GABRIELE MIOLA fa recensione e studio in Firmana nn.32-33 (2003) ppa. 223-233
FINKELSTEIN – N. A. SILBERMAN, Le tracce di Mosè. La Bibbia tra storia e mito, (Saggi 14), Carocci editore, Roma 2002, pp. 409.
L’unificazione d’Israele al tempo di David e Salomone.
Storia o racconto “fondativo”? A proposito di un libro recente.
\n\ Cfr. il volume Abschied vom Jahwisten. Die Komposition des Hexateuch in der juengsten Diskussion, (edito da Gettz, Schmid, Witte), Berlino, 2002 [Commiato dallo Jahwista. La composizione dell’Esateuco nella discussione più recente”]. Il volume raccoglie contributi di più autori, che da tempo hanno abbandonato l’esistenza della tradizione jahwista. Cfr recensione di A. C. Hagedorn in ZAW 2003/2; della elohista si discuteva già da molto tempo.!
“ Le tracce di Mosè. La Bibbia tra storia e mito.” Questo libro ha fatto parlare molto di sé. Gli autori sono due archeologi israeliani noti per il loro lavoro di scavo in Israele, Libano e Siria. In questo volume danno in sintesi i risultati delle loro decennali ricerche archeologiche. Sulla base dell’archeologia rileggono le epoche bibliche dandone una descrizione, che per molti lati la critica biblica aveva già da tempo assodato, e aprendo qualche altra prospettiva che andrà però verificata. Il volume, pubblicato in Israele nel 2001 col titolo: The Bible Unearthed. Archaeology’s New Vision of Ancient Israel and thè Origin of Sacred Texts, fece scalpore tanto che ne fu fatta in breve tempo una ristampa. Ne parlò la stampa e una rivista biblica francese di buona divulgazione in tre numeri diversi è tornata sul libro e i suoi autori. La posizione più innovativa, espressa da questi due autori, sulla base dell’archeologia, è che il regno unificato delle dodici tribù d’Israele al tempo di David e Salomone non sarebbe mai esistito. Esso sarebbe una costruzione letteraria della corrente deuteronomista iniziata al tempo del re Giosia, cioè nell’ultima parte del VII secolo, e completata nel post-esilio in epoca persiana dalla corrente sacerdotale nel V-IV secolo. I due autori ripercorrono tutte le epoche bibliche con questo metodo in tre momenti: (1) presentazione dei racconti biblici, (2) incoerenza di questi in rapporto ai dati archeologici e storici, (3) proposta di una datazione dei testi biblici più coerente, secondo i due autori, rispetto ai dati attuali della ricerca.
Di per sé il libro ha sorpreso molto l’opinione pubblica, molto meno gli addetti ai lavori.
Poiché alcuni laici e preti, che avevano letto o sentito parlare del libro sono rimasti a dir poco sorpresi e mi hanno chiesto <= al recensore docente Miola Gabriele> un parere, rimanendo sul piano delle conoscenze più diffuse nell’ambito di un pubblico acculturato e del clero, ripercorriamo le tappe principali della critica e della storiografia biblica e le posizioni offerte dal volume di Finkelstein e Silberman.
.a.) Partiamo dal Pentateuco. La critica storica del Pentateuco dell’800 e del primo 900 si era confrontata con le scoperte delle culture antiche del Mcdio Oriente (testi sumerico- accadici, assiri, babilonesi, fenicio-ugaritici, ittiti ecc.), aveva proposto ipotesi varie sull’origine del Pentateuco e aveva trovato agli inizi del 900 una sistemazione con la teoria di Wellhausen secondo cui il Pentateuco risulta dalla fusione di quattro fonti: quella più antica chiamata yahwista (del X-IX sec., sigla J), quella elohista (IX-VIII sec., sigla E), quella deuteronomista (sec. VII, sigla D) e quella sacerdotale (VI sec., sigla P), unificate più tardi solo nel IV sec. al tempo di Esdra. Ne derivava che il Pentateuco, così come ci è stato trasmesso, nella sua stesura definitiva, aveva poco a che fare con Mosè, la cui figura veniva posta nel XIII sec. Questa prospettiva, riveduta, purificata da incongruenze interne, si andò affermando negli studi biblici. Nell’ambito cattolico però fu osteggiata almeno fino all’enciclica Divino Afflante Spiritu di Pio XII (1943, sigla DAS). La pontificia commissione biblica fino agli anni trenta metteva in guardia i biblisti cattolici sull’autenticità mosaica del Pentateuco. E nonostante la DAS, che invitava gli esegeti cattolici ad adottare il metodo storico-critico nello studio della Bibbia e a studiare i generi letterari per un’ermeneutica più attenta al senso letterale, la Humani Generis nel 1950 richiamava l’attenzione degli esegeti cattolici sul senso storico dei primi undici capitoli della Genesi. Ma già la Bibbia di Gerusalemme nella sua prima edizione del 1955 accoglieva la teoria delle fonti. All’Istituto Biblico negli anni 50 era normale nell’esegesi dell’AT il riferimento alle quattro fonti e la teoria wellhauseniana, rivista e corretta, era data per scontata: porre i corpi narrativi, legislativi e cultuali di Esodo, Levitico e Numeri nel VI-V sec. o il Deuteronomio con i testi della riforma di Giosia e i discorsi di Mosè in cui si parla dell’esilio e del ritorno dall’esilio, porlo al VII-V secolo, era cosa evidente e scontata; classificare il racconto della creazione di Gen 1, 1-2,4a o i