MIOLA GABRIELE biblista fa recensione del libro
- L. SKA,” La Strada e la Casa. Itinerari biblici” (Collana Biblica 2), EDB, Bologna 2001 pp. 221.
IDEM, “Abramo e i suoi ospiti. Il Patriarca e i credenti nel Dio unico.” (Collana Biblica 6), EDB, Bologna 2003, p.153.
Questi due volumi sono una raccolta di contributi ed articoli che il prof. Ska ha già pubblicato e che ora riunisce insieme per un più facile accesso a quanti vogliono usufruirne. Più che una recensione queste righe sono una presentazione dei due volumi seguendo i singoli articoli raccolti per darne le linee fondamentali.
Il primo volume raccoglie alcune conferenze tenute in diverse occasioni a Fermo, rivisitate dall’autore e pubblicate come articoli nella rivista Firmana. Quaderni di teologia e pastorale curata dall’Istituto Teologico Marchigiano e dall’Istituto Superiore di Scienze Religiose (ITM-ISSR), sede di Fermo, e poi raccolte in questo volume.
Il titolo si presta ad un bel gioco di interpretazione: la Strada della Parola che porta alla Casa del Padre, ma è anche la strada che dal Pontificio Istituto Biblico di Roma porta alla casa di ex-alunni ed amici a Fermo, che hanno accolto il professore amichevolmente nella loro casa dove hanno con gioia ascoltato “i percorsi biblici proposti” (Prefazione pag.7).
Gli undici titoli del libro offrono tematiche diverse tra loro, dovute alle diverse circostanze, nelle quali l’autore ha affrontato gli argomenti che gli erano stati richiesti, a volte come lectio per incontri di spiritualità, altre volte come prolusione all’anno accademico e come contributo biblico su una tematica affrontata in tornate di studio nell’ITM-ISSR.
Gli interventi di p. Ska si fanno seguire con gioia e interesse perché fanno trasparire una grande e profonda familiarità con la Parola da cui trae cose nuove e cose vecchie e con lo stesso interesse li si rileggono ora.
Il primo articolo è una meditazione sulla vocazione di Mosè. Dopo le prime battute il professore nota che tutto è partito dalla curiosità di Mosè che si domanda: “perché il roveto brucia senza consumarsi?” (Es 3,3) e rileva che, rispondendo alle domande più semplici, famosi pensatori hanno trovato risposte grandi e fa un cenno a filosofi come Platone ed Aristotele, ma anche a Newton, a Heidegger e a personaggi come Margherita del Faust o Parsifal nella Ricerca del Graal e conclude con una nota di Guardini: “Vi sono due categorie di domande. Alla prima appartengono le domande a cui possiamo rispondere, alla seconda, le domande a cui non possiamo rispondere, ma con cui dobbiamo vivere. La domanda di Mosè e le domande dei grandi uomini sono di questo secondo tipo. A queste domande non riusciamo mai a dare una risposta definitiva, perché fanno parte della vita stessa, e impariamo a vivere quando impariamo a vivere con esse, anzi a vivere questa domanda che è la vita stessa” (pag. 13). A partire da questa domanda Mosè incontra il Dio vivente, colui che è, e che vede la miseria del suo popolo. Ora anche Mosè vede con occhio nuovo la stessa sofferenza, che già conosceva e da cui aveva tentato, senza esito, di sollevare il suo popolo. E solo ora, superate tutte le reticenze e difficoltà, compirà lo stesso disegno, ma come missione affidatagli dal Dio dei padri e da lui sostenuto, dal Dio che gli ha detto: Io sarò con te.
