!) che quasi tutte le SFISP di qualsiasi tipo sorte in Italia ebbero più o meno lo stesso travaglio, compresa quella di Milano. \
D.- Il sinodo diocesano. Un evento di partecipazione e un parto difficile
*\ Nel dicembre 1988, dopo Natale, nella domenica dedicata alla S. Famiglia, venne a Fermo il papa Giovanni Paolo II. Era stato invitato dal Cammino Neocatecumenale per presiedere la celebrazione dell’invio in missione di alcune famiglie del Cammino. L’iniziativa era partita dai fondatori del Cammino Kiko e Carmen senza la mediazione dell’arcivescovo, ma mons. Bellucci chiese ed ottenne che prima che il papa andasse al centro neocatecumenale passasse nella cattedrale di Fermo. Nel discorso di saluto l’arcivescovo ricordò la storia e la vita della diocesi e richiamò le ultime attività diocesane e particolarmente l’avvio del sinodo diocesano. Da qualche mese non ero più vicario generale e quel giorno io rimasi al margine. Il papa nella risposta sottolineò l’importanza della celebrazione di un sinodo per una chiesa locale.
Il lavoro di preparazione per il sinodo cadde tutto sulle mie spalle. Feci una commissione preparatoria con i vicari zonali e con qualche collega dell’Istituto teologico. Con don Filippo Concetti preparai tutti gli schemi di analisi e di lavoro del primo anno su evangelizzazione e catechesi, che sottoposi alla commissione. Il lavoro di rilevamento fatto nella visita pastorale non ci fu di molto aiuto perché non c’era una sintesi per distretto o zona pastorale dal momento che il lavoro fatto da mons. Cardenà era centrato sulla parrocchia.
Cominciai poi ad andare nelle riunioni di distretto o di vicaria per seguire e animare la riflessione sia nelle riunioni del clero che in quelle del dopocena con i laici. Spesso erano più interessati i laici che i preti e questo da una parte mi rallegrava, ma dall’altra mi faceva male, mi faceva toccare con mano la situazione culturale e pastorale del nostro clero. Lo stesso feci per il secondo anno, don Filippo preparò il materiale su liturgia e preghiera; ci mise tutta la ricchezza della sua cultura e spiritualità perché univa allo studio, fatto a S. Anselmo, anche il peso della sofferenza per la sua salute. Per il terzo anno mi servii di altri apporti, di don Angelo Fagiani, don Vinicio Albanesi e altri, per gli ambiti sociali: famiglia, associazioni, scuola, economia, politica e altro. Tre anni e più di lavoro, che, a dire il vero, non fu molto partecipato; il lavoro per il sinodo diocesano non era sentito né dal clero né dai colleghi dell’lstituto Teologico e il vescovo appariva poco partecipe. Più che un approfondimento teologico-pastorale i preti volevano arrivare a norme pastorali che fossero chiare e a direttive obbligatorie per tutti, si era in tempi in cui tutto si sentiva come provvisorio.
Il 90-91 fu dedicato alla preparazione immediata del sinodo. Con una commissione allargata furono preparati quattro schemi di sintesi da sottoporre ai sinodali: il primo sulla diocesi, come chiesa locale, poi sui temi trattati nei tre anni di lavoro: 1) evangelizzazione e catechesi; 2) liturgia, fonte e culmine della vita della Chiesa; 3) testimonianza della carità e presenza della Chiesa nella diocesi e nella società. I testi furono elaborati sul materiale raccolto nei tre anni di preparazione e tenendo presenti i documenti conciliari, i documenti fondamentali come le esortazioni post-sinodali del papa e i testi della CEI. Si pensò a come formare l’assemblea sinodale con rappresentanza del clero, dei laici dalle parrocchie e vicarie, dei religiosi e religiose, delle associazioni e movimenti ecclesiali, degli uffici di curia. Fu stabilito anche il regolamento per la conduzione delle assemblee sinodali, fu proposto don Francesco Monti come segretario del sinodo. Furono fatte le elezioni per la rappresentanza del clero e dei laici da ogni vicaria e furono stabilite le domeniche pomeriggio per le assemblee sinodali, due per ogni mese da ottobre a maggio per un primo anno, in vista poi di un secondo. Furono mandati i testi preparati come base di discussione ai membri eletti e a quelli nominati. In vista delle assemblee l’attenzione e l’interesse per il sinodo si ravvivarono.
Domenica 22 novembre 1992, festa di Cristo Re, l’arcivescovo aprì il sinodo con una solenne celebrazione in cattedrale. Si susseguirono poi le assemblee secondo il calendario stabilito. Sottolineo solo alcuni momenti più vivi di discussione. L’inizio fu quasi turbolento perché alcuni preti e laici contestarono tutta l’impostazione dei documenti dicendo che erano generici e troppo ambiziosi con la pretesa di esaminare e dire tutto; proponevano di rifarli più brevi e solo su un qualche aspetto più importante della pastorale. L’assemblea si animò e corsero anche parole forti. Come responsabile del lavoro fatto, allora, considerai inutile prolungare la discussione. Si misero a votazione se i testi potevano diventare base per il sinodo oppure no. … Fu fatta la votazione e la stragrande maggioranza votò per la prosecuzione dei lavori!
Altri momenti di forte discussione:
- il rapporto tra chiesa locale e chiesa universale nel delineare la visione della diocesi, suscitata soprattutto dai preti focolarini;
- il rapporto tra diocesi ed associazioni e movimenti ecclesiali nella pastorale parrocchiale;
- rapporti tra AC e movimenti;
- ) vivissima fu la discussione sui testi per il catechismo;
- non minore quella con i neocatecumenali sulla celebrazione della pasqua in parrocchia, sulla iniziazione cristiana, e su tante altre.
Discussi i tre testi, integrati con le osservazioni fatte nelle riunioni zonali, alla fine fu aggiunto un documento sulle strutture amministrative della diocesi. I lavori durarono fino a tutto l’avvento del 1994. Osservazioni e proposte venivano raccolte dal segretario che poi sintetizzava il documento in proposizioni, che vennero sottoposte a votazione. Il lavoro del segretario don Francesco Monti fu molto prezioso per la capacità, la chiarezza e la rapidità di sintetizzare il tutto. A Pentecoste del 1994 in una solenne liturgia nella chiesa di S. Francesco (al duomo c’erano i lavori), alla presenza di quasi tutti i vescovi delle Marche, fu chiuso il sinodo.
Il vicario generale mons. David Beccerica fece un saluto e sottolineò l’importanza del sinodo in una diocesi, io feci la sintesi del lavoro e presentai le aspettative del popolo di Dio della nostra diocesi guardando al futuro, cioè all’attuazione del sinodo. Consegnai a nome dell’assemblea sinodale all’arcivescovo i cinque documenti e il testo delle proposizioni, divise secondo i cinque ambiti, perché le rivedesse e le pubblicasse come testo ufficiale del sinodo.
L’arcivescovo impiegò più di un anno a rileggere tutte le proposizioni, portò solo qualche leggera variante e rese pubblico, in un’assemblea liturgica, il libro sinodale il 27 settembre 1995 nel venticinquesimo del suo episcopato a Fermo.