capitoli delle genealogie di Genesi, o il racconto dell’alleanza di Dio con Abramo di Gen 17 ecc. come testi della tradizione sacerdotale e quindi tardivi, del sec. VI-V, era normale; come pure classificare i racconti delle origini di Gen 1-11 come non storici, ma racconti “mitici” o “sapienziali” non faceva difficoltà. Eppure io stesso, già nel postconcilio, ancora negli anni 70, presentando al clero i racconti di Gen 1-11 come testi da leggere non in chiave storica, ma sapienziale, ho sentito preti allora cinquantenni reagire e contestare vivacemente una simile lettura. Segno evidente che la metodologia storico-critica non era stata recepita, che la Bibbia era letta ancora in maniera problematica nel rapporto con le scienze, che la Dei Verbum, la Sacrosanctum Concilium e il concilio in genere non erano stati assimilati, avevano appena sfiorato la superficie. Negli ultimi venti anni, la teoria delle quattro fonti è stata superata: non si suppone più una tradizione jahwista ed elohista, ci si concentra di più sulle due grandi tradizioni, deuteronomistica e sacerdotale, che servendosi di testi più antichi, hanno riletto tutta la storia biblica, non solo quella delle origini, ma tutta la storia d’Israele fino al periodo postesilico, sistematizzandola definitivamente non prima del V-IV secolo.
<nota> Sulla tradizione jahwista cfr. il volume ”Abschied vom Jahwisten. Die Komposition des Hexateuch in der juengsten Diskussion” (edito da Gettz, Schmid, Witte) Berlino, 200. [Commiato dello Jahwista. La composizione dell’Esateuco nella discussione più recente]. Il volume raccoglie contributi di più autori, che da tempo hanno abbandonato l’esistenza della tradizione jahwista. Cfr. recensione di A. C. Hagedorn in ZAW 2003/2; della elohista si discuteva già da molto tempo.
La preparazione del clero giovane oggi è diversa, ma è rimasta la mentalità precedente per la maggior parte dei cristiani, anche di cultura media ed universitaria. In realtà la Bibbia, nonostante il grande lavoro fatto nei quaranta anni dopo il concilio, è ancora quasi un corpo estraneo nel popolo cristiano, non fa parte della vita comune dei cristiani, né come conoscenza storico-critica né come nutrimento, cibo della fede, cioè come parola di Dio, eccetto per alcuni gruppi ristretti. Dire Bibbia si intende ancora per molti l’Antico Testamento quasi in opposizione al Nuovo, ma anche col Nuovo si intende il Vangelo, ma non Paolo o l’Apocalisse, che restano ancora al margine della cultura e della fede cristiana. L’atteggiamento verso la Bibbia è in genere un atteggiamento di curiosità storica, che si desta quando la grande stampa mette in circolo notizie, che in qualche modo confermano o per lo più si pensa contestino i dati della storia biblica generalmente accettati come storicamente certi. Questo è vero anche per il volume di cui ci interessiamo.
- b) Il libro di Finkelstein-Silberman è una rilettura dei vari periodi biblici sulla base di ricerche archeologiche, concentrato soprattutto all’epoca della monarchia, ma vuol anche rispondere agli interrogativi: quando si può far cominciare una vera storia documentata di Israele? I racconti dei Patriarchi nel libro della Genesi e quelli dell’Esodo sono storia o saghe religiose? Che valore ha il libro di Giosuè con l’occupazione della terra promessa o le storie disparate dell’epoca dei giudici? Il regno di David e di Salomone sono realmente esistiti nella loro estensione ed unità o sono idealizzazione e proiezione fatta in un periodo posteriore?
I due archeologi sostengono, a partire dalle proprie ricerche, una tesi e lo dichiarano apertamente fin dall’introduzione. Basta leggere questo brano: “Fino a poco tempo fa, sia gli studiosi del testo sia gli archeologi avevano dato per scontato che l’antico Israele fosse già uno stato pienamente formato all’epoca della monarchia unita di David e Salomone. Molti specialisti biblici, in effetti, continuano a credere che il documento yahwista sia la fonte più antica del Pentateuco e che esso sia stato compilato in Giuda nel X secolo a. C., all’epoca di David e Salomone. In questo libro sosterremo che si tratta di una conclusione molto improbabile. Da un’analisi delle testimonianze archeologiche non emerge alcun segno della presenza nel regno di Giuda e, in particolare a Gerusalemme, di una qualsiasi forma di diffusione della scrittura o degli altri attributi di uno stato pienamente sviluppato prima dell’VIII secolo a. C., ben oltre duecentocinquanta anni dopo. Naturalmente -nessun archeologo lo può negare- la Bibbia contiene leggende, personaggi e frammenti di storie che risalgono molto indietro nel tempo ma – l’archeologia può dimostrarlo – la Torah e la storia deuteronomistica portano inequivocabili segni del fatto che la loro prima compilazione risale al settimo secolo a. C.” (pag. 35- 36), cioè al tempo del re Giosia. I due autori seguono le tappe della storia biblica e, sempre dati archeologici alla mano, tirano le loro conclusioni che esporremo facendo parlare il più possibile gli autori citando dal loro libro.