Il capitolo intitolato II passaggio del mar Rosso è un canto alla nuova creazione e alla libertà, una bella sintesi in chiave spirituale del volume dell’autore Le passage de la mer, la sua tesi di dottorato al PIB nel 1986. Nella relazione La vita come benedizione l’oratore vola alto e, dopo aver analizzato il contesto della benedizione biblica “Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra” (Gen 1,28) e altri testi dell’AT, conclude: Questa “è la benedizione data al genere umano all’inizio della creazione e l’assicurazione che Dio è il Dio della vita. L’umanità viene chiamata a gestire il dono di Dio con cura e intelligenza nei momenti di prosperità e in quelli calamitosi. Non si tratta dunque di un ordine assoluto che valga per ogni tempo e ogni luogo, ma di una grazia impartita al genere umano che partecipa in questo modo al potere creatore di Dio” (pag. 54).
Nel 2000, l’anno del giubileo, tenne una bella lezione all’ITM dal titolo: Qualche osservazione sui fondamenti biblici del Giubileo. Dopo aver analizzato la situazione della società ebraica e la necessità di una legge come quella sull’anno sabbatico e visto il rapporto tra l’anno sabbatico e quello giubilare, concluso che la legge del giubileo non fu mai applicata e che fu creata forse per giustificare la riappropriazione delle terre per i ritornati dall’esilio di Babilonia, sottolineato che tali leggi non erano applicabili allora e non sono applicabili oggi nella nostra società, conclude ponendo molte domande a partire dai fondamenti biblici che sono alla base di tali leggi: la sovranità di Dio su tutti i membri del suo popolo e sulla terra promessa, il diritto alla terra e l’integrità della famiglia, il condono dei debiti e la liberazione degli schiavi: come tradurre concretamente per il mondo di oggi il diritto della terra e della natura a poter riposare e «ricrearsi»? Quali sono i debiti da condonare? Quali sono le terre da restituire? Gli schiavi da liberare? Le forme di schiavitù da abolire?
Illuminante è l’articolo: La legge in Israele. Nella prima parte il prof. Ska esamina i diversi codici delle culture del Vicino Oriente Antico e li confronta con quelli di Israele, nella seconda parte esamina le caratteristiche basilari del diritto veterotestamentario e sottolinea alcuni aspetti di solito trascurati: a) il luogo giuridico della legge: il deserto. Di fatto i diversi corpi legislativi di Israele si trovano nel Pentateuco ed è noto che il Pentateuco, la Torah come libro fondante di Israele, con il Deuteronomio termina nel deserto, alla soglie della terra promessa: ciò sta a significare che Israele per avere la sua identità non ha bisogno di un luogo, ma di osservare la legge che Dio gli ha dato dovunque si trovi; b) i cardini di un diritto nato nel «deserto». L’autore elenca: la responsabilità collettiva, il consenso; c) lo stile particolare della legislazione di Israele: discorso esortativo e non coercitivo, leggi con motivazioni, stile diretto. Bisogna leggere l’articolo per vederne la ricchezza e la novità.
Richiamo ancora un altro contributo: Mose – Giosuè – Gesù. Nonostante che ad una prima lettura dei vangeli appaia un rapporto diretto tra Mosè e Gesù e che negli studi di esegesi si ripeta che Gesù compie la figura di Mosè, l’autore mostra invece che Gesù è il compimento della figura di Giosuè e dopo un’approfondita disamina dei testi, conclude: “La lettura attenta dei passi del NT suggerisce che Gesù non è il «nuovo Mosè», ma piuttosto un «nuovo Giosuè» o il «vero Giosuè» annunziato da Mosè. Il vangelo potrebbe esser letto, quindi, come la diretta continuazione del Pentateuco. Gesù completa l’opera iniziata da Mosè, ma non la cancella. Gesù non sostituisce Mosè. Se lo sostituisse, non avremmo più bisogno dell’AT. Però ne abbiamo tuttora bisogno per una ragione semplice, fra tante altre: Mosè conduce il popolo dall’Egitto fino alle sponde del Giordano. Giosuè o Gesù fanno attraversare il Giordano ed entrare nella terra delle promesse” (pag.139).
