GABRIELE MIOLA fa recensione del libro in FIRMANA anno 2003 nn. 32\33
JEAN CABAUD, Il rabbino che si arrese a Cristo. La storia di Eugenio Zolli rabbino capo a Roma durante la seconda guerra mondiale, Edizioni S. Paolo, Cinisello Balsamo (MI), 2002 pp.120.
\\qui di seguito un’altra diversa recensione per un libro dello Zolli \\
Questo titolo <della Cabaud> mi ha incuriosito, ho acquistato il libro e l’ho letto d’un fiato. Ricordavo il nome di Zolli dall’anno propedeutico alla teologia (1953- 54), nelle lezioni del corso di Apologetica. La conversione di Zolli, rabbino capo della sinagoga di Roma, nel 1945 aveva suscitato scalpore; ne sentii parlare ancora qualche rara volta negli anni di teologia alla Lateranense (54-58) e del Biblico (58-61), ma non avevo mai avuto l’opportunità di conoscerne la vita. Questo libretto della Cabaud, anch’essa ebrea convertita, me ne ha data l’occasione.
Questo libretto non è una biografia critica, è piuttosto una testimonianza. Scrive Messori nella presentazione: “Judith Cabaud non ha alcuna pretesa di porsi accanto alle opere della storiografia professionale. Molte cose, qui, sono soltanto accennate; molte altre necessitano di un approfondimento sulla base di una documentazione più vasta … L’autrice ha inteso il suo lavoro soprattutto come una testimonianza” (pag. 9).
Il lavoro della Cabaud sottolinea soprattutto il cammino spirituale di Zolli, che lo portò a vedere in Gesù e quindi nel cristianesimo la continuità e la pienezza delle Scritture ebraiche. Zolli infatti non si considerava “convertito, ma arrivato”.
Ecco alcuni dati biografici, desunti dal libro dalla Cabaud. Zolli nasce a Brody, città ai confini dell’impero austro-ungarico verso la Galizia polacca, ultimo di sei figli della famiglia Zoller (Zolli è cognome italianizzato) il 17 settembre 1881, ebbe il nome di Israel. La famiglia è benestante, il padre possiede una fabbrica a Lods (Polonia), ma quando quella zona della Polonia passò sotto l’amministrazione zarista, le fabbriche di proprietari stranieri vennero soppresse e la famiglia Zoller fu ridotta in povertà e si spostò a Lvov. Fece studi classici, ma con passione si dedicò anche a studi religiosi leggendo soprattutto la letteratura ebraica midrashica. Ottenne il “diploma di Maestro di religione”, che gli apriva la strada agli studi per la carriera di rabbino; lesse Maimonide, ma disdegnava tutta la casistica delle scuole rabbiniche; si appassionava a leggere Isaia e si aprì alla lettura del Nuovo Testamento e la Cabaud riporta una bella espressione dalle sue memorie: “Tutto questo mi sbalordiva: il Nuovo Testamento è, in effetti, un Testamento nuovo!” Nel 1904, morta la mamma, che gli aveva inculcato la passione per gli studi religiosi e per la quale nutriva una grande venerazione, lasciò la famiglia (che non rivedrà più) e si iscrisse all’Università di Vienna, ma per il serpeggiante antisemitismo, dopo pochi mesi lasciò l’Austria e venne in Italia. Si stabilì a Firenze dove si iscrisse alla facoltà di Filosofia presso l’Università statale e all’Istituto degli Alti Studi del Collegio rabbinico. Nel 1913 viene nominato vice-rabbino della città di Trieste e in quell’anno sposò Adele Litwak originaria di Lvov. Si ritrova così in ambito austro-ungarico, ma la lunga permanenza a Firenze l’aveva fatto innamorare dell’Italia e durante la guerra del ‘15-18, per i suoi sentimenti italiani, fu guardato a vista dalla polizia austriaca, ma egli si occupò prevalentemente, oltre che dei suoi compiti di vice-rabbino, dell’assistenza ai profughi ebrei cacciati dai paesi dell’est d’influenza russa. Dal 1918 al 1938 fu rabbino capo della sinagoga di Trieste ormai con cittadinanza italiana. Furono anni di intensa attività, ma soprattutto di studio e in particolare di confronto tra la tradizione ebraica e l’ebreo Gesù di Nazareth. Scrisse molti articoli e saggi per riviste italiane e tedesche, ma soprattutto pubblicò due opere significative: nel 1935 Israele: uno studio storico e religioso e nel 1938 II Nazareno. La Cabaud vede in queste due opere il grande cammino del rabbino verso una visione nuova che supera l’impostazione ebraica della pratica della legge e riporta questa frase di Zolli: “La Legge insegna ed indica il cammino; la corsa verso Dio passa attraverso la propria volontà. Conoscere è amare; noi amiamo con il cuore e non attraverso nozioni ricevute da fuori” (pag.37). Zolli ormai vede una continuità tra Antico e Nuovo Testamento. Gesù diventa sempre di più il personaggio di cui spesso si parla in casa. Intanto in Germania s’era scatenata la follia nazista contro gli Ebrei, ma anche in Italia, dopo un primo momento in cui Mussolini condannò la persecuzione di Hitler contro gli Ebrei, presto con le leggi razziali prima e con il patto d’acciaio poi (1938-39) gli Ebrei si trovarono in clima di persecuzione e di guerra. Il rabbino Zolli si prodigò in mille modi per aiutare Ebrei in difficoltà: da una parte favorendone la fuoriuscita verso la Palestina, dall’altra intervenendo presso le autorità, tanto che si meritò l’appellativo di rabbino buono.
Nel 1940 la comunità israelitica di Roma chiama Zolli ad occupare il posto vacante di Gran Rabbino. Zolli accettò e si trasferì nella capitale. Il libro della Cabaud si ferma a descrivere l’attività di Zolli in questi anni drammatici 1940-44 per la comunità ebraica della capitale, particolarmente il periodo dell’occupazione nazista di Roma dopo la caduta del fascismo del 9 settembre del 1943: emerge una figura di Zolli uomo di fede, di preghiera, ma anche di attività diplomatica, di interventi presso le autorità di Roma e del Vaticano, di aiuto ai correligionari ebrei, fino a quando i tedeschi eliminarono i rabbini di Genova, Firenze, Bologna e allora Zolli, su cui era stata posta una taglia di trecentomila lire, fu costretto con la sua famiglia a trovar ospitalità e rifugio in una famiglia cristiana fino all’arrivo degli alleati a Roma nel giugno del ‘44.
Zolli, con l’occupazione nazista di Roma, aveva perso la cittadinanza italiana e la funzione di Gran Rabbino della capitale, il 21 settembre dello stesso anno 44, con decreto ministeriale gli fu ridata la cittadinanza italiana e fu confermato Gran Rabbino della Comunità ebraica di Roma. L’esperienza della guerra, le leggi razziali di Mussolini, la persecuzione nazista a Roma gli fecero meditare sempre di più il profeta Isaia e particolarmente i carmi del servo. Ormai nel cuore del rabbino prendeva sempre più posto la figura di Gesù. Nell’autunno del 44 mentre presiedeva la liturgia del Yom Kippur, il giorno del grande perdono, nella sinagoga ebbe una grande esperienza mistica. L’autrice del libro riporta dalla autobiografia di Zolli questa testimonianza: “D’improvviso, con gli occhi dello spirito, vidi una grande prateria e, in piedi, in mezzo all’erba verde c’era Gesù Cristo rivestito di un manto bianco; sopra di Lui il cielo era tutto blu. A quella vista provai una pace indicibile… Allora in fondo al cuore sentii queste parole: Sei qui per l’ultima volta. D’ora in poi seguirai me! Le accolsi con la massima serenità e il mio cuore rispose immediatamente: Così sia, così è, così deve essere”.
Nel Gennaio del 1945 gli fu chiesto di riorganizzare il Collegio Rabbinico di Roma, cioè il centro degli studi ebraici, ma non accettò; ormai si stava aprendo un’altra strada davanti ai suoi occhi sempre più pieni della figura di Gesù il Nazareno. Prese contatto con padre Dezza, noto professore della Gregoriana e cominciò la sua preparazione al battesimo, che ricevette da monsignor Traglia il 13 febbraio 1945 e volle prendere il nome di Eugenio in onore di papa Pio XII, Eugenio Pacelli. Con lui fu battezzata anche la moglie Emma; la figlia Miriam seguì i genitori dopo un anno.
Negli ultimi tre brevi capitoli la Cabaud segue Zolli negli ultimi anni della sua vita. Morì a Roma il 2 marzo 1956 all’età di 74 anni. Entrando nella Chiesa, Zolli perse tutto, casa e stipendio, ma soprattutto fu oggetto di calunnie e denigrazione da parte degli Ebrei non solo di Roma, ma anche dell’ebraismo internazionale, fu trattato da apostata e scomunicato. Si ritrovò in estrema povertà, ma l’accettò volentieri; fu aiutato da padre Dezza e papa Pacelli volle che tenesse dei corsi all’Istituto Biblico e alla Gregoriana, fu chiamato a tenere qualche corso anche all’Università di Roma. Zolli non considerò mai il suo battesimo una conversione, ma l’approdo di una lunga navigazione: erano state le Scritture ebraiche che l’avevano portato alla fede in Gesù come conclusione di un cammino ininterrotto, il Nuovo Testamento non è che la continuazione, il compimento della promessa fatti ai padri. Sofia Cavalletti, nota per i suoi studi sulla patristica, sulla liturgia antica e sull’ebraismo, che fu sua assistente all’Università, gli rende questa testimonianza: “Lo scopo principale della sua vita era quello di insegnare che dall’Antico al Nuovo Testamento…c’è un lento cammino dello spirito verso le mete più elevate” (pag. 104).
Messori nella prefazione a questo libro lamenta che quella di Zolli sia una figura dimenticata, non solo (del resto comprensibile) presso gli Ebrei, ma anche preso i cattolici; si augura che dopo la traduzione in italiano e la pubblicazione di questo scritto della Cabaud possano riprendere gli studi su Zolli in maniera scientifica e si approfondisca quel motivo costante che ricorreva spesso sulla bocca e si ritrova negli scritti di Zolli che Antico e Nuovo Testamento formano un’unità. E un dato fondamentale della fede e della teologia cristiana e vale la pena approfondire come l’abbia scoperto nella vita, nello studio e negli scritti Eugenio Zolli.
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Miola Gabrile fa recensione edita in FIRMANA nn.35\36 a. 2003 er un’autobiografia di Israel Zoller
EUGENIO ZOLLI, Prima dell’alba. A cura di Alberto Latorre. Ediz. San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 2004 pagg. 284
Le edizioni San Paolo hanno pubblicato nel 2002 su Eugenio Zolli il volume di J. Cabaud, Il rabbino che si arrese a Dio. La storia di Eugenio Zolli rabbino capo a Roma durante la seconda guerra mondiale (cfr.recensione in Firmana nn. 32-33). Ora viene opportuna la pubblicazione dell’autobiografia di Zolli. In copertina dopo il titolo Prima dell’alba c’è scritto, come sottotitolo: ”Autobiografia autorizzata”, mentre in prima pagina non c’è. Se è un’autobiografia certamente chi l’autorizza è l’autore, ma in questo caso l’autobiografia per la prima volta fu pubblicata in inglese col titolo Before the Down (Prima dell’alba) in occasione di un viaggio di Zolli in America. Si pensava quindi che lo scritto originale fosse in inglese. Invece è stato ritrovato il dattiloscritto in italiano e quindi c’è la certezza che l’inglese è una traduzione; nel “Congedo” del diario ringrazia “le reverende madri Williamson e Maranzana” che hanno curato la versione in inglese. Poiché tra il testo inglese e il dattiloscritto in italiano ci sono delle varianti, ad esempio, capitoli spostati ed altro, gli eredi hanno autorizzato la pubblicazione dell’originale italiano. Questo è precisato nella nota premessa al libro dal curatore del libro A. Latorre.