- Per l’epoca patriarcale concludono: la storia di Genesi sui patriarchi non è che “un tentativo di presentare le tradizioni patriarcali come una pia preistoria, prima di Gerusalemme, prima della monarchia, prima del tempio, quando i padri delle nazioni erano monoteisti ma era ancora loro permesso di sacrificare in luoghi diversi. La rappresentazione dei patriarchi come pastori o allevatori può, infatti, essere stata intesa come mezzo per dare un’atmosfera di grande antichità alle fasi formative di una società che solo da poco aveva sviluppato una chiara coscienza nazionale… Sia la fonte yahwista del Pentateuco che la storia deuteronomista furono scritte nel settimo secolo a. C. in Giuda, a Gerusalemme, quando il regno settentrionale di Israele non esisteva più” (pag. 59).
- Quanto alla storia dell’esodo, dopo aver esaminato la situazione archeologica circa i luoghi menzionati nei racconti del libro omonimo e delle tappe del cammino esodiale nel libro dei Numeri, così si esprimono i due autori: “E impossibile dire se sia vero o meno che il racconto biblico sia un’espansione e una rielaborazione di vaghe memorie della migrazione dei cananei in Egitto e della loro espulsione dal delta nel secondo millennio a. C.: sembra comunque evidente che la forza della storia biblica dell’esodo non dipendeva tanto dal richiamo ad antiche tradizioni e a dettagli demo-politiche presenti…quando un giovane condottiero di Giuda era pronto a confrontarsi con il grande faraone, e le antiche tradizioni raccolte da fonti molto differenti furono unite in una singola epopea completa che sosteneva gli scopi politici di Giosia”… L’epopea dell’esodo d’ Israele dall’Egitto non è né verità storica né finzione letteraria: è una potente espressione della memoria e delle speranze nate in un mondo in procinto di cambiare… La Pasqua non è un momento isolato, ma un’esperienza continua di resistenza nazionale contro i potenti” (pag. 82-84 passim)
- Negli anni ‘50-60 si era affermata la scuola archeologica di W. F. Albright, che facendo scavi in Palestina tra il 1920 e 1940, aveva trovato che nel periodo tra XIII-XII sec. s’era verificato nella terra di Canaan un grande sommovimento e distruzioni su larga scala: questa situazione era stata attribuita all’arrivo delle tribù degli Ebrei e alla conquista armata della terra promessa al tempo di Giosuè. La stele del faraone Mcren-ptah (o Mcrneptah), datata intorno al 1210 a. C., in cui si legge per la prima volta il nome di Israele come popolo presente tra le diverse altre etnie in terra di Canaan, ne era la conferma. La nuova archeologia, tra i cui esponenti si trovano gli autori del volume, sulla base di nuove ricerche, ha contestato la tesi di Albright perché l’ambito dei cambiamenti abbraccia tutto il Vicino Oriente mediterraneo e le distruzioni e il cambiamento sociale verificatisi in quelle vaste zone vanno attribuiti piuttosto all’epoca dell’invasione dei cosiddetti popoli del mare. Del resto tra la versione biblica della presenza di Israele in Canaan, data dal libro di Giosuè e quella che si può leggere nel libro dei Giudici, c’è un’evidente disparità. Il libro di Giosuè ci presenta un’occupazione rapida nel giro di qualche mese, un’occupazione armata con grandi battaglie, un’occupazione completa di tutto Canaan e la divisione di tutta la terra tra le tribù di Israele. Nel libro dei Giudici appare invece una compresenza di cananei ed ebrei per lungo periodo con contrasti e lotte di alterne vicende.
- Il racconto dei libri di Giosuè e dei Giudici pongono il problema della storicità dei racconti e quello delle origini o dell’insediamento degli israeliti in Canaan. Per i nostri autori le storie eroiche di Giosuè e dei Giudici sono saghe antiche sorte nelle popolazioni che confrontarono la loro cultura grama e le rovine imponenti che testimoniavano la grandezza e la forza di età precedenti tra i secoli XVIII e XII dovute all’invasione dei popoli del mare, racconti che furono poi raccolti e sistemati dall’ideologia deuteronomista nel secolo VII al tempo di Giosia: e allora, dicono i nostri autori, “l’imponente figura di Giosuè viene usata per evocare un ritratto metaforico di Giosia, aspirante salvatore di tutto il popolo di Israele” (pag. 108). Quanto all’origine di Israele, dopo aver messo in evidenza le nuove acquisizioni archeologiche, affermano: “l’apparizione dell’antico Israele fu il risultato, e non la causa, del collasso della cultura cananea. E la maggior parte degli israeliti non arrivò a Canaan da fuori, ma emerse al suo interno. Non ci fu un esodo di massa dall’Egitto, come non ci fu una conquista violenta di Canaan. Inizialmente Israele fu costituito per la maggior parte da popolazioni locali, le stesse che incontriamo nell’altopiano nell’età del bronzo e in quella del ferro: colmo dell’ironia, anche i primi israeliti erano originari di Canaan” (pag. 133).
