MIOLA Gabriele fa recensione del libro di SACCHI su GESU’ e la SUA GENTE in Firmana n. 31 a. 2003

Il biblista Gabriele MIOLA  in Firmana  n. 31 anno 2003 fa recensione del libro

P. SACCHI, “Gesù e la sua gente”, Cinisello Balsamo, S. Paolo 2003, pag.262

Il titolo è significativo. Il libro vuol collocare Gesù “tra la sua gente”. Un tentativo fatto da molti: nei tempi passati in base ad una critica ideologica, in tempi recenti su una base documentaria alla scoperta di Gesù ebreo, della sua “giudaicità”. I grossi volumi di Meier (Un ebreo marginale vol. 1, a. 2001 p. 466; voi. II,  2002 p. 1338; vol. III, 2003 p. 723 Queriniana, Brescia ed è attesa la traduzione di un quarto volume!) e di Barbaglio (Gesù ebreo di Galilea. EDB 2002 p.671) sono per le scuole e gli studiosi. Questo volume di Sacchi è accessibile a tutti ed ha il pregio di congiungere insieme un’informazione scientificamente accurata e la testimonianza di un credente che si interroga sulla predicazione di Gesù nel contesto religioso, culturale e sociale del tempo.

Il prof. Sacchi è un profondo conoscitore del giudaismo, della letteratura apocrifa e intertestamentaria; ha pubblicato in italiano gli scritti apocrifi dalla UTET e dalla Paideia; ha fondato riviste di studi giudaici e pubblicato volumi di sintesi di grande utilità per chi vuol conoscere l’epoca di Gesù. Cito solo Storia del secondo tempio, presso la SEI.

In questo volume Sacchi ci offre un’ottima panoramica sulle correnti religiose del tempo e sul contenuto degli scritti dei diversi gruppi, che oggi conosciamo meglio sulla base dei reperti di Qumran. Mette in luce i punti d’accordo delle sette religiose e i punti di discordanza sia tra loro sia in riferimento ai vangeli: sul valore della legge, sulle prescrizioni che reggevano la condotta circa la concezione del puro e dell’impuro, sulle diverse figure messianiche, sulla concezione del ‘‘figlio dell’uomo”, sulla fede nella risurrezione ecc.

Vi si può leggere una presentazione più aggiornata del quadro sociale politico dal tempo dei Maccabei agli Asmonei, fino a quello della famiglia degli Erodi e del dominio di Roma in Palestina, cioè un quadro che va dal II sec. a. C. al I d, C.

Molto interessanti sono i capitoli due e tre su Giovanni Battista e il suo rapporto con Gesù: il nostro autore mette in evidenza la predicazione di Giovanni, la sua visione del peccato, le visioni religiose che il Battista poteva avere sul battesimo, sulla legge, sul puro e l’impuro. Giovanni evidentemente non sapeva chi era Gesù e l’autore discute l’idea che il Battista poteva avere circa le espressioni attribuitegli: “figlio dell’uomo” o ‘‘figlio di Dio” o la concezione sul Messia, secondo le idee del tempo.

Illuminanti sono i capitoli centrali (4-10) che entrano nella vita pubblica di Gesù e quindi nel cuore dei vangeli. I continui rapporti posti tra il testo evangelico e le concezioni religiose del tempo sono, a mio parere, molto significativi. Ne stralcio qualcuno. A proposito della guarigione del paralitico, portato davanti a Gesù da barellieri e calato da sopra la copertura della casa, dove Gesù si trovava (Mc 2, 1-12), Sacchi scrive: “Gesù usa l’espressione figlio dell’uomo in maniera piana… Non credo che la gente conoscesse la teologia del Libro delle Parabole, ma è certo che almeno questo sapeva, che “Figlio dell’uomo” voleva dire Giudice, il giudice supremo e che questo giudice esisteva realmente: in quanto giudice , poteva condannare e perdonare; forse più condannare che perdonare. Se la gente non fosse stata in grado di capire questo, Gesù avrebbe pronunciato parole senza senso per la gente… Il rapporto fra il Libro della Parabole e Gesù non va interpretato come indizio che Gesù conoscesse il Libro della Parabole, ma piuttosto nel senso che il Libro delle Parabole dimostra l’esistenza nell’immaginario ebraico di una figura celeste delle cui caratteristiche Gesù si appropria. Se poi tutti gli evangelisti usano l’espressione Figlio dell’Uomo senza spiegarla, vuol dire che il concetto di Figlio dell’Uomo era noto” (pag. 106- 108 passim). Interessante è l’analisi che l’autore fa del concetto di “regno di Dio” sulla base dei testi religiosi conosciuti allora: il libro dei Giubilei, i Testamenti dei Dodici Patriarchi, il Rotolo del Tempio e altro. e scrive: “Fra le attese possibili di Israele c’era anche la venuta stessa di Dio sulla terra. L’annuncio che il regno di Dio era vicino non doveva creare stupore più di tanto, perché poteva essere inteso come se Dio stesse per scendere sulla terra… Gesù annunciava un nuovo rapporto tra Dio e l’uomo. Questo nuovo rapporto con la divinità permette all’uomo di guardare il suo Dio con occhio diverso… Il bene resta bene e il male resta male, ma Dio guarderà il peccatore con occhi diversi da prima e il peccatore può continuare a cercare Dio” (pag. 114-119 passim).