Queste le tappe principali della vita di Zolli. Nasce il 17 settembre 1881 a Brody, cittadina oggi nella Polonia, allora ai confini nord-ovest dell’impero austro-ungarico. Gli fu messo nome Israel. La sua lingua madre è quindi il tedesco. Quando Brody passò sotto l’amministrazione zarista, la famiglia si spostò a Leopoli, dove Zolli seguì studi classici e rabbinici. Nel 1904, dopo la morte dei genitori, lasciò la famiglia e si iscrisse all’università di Vienna dove rimase appena un semestre. Venne quindi a Firenze e si iscrisse alla facoltà di filosofia e contemporaneamente al Collegio Rabbinico Italiano. Completò gli studi con la laurea in filosofia all’università statale e con il titolo di rav (rabbino, maestro) al collegio rabbinico. Nel 1911 fu nominato vice-rabbino alla sinagoga di Trieste e nel 1913 rabbino e si ritrovò quindi in ambito austriaco; vi rimase fino al 1939. In quell’anno fu nominato rabbino capo della sinagoga di Roma. Qui visse tutta la tragedia degli ebrei di Roma nella bufera dell’occupazione nazista in Italia a seguito delle leggi razziali fasciste e della persecuzione tedesca contro gli ebrei nella capitale. Nel 1945 maturò la sua conversione al cristianesimo e il 13 febbraio ricevette il battesimo. Morì il 2 marzo 1956.
Quella di Zolli è un’autobiografia molto scarna di elementi cronologici e narrativi, ricca invece di considerazioni di carattere religioso, filosofico e teologico.
Del periodo a Brody ricorda la profonda religiosità della mamma e alcuni episodi come quando s’imbatté con un contadino che aveva sovraccaricato il suo cavallo, tanto che scivolò sul ghiaccio e il cavallo cadde; il ragazzo Israel si mise ad aiutare il povero contadino per far rialzare l’animale e per raccattare il carico. Tornò a casa in ritardo sul consueto orario e si ebbe dei rimproveri, ma tacque sull’opera buona che aveva fatto. Un altro episodio: un compagno s’era portato a scuola la boccettina dell’inchiostro vuota, ne chiese a Israel che gliene diede; il compagno, per averne di più, spinse improvvisamente il gomito di Israel, ma l’inchiostro fuoriuscì e gli macchiò il vestito e lo sporcò tutto. Zolli ricordando l’episodio scrive: “Non ero né indignato, né adirato; non sentivo per lui né odio né disprezzo. Non mi passò nemmeno per l’anticamera del cervello l’idea di denunciarlo al maestro. Non posso neppure dire di avergli perdonato. Nulla di tutto ciò. Per me il ragazzo era diventato una specie di non essere” (pag. 41). Tornato a casa raccontò tutto alla mamma, che lo consolò con tenerezza. Piccoli episodi che rivelano un temperamento calmo, un animo buono, ma anche fermo. Descrive particolarmente l’amico Stanislao presso cui andava spesso per passar del tempo e fare i compiti di scuola; ammirava questo compagno e la sua mamma, vedova, dolce, laboriosa, piena d’affetto verso il figlio per il quale non c’era mai bisogno di alzare la voce e tanto meno le mani. Avevano una casa semplice, ma dignitosa, c’era una grande stanza con alla parete un crocefisso e Israel lo guardava spesso quasi in contemplazione e si poneva interrogativi. Scrive: “Perché ‘questo’ fu crocefisso? Era cattivo? Oh che si crocefiggono tutti i cattivi? Se poi, fosse stato più cattivo degli altri, proprio tanto cattivo, perché tanta, proprio tanta gente lo segue? E perché le signore di mia madre … che pur seguono questo crocefisso sono tanto buone? La faccenda delle signore cominciava a divenire a sua volta uno strano ‘perché’. Come mai Stanislao e sua mamma, pure seguaci e adoratori di ‘questo’, sono tanto buoni? Perché noi ragazzi diventiamo così ‘diversi’ al cospetto di ‘questo’, e nella vicinanza di Stanislao e di sua madre?” (pag. 51). I corsivi sono originali <r.- aggiunti segni ‘ ’>, non nomina mai Gesù, ma questo personaggio diventa sempre più importante per lui. Le domande che il ragazzo Israel si poneva preludono ad un atteggiamento della vita che lo porta ad interrogarsi sugli uomini, i loro atteggiamenti, la loro fede e le loro pratiche religiose e forse sono un preludio ad interrogativi più profondi che insorgeranno nella maturità della vita con lo studio e un’attività attenta ai bisogni delle persone della propria religione e degli altri.
Del periodo degli studi all’università di Firenze e al Collegio rabbinico e poi della sua attività di rabbino a Trieste non racconta episodi, ma lascia trasparire una vita intensa caratterizzata da una forte tensione nel suo lavoro e una costante riflessione sui testi biblici non solo dell’Antico Testamento e del Talmud, ma anche sui testi del Nuovo Testamento: s’interroga sul ‘mistero’ della figura del servo di Dio nel profeta Isaia, sulla cultura giudaica e quella greca, sulla sete di Dio che traspare dai salmi, sul dialogo tra l’anima e Dio, l’io e Lui, s’interroga sulla sofferenza di Dio e la tristezza del Signore, sui vangeli e la persona di Gesù. Affronta la figura di Paolo ebreo e di Paolo cristiano e la posizione dell’apostolo nei confronti della Torah. Si appassiona nell’approfondire il cammino di ebrei arrivati alle soglie del cristianesimo come il filosofo Bergson. In maniera velata, perché descrive la sete che l’anima ha di Dio quando l’uomo ne è lontano, ma vi tende con tutte le forze e sente vibrare nel suo essere un’attrazione divina, descrive la sua tensione e il suo cammino. Scrive: “la sua anima stanca lo scorge dapprima flebilmente, si dibatte ancora nel dubbio. Ma poi si aggrappa disperatamente a lui e si lascia trascinare per una via estatica. E salendo di altezza in altezza, in quali sfere meravigliose viene condotta! “(pag. 133).
A partire dal capitolo Prima dell’alba, senza che il testo offra dati cronologici, si capisce che Zolli ormai si trova a Roma, con l’incarico di rabbino capo della sinagoga della capitale e le pagine del diario sono la memoria del suo travaglio interiore e del suo cammino verso Cristo, Si domanda se la conversione sia un’infedeltà alle origini, un tradire l’ebraismo e risponde a se stesso che è come la fioritura della primavera; ricorda la conversione di alcuni amici, richiama la figura di Edith Stein, della dottoressa Meirowsky, meno conosciuta della Stein, anch’essa ebrea convertita divenuta suora e morta martire nella persecuzione nazista, si ferma a lungo a descrivere la personalità, l’opera e il martirio di Massimiliano Kolbe, legge gli scritti delle origine cristiane, come la Didachè, nei quali vede continuità e novità nel passaggio dal giudaismo al cristianesimo, riflette sul concetto di coscienza e fede nelle lettere di S. Paolo e scrive: “ La coscienza non attinge la sua forza dalla legge, la quale spirituale e santa diletta la mente, resta pur tuttavia annullata (anche se assimilata) dal corpo di peccato, che è morte. L’uomo muore assieme al peccato attraverso il battesimo nella morte di Cristo. Risorto alla vita attraverso la crocefissione di Cristo l’uomo è libero dal peccato e la sua coscienza resta ormai totalmente e indissolubilmente legata al Padre, al Figlio, allo Spirito santo” (pag. 184s) e con S. Paolo e la Didachè prega: Marana’ ta’, Signore, vieni!
Gli ultimi tre capitoli hanno lo stile di una documentazione. La conversione di Zolli, rabbino capo della sinagoga di Roma, aveva creato non solo sorpresa tra gli ebrei della capi-tale, ma anche indignazione, accusa di tradimento, che sfociò in calunnie, quasi che egli avesse pensato a salvare se stesso e la sua famiglia e si fosse disinteressato della comunità ebraica durante l’occupazione nazista. Di fatto Zolli, che conosceva bene la lingua tedesca ed altre lingue aveva contatti con molte sinagoghe anche estere, fu preveggente nel capire le conseguenze dell’occupazione di Roma da parte dei tedeschi e intervenne presso personalità ebraiche autorevoli, che dirigevano uffici importanti del governo fascista ed erano legate a personaggi del regime, perché diffidassero delle assicurazioni provenienti dai ranghi del partito, ma non fu creduto. Zolli riporta un’ampia documentazione ufficiale, che dimostra la falsità delle accuse e rivendica il suo operato a favore dei suoi correligionari durante tutto il periodo terribile dell’occupazione nazista di Roma. Termina con un elogio dell’attività di Pio XII e dei padri Gesuiti per la salvezza di singoli e di gruppi di ebrei.
Il diario termina qui, Zolli non parla della sua conversione, del battesimo, né degli undici anni della vita dopo la conversione. Ora nel testo è riportato un breve capitolo in appendice, tradotto dall’inglese. Quest’appendice era stata pubblicata nell’edizione inglese del 1954, al curatore è sembrato opportuno aggiungerla all’edizione italiana. Zolli confessa che ogni conversione è avvolta nel mistero della grazia di Dio, e anche la sua, tuttavia rivede un cammino che in qualche modo ha preparato la risposta alla chiamata. Tutti gli riconoscevano una spiccata capacità riflessiva e una predisposizione al misticismo, anche se lui confessa di non averne avuta mai consapevolezza. Gli studi rabbinici, la lettura dell’Antico Testamento, del Talmud particolarmente delle parti midraschiche e soprattutto dello Zohar, gli hanno aperto l’anima verso una luce superiore, che ha trovato nel vangelo e nella persona di Gesù. Gesù era diventato il centro della sua vita, tutta la sua anima, in famiglia non si parlava che di Gesù. La chiamata avvenne quasi in forma visiva nel giorno della festa del Kippur, giorno dell’espiazione, di digiuno, di preghiera e di liturgia. Mentre presiedeva nella sinagoga il culto ebbe due momenti mistici. Scrive: “Iniziai a sentire come se una nebbia stesse insinuandosi nella mia anima: divenne più densa, e persi interamente il contatto con gli uomini e le cose attorno a me. Una candela, pressoché consumata, bruciava nel suo candeliere vicino a me. Appena la cera si fu liquefatta sul suo candeliere, la piccola fiamma brillò in una più grande, balzando verso il cielo. Rimasi affascinato dalla vista di ciò… La lingua di fuoco si agitava e si contorceva, tormentata; e la mia anima vi partecipava, soffriva… Subito dopo vidi con l’occhio della mente un prato stendersi in alto, con erba luminosa ma senza fiori. In questo prato vidi Gesù Cristo vestito con un mantello bianco, e oltre il suo capo il cielo blu. Provai la più grande pace interiore… Dentro il mio cuore trovai le parole: “Tu sei qui per l’ultima volta”. Le presi in considerazione con la più grande serenità di spirito e senza alcuna particolare emozione. La replica del mio cuore fu: “Così sia, così sarà, così deve essere”. Due momenti intensi distinti ma congiunti, il primo segnava la fine del suo tormento che sfociava in alto verso il cielo, il secondo la chiamata di colui che era diventato tutt’uno col suo cuore e lo invitava all’ultimo passo. Di fatti scrive Zolli: “Fu alcuni giorni dopo questi fatti che rinunciai al mio incarico in seno alla comunità ebraica e andai da un prete… per ricevere l’insegnamento cristiano… il 13 febbraio ricevetti il battesimo e venni incorporato nella Chiesa Cattolica, il corpo di Gesù Cristo” (pag. 274-75).