- Quanto all’epoca della monarchia, Finkelstein- Silberman scrivono: “Fino a poco tempo fa, molti studiosi hanno concordato sul fatto che la monarchia unita fu il primo periodo biblico a poter essere effettivamente considerato storico. A differenza delle memorie dei patriarchi o del miracoloso esodo dall’Egitto e delle visioni sanguinarie dei libri di Giosuè e dei Giudici, quella di David era una storia fortemente realistica di manovre politiche e intrighi dinastici. Anche se molti dettagli delle prime imprese di David erano sicuramente elaborazioni leggendarie, gli studiosi credettero a lungo che la storia della sua ascesa al potere fosse compatibile con la realtà archeologica” (pag. 137). Dopo aver esaminato il succedersi delle ricerche archeologiche con le diverse datazioni dei reperti, concludono che ritrovamenti datati prima all’epoca di Salomone (X sec.), abbassati poi all’epoca di Acab (IX sec.), attualmente confrontati con i reperti di un’area più vasta che abbraccia anche la Siria, rilevato che archeologicamente non si può parlare di Gerusalemme come di una grande città fino al sec. VII, i due archeologi concludono: “Le nuove date riportano l’aspetto delle strutture monumentali, delle fortificazioni e degli altri segni di pieno sviluppo… a quelle analoghe in Siria. Esse ci permettono infine di capire perché Gerusalemme e Giuda si presentino così povere di reperti del decimo secolo: il motivo è che in quell’epoca Giuda era ancora una regione sperduta e arretrata” (pag.156) e su l’epoca di David e Salomone scrivono: “nel decimo secolo il loro governo non si esercitava su un impero, su città-palazzo o su una grandiosa città capitale. Di David e Salomone l’archeologia ci può dire solo che sono esistiti e che la loro leggenda si è perpetuata” (pag. 157). Questa leggenda è stata completata e elaborata dalla corrente deuteronomista: “Si trattava di speranze teologiche, non di rappresentazioni storiche affidabili. Erano un elemento centrale della potente visione del rinascimento nazionale nel VII secolo” (pag. 158) e la figura ideale del nuovo David era il re Giosia.
- A parere dei due archeologi la storia biblica dall’epoca dei patriarchi al periodo della monarchia di David e Salomone, cioè dai libri di Genesi-Esodo fino 1 e 2 Samuele e 1 Re cap. 14 è una storia religiosa idealizzata sorta, sulla base di tradizioni più antiche, per opera del deuteronomista a partire dal sec. VII in poi.
La prima parte dell’opera si può considerare una pars destruens che mette a confronto i dati dell’archeologia degli ultimi venti anni con i racconti biblici per concludere che questi non hanno un riscontro archeologico e storico. La seconda e terza parte sono dedicate una al regno di Samaria e l’altra al regno di Giuda. Tra i due regni non c’è alcuna relazione, non sono due regni successivi e tanto meno frutto di una divisione da un regno precedentemente unito. Scrivono: “Non esiste alcun genere di testimonianza archeologica che faccia pensare che questa situazione di divisione tra Nord e Sud subentrasse a una precedente unità politica, tanto meno a un’unità politica il cui centro fosse il Sud. Nel decimo e nel nono secolo a. C., Giuda era ancora scarsamente popolato, con un numero limitato di villaggi… Inoltre non abbiamo ancora serie testimonianze archeologiche del fatto che, all’epoca di David, Salomone e Roboamo, Gerusalemme fosse qualcosa di più di un modesto villaggio dell’altopiano, nonostante le impareggiabili descrizioni bibliche della sua grandezza” (p.172) Una vera storia biblica comincia con il regno del Nord i cui inizi vanno posti all’inizio del IX secolo, la cui fioritura si sviluppò con le due dinastie, quella di Omri e quella di Jeu. Gli autori si dilungano a descrivere prima la dinastia degli Omridi (884-842) e poi quella di Jeu (842-743) e la fine del regno del Nord nel 721. Fanno raffronti con testimonianze extrabibliche come la stele di re Mcsha, la stele di Dan per sottolineare i tentativi di espansione del regno del Nord e i conflitti con la Siria; riportano la testimonianza degli archivi assiri in cui si nomina la partecipazione del re Acab alla battaglia di Qarqar (853) per contrastare l’espansionismo dell’Assiria. La dinastia di Jeu è stata all’ombra dell’impero assiro da quando Jeu dovette pagare il tributo a Salmanassar III fino alla distruzione da parte degli assiri del regno del Nord nel 721, eccetto il periodo del lungo regno di Geroboamo II (783-743), che fu un periodo di pace e di sviluppo economico e di ricchezza, come risulta anche dalla predicazione dei profeti Amos ed Osea. Le notizie del testo biblico, i risultati delle ricerche archeologiche dell’ultimo ventennio, le fonti extrabibliche permettono di ricostruire una storia del regno del Nord, come di un regno organizzato, robusto, operoso, che ha dovuto alla fine cedere alla strapotenza dell’impero assiro. La storiografia del deuteronomista ci dà una versione religiosa, che legge la storia del regno del Nord alla luce della fede monoteista per cui tutti i re del Nord vengono condannati per il loro sincretismo religioso e la loro vita lontana dalla legge mosaica, quella ritrovata o meglio fatta ritrovare al tempo di Giosia. Concludono i nostri autori: “Per i lettori di Giuda, che nei tristi anni dopo la conquista assira d’ Israele, stavano fronteggiando la minaccia di un impero e di commistioni straniere, la storia biblica d’Israele servì da ammonizione, da avvertimento di quello che sarebbe potuto toccare loro. L’antico e una volta potente regno di Israele, che pure era stato benedetto da una terra fertile e da un popolo operoso, aveva perso la sua eredità. Ora il regno di Giuda, che era sopravvissuto, si preparava ad interpretare il ruolo del fratello minore favorito da Dio, come avevano fatto Isacco, Giacobbe o il loro antenato re David, pronto a recuperare un’eredità perduta e a redimere la terra e il popolo d’Israele” (pag. 239).