Non è il caso di richiamare tutti i contribuiti, noto che il volume riporta un breve arti-colo: «Gli voglio fare un alleato, che sia suo omologo» (Gen 2,18). A proposito del termine ‘ ezer – aiuto. E la traduzione dal francese di una nota, molto tecnica, pubblicata dal professore su Biblica [65(1984) p. 233-238]. Gli studenti avevano avuto occasione di parlare con il professore su quel brano di Genesi e lui aveva rimandato a quel suo breve studio, che gli studenti hanno poi tradotto e pubblicato in Firmana.
Agli interventi, tenuti a Fermo, l’autore ha aggiunto nel volume l’articolo Gesù e la samaritana (Gv 4) pubblicato su Nouvelle Revue Théologique [118 (1996) p. 641-652] e tradotto per Firmana da A. Nepi e E. Sacchi. In questo lavoro Ska mette in luce alcuni rapporti tra il cap. 4 di Gv e l’AT: l’ora sesta inconsueta per andare ad attingere acqua al pozzo: la situazione matrimoniale della donna che incontra Gesù rapportata alla simbologia nuziale del profeta Osea, e soprattutto i diversi matrimoni combinati presso un pozzo, quello di Rebecca con il giovane Isacco (Gen. 24) preparato dal servo Eliezer a partire dall’incontro presso un pozzo, quello di Giacobbe e Rachele (Gen 29,1-14), e quello di Mosè e Zippora (Es 2,14-22). Fa vedere poi come questi riferimenti illuminino lo sviluppo del dialogo tra Gesù e la donna di Samaria e facciano meglio comprendere i salti di significato che caratterizzano il cap. 4 di Gv e nell’insieme tutto il racconto giovanneo. L’autore conclude: “Il nostro intento non era quello di sondare le profondità della teologia giovannea in questo passo, ma solamente mostrare che certe difficoltà del racconto possono essere facilmente risolte ricorrendo ad alcuni testi dell’AT, specialmente alle scene d’incontro presso il pozzo (Gen 24; 29,1-14; Es 2,14-22) e all’oracolo di Os 2,4-25. È possibile comprendere Gv 4 senza questi riferimenti. Ma il testo diventa più eloquente e suggestivo per chi sceglie di rileggere Gv 4 alla luce di queste pagine, che appartenevano sicuramente alla memoria collettiva, dei lettori del vangelo giovanneo”.
.-.-.-.-.-. Il secondo volume raccoglie articoli su la figura di Abramo pubblicati nel 2000-01 nella rivista “La Civiltà Cattolica” , ma rielaborati per la pubblicazione del libro. Il metodo, come nel primo volume, è quello narrativo, di presentare cioè la figura di Abramo: nello sviluppo del racconto biblico, nella tradizione ebraica, poi Abramo nel NT e il quarto Abramo nel Corano. Segue un epilogo che presenta la possibilità di un dialogo tra le tre religioni monoteiste a partire dalla figura comune di Abramo e un’appendice che analizza il racconto dell’accoglienza che Abramo fa ai tre ospiti presso la sua tenda alle querce di Mamre, capitolo che dà il titolo al libro: Abramo e i suoi ospiti.
Il primo capitolo porta il titolo: Abramo nella Genesi o l’eterna giovinezza del padre dei credenti. L’autore narra ed evidenzia i diversi apporti che hanno arricchito la figura del patriarca nel corso della storia e della formazione del testo biblico. Non fa disquisizioni sulle tradizioni bibliche e sul loro formarsi, ma appare evidente che l’autore dà per scontato che il lettore conosca che i racconti su Abramo hanno avuto la loro redazione definitiva solo nel postesilio, cioè dal VI al IV secolo. Sul filo conduttore del racconto biblico l’autore evidenzia alcune caratteristiche della figura di Abramo: l’inizio di un’avventura ad età avanzata (Abramo aveva 75 anni quando lasciò Carran per andare verso una terra ignota e lontana), una vita movimentata nel percorrere da straniero la terra di Canaan, il pericolo corso dalla moglie Sara in Egitto e in Canaan, la separazione dal nipote Lot e la liberazione del medesimo quando venne rapito, i rapporti con i pretenziosi potentati locali di Canaan, la proposta di Sara di avere un figlio dandogli la sua schiava Agar, la promessa di una discendenza più volte ripetuta la cui attuazione viene rimandata, la pretesa di Sarah che il marito cacci Agar quando è incinta e poi ancora l’allontani insieme col figlio Ismaele, la circoncisione per sé e i maschi della sua famiglia e infine la richiesta del sacrificio del figlio Isacco. In tutto questo Ska vede l’audacia di una prospettiva giovane della vita e il coraggio di sperare; vede una figura di Abramo che diventa modello per l’israelita del postesilio: ad esempio Abramo che allontana la straniera Agar come al tempo di Neemia-Esdra furono cacciate le donne straniere, Abramo che fedele applica la legge della circoncisione, ma ancora la figura del vecchio saggio e sapiente, modello di vita e di fede. Conclude l’articolo un parallelismo tra la figura di Ulisse e quella di Abramo. Somiglianze e più ancora dissimiglianza mostrano i valori diversi della cultura greca e di quella biblica.