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GABRIELE MIOLA fa recensione del libro in FIRMANA anno 2003 nn. 32\33
JEAN CABAUD, Il rabbino che si arrese a Cristo. La storia di Eugenio Zolli rabbino capo a Roma durante la seconda guerra mondiale, Edizioni S. Paolo, Cinisello Balsamo (MI), 2002 pp.120.
\\qui di seguito un’altra diversa recensione per un libro dello Zolli \\
Questo titolo <della Cabaud> mi ha incuriosito, ho acquistato il libro e l’ho letto d’un fiato. Ricordavo il nome di Zolli dall’anno propedeutico alla teologia (1953- 54), nelle lezioni del corso di Apologetica. La conversione di Zolli, rabbino capo della sinagoga di Roma, nel 1945 aveva suscitato scalpore; ne sentii parlare ancora qualche rara volta negli anni di teologia alla Lateranense (54-58) e del Biblico (58-61), ma non avevo mai avuto l’opportunità di conoscerne la vita. Questo libretto della Cabaud, anch’essa ebrea convertita, me ne ha data l’occasione.
Questo libretto non è una biografia critica, è piuttosto una testimonianza. Scrive Messori nella presentazione: “Judith Cabaud non ha alcuna pretesa di porsi accanto alle opere della storiografia professionale. Molte cose, qui, sono soltanto accennate; molte altre necessitano di un approfondimento sulla base di una documentazione più vasta … L’autrice ha inteso il suo lavoro soprattutto come una testimonianza” (pag. 9).
Il lavoro della Cabaud sottolinea soprattutto il cammino spirituale di Zolli, che lo portò a vedere in Gesù e quindi nel cristianesimo la continuità e la pienezza delle Scritture ebraiche. Zolli infatti non si considerava “convertito, ma arrivato”.
Ecco alcuni dati biografici, desunti dal libro dalla Cabaud. Zolli nasce a Brody, città ai confini dell’impero austro-ungarico verso la Galizia polacca, ultimo di sei figli della famiglia Zoller (Zolli è cognome italianizzato) il 17 settembre 1881, ebbe il nome di Israel. La famiglia è benestante, il padre possiede una fabbrica a Lods (Polonia), ma quando quella zona della Polonia passò sotto l’amministrazione zarista, le fabbriche di proprietari stranieri vennero soppresse e la famiglia Zoller fu ridotta in povertà e si spostò a Lvov. Fece studi classici, ma con passione si dedicò anche a studi religiosi leggendo soprattutto la letteratura ebraica midrashica. Ottenne il “diploma di Maestro di religione”, che gli apriva la strada agli studi per la carriera di rabbino; lesse Maimonide, ma disdegnava tutta la casistica delle scuole rabbiniche; si appassionava a leggere Isaia e si aprì alla lettura del Nuovo Testamento e la Cabaud riporta una bella espressione dalle sue memorie: “Tutto questo mi sbalordiva: il Nuovo Testamento è, in effetti, un Testamento nuovo!” Nel 1904, morta la mamma, che gli aveva inculcato la passione per gli studi religiosi e per la quale nutriva una grande venerazione, lasciò la famiglia (che non rivedrà più) e si iscrisse all’Università di Vienna, ma per il serpeggiante antisemitismo, dopo pochi mesi lasciò l’Austria e venne in Italia. Si stabilì a Firenze dove si iscrisse alla facoltà di Filosofia presso l’Università statale e all’Istituto degli Alti Studi del Collegio rabbinico. Nel 1913 viene nominato vice-rabbino della città di Trieste e in quell’anno sposò Adele Litwak originaria di Lvov. Si ritrova così in ambito austro-ungarico, ma la lunga permanenza a Firenze l’aveva fatto innamorare dell’Italia e durante la guerra del ‘15-18, per i suoi sentimenti italiani, fu guardato a vista dalla polizia austriaca, ma egli si occupò prevalentemente, oltre che dei suoi compiti di vice-rabbino, dell’assistenza ai profughi ebrei cacciati dai paesi dell’est d’influenza russa. Dal 1918 al 1938 fu rabbino capo della sinagoga di Trieste ormai con cittadinanza italiana. Furono anni di intensa attività, ma soprattutto di studio e in particolare di confronto tra la tradizione ebraica e l’ebreo Gesù di Nazareth. Scrisse molti articoli e saggi per riviste italiane e tedesche, ma soprattutto pubblicò due opere significative: nel 1935 Israele: uno studio storico e religioso e nel 1938 II Nazareno. La Cabaud vede in queste due opere il grande cammino del rabbino verso una visione nuova che supera l’impostazione ebraica della pratica della legge e riporta questa frase di Zolli: “La Legge insegna ed indica il cammino; la corsa verso Dio passa attraverso la propria volontà. Conoscere è amare; noi amiamo con il cuore e non attraverso nozioni ricevute da fuori” (pag.37). Zolli ormai vede una continuità tra Antico e Nuovo Testamento. Gesù diventa sempre di più il personaggio di cui spesso si parla in casa. Intanto in Germania s’era scatenata la follia nazista contro gli Ebrei, ma anche in Italia, dopo un primo momento in cui Mussolini condannò la persecuzione di Hitler contro gli Ebrei, presto con le leggi razziali prima e con il patto d’acciaio poi (1938-39) gli Ebrei si trovarono in clima di persecuzione e di guerra. Il rabbino Zolli si prodigò in mille modi per aiutare Ebrei in difficoltà: da una parte favorendone la fuoriuscita verso la Palestina, dall’altra intervenendo presso le autorità, tanto che si meritò l’appellativo di rabbino buono.
Nel 1940 la comunità israelitica di Roma chiama Zolli ad occupare il posto vacante di Gran Rabbino. Zolli accettò e si trasferì nella capitale. Il libro della Cabaud si ferma a descrivere l’attività di Zolli in questi anni drammatici 1940-44 per la comunità ebraica della capitale, particolarmente il periodo dell’occupazione nazista di Roma dopo la caduta del fascismo del 9 settembre del 1943: emerge una figura di Zolli uomo di fede, di preghiera, ma anche di attività diplomatica, di interventi presso le autorità di Roma e del Vaticano, di aiuto ai correligionari ebrei, fino a quando i tedeschi eliminarono i rabbini di Genova, Firenze, Bologna e allora Zolli, su cui era stata posta una taglia di trecentomila lire, fu costretto con la sua famiglia a trovar ospitalità e rifugio in una famiglia cristiana fino all’arrivo degli alleati a Roma nel giugno del ‘44.
Zolli, con l’occupazione nazista di Roma, aveva perso la cittadinanza italiana e la funzione di Gran Rabbino della capitale, il 21 settembre dello stesso anno 44, con decreto ministeriale gli fu ridata la cittadinanza italiana e fu confermato Gran Rabbino della Comunità ebraica di Roma. L’esperienza della guerra, le leggi razziali di Mussolini, la persecuzione nazista a Roma gli fecero meditare sempre di più il profeta Isaia e particolarmente i carmi del servo. Ormai nel cuore del rabbino prendeva sempre più posto la figura di Gesù. Nell’autunno del 44 mentre presiedeva la liturgia del Yom Kippur, il giorno del grande perdono, nella sinagoga ebbe una grande esperienza mistica. L’autrice del libro riporta dalla autobiografia di Zolli questa testimonianza: “D’improvviso, con gli occhi dello spirito, vidi una grande prateria e, in piedi, in mezzo all’erba verde c’era Gesù Cristo rivestito di un manto bianco; sopra di Lui il cielo era tutto blu. A quella vista provai una pace indicibile… Allora in fondo al cuore sentii queste parole: Sei qui per l’ultima volta. D’ora in poi seguirai me! Le accolsi con la massima serenità e il mio cuore rispose immediatamente: Così sia, così è, così deve essere”.
Nel Gennaio del 1945 gli fu chiesto di riorganizzare il Collegio Rabbinico di Roma, cioè il centro degli studi ebraici, ma non accettò; ormai si stava aprendo un’altra strada davanti ai suoi occhi sempre più pieni della figura di Gesù il Nazareno. Prese contatto con padre Dezza, noto professore della Gregoriana e cominciò la sua preparazione al battesimo, che ricevette da monsignor Traglia il 13 febbraio 1945 e volle prendere il nome di Eugenio in onore di papa Pio XII, Eugenio Pacelli. Con lui fu battezzata anche la moglie Emma; la figlia Miriam seguì i genitori dopo un anno.
Negli ultimi tre brevi capitoli la Cabaud segue Zolli negli ultimi anni della sua vita. Morì a Roma il 2 marzo 1956 all’età di 74 anni. Entrando nella Chiesa, Zolli perse tutto, casa e stipendio, ma soprattutto fu oggetto di calunnie e denigrazione da parte degli Ebrei non solo di Roma, ma anche dell’ebraismo internazionale, fu trattato da apostata e scomunicato. Si ritrovò in estrema povertà, ma l’accettò volentieri; fu aiutato da padre Dezza e papa Pacelli volle che tenesse dei corsi all’Istituto Biblico e alla Gregoriana, fu chiamato a tenere qualche corso anche all’Università di Roma. Zolli non considerò mai il suo battesimo una conversione, ma l’approdo di una lunga navigazione: erano state le Scritture ebraiche che l’avevano portato alla fede in Gesù come conclusione di un cammino ininterrotto, il Nuovo Testamento non è che la continuazione, il compimento della promessa fatti ai padri. Sofia Cavalletti, nota per i suoi studi sulla patristica, sulla liturgia antica e sull’ebraismo, che fu sua assistente all’Università, gli rende questa testimonianza: “Lo scopo principale della sua vita era quello di insegnare che dall’Antico al Nuovo Testamento…c’è un lento cammino dello spirito verso le mete più elevate” (pag. 104).
Messori nella prefazione a questo libro lamenta che quella di Zolli sia una figura dimenticata, non solo (del resto comprensibile) presso gli Ebrei, ma anche preso i cattolici; si augura che dopo la traduzione in italiano e la pubblicazione di questo scritto della Cabaud possano riprendere gli studi su Zolli in maniera scientifica e si approfondisca quel motivo costante che ricorreva spesso sulla bocca e si ritrova negli scritti di Zolli che Antico e Nuovo Testamento formano un’unità. E un dato fondamentale della fede e della teologia cristiana e vale la pena approfondire come l’abbia scoperto nella vita, nello studio e negli scritti Eugenio Zolli.