La terza parte è quindi dedicata al regno di Giuda. L’archeologia, dicono i due studiosi, rivela una netta differenza tra il regno del Nord e quello del Sud: “Israele e Giuda sono due mondi differenti… Le iscrizioni monumentali e i sigilli personali, cioè i segni essenziali di uno stato pienamente sviluppato, appaiono nel regno di Giuda solo alla fine dell’VIII secolo a. C., duecento anni dopo Salomone… Testimonianze di un regolare commercio appaiono solo nel VII secolo” (pag. 249), cioè al tempo di Giosia, così pure un allargamento della città per uno sviluppo demografico inizia dopo la fine del regno del Nord per il riversarsi della popolazione in fuga verso il sud: “Sull’onda delle campagne dell’Assiria a nord, Giuda sperimentò non solo un’improvvisa crescita demografica ma anche una reale evoluzione sociale” (pag. 257)… Dopo la caduta di Samaria (721 a. C.), con il grande accentramento del regno di Giuda, iniziò ad attecchire una nuova tendenza nei confronti della legge e della pratica religiosa… Ad un certo momento nel tardo VIII secolo a. C. ci fu l’apparizione di una scuola di pensiero sempre più forte che affermava che si doveva adorare solo YHWH e dichiarava sacrileghi gli altri culti del paese… Il nuovo movimento religioso … intraprese un conflitto aspro e incessante con i sostenitori dei costumi e dei rituali religiosi giudei più antichi e tradizionali” (pag. 260-61). È il tempo di Isaia e dei primi tentativi di riforma di Ezechia.
Con il declino della potenza assira da metà del secolo VII, il regno di Giuda non solo respira, ma si allarga. Scrivono i due archeologi: “Il ritiro degli assiri dalle regioni settentrionali della terra d’Israele creò una situazione che agli occhi dei giudei dovette sembrare un miracolo a lungo atteso… Sembrava aprirsi la strada per il degno coronamento delle ambizioni giudee e Giuda poteva infine espandersi a nord, annettersi gli altopiani settentrionali, accentrare il culto israelita e creare un grande stato panisraelita” (pag. 296-297)… “Arricchendo e rielaborando le storie contenute nei primi quattro libri della Torah, intrecciarono varianti regionali delle storie dei patriarchi ponendo le avventure di Abramo, Isacco e Giacobbe in un mondo con strane reminiscenze del VII secolo a. C. in cui veniva evidenziata la preminenza di Giuda su tutto Israele e creando per tutte le tribù d’Israele una grande epopea nazionale d’indipendenza… Il potente e prospero regno settentrionale alla cui ombra Giuda era vissuto per oltre duecento anni, fu condannato come aberrazione storica, scisma peccaminoso della vera eredità israelita. I soli governati giusti di tutti i territori israeliti erano i re della stirpe di David, in particolare il pio Giosia” (pag.297).
Secondo gli autori del libro il periodo di Giosia è il vero periodo di sviluppo del regno davidico ed il momento in cui si proiettano nel passato le aspirazioni del presente dandone una legittimazione di forza e di espansione, facendone risalire le promesse e la realtà al secolo decimo, cioè al tempo di David. Questa operazione sarebbe opera della corrente deuteronomista, che è quella che ha redatto la storia di Israele. Scrivono gli autori: “La grande saga delle scritture messe insieme durante il regno di Giosia era una composizione brillante e appassionata; raccontava la storia d’Israele dalla promessa di Dio ai patriarchi e, passando per l’esodo, la conquista della monarchia unita, la scissione dei due stati divisi, arrivava fino alla scoperta del libro della legge nel Tempio di Gerusalemme. Essa mirava a spiegare perché gli eventi passati portassero a trionfi futuri, mirava a giustificare l’esigenza deuteronomica di riforme religiose e più concretamente il rinascere delle ambizioni territoriali della dinastia di David” (pag. 316).