Il secondo articolo è intitolato: Abramo nella tradizione ebraica o il modello dei credenti. Premesso che la figura di Abramo come capostipite di Israele diventa riferimento costante su cui modellare la vita, passa in rassegna la presentazione della figura di Abramo negli scritti della tradizione ebraica. Parte dal Siracide, che per gli Ebrei non è libro canonico, e segue poi gli scritti successivi: l’apocrifo della Genesi ritrovato a Qumran, il libro dei Giubilei, il Midrash Rabba cioè il grande commento al Pentateuco, la rilettura rabbinica di Abramo condensata nella Mishna e nel Talmud, che per Israele sono libri ufficiali e sacri, e in fine gli scrittori ebrei del periodo greco-romano: Giuseppe Flavio e Filone. Non è possibile qui seguire il percorso proposto da Ska per esaminare come ognuno di questi scritti ha riletto e riproposto la figura di Abramo. In genere si può dire che il personaggio Abramo rimane sempre centrale nella vita di Israele, lo si spoglia della problematicità tipica dell’Abramo biblico, si inseriscono notizie che mancano in Genesi, si rendono più logici alcuni passaggi della vita del patriarca, si giustifica la richiesta che Dio fa ad Abramo di sacrificare suo figlio, soprattutto si presenta Abramo come l’osservante perfetto della legge, che è la caratteristica dell’Israele del postesilio. L’autore passa con maestria attraverso tutti questi scritti e guida il lettore a vedere l’espandersi della figura di Abramo attraverso la storia e gli scritti di Israele. È una ricchezza che anche il cristiano deve conoscere.
-.-.-.-.-.-.-. Abramo nel Nuovo Testamento o il ritorno alle sorgenti è il titolo del terzo capitolo. Alcuni testi del NT, secondo l’autore, ricalcano la figura di Abramo della tradizione ebraica, quale modello osservante della legge. Su questa linea si trova il testo di Gc 2,21-23, che è un testo polemico verso la teologia paolina della giustificazione per la fede, mentre Gc esalta Abramo affermando: “Abramo, nostro padre, non fu forse giustificato per le opere, quando offrì Isacco, suo figlio, sull’altare?” (Gc 2,21); anche Eb 11,8-12.17-19 fa una lettura di Abramo come modello di obbedienza, perseveranza e di fiducia. Dice Ska che in questo passo si fa una lettura più etica che teologica della fede di Abramo. Nei sinottici si presenta Abramo come padre di tutti i credenti al di là di una appartenenza etnica. Certamente Abramo è il padre di Israele, ma non è sufficiente dinanzi a Dio una paternità carnale, c’è infatti una paternità spirituale secondo la fede di Abramo, che è superiore alla discendenza carnale. Ska mette in evidenza che questa paternità spirituale superiore ad ogni appartenenza carnale era già presente in brani del tritoisaia (63,7-19) ed in Ez 33. È quello che dirà il Battista in Mt 3,9 e Le 3,8 gridando che “Dio può far sorgere figli di Abramo anche da queste pietre” e lo stesso Gesù in Mt 8,10-11 dirà che molti “verranno dall’oriente e dall’occidente e siederanno a mensa con Abramo…nel regno dei cieli, mentre i figli del regno saranno cacciati fuori”. Per il vangelo di Gv l’autore, messa in evidenza la forte polemica tra giudei e cristiani negli anni 80-90 intorno alla persona di Gesù, chiaramente evidente nel quarto vangelo, sottolinea i brani dove si afferma la superiorità di Gesù sullo stesso Abramo quando la comunità giovannea mette in bocca a Gesù queste parole nei confronti del patriarca: “Abramo, vostro padre, esultò nella speranza di vedere il mio giorno; lo vide e se ne