Edito in FIRMANA nn.32\33 a. 2002
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EUGENIO ZOLLI, Prima dell’alba. A cura di Alberto Latorre. Ediz. San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 2004 pagg. 284
Le edizioni San Paolo hanno pubblicato nel 2002 su Eugenio Zolli il volume di J. Cabaud, Il rabbino che si arrese a Dio. La storia di Eugenio Zolli rabbino capo a Roma durante la seconda guerra mondiale (cfr.recensione in Firmana nn. 32-33). Ora viene opportuna la pubblicazione dell’autobiografia di Zolli. In copertina dopo il titolo Prima dell’alba c’è scritto, come sottotitolo: ”Autobiografia autorizzata”, mentre in prima pagina non c’è. Se è un’autobiografia certamente chi l’autorizza è l’autore, ma in questo caso l’autobiografia per la prima volta fu pubblicata in inglese col titolo Before the Down (Prima dell’alba) in occasione di un viaggio di Zolli in America. Si pensava quindi che lo scritto originale fosse in inglese. Invece è stato ritrovato il dattiloscritto in italiano e quindi c’è la certezza che l’inglese è una traduzione; nel “Congedo” del diario ringrazia “le reverende madri Williamson e Maranzana” che hanno curato la versione in inglese. Poiché tra il testo inglese e il dattiloscritto in italiano ci sono delle varianti, ad esempio, capitoli spostati ed altro, gli eredi hanno autorizzato la pubblicazione dell’originale italiano. Questo è precisato nella nota premessa al libro dal curatore del libro A. Latorre.
Queste le tappe principali della vita di Zolli. Nasce il 17 settembre 1881 a Brody, cittadina oggi nella Polonia, allora ai confini nord-ovest dell’impero austro-ungarico. Gli fu messo nome Israel. La sua lingua madre è quindi il tedesco. Quando Brody passò sotto l’amministrazione zarista, la famiglia si spostò a Leopoli, dove Zolli seguì studi classici e rabbinici. Nel 1904, dopo la morte dei genitori, lasciò la famiglia e si iscrisse all’università di Vienna dove rimase appena un semestre. Venne quindi a Firenze e si iscrisse alla facoltà di filosofia e contemporaneamente al Collegio Rabbinico Italiano. Completò gli studi con la laurea in filosofia all’università statale e con il titolo di rav (rabbino, maestro) al collegio rabbinico. Nel 1911 fu nominato vice-rabbino alla sinagoga di Trieste e nel 1913 rabbino e si ritrovò quindi in ambito austriaco; vi rimase fino al 1939. In quell’anno fu nominato rabbino capo della sinagoga di Roma. Qui visse tutta la tragedia degli ebrei di Roma nella bufera dell’occupazione nazista in Italia a seguito delle leggi razziali fasciste e della persecuzione tedesca contro gli ebrei nella capitale. Nel 1945 maturò la sua conversione al cristianesimo e il 13 febbraio ricevette il battesimo. Morì il 2 marzo 1956.
Quella di Zolli è un’autobiografia molto scarna di elementi cronologici e narrativi, ricca invece di considerazioni di carattere religioso, filosofico e teologico.
Del periodo a Brody ricorda la profonda religiosità della mamma e alcuni episodi come quando s’imbatté con un contadino che aveva sovraccaricato il suo cavallo, tanto che scivolò sul ghiaccio e il cavallo cadde; il ragazzo Israel si mise ad aiutare il povero contadino per far rialzare l’animale e per raccattare il carico. Tornò a casa in ritardo sul consueto orario e si ebbe dei rimproveri, ma tacque sull’opera buona che aveva fatto. Un altro episodio: un compagno s’era portato a scuola la boccettina dell’inchiostro vuota, ne chiese a Israel che gliene diede; il compagno, per averne di più, spinse improvvisamente il gomito di Israel, ma l’inchiostro fuoriuscì e gli macchiò il vestito e lo sporcò tutto. Zolli ricordando l’episodio scrive: “Non ero né indignato, né adirato; non sentivo per lui né odio né disprezzo. Non mi passò nemmeno per l’anticamera del cervello l’idea di denunciarlo al maestro. Non posso neppure dire di avergli perdonato. Nulla di tutto ciò. Per me il ragazzo era diventato una specie di non essere” (pag. 41). Tornato a casa raccontò tutto alla mamma, che lo consolò con tenerezza. Piccoli episodi che rivelano un temperamento calmo, un animo buono, ma anche fermo. Descrive particolarmente l’amico Stanislao presso cui andava spesso per passar del tempo e fare i compiti di scuola; ammirava questo compagno e la sua mamma, vedova, dolce, laboriosa, piena d’affetto verso il figlio per il quale non c’era mai bisogno di alzare la voce e tanto meno le mani. Avevano una casa semplice, ma dignitosa, c’era una grande stanza con alla parete un crocefisso e Israel lo guardava spesso quasi in contemplazione e si poneva interrogativi. Scrive: “Perché ‘questo’ fu crocefisso? Era cattivo? Oh che si crocefiggono tutti i cattivi? Se poi, fosse stato più cattivo degli altri, proprio tanto cattivo, perché tanta, proprio tanta gente lo segue? E perché le signore di mia madre … che pur seguono questo crocefisso sono tanto buone? La faccenda delle signore cominciava a divenire a sua volta uno strano ‘perché’. Come mai Stanislao e sua mamma, pure seguaci e adoratori di ‘questo’, sono tanto buoni? Perché noi ragazzi diventiamo così ‘diversi’ al cospetto di ‘questo’, e nella vicinanza di Stanislao e di sua madre?” (pag. 51). I corsivi sono originali <r.- aggiunti segni ‘ ’>, non nomina mai Gesù, ma questo personaggio diventa sempre più importante per lui. Le domande che il ragazzo Israel si poneva preludono ad un atteggiamento della vita che lo porta ad interrogarsi sugli uomini, i loro atteggiamenti, la loro fede e le loro pratiche religiose e forse sono un preludio ad interrogativi più profondi che insorgeranno nella maturità della vita con lo studio e un’attività attenta ai bisogni delle persone della propria religione e degli altri.
Del periodo degli studi all’università di Firenze e al Collegio rabbinico e poi della sua attività di rabbino a Trieste non racconta episodi, ma lascia trasparire una vita intensa caratterizzata da una forte tensione nel suo lavoro e una costante riflessione sui testi biblici non solo dell’Antico Testamento e del Talmud, ma anche sui testi del Nuovo Testamento: s’interroga sul ‘mistero’ della figura del servo di Dio nel profeta Isaia, sulla cultura giudaica e quella greca, sulla sete di Dio che traspare dai salmi, sul dialogo tra l’anima e Dio, l’io e Lui, s’interroga sulla sofferenza di Dio e la tristezza del Signore, sui vangeli e la persona di Gesù. Affronta la figura di Paolo ebreo e di Paolo cristiano e la posizione dell’apostolo nei confronti della Torah. Si appassiona nell’approfondire il cammino di ebrei arrivati alle soglie del cristianesimo come il filosofo Bergson. In maniera velata, perché descrive la sete che l’anima ha di Dio quando l’uomo ne è lontano, ma vi tende con tutte le forze e sente vibrare nel suo essere un’attrazione divina, descrive la sua tensione e il suo cammino. Scrive: “la sua anima stanca lo scorge dapprima flebilmente, si dibatte ancora nel dubbio. Ma poi si aggrappa disperatamente a lui e si lascia trascinare per una via estatica. E salendo di altezza in altezza, in quali sfere meravigliose viene condotta! “(pag. 133).
A partire dal capitolo Prima dell’alba, senza che il testo offra dati cronologici, si capisce che Zolli ormai si trova a Roma, con l’incarico di rabbino capo della sinagoga della capitale e le pagine del diario sono la memoria del suo travaglio interiore e del suo cammino verso Cristo, Si domanda se la conversione sia un’infedeltà alle origini, un tradire l’ebraismo e risponde a se stesso che è come la fioritura della primavera; ricorda la conversione di alcuni amici, richiama la figura di Edith Stein, della dottoressa Meirowsky, meno conosciuta della Stein, anch’essa ebrea convertita divenuta suora e morta martire nella persecuzione nazista, si ferma a lungo a descrivere la personalità, l’opera e il martirio di Massimiliano Kolbe, legge gli scritti delle origine cristiane, come la Didachè, nei quali vede continuità e novità nel passaggio dal giudaismo al cristianesimo, riflette sul concetto di coscienza e fede nelle lettere di S. Paolo e scrive: “ La coscienza non attinge la sua forza dalla legge, la quale spirituale e santa diletta la mente, resta pur tuttavia annullata (anche se assimilata) dal corpo di peccato, che è morte. L’uomo muore assieme al peccato attraverso il battesimo nella morte di Cristo. Risorto alla vita attraverso la crocefissione di Cristo l’uomo è libero dal peccato e la sua coscienza resta ormai totalmente e indissolubilmente legata al Padre, al Figlio, allo Spirito santo” (pag. 184s) e con S. Paolo e la Didachè prega: Marana’ ta’, Signore, vieni!
Gli ultimi tre capitoli hanno lo stile di una documentazione. La conversione di Zolli, rabbino capo della sinagoga di Roma, aveva creato non solo sorpresa tra gli ebrei della capi-tale, ma anche indignazione, accusa di tradimento, che sfociò in calunnie, quasi che egli avesse pensato a salvare se stesso e la sua famiglia e si fosse disinteressato della comunità ebraica durante l’occupazione nazista. Di fatto Zolli, che conosceva bene la lingua tedesca ed altre lingue aveva contatti con molte sinagoghe anche estere, fu preveggente nel capire le conseguenze dell’occupazione di Roma da parte dei tedeschi e intervenne presso personalità ebraiche autorevoli, che dirigevano uffici importanti del governo fascista ed erano legate a personaggi del regime, perché diffidassero delle assicurazioni provenienti dai ranghi del partito, ma non fu creduto. Zolli riporta un’ampia documentazione ufficiale, che dimostra la falsità delle accuse e rivendica il suo operato a favore dei suoi correligionari durante tutto il periodo terribile dell’occupazione nazista di Roma. Termina con un elogio dell’attività di Pio XII e dei padri Gesuiti per la salvezza di singoli e di gruppi di ebrei.
Il diario termina qui, Zolli non parla della sua conversione, del battesimo, né degli undici anni della vita dopo la conversione. Ora nel testo è riportato un breve capitolo in appendice, tradotto dall’inglese. Quest’appendice era stata pubblicata nell’edizione inglese del 1954, al curatore è sembrato opportuno aggiungerla all’edizione italiana. Zolli confessa che ogni conversione è avvolta nel mistero della grazia di Dio, e anche la sua, tuttavia rivede un cammino che in qualche modo ha preparato la risposta alla chiamata. Tutti gli riconoscevano una spiccata capacità riflessiva e una predisposizione al misticismo, anche se lui confessa di non averne avuta mai consapevolezza. Gli studi rabbinici, la lettura dell’Antico Testamento, del Talmud particolarmente delle parti midraschiche e soprattutto dello Zohar, gli hanno aperto l’anima verso una luce superiore, che ha trovato nel vangelo e nella persona di Gesù. Gesù era diventato il centro della sua vita, tutta la sua anima, in famiglia non si parlava che di Gesù. La chiamata avvenne quasi in forma visiva nel giorno della festa del Kippur, giorno dell’espiazione, di digiuno, di preghiera e di liturgia. Mentre presiedeva nella sinagoga il culto ebbe due momenti mistici. Scrive: “Iniziai a sentire come se una nebbia stesse insinuandosi nella mia anima: divenne più densa, e persi interamente il contatto con gli uomini e le cose attorno a me. Una candela, pressoché consumata, bruciava nel suo candeliere vicino a me. Appena la cera si fu liquefatta sul suo candeliere, la piccola fiamma brillò in una più grande, balzando verso il cielo. Rimasi affascinato dalla vista di ciò… La lingua di fuoco si agitava e si contorceva, tormentata; e la mia anima vi partecipava, soffriva… Subito dopo vidi con l’occhio della mente un prato stendersi in alto, con erba luminosa ma senza fiori. In questo prato vidi Gesù Cristo vestito con un mantello bianco, e oltre il suo capo il cielo blu. Provai la più grande pace interiore… Dentro il mio cuore trovai le parole: “Tu sei qui per l’ultima volta”. Le presi in considerazione con la più grande serenità di spirito e senza alcuna particolare emozione. La replica del mio cuore fu: “Così sia, così sarà, così deve essere”. Due momenti intensi distinti ma congiunti, il primo segnava la fine del suo tormento che sfociava in alto verso il cielo, il secondo la chiamata di colui che era diventato tutt’uno col suo cuore e lo invitava all’ultimo passo. Di fatti scrive Zolli: “Fu alcuni giorni dopo questi fatti che rinunciai al mio incarico in seno alla comunità ebraica e andai da un prete… per ricevere l’insegnamento cristiano… il 13 febbraio ricevetti il battesimo e venni incorporato nella Chiesa Cattolica, il corpo di Gesù Cristo” (pag. 274-75).