– Nell’ultimo capitolo della terza parte gli autori offrono alcune conclusioni basandosi meno sull’archeologia, ma sulla critica delle fonti per ricostruire la storia del postesilio e la formazione definitiva delle Bibbia. Concludono: “In breve la fase ultima della redazione biblica ricapitolò molti temi chiave del primo VII secolo cui è stata dedicata gran parte della discussione in questo libro. Ciò era dovuto alle analogie esistenti tra le realtà e le esigenze di questi due periodi: ancora una volta gli israeliti avevano a Gerusalemme il loro centro, ma non controllavano la maggior parte delle terre che consideravano loro per promessa divina, e dunque vivevano in grande incertezza. Ancora una volta c’era un’autorità centrale che doveva coalizzare la popolazione, e ancora una volta ci riuscì riformulando nel modo migliore il nucleo storico della Bibbia così da poterlo utilizzare come fonte primaria di identità e di riferimento spirituale per il popolo d’Israele al momento di affrontare le molte sciagure, le sfide religiose e i capovolgimenti politici che il destino aveva in serbo” (pag. 328).
Dopo questa lunga carrellata attraverso il volume di Finkelstein-Silberman, possiamo riassumere le loro posizione così: la vera storia di Israele comincia nel sec. IX-VIII col regno di Samaria al nord, il contemporaneo regno del sud, cioè quello di Gerusalemme, supposto anche che siano esistiti David e Salomone, era assolutamente inconsistente, non ha lasciato tracce significative fino al VII secolo. La storia dei Patriarchi, dell’Esodo, del regno unito al tempo di David e Salomone non sono che da una parte saghe religiose e dall’altra racconti «fondativi» della storia di Giuda nel sec. VII a. C.
Questa lettura della storia d’Israele, che s’è andata sviluppando a partire dagli anni 80 e di cui Finkelstein e Silberman sono stati protagonisti, non è condivisa da tutti, ma certo ha fatto presa nella ultima storiografia biblica. Caso emblematico è quello della “Storia d’Israele” di J. Alberto Soggin. Questo è un lavoro ben noto non solo in Italia, ma anche internazionalmente. Nella prima edizione del 1984 il Soggin faceva partire la storia d’Israele dal tempo di David e Salomone; nella seconda edizione del 2002 invece relega David e Salomone nella preistoria d’Israele e in questa nuova edizione \n\ J. A. Soggin, “Storia d’Israele”, Paideia, Brescia, 1984: Nella prima edizione i capitoli su David e Salomone aprono la storia d’Israele (dopo le premesse e la metodologia al cap. 3, pag. 75- 145), nella seconda del 2002 Soggin fa iniziare la storia da “I due regni divisi” a pag. 249 e relega di David e Salomone nelle “Tradizioni sulla preistoria del popolo” cap. 7- 8 pagg. 188- 244.\ scrive: “È con la costituzione dello stato prima nazionale, e poi territoriale, che si porrebbe per la prima volta a Israele e Giuda, unificati nell’impero davidico e salomonico, il problema della propria identità nazionale, della propria distinzione dagli altri popoli della regione, del proprio diritto ad essere se stessi. Ma la problematica sul piano storico di questo impero si è fatta sempre più evidente in questi ultimi anni, sicché in questa edizione ho deciso di includere David e Saio- mone nella preistoria… L’impero di David e Salomone, infatti presenta più problemi di quanti ne potremo mai risolvere. Le fonti che riferiscono su di esso sono tutte di origine tarda e riflettono quindi problematiche di epoche posteriori di molti secoli, quando il popolo, ridotto ormai al solo Giuda, stava passando per esperienze spiacevoli. Allora le riflessioni, sul valore, le vittorie e le conquiste di David e sulla magnificenza di Salomone, sugli ampli confini e la natura imperiale dello stato potevano avere un valore consolatorio specialissimo… Dell’impero davidico e salomonico non troviamo traccia alcuna nei pochi testi orientali dell’epoca… È dunque da prendere seriamente in considerazione l’eventualità che si tratti di una costruzione posteriore, pseudostorica e quindi artificiosa, tendente a glorificare un passato mai esistito per compensare un presente scialbo e grigio. E quello che è stato sostenuto da vari autori, ma non costituisce quella novità che si potrebbe pensare…” (pag. 55-56) e qui il Soggin nomina diversi autori che erano su questa linea, tra cui l’italiano Garbini. \n\ G. Garbini, “Storia ed ideologia nell’Israele antico”, Paideia, Brescia, 2001\.