rallegrò” (8,56) oppure: “Prima che Abramo fosse, io sono” (8,58). Commenta Ska: “L’affermazione della preesistenza si capisce meglio nel mondo antico in generale, e nel mondo biblico in particolare, dove l’anteriorità temporale significa superiorità nell’ordine dei valori. Se Gesù preesiste ad Abramo, e da tutta l’eternità, egli è dunque infinitamente superiore; allo stesso modo, non c’è paragone possibile tra l’appartenenza alla razza di Abramo e la fede in Gesù Cristo, soprattutto se si ammette che lo stesso Abramo ha atteso la venuta di Gesù (p 56). Ma è soprattutto S. Paolo che presenta Abramo come padre di tutti i credenti. L’apostolo fa perno sulla anteriorità della fede di Abramo, per la quale egli fu giustificato, prima che ricevesse la circoncisione e prima della legge di Mosè (Gen 15,6 e Gal 3,6; Rom 4,3.9s). Scrive Ska: “Abramo, secondo S. Paolo, possiede una duplice paternità: in primo luogo, per la fede è padre dei circoncisi (gli ebrei) e dei non circoncisi (tutti i popoli), poi secondo la carne è padre del popolo ebraico. Le due paternità, però, non si escludono. Ma la paternità secondo la fede precede la paternità secondo la carne, e la prima è, di conseguenza, più importante” come del resto S. Paolo afferma dicendo: “non c’è più giudeo né greco, non c’è più schiavo né libero, non c’è più uomo né donna, poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù” (Gal 3,27-29).
-.-.-.-. Il quarto capitolo è dedicato alla figura di Abramo nell’Islam, attraverso le pagine del Corano. Premesso che per un musulmano il Corano è parola di Dio direttamente rivelata in lingua araba al profeta Maometto e che quindi solo il Corano ci può dire, in modo autentico e definitivo, chi è Abramo per un musulmano, l’autore dice di adottare il metodo tipico della storia delle religioni per fare un confronto tra la figura biblica di Abramo e quella del Corano. Ska fa una bella analisi del modo in cui la Bibbia presenta Ismaele e la madre Agar sottolineando che dal racconto biblico non traspaiono elementi di ostilità nei confronti di questi personaggi, anzi sprizza una certa simpatia verso di loro poiché mette in evidenza la premura con cui Dio stesso accompagna la vicenda di Agar e di suo figlio Ismaele, anche se il testo biblico deve affermare che il piano di Dio si realizza attraverso il figlio della promessa, il figlio avuto da Sara, Isacco. Il Corano non ha un insieme di capitoli unitari per presentare Abramo come invece la Bibbia, che dedica i capitoli 12-25 di Genesi alla storia di Abramo. Il Corano riprende diversi elementi biblici su Abramo, ma soprattutto dipende da tradizioni ebraiche tardive. La figura del patriarca si può solo ricostruire da elementi sparsi in sure diverse. L’articolo raccoglie questi elementi: Abramo come padre del monoteismo islamico, egli è il vero prototipo della religione mussulmana, che è chiamata nel Corano la “religione di Abramo” (millat Ibrahim) il sacrificio del figlio Ismaele, che è presentato nel Corano in forma meno drammatica che nella Bibbia perché Ismaele viene avvertito prima della richiesta sacrificale e si sottomette ubbidiente, come era nella tradizione ebraica; la presenza di Abramo e di Ismaele alla Mccca dove per ordine di Dio costruiscono la Ka’aba per farne un luogo di pellegrinaggio. Il brano più lungo su Abramo nel Corano è quello che ricalca la visita dei messaggeri di Dio ospiti di Abramo (sura 11,69-82 parallelo a Gen 18-19). Ska ne fa un bel confronto mettendo in risalto come il racconto