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GABRIELE MIOLA fa recensione del libro in FIRMANA anno 2003 nn. 32\33
JEAN CABAUD, Il rabbino che si arrese a Cristo. La storia di Eugenio Zolli rabbino capo a Roma durante la seconda guerra mondiale, Edizioni S. Paolo, Cinisello Balsamo (MI), 2002 pp.120.
\\qui di seguito un’altra diversa recensione per un libro dello Zolli \\
Questo titolo <della Cabaud> mi ha incuriosito, ho acquistato il libro e l’ho letto d’un fiato. Ricordavo il nome di Zolli dall’anno propedeutico alla teologia (1953- 54), nelle lezioni del corso di Apologetica. La conversione di Zolli, rabbino capo della sinagoga di Roma, nel 1945 aveva suscitato scalpore; ne sentii parlare ancora qualche rara volta negli anni di teologia alla Lateranense (54-58) e del Biblico (58-61), ma non avevo mai avuto l’opportunità di conoscerne la vita. Questo libretto della Cabaud, anch’essa ebrea convertita, me ne ha data l’occasione.
Questo libretto non è una biografia critica, è piuttosto una testimonianza. Scrive Messori nella presentazione: “Judith Cabaud non ha alcuna pretesa di porsi accanto alle opere della storiografia professionale. Molte cose, qui, sono soltanto accennate; molte altre necessitano di un approfondimento sulla base di una documentazione più vasta … L’autrice ha inteso il suo lavoro soprattutto come una testimonianza” (pag. 9).
Il lavoro della Cabaud sottolinea soprattutto il cammino spirituale di Zolli, che lo portò a vedere in Gesù e quindi nel cristianesimo la continuità e la pienezza delle Scritture ebraiche. Zolli infatti non si considerava “convertito, ma arrivato”.
Ecco alcuni dati biografici, desunti dal libro dalla Cabaud. Zolli nasce a Brody, città ai confini dell’impero austro-ungarico verso la Galizia polacca, ultimo di sei figli della famiglia Zoller (Zolli è cognome italianizzato) il 17 settembre 1881, ebbe il nome di Israel. La famiglia è benestante, il padre possiede una fabbrica a Lods (Polonia), ma quando quella zona della Polonia passò sotto l’amministrazione zarista, le fabbriche di proprietari stranieri vennero soppresse e la famiglia Zoller fu ridotta in povertà e si spostò a Lvov. Fece studi classici, ma con passione si dedicò anche a studi religiosi leggendo soprattutto la letteratura ebraica midrashica. Ottenne il “diploma di Maestro di religione”, che gli apriva la strada agli studi per la carriera di rabbino; lesse Maimonide, ma disdegnava tutta la casistica delle scuole rabbiniche; si appassionava a leggere Isaia e si aprì alla lettura del Nuovo Testamento e la Cabaud riporta una bella espressione dalle sue memorie: “Tutto questo mi sbalordiva: il Nuovo Testamento è, in effetti, un Testamento nuovo!” Nel 1904, morta la mamma, che gli aveva inculcato la passione per gli studi religiosi e per la quale nutriva una grande venerazione, lasciò la famiglia (che non rivedrà più) e si iscrisse all’Università di Vienna, ma per il serpeggiante antisemitismo, dopo pochi mesi lasciò l’Austria e venne in Italia. Si stabilì a Firenze dove si iscrisse alla facoltà di Filosofia presso l’Università statale e all’Istituto degli Alti Studi del Collegio rabbinico. Nel 1913 viene nominato vice-rabbino della città di Trieste e in quell’anno sposò Adele Litwak originaria di Lvov. Si ritrova così in ambito austro-ungarico, ma la lunga permanenza a Firenze l’aveva fatto innamorare dell’Italia e durante la guerra del ‘15-18, per i suoi sentimenti italiani, fu guardato a vista dalla polizia austriaca, ma egli si occupò prevalentemente, oltre che dei suoi compiti di vice-rabbino, dell’assistenza ai profughi ebrei cacciati dai paesi dell’est d’influenza russa. Dal 1918 al 1938 fu rabbino capo della sinagoga di Trieste ormai con cittadinanza italiana. Furono anni di intensa attività, ma soprattutto di studio e in particolare di confronto tra la tradizione ebraica e l’ebreo Gesù di Nazareth. Scrisse molti articoli e saggi per riviste italiane e tedesche, ma soprattutto pubblicò due opere significative: nel 1935 Israele: uno studio storico e religioso e nel 1938 II Nazareno. La Cabaud vede in queste due opere il grande cammino del rabbino verso una visione nuova che supera l’impostazione ebraica della pratica della legge e riporta questa frase di Zolli: “La Legge insegna ed indica il cammino; la corsa verso Dio passa attraverso la propria volontà. Conoscere è amare; noi amiamo con il cuore e non attraverso nozioni ricevute da fuori” (pag.37). Zolli ormai vede una continuità tra Antico e Nuovo Testamento. Gesù diventa sempre di più il personaggio di cui spesso si parla in casa. Intanto in Germania s’era scatenata la follia nazista contro gli Ebrei, ma anche in Italia, dopo un primo momento in cui Mussolini condannò la persecuzione di Hitler contro gli Ebrei, presto con le leggi razziali prima e con il patto d’acciaio poi (1938-39) gli Ebrei si trovarono in clima di persecuzione e di guerra. Il rabbino Zolli si prodigò in mille modi per aiutare Ebrei in difficoltà: da una parte favorendone la fuoriuscita verso la Palestina, dall’altra intervenendo presso le autorità, tanto che si meritò l’appellativo di rabbino buono.
Nel 1940 la comunità israelitica di Roma chiama Zolli ad occupare il posto vacante di Gran Rabbino. Zolli accettò e si trasferì nella capitale. Il libro della Cabaud si ferma a descrivere l’attività di Zolli in questi anni drammatici 1940-44 per la comunità ebraica della capitale, particolarmente il periodo dell’occupazione nazista di Roma dopo la caduta del fascismo del 9 settembre del 1943: emerge una figura di Zolli uomo di fede, di preghiera, ma anche di attività diplomatica, di interventi presso le autorità di Roma e del Vaticano, di aiuto ai correligionari ebrei, fino a quando i tedeschi eliminarono i rabbini di Genova, Firenze, Bologna e allora Zolli, su cui era stata posta una taglia di trecentomila lire, fu costretto con la sua famiglia a trovar ospitalità e rifugio in una famiglia cristiana fino all’arrivo degli alleati a Roma nel giugno del ‘44.
Zolli, con l’occupazione nazista di Roma, aveva perso la cittadinanza italiana e la funzione di Gran Rabbino della capitale, il 21 settembre dello stesso anno 44, con decreto ministeriale gli fu ridata la cittadinanza italiana e fu confermato Gran Rabbino della Comunità ebraica di Roma. L’esperienza della guerra, le leggi razziali di Mussolini, la persecuzione nazista a Roma gli fecero meditare sempre di più il profeta Isaia e particolarmente i carmi del servo. Ormai nel cuore del rabbino prendeva sempre più posto la figura di Gesù. Nell’autunno del 44 mentre presiedeva la liturgia del Yom Kippur, il giorno del grande perdono, nella sinagoga ebbe una grande esperienza mistica. L’autrice del libro riporta dalla autobiografia di Zolli questa testimonianza: “D’improvviso, con gli occhi dello spirito, vidi una grande prateria e, in piedi, in mezzo all’erba verde c’era Gesù Cristo rivestito di un manto bianco; sopra di Lui il cielo era tutto blu. A quella vista provai una pace indicibile… Allora in fondo al cuore sentii queste parole: Sei qui per l’ultima volta. D’ora in poi seguirai me! Le accolsi con la massima serenità e il mio cuore rispose immediatamente: Così sia, così è, così deve essere”.
Nel Gennaio del 1945 gli fu chiesto di riorganizzare il Collegio Rabbinico di Roma, cioè il centro degli studi ebraici, ma non accettò; ormai si stava aprendo un’altra strada davanti ai suoi occhi sempre più pieni della figura di Gesù il Nazareno. Prese contatto con padre Dezza, noto professore della Gregoriana e cominciò la sua preparazione al battesimo, che ricevette da monsignor Traglia il 13 febbraio 1945 e volle prendere il nome di Eugenio in onore di papa Pio XII, Eugenio Pacelli. Con lui fu battezzata anche la moglie Emma; la figlia Miriam seguì i genitori dopo un anno.
Negli ultimi tre brevi capitoli la Cabaud segue Zolli negli ultimi anni della sua vita. Morì a Roma il 2 marzo 1956 all’età di 74 anni. Entrando nella Chiesa, Zolli perse tutto, casa e stipendio, ma soprattutto fu oggetto di calunnie e denigrazione da parte degli Ebrei non solo di Roma, ma anche dell’ebraismo internazionale, fu trattato da apostata e scomunicato. Si ritrovò in estrema povertà, ma l’accettò volentieri; fu aiutato da padre Dezza e papa Pacelli volle che tenesse dei corsi all’Istituto Biblico e alla Gregoriana, fu chiamato a tenere qualche corso anche all’Università di Roma. Zolli non considerò mai il suo battesimo una conversione, ma l’approdo di una lunga navigazione: erano state le Scritture ebraiche che l’avevano portato alla fede in Gesù come conclusione di un cammino ininterrotto, il Nuovo Testamento non è che la continuazione, il compimento della promessa fatti ai padri. Sofia Cavalletti, nota per i suoi studi sulla patristica, sulla liturgia antica e sull’ebraismo, che fu sua assistente all’Università, gli rende questa testimonianza: “Lo scopo principale della sua vita era quello di insegnare che dall’Antico al Nuovo Testamento…c’è un lento cammino dello spirito verso le mete più elevate” (pag. 104).
Messori nella prefazione a questo libro lamenta che quella di Zolli sia una figura dimenticata, non solo (del resto comprensibile) presso gli Ebrei, ma anche preso i cattolici; si augura che dopo la traduzione in italiano e la pubblicazione di questo scritto della Cabaud possano riprendere gli studi su Zolli in maniera scientifica e si approfondisca quel motivo costante che ricorreva spesso sulla bocca e si ritrova negli scritti di Zolli che Antico e Nuovo Testamento formano un’unità. E un dato fondamentale della fede e della teologia cristiana e vale la pena approfondire come l’abbia scoperto nella vita, nello studio e negli scritti Eugenio Zolli.