In un piccolo, ma prezioso libretto J. L. Ska, professore al Pontificio Istituto Biblico di Roma \”La parola di Dio nei racconti degli uomini”, Cittadella, Assisi, 2000\, già prima che uscisse il volume di Finkelstein-Silberman, anche se in maniera più sfumata, si esponeva sulla stessa linea. Scrive: “Oggi la figura di David è fortemente ridimensionata. Il regno di David e di Salomone non poteva avere la proporzioni di cui parla la Bibbia. Nessun documento contemporaneo lo menziona… Neanche l’archeologia ha potuto avvalorare l’immagine biblica del regno di David e di Salomone… Forse si è stabilito un piccolo regno nella regione centrale di Giuda che si è progressivamente consolidato… Questo regno davidico di dimensioni piuttosto modeste acquistò nella memoria collettiva d’Israele dimensioni favolose e quasi leggendarie solo dopo la caduta di Samaria nel 721 a.C… In quel momento, Gerusalemme prese la successione di Samaria e diventò la città più importante della regione. I re di Giuda che appartenevano alla casa di David, fecero del loro antenato il primo re di un grande regno, che corrispondeva forse più ai loro sogni che alla realtà storica… La storia di David e di Salomone è pertanto per molti versi un’opera di propaganda politica. Ciò non significa che non abbia alcun significato teologico e fondamento storico. Anche le opere di propaganda politica debbono tener conto dei fatti per essere credibili e accettabili. Devono pure ubbidire ai canoni del pensiero religioso del tempo… Per dare un solo esempio del modo con cui si è creato questo passato grandioso, basti leggere il ben noto racconto di 1 Samuele 17 e paragonarlo con 2 Samuele 21,19. In quest’ultimo testo la vittoria contro Golia è attribuita non a David, ma a un altro eroe, Elha- nan, figlio di Yair, di Betlemme. Il racconto abbastanza elaborato di Samuele 17 è opera tardiva che attribuisce la prodezza a David, anch’esso oriundo betlemmita” (pag. 90-92).
Mario Liverani, grande storico delle civiltà del Mcdio Oriente Antico \”Antico Oriente. Storia Società Economia”, Laterza, Bari 1988\, in un illuminate articolo pubblicato su Biblica 1999/4 (pag. 488- 505) dal titolo “Nuovi sviluppi nello studio della storia dell’Israele biblico” concludeva il suo intervento con questa domanda: Quando far cominciare la storia d’Israele? E rispondeva: “Il periodo dei Patriarchi è stato difeso come storico almeno sino al libro di Th. L.Thompson \n\ “The Historicity of the Patrialchal Narratives” Berlin 1974/ ormai non è più difeso da nessuno. Anche l’episodio dell’esodo è comunemente accettato come «fondante» ma storicamente inattendibile. La storicità del periodo dei Giudici, è ancora basilare nella ricostruzione del Noth M. \ ”Storia d’Israele”, Paideia, Brescia 1975. Cfr. Parte prima: “Israele come lega delle dodici tribù” pag. 71- 172 [La prima edizione tedesca è del 1950, su cui è fatta la traduzione italiana del 1966.] (con la sua anfizionia tribale), è ormai sostituita da una collocazione fuori del tempo («prima» della storia documentata) di leggende e tradizioni mitiche. Il dibattito si è ormai accentrato sulla storicità della monarchia unita (e non potrà scendere ulteriormente nel tempo, data la indubbia storicità della fase dei regni divisi)” (pag. 503).
Come conclusione riportiamo alcun i giudizi su Le tracce di Mosè. Il biblista e archeologo Jacques Briend fa una ampia recensione del libro dei nostri autori \n\ in “Cahiers Evangile” n.122 rubrica ”Bible et archeologie” (pag. 62- 65)\e pur condividendo fondamentalmente le posizioni di Finkelstein-Silberman per i periodi dei Patriarchi, di Giosuè-Giudici, è cauto per le il periodo della monarchia. Si esprime così: “Finkelstein ha una posizione molto personale su la datazione della ceramica del Ferro I e II, abbassa le date di certa ceramica di almeno un secolo, il che gli permette di attribuire al IX secolo quel che ordinariamente viene datato al X. A proposito bisogna sapere che gli archeologi nel loro insieme respingono la “cronologia bassa” proposta da Finkelstein sulla base della ceramica. Un confronto su questo punto tra archeologi c’è stato e ne è venuta una posizione collettiva che Le tracce di Mosé non prende in considerazione. La posizione di un solo archeologo non basta; per avere autorità dev’essere approvata da colleghi alla pari. Il che è saggezza” (pag. 65). Un altro biblista André Lemaire scrive un articolo dal titolo «Il secolo scomparso di Davide e Salomone» nella rivista II mondo della Bibbia e dice: “Questa nuova cronologia resta molto discussa, in particolare dagli scavatori di Ghezer (W. G. Dever) e di Hazor (A. Ben. Tor), dove provocherebbe una compressione difficilmente accettabile dei numerosi livelli del Ferro II (IX-VIII secolo a. C.). Dal solo punto di vista archeologico, il dibattito è lungi dall’esser concluso \n\ Nello stesso numeto della rivista citata, un archeologo israeliano, A. Mazar, a proposito degli scavi fatti a Tel Rehov, scrive:”Il tempo della monarchia unita deve dunque essere inglobato in questo orizzonte culturale. Diventa allora possibile attribuire all’epoca di Salomone la porta della città di Hazor, il palazzo di Mcghiddo, quella di Ghezer … “. Conclusione quindi opposta a quella di Finkelstein e-Siberman/. Rimarchiamo che questa “cronologia bassa” s’iscrive nel contesto di una interpretazione storica dei regni di David e Salomone che, pur accettandone l’esistenza, pensa che non si possa estrarre nulla di storico dai libri di Samuele e dei Re, poiché questi sarebbero stati redatti troppo tardi… Comunque questa teoria ha il merito di invitare ad una rinnovata lettura critica della storiografia salomonica distinguendo meglio i livelli antichi, dai livelli deuteronomisti o di epoca persiana, con la loro tendenza ad esagerare la potenza e la ricchezza di Salomone” (pag. 28-29).