biblico sia più drammatico e quello coranico scarno, da cui traspare una presenza solenne e timorosa di Dio, che ha già prestabilito ogni evento, lontano da quel pathos che traspare nella Bibbia col dialogo tra Dio ed Abramo. In ultima analisi nel Corano Abramo è il primo hanif, cioè il primo convertito all’islam e prototipo di ogni vero muslim, cioè «sottomesso» al volere di Dio, al di sopra di ogni altra religione, al di sopra di ogni ebreo e cristiano, che si combattono tra loro. La sura terza così presenta Abramo: «O gente del libro (cioè ebrei e cristiani), perché litigate riguardo ad Abramo, quando la torah e il vangelo sono stati rivelati dopo di lui? … Non capite dunque?… Abramo non era né ebreo né cristiano, era un hanif completamente consacrato a Dio e non era idolatra» (3,65-67). Nel Corano il testamento di Abramo suona: «Abramo lasciò il testamento ai suoi figli, come Giacobbe: Figli miei, Dio ha scelto per voi la (vera) religione. Non morirete dunque che sottomessi (muslim)» (2,126).\n\ Nella traduzione di C. M. Guzzetti [Il Corano, LDC, Leumann 1989] il testo suona: “Figli miei, in verità, Dio ha scelto per voi la vera religione: non morite, quindi senza sottomettervi” ed è il v. 132 non 126./
L’ultimo contributo del volume porta questo titolo: A mo’ di epilogo. Il cammino dell’impossibile? Presentata la figura di Abramo nella Bibbia, nella tradizione ebraica, nei testi del NT e del Corano, l’autore si domanda: perché nelle singole tradizioni troviamo un quadro differente di Abramo? E soprattutto: è possibile oggi, a partire dal comune riferimento ad Abramo, un dialogo tra i credenti delle tre religioni monoteiste? Il professore premette una bella pagina su come accostarsi ad Abramo e alla Bibbia. L’Abramo biblico è un personaggio complesso, molto umano nel suo cammino, che sperimenta tormento e buio, ma anche pace e speranza e la Bibbia non si può assimilare ad una sfera i cui punti sono tutti uguali, ma ad una foresta in cui addentrarsi con timore e fiducia e viverne tutti gli aspetti; tenebra e sprazzi di sole, mormorio leggero e vento impetuoso, corse leggere e impeto belluino, canto soave e strida acute. Inoltrarsi nella foresta significa armarsi di fede e cercare costantemente chi ti può guidare. “Chi si inoltra nella foresta” scrive Ska “dopo aver sentito lo stesso richiamo di Abramo, non cercherà di tornare verso il limitare del bosco, dove ha lasciato cadere dalle sue spalle le proprie sicurezze troppo ingombranti. Il senso si nasconde sempre davanti e chi guarda indietro rischia di essere colpito di immobilismo come la moglie di Lot (Gen 19,26). Il Dio di Abramo, è un Dio che cammina davanti”. E allora chi può guidare i cercatori, che vivono nell’ambito delle tre religioni, che riconosco-no Abramo come padre? Ska attualizza il problema all’oggi e si domanda: “E ancora pensa-bile un dialogo dopo ITI settembre 2001 e con quello che accade quasi ogni giorno nel vicino oriente?”. L’autore paragona l’uomo delle tre religioni monoteiste a Dante che si ritrova “nel mezzo del cammin” della vita in “una selva oscura” dove ha smarrito la “retta via”. Dante trovò Virgilio, Ska invita i credenti a mettersi alla sequela di Abramo e ne dà questa motivazione: “Abramo è anteriore agli insegnamenti particolari di Mosè, di Gesù Cristo e di Maometto. E, se si può dire, più primordiale. E testimone di una religione allo stato nativo, di una religione in cui sono ancora uniti gli elementi che in seguito saranno distinti e accentuati