Edito in FIRMANA nn.32\33 a. 2002
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EUGENIO ZOLLI, Prima dell’alba. A cura di Alberto Latorre. Ediz. San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 2004 pagg. 284
Le edizioni San Paolo hanno pubblicato nel 2002 su Eugenio Zolli il volume di J. Cabaud, Il rabbino che si arrese a Dio. La storia di Eugenio Zolli rabbino capo a Roma durante la seconda guerra mondiale (cfr.recensione in Firmana nn. 32-33). Ora viene opportuna la pubblicazione dell’autobiografia di Zolli. In copertina dopo il titolo Prima dell’alba c’è scritto, come sottotitolo: ”Autobiografia autorizzata”, mentre in prima pagina non c’è. Se è un’autobiografia certamente chi l’autorizza è l’autore, ma in questo caso l’autobiografia per la prima volta fu pubblicata in inglese col titolo Before the Down (Prima dell’alba) in occasione di un viaggio di Zolli in America. Si pensava quindi che lo scritto originale fosse in inglese. Invece è stato ritrovato il dattiloscritto in italiano e quindi c’è la certezza che l’inglese è una traduzione; nel “Congedo” del diario ringrazia “le reverende madri Williamson e Maranzana” che hanno curato la versione in inglese. Poiché tra il testo inglese e il dattiloscritto in italiano ci sono delle varianti, ad esempio, capitoli spostati ed altro, gli eredi hanno autorizzato la pubblicazione dell’originale italiano. Questo è precisato nella nota premessa al libro dal curatore del libro A. Latorre.
Queste le tappe principali della vita di Zolli. Nasce il 17 settembre 1881 a Brody, cittadina oggi nella Polonia, allora ai confini nord-ovest dell’impero austro-ungarico. Gli fu messo nome Israel. La sua lingua madre è quindi il tedesco. Quando Brody passò sotto l’amministrazione zarista, la famiglia si spostò a Leopoli, dove Zolli seguì studi classici e rabbinici. Nel 1904, dopo la morte dei genitori, lasciò la famiglia e si iscrisse all’università di Vienna dove rimase appena un semestre. Venne quindi a Firenze e si iscrisse alla facoltà di filosofia e contemporaneamente al Collegio Rabbinico Italiano. Completò gli studi con la laurea in filosofia all’università statale e con il titolo di rav (rabbino, maestro) al collegio rabbinico. Nel 1911 fu nominato vice-rabbino alla sinagoga di Trieste e nel 1913 rabbino e si ritrovò quindi in ambito austriaco; vi rimase fino al 1939. In quell’anno fu nominato rabbino capo della sinagoga di Roma. Qui visse tutta la tragedia degli ebrei di Roma nella bufera dell’occupazione nazista in Italia a seguito delle leggi razziali fasciste e della persecuzione tedesca contro gli ebrei nella capitale. Nel 1945 maturò la sua conversione al cristianesimo e il 13 febbraio ricevette il battesimo. Morì il 2 marzo 1956.
Quella di Zolli è un’autobiografia molto scarna di elementi cronologici e narrativi, ricca invece di considerazioni di carattere religioso, filosofico e teologico.
Del periodo a Brody ricorda la profonda religiosità della mamma e alcuni episodi come quando s’imbatté con un contadino che aveva sovraccaricato il suo cavallo, tanto che scivolò sul ghiaccio e il cavallo cadde; il ragazzo Israel si mise ad aiutare il povero contadino per far rialzare l’animale e per raccattare il carico. Tornò a casa in ritardo sul consueto orario e si ebbe dei rimproveri, ma tacque sull’opera buona che aveva fatto. Un altro episodio: un compagno s’era portato a scuola la boccettina dell’inchiostro vuota, ne chiese a Israel che gliene diede; il compagno, per averne di più, spinse improvvisamente il gomito di Israel, ma l’inchiostro fuoriuscì e gli macchiò il vestito e lo sporcò tutto. Zolli ricordando l’episodio scrive: “Non ero né indignato, né adirato; non sentivo per lui né odio né disprezzo. Non mi passò nemmeno per l’anticamera del cervello l’idea di denunciarlo al maestro. Non posso neppure dire di avergli perdonato. Nulla di tutto ciò. Per me il ragazzo era diventato una specie di non essere” (pag. 41). Tornato a casa raccontò tutto alla mamma, che lo consolò con tenerezza. Piccoli episodi che rivelano un temperamento calmo, un animo buono, ma anche fermo. Descrive particolarmente l’amico Stanislao presso cui andava spesso per passar del tempo e fare i compiti di scuola; ammirava questo compagno e la sua mamma, vedova, dolce, laboriosa, piena d’affetto verso il figlio per il quale non c’era mai bisogno di alzare la voce e tanto meno le mani. Avevano una casa semplice, ma dignitosa, c’era una grande stanza con alla parete un crocefisso e Israel lo guardava spesso quasi in contemplazione e si poneva interrogativi. Scrive: “Perché ‘questo’ fu crocefisso? Era cattivo? Oh che si crocefiggono tutti i cattivi? Se poi, fosse stato più cattivo degli altri, proprio tanto cattivo, perché tanta, proprio tanta gente lo segue? E perché le signore di mia madre … che pur seguono questo crocefisso sono tanto buone? La faccenda delle signore cominciava a divenire a sua volta uno strano ‘perché’. Come mai Stanislao e sua mamma, pure seguaci e adoratori di ‘questo’, sono tanto buoni? Perché noi ragazzi diventiamo così ‘diversi’ al cospetto di ‘questo’, e nella vicinanza di Stanislao e di sua madre?” (pag. 51). I corsivi sono originali <r.- aggiunti segni ‘ ’>, non nomina mai Gesù, ma questo personaggio diventa sempre più importante per lui. Le domande che il ragazzo Israel si poneva preludono ad un atteggiamento della vita che lo porta ad interrogarsi sugli uomini, i loro atteggiamenti, la loro fede e le loro pratiche religiose e forse sono un preludio ad interrogativi più profondi che insorgeranno nella maturità della vita con lo studio e un’attività attenta ai bisogni delle persone della propria religione e degli altri.
Del periodo degli studi all’università di Firenze e al Collegio rabbinico e poi della sua attività di rabbino a Trieste non racconta episodi, ma lascia trasparire una vita intensa caratterizzata da una forte tensione nel suo lavoro e una costante riflessione sui testi biblici non solo dell’Antico Testamento e del Talmud, ma anche sui testi del Nuovo Testamento: s’interroga sul ‘mistero’ della figura del servo di Dio nel profeta Isaia, sulla cultura giudaica e quella greca, sulla sete di Dio che traspare dai salmi, sul dialogo tra l’anima e Dio, l’io e Lui, s’interroga sulla sofferenza di Dio e la tristezza del Signore, sui vangeli e la persona di Gesù. Affronta la figura di Paolo ebreo e di Paolo cristiano e la posizione dell’apostolo nei confronti della Torah. Si appassiona nell’approfondire il cammino di ebrei arrivati alle soglie del cristianesimo come il filosofo Bergson. In maniera velata, perché descrive la sete che l’anima ha di Dio quando l’uomo ne è lontano, ma vi tende con tutte le forze e sente vibrare nel suo essere un’attrazione divina, descrive la sua tensione e il suo cammino. Scrive: “la sua anima stanca lo scorge dapprima flebilmente, si dibatte ancora nel dubbio. Ma poi si aggrappa disperatamente a lui e si lascia trascinare per una via estatica. E salendo di altezza in altezza, in quali sfere meravigliose viene condotta! “(pag. 133).
A partire dal capitolo Prima dell’alba, senza che il testo offra dati cronologici, si capisce che Zolli ormai si trova a Roma, con l’incarico di rabbino capo della sinagoga della capitale e le pagine del diario sono la memoria del suo travaglio interiore e del suo cammino verso Cristo, Si domanda se la conversione sia un’infedeltà alle origini, un tradire l’ebraismo e risponde a se stesso che è come la fioritura della primavera; ricorda la conversione di alcuni amici, richiama la figura di Edith Stein, della dottoressa Meirowsky, meno conosciuta della Stein, anch’essa ebrea convertita divenuta suora e morta martire nella persecuzione nazista, si ferma a lungo a descrivere la personalità, l’opera e il martirio di Massimiliano Kolbe, legge gli scritti delle origine cristiane, come la Didachè, nei quali vede continuità e novità nel passaggio dal giudaismo al cristianesimo, riflette sul concetto di coscienza e fede nelle lettere di S. Paolo e scrive: “ La coscienza non attinge la sua forza dalla legge, la quale spirituale e santa diletta la mente, resta pur tuttavia annullata (anche se assimilata) dal corpo di peccato, che è morte. L’uomo muore assieme al peccato attraverso il battesimo nella morte di Cristo. Risorto alla vita attraverso la crocefissione di Cristo l’uomo è libero dal peccato e la sua coscienza resta ormai totalmente e indissolubilmente legata al Padre, al Figlio, allo Spirito santo” (pag. 184s) e con S. Paolo e la Didachè prega: Marana’ ta’, Signore, vieni!
Gli ultimi tre capitoli hanno lo stile di una documentazione. La conversione di Zolli, rabbino capo della sinagoga di Roma, aveva creato non solo sorpresa tra gli ebrei della capi-tale, ma anche indignazione, accusa di tradimento, che sfociò in calunnie, quasi che egli avesse pensato a salvare se stesso e la sua famiglia e si fosse disinteressato della comunità ebraica durante l’occupazione nazista. Di fatto Zolli, che conosceva bene la lingua tedesca ed altre lingue aveva contatti con molte sinagoghe anche estere, fu preveggente nel capire le conseguenze dell’occupazione di Roma da parte dei tedeschi e intervenne presso personalità ebraiche autorevoli, che dirigevano uffici importanti del governo fascista ed erano legate a personaggi del regime, perché diffidassero delle assicurazioni provenienti dai ranghi del partito, ma non fu creduto. Zolli riporta un’ampia documentazione ufficiale, che dimostra la falsità delle accuse e rivendica il suo operato a favore dei suoi correligionari durante tutto il periodo terribile dell’occupazione nazista di Roma. Termina con un elogio dell’attività di Pio XII e dei padri Gesuiti per la salvezza di singoli e di gruppi di ebrei.