E’ vero, il dibattito non è concluso sia tra archeologi sia tra biblisti. Il biblista D. Kinet ha pubblicato recentemente una storia di Israele \n\ D. KINET, Geshichte Israels, Die neue Echter Bibel Ergaenzungsband 2 zum AT, Echter Vrlag, Wwerzburg 2001/ e considera storici i racconti del regno di David e Salomone. Il recensore dell’opera, il biblista italiano B. G. Boschi, glielo rimprovera e scrive: “Il sorgere dei regni di Saul, David e Salomone è presentato all’interno del fenomeno dei piccoli reami di Siria-Palestina, delle fonti letterarie bibliche e, brevemente, delle scoperte archeologiche, ritenute peraltro insufficienti e scarse… I problemi sorgono sul piano critico, e francamente non comprendiamo se il Kinet li abbia voluti evitare o non li abbia presi in considerazione. Nel secondo caso, avremmo alcune osservazioni da avanzare. I problemi sollevati, per es. da Garbini \n\come detto sopra/ oltre che da me sottoscritto, sul cosiddetto impero di David o Salomone meritano attenzione, anche perché l’archeologia ha finora impietosamente ridimensionato i dati da epopea della stessa Bibbia…” \n\ Cfr Rivista Biblica, 2001/1 \
Concludo citando un’altra recensione, quella del prof. J. L. Ska in Rassegna di Teologia \n\ 2003/1 pp. 133-139 /.
Dopo aver riassunto brevemente i passaggi del libro, il prof. Ska dice di condividere per lo più le posizioni dei due archeologi. Scrive: “Che cosa pensare di questo libro? Da una parte, la competenza degli autori come storici ed archeologi è assolutamente fuori discussione. Lo è anche la loro imparzialità, soprattutto perché entrambi sono Ebrei (Finkelstein insegna in Israele, a Tel Aviv). Si sa esattamente a quale scopo possa servire l’archeologia biblica in un certo mondo politico. Finkelstein si discosta dalle posizioni “ufficiali”, e questo depone a suo favore. Si potrà forse discutere qualche punto di dettaglio, le scoperte future obbligheranno magari a rivedere o a modificare qualche posizione, sarebbe opportuno smussare alcune formulazioni alquanto “spinte”; nell’insieme, però, la loro costruzione storica è valida, ben documentata e saldamente argomentata. Vi è un divario, ogni tanto importante, fra il “testo biblico” e quello che la storia e l’archeologia odierne riescono a dirci su “quello che è realmente accaduto”. Questo è ormai un dato di fatto e dopo la lettura di questo libro diventa sempre più difficile leggere l’Antico Testamento in modo “letterale” o “fondamentalista”. La Bibbia non ci offre un “filmato” del passato, e su questo punto non posso che condividere le conclusioni di quest’opera, soprattutto perché ho difeso la stessa tesi in un mio libretto intitolato La parola di Dio nei racconti degli uomini (pag. 137).
Il prof Ska rimprovera, però, ai due autori di aver troppo insistito sulla finalità “politica” dei testi biblici sorti, secondo loro, al tempo di Giosia. La Bibbia non è sorta solo per propaganda politica, ma ha altre finalità: “lo scopo non era solo quello di giustificare la politica di un re, bensì di assicurare la sopravvivenza di un intero popolo, della sua “fede” e delle sue tradizioni religiose, giuridiche e culturali”. E ancora sottolinea Ska che i due autori con troppa sicurezza esaltano il regno di Giosia ed affermano che la storia d’Israele sia stata scritta dalla corrente deuteronomista nel VII secolo al tempo di questo re. Scrive: “le loro teorie letterarie sono alquanto “sommarie”… Gli specialisti odierni sono ancora più radicali perché pensano che la redazione finale risalga in gran parte all’epoca persiana. Questo vale certamente per il Pentateuco, ma anche per la cosiddetta “Storia Deuteronomistica” (Giosuè-2 Re) che, secondo gli specialisti, avrebbe conosciuto più di una redazione e sarebbe stata rielaborata durante e dopo l’esilio” (pag.138-139).
Possiamo quindi dire che la lettura del libro di Finkelstein-Silberman è salutare, aiuta a vedere nella storia biblica e nei profeti, che in essa hanno operato, non la cronistoria di eventi, ma la parola di Dio fatta storia di salvezza.