Affrontando il tema delle beatitudini, Sacchi fa un breve confronto tra il testo di Mt e quello di Le e si chiede come mai Mc non riporti questa pagina chiamata la magna charta dell’etica cristiana e scrive: “È improbabile che Mc, che conosceva l’importanza di quel momento veramente storico che fu il discorso del monte, lo abbia tralasciato per solo amore di brevità. L’importanza del monte nell’inizio della predicazione di Gesù era nota anche a lui, se presentò sul monte Gesù che sceglie i dodici apostoli (Mc 3,13s) … per Marco i contenuti di quel discorso dovevano emergere dalla storia stessa di ciò che Gesù fece e insegnò via via, prendendo così una pienezza di senso che nel discorso del monte non hanno. Il discorso del monte fu tenuto veramente da Gesù – anche se è incerto quanto materiale risalga a questo discorso – e rappresenta un primo lancio del suo progetto sull’uomo “ (pag. 154). E dopo aver sottolineato dei rapporti tra l’insegnamento di Gesù e l’etica dei maestri del tempo, scrive: “Se si legge uno qualsiasi dei sinottici, ci si accorge che l’insegnamento di Gesù è l’insegnamento di un maestro di Israele, che ha fatto tesoro della morale di molti scritti precedenti e l’ha portata alle conseguenze estreme, creando un sistema unitario, che viene esplicitato nell’episodio di colui che interroga Gesù su qua-le sia il comandamento più grande (Mc 12,28-30 e paralleli). Marco che ha tralasciato il discorso del Monte, condensa in questo episodio il succo dell’insegnamento di Gesù” (pag. 165).

Nei capp. 8-10 Sacchi presenta la prospettiva che Gesù poteva avere della sua missione e quindi anche di una eventuale condanna da parte dell’autorità di Gerusalemme. Per l’autore gli annunci del rifiuto che avrebbe incontrato, della sofferenza e della morte, che Gesù comincia a dare dopo la confessione di Pietro a Cesarea di Filippo: “Tu sei il Cristo” (Mc 8,27-33 e paralleli), rispecchiano la reale volontà di Gesù di correggere la visione messianica che avevano Pietro e gli altri apostoli e di prepararli allo scandalo della eventuale fine. L’autore mette ben in evidenza che Gesù, oltre la vicenda e la morte di Giovanni Battista e oltre le prospettive che emergevano dai testi sul “servo” nel Deuteroisaia, ha dinanzi concezioni correnti circa il problema del peccato e la necessità del riscatto espresse da opere come il Testamento di Levi e i Salmi di Salomone. Sacchi, per far capire gli annunci della passione e della morte, sottolinea un aspetto spesso trascurato nella presentazione della figura di Gesù: quello della fede-emunah. Emunah significa “fede-fiducia-fedeltà”: emunah significa “fede-fiducia” dell’uomo verso Dio, ma significa “fedeltà” di Dio verso l’uomo e il suo patto con Israele. Gesù chiede sempre fede-emunah a quanti si accostano a lui e chiedono il suo intervento, ma Gesù può aver fede in Dio? I teologi ne discutono (cfr. fra l’altro un recente articolo di G. Canobbio La fede di Gesù in RdCI 2002/4), Sacchi mette in evidenza che Gesù nell’annunciare la passione e la-morte, esprime anche la certezza della emunah di Dio verso il giusto e quindi può annunziare la vita piena, la sua risurrezione.

Molto significative sono le pagine dedicate all’ultima cena di Gesù (cap. 11), all’analisi delle parole circa il pane e il vino come suprema “interpretazione della sua missione” e circa il patto scrive: “il Patto di Gesù si distingue dalla serie dei patti che l’hanno preceduto per un motivo fondamentale: non ha clausole. Non c’è alcun «se farete» che lo condizioni. In questo senso non è più un Patto, ma una dichiarazione di alleanza in nome di Dio…” (pag. 234). E’ nota la difficoltà di comporre le differenze tra sinottici e Giovanni circa il giorno di Pasqua: per i sinottici Gesù celebra la cena pasquale (quindi pasqua cade giovedì-venerdì), per Giovanni Gesù muore alla vigilia della pasqua (questa cade perciò il venerdì-sabato e la cena di cui parla Giovanni non è una cena pasquale). Sacchi risolve la questione ricorrendo alla testimonianza dei due calendari adottati in Palestina e nel tempio di Gerusalemme e conclude che Gesù “deve aver celebrato la sua Pasqua la sera del martedì della stessa settimana in cui a Gerusalemme si celebrava la Pasqua di sabato. La celebrò, pertanto, tre giorni prima di quella che si celebrava a Gerusalemme” (pag.228). Concludo con una frase del prof. Franco Ardusso nella Presentazione del libro: questo libro di Sacchi “è del tutto godibile per chiarezza espositiva e per immediatezza di linguaggio, che tradiscono una lunga e felice prassi di docenza nelle scuole superiori dapprima, in università in seguito”.

 

 

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