Il diario termina qui, Zolli non parla della sua conversione, del battesimo, né degli undici anni della vita dopo la conversione. Ora nel testo è riportato un breve capitolo in appendice, tradotto dall’inglese. Quest’appendice era stata pubblicata nell’edizione inglese del 1954, al curatore è sembrato opportuno aggiungerla all’edizione italiana. Zolli confessa che ogni conversione è avvolta nel mistero della grazia di Dio, e anche la sua, tuttavia rivede un cammino che in qualche modo ha preparato la risposta alla chiamata. Tutti gli riconoscevano una spiccata capacità riflessiva e una predisposizione al misticismo, anche se lui confessa di non averne avuta mai consapevolezza. Gli studi rabbinici, la lettura dell’Antico Testamento, del Talmud particolarmente delle parti midraschiche e soprattutto dello Zohar, gli hanno aperto l’anima verso una luce superiore, che ha trovato nel vangelo e nella persona di Gesù. Gesù era diventato il centro della sua vita, tutta la sua anima, in famiglia non si parlava che di Gesù. La chiamata avvenne quasi in forma visiva nel giorno della festa del Kippur, giorno dell’espiazione, di digiuno, di preghiera e di liturgia. Mentre presiedeva nella sinagoga il culto ebbe due momenti mistici. Scrive: “Iniziai a sentire come se una nebbia stesse insinuandosi nella mia anima: divenne più densa, e persi interamente il contatto con gli uomini e le cose attorno a me. Una candela, pressoché consumata, bruciava nel suo candeliere vicino a me. Appena la cera si fu liquefatta sul suo candeliere, la piccola fiamma brillò in una più grande, balzando verso il cielo. Rimasi affascinato dalla vista di ciò… La lingua di fuoco si agitava e si contorceva, tormentata; e la mia anima vi partecipava, soffriva… Subito dopo vidi con l’occhio della mente un prato stendersi in alto, con erba luminosa ma senza fiori. In questo prato vidi Gesù Cristo vestito con un mantello bianco, e oltre il suo capo il cielo blu. Provai la più grande pace interiore… Dentro il mio cuore trovai le parole: “Tu sei qui per l’ultima volta”. Le presi in considerazione con la più grande serenità di spirito e senza alcuna particolare emozione. La replica del mio cuore fu: “Così sia, così sarà, così deve essere”. Due momenti intensi distinti ma congiunti, il primo segnava la fine del suo tormento che sfociava in alto verso il cielo, il secondo la chiamata di colui che era diventato tutt’uno col suo cuore e lo invitava all’ultimo passo. Di fatti scrive Zolli: “Fu alcuni giorni dopo questi fatti che rinunciai al mio incarico in seno alla comunità ebraica e andai da un prete… per ricevere l’insegnamento cristiano… il 13 febbraio ricevetti il battesimo e venni incorporato nella Chiesa Cattolica, il corpo di Gesù Cristo” (pag. 274-75).
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GABRIELE MIOLA fa recensione del libro in FIRMANA anno 2003 nn. 32\33
JEAN CABAUD, Il rabbino che si arrese a Cristo. La storia di Eugenio Zolli rabbino capo a Roma durante la seconda guerra mondiale, Edizioni S. Paolo, Cinisello Balsamo (MI), 2002 pp.120.
\\qui di seguito un’altra diversa recensione per un libro dello Zolli \\
Questo titolo <della Cabaud> mi ha incuriosito, ho acquistato il libro e l’ho letto d’un fiato. Ricordavo il nome di Zolli dall’anno propedeutico alla teologia (1953- 54), nelle lezioni del corso di Apologetica. La conversione di Zolli, rabbino capo della sinagoga di Roma, nel 1945 aveva suscitato scalpore; ne sentii parlare ancora qualche rara volta negli anni di teologia alla Lateranense (54-58) e del Biblico (58-61), ma non avevo mai avuto l’opportunità di conoscerne la vita. Questo libretto della Cabaud, anch’essa ebrea convertita, me ne ha data l’occasione.
Questo libretto non è una biografia critica, è piuttosto una testimonianza. Scrive Messori nella presentazione: “Judith Cabaud non ha alcuna pretesa di porsi accanto alle opere della storiografia professionale. Molte cose, qui, sono soltanto accennate; molte altre necessitano di un approfondimento sulla base di una documentazione più vasta … L’autrice ha inteso il suo lavoro soprattutto come una testimonianza” (pag. 9).
Il lavoro della Cabaud sottolinea soprattutto il cammino spirituale di Zolli, che lo portò a vedere in Gesù e quindi nel cristianesimo la continuità e la pienezza delle Scritture ebraiche. Zolli infatti non si considerava “convertito, ma arrivato”.
Ecco alcuni dati biografici, desunti dal libro dalla Cabaud. Zolli nasce a Brody, città ai confini dell’impero austro-ungarico verso la Galizia polacca, ultimo di sei figli della famiglia Zoller (Zolli è cognome italianizzato) il 17 settembre 1881, ebbe il nome di Israel. La famiglia è benestante, il padre possiede una fabbrica a Lods (Polonia), ma quando quella zona della Polonia passò sotto l’amministrazione zarista, le fabbriche di proprietari stranieri vennero soppresse e la famiglia Zoller fu ridotta in povertà e si spostò a Lvov. Fece studi classici, ma con passione si dedicò anche a studi religiosi leggendo soprattutto la letteratura ebraica midrashica. Ottenne il “diploma di Maestro di religione”, che gli apriva la strada agli studi per la carriera di rabbino; lesse Maimonide, ma disdegnava tutta la casistica delle scuole rabbiniche; si appassionava a leggere Isaia e si aprì alla lettura del Nuovo Testamento e la Cabaud riporta una bella espressione dalle sue memorie: “Tutto questo mi sbalordiva: il Nuovo Testamento è, in effetti, un Testamento nuovo!” Nel 1904, morta la mamma, che gli aveva inculcato la passione per gli studi religiosi e per la quale nutriva una grande venerazione, lasciò la famiglia (che non rivedrà più) e si iscrisse all’Università di Vienna, ma per il serpeggiante antisemitismo, dopo pochi mesi lasciò l’Austria e venne in Italia. Si stabilì a Firenze dove si iscrisse alla facoltà di Filosofia presso l’Università statale e all’Istituto degli Alti Studi del Collegio rabbinico. Nel 1913 viene nominato vice-rabbino della città di Trieste e in quell’anno sposò Adele Litwak originaria di Lvov. Si ritrova così in ambito austro-ungarico, ma la lunga permanenza a Firenze l’aveva fatto innamorare dell’Italia e durante la guerra del ‘15-18, per i suoi sentimenti italiani, fu guardato a vista dalla polizia austriaca, ma egli si occupò prevalentemente, oltre che dei suoi compiti di vice-rabbino, dell’assistenza ai profughi ebrei cacciati dai paesi dell’est d’influenza russa. Dal 1918 al 1938 fu rabbino capo della sinagoga di Trieste ormai con cittadinanza italiana. Furono anni di intensa attività, ma soprattutto di studio e in particolare di confronto tra la tradizione ebraica e l’ebreo Gesù di Nazareth. Scrisse molti articoli e saggi per riviste italiane e tedesche, ma soprattutto pubblicò due opere significative: nel 1935 Israele: uno studio storico e religioso e nel 1938 II Nazareno. La Cabaud vede in queste due opere il grande cammino del rabbino verso una visione nuova che supera l’impostazione ebraica della pratica della legge e riporta questa frase di Zolli: “La Legge insegna ed indica il cammino; la corsa verso Dio passa attraverso la propria volontà. Conoscere è amare; noi amiamo con il cuore e non attraverso nozioni ricevute da fuori” (pag.37). Zolli ormai vede una continuità tra Antico e Nuovo Testamento. Gesù diventa sempre di più il personaggio di cui spesso si parla in casa. Intanto in Germania s’era scatenata la follia nazista contro gli Ebrei, ma anche in Italia, dopo un primo momento in cui Mussolini condannò la persecuzione di Hitler contro gli Ebrei, presto con le leggi razziali prima e con il patto d’acciaio poi (1938-39) gli Ebrei si trovarono in clima di persecuzione e di guerra. Il rabbino Zolli si prodigò in mille modi per aiutare Ebrei in difficoltà: da una parte favorendone la fuoriuscita verso la Palestina, dall’altra intervenendo presso le autorità, tanto che si meritò l’appellativo di rabbino buono.
Nel 1940 la comunità israelitica di Roma chiama Zolli ad occupare il posto vacante di Gran Rabbino. Zolli accettò e si trasferì nella capitale. Il libro della Cabaud si ferma a descrivere l’attività di Zolli in questi anni drammatici 1940-44 per la comunità ebraica della capitale, particolarmente il periodo dell’occupazione nazista di Roma dopo la caduta del fascismo del 9 settembre del 1943: emerge una figura di Zolli uomo di fede, di preghiera, ma anche di attività diplomatica, di interventi presso le autorità di Roma e del Vaticano, di aiuto ai correligionari ebrei, fino a quando i tedeschi eliminarono i rabbini di Genova, Firenze, Bologna e allora Zolli, su cui era stata posta una taglia di trecentomila lire, fu costretto con la sua famiglia a trovar ospitalità e rifugio in una famiglia cristiana fino all’arrivo degli alleati a Roma nel giugno del ‘44.
Zolli, con l’occupazione nazista di Roma, aveva perso la cittadinanza italiana e la funzione di Gran Rabbino della capitale, il 21 settembre dello stesso anno 44, con decreto ministeriale gli fu ridata la cittadinanza italiana e fu confermato Gran Rabbino della Comunità ebraica di Roma. L’esperienza della guerra, le leggi razziali di Mussolini, la persecuzione nazista a Roma gli fecero meditare sempre di più il profeta Isaia e particolarmente i carmi del servo. Ormai nel cuore del rabbino prendeva sempre più posto la figura di Gesù. Nell’autunno del 44 mentre presiedeva la liturgia del Yom Kippur, il giorno del grande perdono, nella sinagoga ebbe una grande esperienza mistica. L’autrice del libro riporta dalla autobiografia di Zolli questa testimonianza: “D’improvviso, con gli occhi dello spirito, vidi una grande prateria e, in piedi, in mezzo all’erba verde c’era Gesù Cristo rivestito di un manto bianco; sopra di Lui il cielo era tutto blu. A quella vista provai una pace indicibile… Allora in fondo al cuore sentii queste parole: Sei qui per l’ultima volta. D’ora in poi seguirai me! Le accolsi con la massima serenità e il mio cuore rispose immediatamente: Così sia, così è, così deve essere”.
Nel Gennaio del 1945 gli fu chiesto di riorganizzare il Collegio Rabbinico di Roma, cioè il centro degli studi ebraici, ma non accettò; ormai si stava aprendo un’altra strada davanti ai suoi occhi sempre più pieni della figura di Gesù il Nazareno. Prese contatto con padre Dezza, noto professore della Gregoriana e cominciò la sua preparazione al battesimo, che ricevette da monsignor Traglia il 13 febbraio 1945 e volle prendere il nome di Eugenio in onore di papa Pio XII, Eugenio Pacelli. Con lui fu battezzata anche la moglie Emma; la figlia Miriam seguì i genitori dopo un anno.
Negli ultimi tre brevi capitoli la Cabaud segue Zolli negli ultimi anni della sua vita. Morì a Roma il 2 marzo 1956 all’età di 74 anni. Entrando nella Chiesa, Zolli perse tutto, casa e stipendio, ma soprattutto fu oggetto di calunnie e denigrazione da parte degli Ebrei non solo di Roma, ma anche dell’ebraismo internazionale, fu trattato da apostata e scomunicato. Si ritrovò in estrema povertà, ma l’accettò volentieri; fu aiutato da padre Dezza e papa Pacelli volle che tenesse dei corsi all’Istituto Biblico e alla Gregoriana, fu chiamato a tenere qualche corso anche all’Università di Roma. Zolli non considerò mai il suo battesimo una conversione, ma l’approdo di una lunga navigazione: erano state le Scritture ebraiche che l’avevano portato alla fede in Gesù come conclusione di un cammino ininterrotto, il Nuovo Testamento non è che la continuazione, il compimento della promessa fatti ai padri. Sofia Cavalletti, nota per i suoi studi sulla patristica, sulla liturgia antica e sull’ebraismo, che fu sua assistente all’Università, gli rende questa testimonianza: “Lo scopo principale della sua vita era quello di insegnare che dall’Antico al Nuovo Testamento…c’è un lento cammino dello spirito verso le mete più elevate” (pag. 104).
Messori nella prefazione a questo libro lamenta che quella di Zolli sia una figura dimenticata, non solo (del resto comprensibile) presso gli Ebrei, ma anche preso i cattolici; si augura che dopo la traduzione in italiano e la pubblicazione di questo scritto della Cabaud possano riprendere gli studi su Zolli in maniera scientifica e si approfondisca quel motivo costante che ricorreva spesso sulla bocca e si ritrova negli scritti di Zolli che Antico e Nuovo Testamento formano un’unità. E un dato fondamentale della fede e della teologia cristiana e vale la pena approfondire come l’abbia scoperto nella vita, nello studio e negli scritti Eugenio Zolli.