dalle diverse tradizioni. Un dialogo tra ebrei, cristiani e musulmani è quindi favorito nel ripartire da Abramo, perché tutti lo rispettano come padre e come antenato”. Il biblista invita ebrei, cristiani e musulmani a farsi ospiti di Abramo alle querce di Mamre e instaurare un dialogo quasi «dimenticandosi» delle proprie specificità religiose e «farsi carico insieme delle sorti dell’umanità intera». Un dialogo, che prima di essere religioso, è culturale, di quella cultura dell’uomo di cui ognuna delle tre religioni è ricca e di cui Abramo è esemplare nella sua ricerca vitale, che libera l’animo umano dalla sua naturale tendenza a cercare la via della salvezza unicamente nel mondo conosciuto del proprio passato. Per questo possibile dialogo Ska si rifà al periodo della convivenza di tre gruppi: cristiani, arabi ed ebrei in Spagna dal sec. Vili fino a tutto il secolo XV e mette in luce come la cultura si sviluppò con gli apporti di musulmani quali Averroè ed Avicenna e di apporti di ebrei quali Ibn Ezra e Maimonide e la figura del cristiano di origine ebraica Fray Luis de Leon. Di ogni personaggio Ska tratteggia gli apporti, ma non tralascia di sottolineare lotte e persecuzioni che costellano questo lungo periodo, che tutto sommato può rappresentare un periodo di tolleranza e di accoglienza vicendevole; non dissimile è l’esperienza della Sicilia arabo-cristiana dal IX al XIII secolo. L’autore tira qualche conclusione: prima, che i conflitti il più delle volte sorgono a motivo delle lotte di potere, la religione da sola raramente è stata all’origine delle ostilità; seconda, che gli scambi e le influenze reciproche sono state veramente fecondi nella cultura, nelle lettere, nella filosofia, nell’architettura e nelle arti in genere. Oggi, partendo da una radice comune, che è il padre Abramo, senza la pretesa di ricalcare il passato anzi con la speranza di evitarne gli errori, è possibile scrivere altre pagine di storia insieme, cristiani, musulmani ed ebrei, all’insegna della tolleranza, del rispetto e della creatività nei diversi campi dell’attività umana.
Una breve appendice dal titolo: L’albero e la tenda. La funzione del quadro in Geni 18,1-15 conclude il volume. È il celebre brano di Abramo alla teofania di Marre, che ha dato il titolo al libro. Questa nota è ripresa da Biblica 68 (1987) 383-89 in cui Ska l’aveva pubblicata. E una lettura dell’incontro di Abramo con i suoi tre ospiti. L’autore prescinde dall’analisi delle possibili fonti che possono aver dato origine al racconto, segue invece il metodo del Reader Response Criticism, o come lo chiama U. Eco della cooperazione interpretativa: in esso il lettore è coinvolto e vede come i personaggi arrivano a scoprire ciò che lui sa fin dall’inizio perché l’autore del racconto l’ha già informato. Ska divide il racconto in due scene: la prima all’ombra della quercia o dell’albero e la seconda presso la tenda. Nella prima il protagonista è Abramo presso i suoi ospiti, nella seconda il protagonista è Jhwh il Signore, presso Sara che sta nella tenda e di cui svela i segreti pensieri di incredulità dinanzi al Signore che le annuncia la nascita del figlio. Il sorriso incredulo di Sara diventa il sorriso di gioia per la parola potente ed efficace di Dio. Questo tipo di lettura aiuta a entrare meglio nel quadro e nei personaggi del racconto facendone vedere la profonda compenetrazione e trasmette al lettore la fede e la gioia di chi l’ha scritto.
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