Edito in FIRMANA nn.32\33 a. 2002
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EUGENIO ZOLLI, Prima dell’alba. A cura di Alberto Latorre. Ediz. San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 2004 pagg. 284
Le edizioni San Paolo hanno pubblicato nel 2002 su Eugenio Zolli il volume di J. Cabaud, Il rabbino che si arrese a Dio. La storia di Eugenio Zolli rabbino capo a Roma durante la seconda guerra mondiale (cfr.recensione in Firmana nn. 32-33). Ora viene opportuna la pubblicazione dell’autobiografia di Zolli. In copertina dopo il titolo Prima dell’alba c’è scritto, come sottotitolo: ”Autobiografia autorizzata”, mentre in prima pagina non c’è. Se è un’autobiografia certamente chi l’autorizza è l’autore, ma in questo caso l’autobiografia per la prima volta fu pubblicata in inglese col titolo Before the Down (Prima dell’alba) in occasione di un viaggio di Zolli in America. Si pensava quindi che lo scritto originale fosse in inglese. Invece è stato ritrovato il dattiloscritto in italiano e quindi c’è la certezza che l’inglese è una traduzione; nel “Congedo” del diario ringrazia “le reverende madri Williamson e Maranzana” che hanno curato la versione in inglese. Poiché tra il testo inglese e il dattiloscritto in italiano ci sono delle varianti, ad esempio, capitoli spostati ed altro, gli eredi hanno autorizzato la pubblicazione dell’originale italiano. Questo è precisato nella nota premessa al libro dal curatore del libro A. Latorre.
Queste le tappe principali della vita di Zolli. Nasce il 17 settembre 1881 a Brody, cittadina oggi nella Polonia, allora ai confini nord-ovest dell’impero austro-ungarico. Gli fu messo nome Israel. La sua lingua madre è quindi il tedesco. Quando Brody passò sotto l’amministrazione zarista, la famiglia si spostò a Leopoli, dove Zolli seguì studi classici e rabbinici. Nel 1904, dopo la morte dei genitori, lasciò la famiglia e si iscrisse all’università di Vienna dove rimase appena un semestre. Venne quindi a Firenze e si iscrisse alla facoltà di filosofia e contemporaneamente al Collegio Rabbinico Italiano. Completò gli studi con la laurea in filosofia all’università statale e con il titolo di rav (rabbino, maestro) al collegio rabbinico. Nel 1911 fu nominato vice-rabbino alla sinagoga di Trieste e nel 1913 rabbino e si ritrovò quindi in ambito austriaco; vi rimase fino al 1939. In quell’anno fu nominato rabbino capo della sinagoga di Roma. Qui visse tutta la tragedia degli ebrei di Roma nella bufera dell’occupazione nazista in Italia a seguito delle leggi razziali fasciste e della persecuzione tedesca contro gli ebrei nella capitale. Nel 1945 maturò la sua conversione al cristianesimo e il 13 febbraio ricevette il battesimo. Morì il 2 marzo 1956.
Quella di Zolli è un’autobiografia molto scarna di elementi cronologici e narrativi, ricca invece di considerazioni di carattere religioso, filosofico e teologico.
Del periodo a Brody ricorda la profonda religiosità della mamma e alcuni episodi come quando s’imbatté con un contadino che aveva sovraccaricato il suo cavallo, tanto che scivolò sul ghiaccio e il cavallo cadde; il ragazzo Israel si mise ad aiutare il povero contadino per far rialzare l’animale e per raccattare il carico. Tornò a casa in ritardo sul consueto orario e si ebbe dei rimproveri, ma tacque sull’opera buona che aveva fatto. Un altro episodio: un compagno s’era portato a scuola la boccettina dell’inchiostro vuota, ne chiese a Israel che gliene diede; il compagno, per averne di più, spinse improvvisamente il gomito di Israel, ma l’inchiostro fuoriuscì e gli macchiò il vestito e lo sporcò tutto. Zolli ricordando l’episodio scrive: “Non ero né indignato, né adirato; non sentivo per lui né odio né disprezzo. Non mi passò nemmeno per l’anticamera del cervello l’idea di denunciarlo al maestro. Non posso neppure dire di avergli perdonato. Nulla di tutto ciò. Per me il ragazzo era diventato una specie di non essere” (pag. 41). Tornato a casa raccontò tutto alla mamma, che lo consolò con tenerezza. Piccoli episodi che rivelano un temperamento calmo, un animo buono, ma anche fermo. Descrive particolarmente l’amico Stanislao presso cui andava spesso per passar del tempo e fare i compiti di scuola; ammirava questo compagno e la sua mamma, vedova, dolce, laboriosa, piena d’affetto verso il figlio per il quale non c’era mai bisogno di alzare la voce e tanto meno le mani. Avevano una casa semplice, ma dignitosa, c’era una grande stanza con alla parete un crocefisso e Israel lo guardava spesso quasi in contemplazione e si poneva interrogativi. Scrive: “Perché ‘questo’ fu crocefisso? Era cattivo? Oh che si crocefiggono tutti i cattivi? Se poi, fosse stato più cattivo degli altri, proprio tanto cattivo, perché tanta, proprio tanta gente lo segue? E perché le signore di mia madre … che pur seguono questo crocefisso sono tanto buone? La faccenda delle signore cominciava a divenire a sua volta uno strano ‘perché’. Come mai Stanislao e sua mamma, pure seguaci e adoratori di ‘questo’, sono tanto buoni? Perché noi ragazzi diventiamo così ‘diversi’ al cospetto di ‘questo’, e nella vicinanza di Stanislao e di sua madre?” (pag. 51). I corsivi sono originali <r.- aggiunti segni ‘ ’>, non nomina mai Gesù, ma questo personaggio diventa sempre più importante per lui. Le domande che il ragazzo Israel si poneva preludono ad un atteggiamento della vita che lo porta ad interrogarsi sugli uomini, i loro atteggiamenti, la loro fede e le loro pratiche religiose e forse sono un preludio ad interrogativi più profondi che insorgeranno nella maturità della vita con lo studio e un’attività attenta ai bisogni delle persone della propria religione e degli altri.
Del periodo degli studi all’università di Firenze e al Collegio rabbinico e poi della sua attività di rabbino a Trieste non racconta episodi, ma lascia trasparire una vita intensa caratterizzata da una forte tensione nel suo lavoro e una costante riflessione sui testi biblici non solo dell’Antico Testamento e del Talmud, ma anche sui testi del Nuovo Testamento: s’interroga sul ‘mistero’ della figura del servo di Dio nel profeta Isaia, sulla cultura giudaica e quella greca, sulla sete di Dio che traspare dai salmi, sul dialogo tra l’anima e Dio, l’io e Lui, s’interroga sulla sofferenza di Dio e la tristezza del Signore, sui vangeli e la persona di Gesù. Affronta la figura di Paolo ebreo e di Paolo cristiano e la posizione dell’apostolo nei confronti della Torah. Si appassiona nell’approfondire il cammino di ebrei arrivati alle soglie del cristianesimo come il filosofo Bergson. In maniera velata, perché descrive la sete che l’anima ha di Dio quando l’uomo ne è lontano, ma vi tende con tutte le forze e sente vibrare nel suo essere un’attrazione divina, descrive la sua tensione e il suo cammino. Scrive: “la sua anima stanca lo scorge dapprima flebilmente, si dibatte ancora nel dubbio. Ma poi si aggrappa disperatamente a lui e si lascia trascinare per una via estatica. E salendo di altezza in altezza, in quali sfere meravigliose viene condotta! “(pag. 133).
A partire dal capitolo Prima dell’alba, senza che il testo offra dati cronologici, si capisce che Zolli ormai si trova a Roma, con l’incarico di rabbino capo della sinagoga della capitale e le pagine del diario sono la memoria del suo travaglio interiore e del suo cammino verso Cristo, Si domanda se la conversione sia un’infedeltà alle origini, un tradire l’ebraismo e risponde a se stesso che è come la fioritura della primavera; ricorda la conversione di alcuni amici, richiama la figura di Edith Stein, della dottoressa Meirowsky, meno conosciuta della Stein, anch’essa ebrea convertita divenuta suora e morta martire nella persecuzione nazista, si ferma a lungo a descrivere la personalità, l’opera e il martirio di Massimiliano Kolbe, legge gli scritti delle origine cristiane, come la Didachè, nei quali vede continuità e novità nel passaggio dal giudaismo al cristianesimo, riflette sul concetto di coscienza e fede nelle lettere di S. Paolo e scrive: “ La coscienza non attinge la sua forza dalla legge, la quale spirituale e santa diletta la mente, resta pur tuttavia annullata (anche se assimilata) dal corpo di peccato, che è morte. L’uomo muore assieme al peccato attraverso il battesimo nella morte di Cristo. Risorto alla vita attraverso la crocefissione di Cristo l’uomo è libero dal peccato e la sua coscienza resta ormai totalmente e indissolubilmente legata al Padre, al Figlio, allo Spirito santo” (pag. 184s) e con S. Paolo e la Didachè prega: Marana’ ta’, Signore, vieni!
Gli ultimi tre capitoli hanno lo stile di una documentazione. La conversione di Zolli, rabbino capo della sinagoga di Roma, aveva creato non solo sorpresa tra gli ebrei della capi-tale, ma anche indignazione, accusa di tradimento, che sfociò in calunnie, quasi che egli avesse pensato a salvare se stesso e la sua famiglia e si fosse disinteressato della comunità ebraica durante l’occupazione nazista. Di fatto Zolli, che conosceva bene la lingua tedesca ed altre lingue aveva contatti con molte sinagoghe anche estere, fu preveggente nel capire le conseguenze dell’occupazione di Roma da parte dei tedeschi e intervenne presso personalità ebraiche autorevoli, che dirigevano uffici importanti del governo fascista ed erano legate a personaggi del regime, perché diffidassero delle assicurazioni provenienti dai ranghi del partito, ma non fu creduto. Zolli riporta un’ampia documentazione ufficiale, che dimostra la falsità delle accuse e rivendica il suo operato a favore dei suoi correligionari durante tutto il periodo terribile dell’occupazione nazista di Roma. Termina con un elogio dell’attività di Pio XII e dei padri Gesuiti per la salvezza di singoli e di gruppi di ebrei.
Il diario termina qui, Zolli non parla della sua conversione, del battesimo, né degli undici anni della vita dopo la conversione. Ora nel testo è riportato un breve capitolo in appendice, tradotto dall’inglese. Quest’appendice era stata pubblicata nell’edizione inglese del 1954, al curatore è sembrato opportuno aggiungerla all’edizione italiana. Zolli confessa che ogni conversione è avvolta nel mistero della grazia di Dio, e anche la sua, tuttavia rivede un cammino che in qualche modo ha preparato la risposta alla chiamata. Tutti gli riconoscevano una spiccata capacità riflessiva e una predisposizione al misticismo, anche se lui confessa di non averne avuta mai consapevolezza. Gli studi rabbinici, la lettura dell’Antico Testamento, del Talmud particolarmente delle parti midraschiche e soprattutto dello Zohar, gli hanno aperto l’anima verso una luce superiore, che ha trovato nel vangelo e nella persona di Gesù. Gesù era diventato il centro della sua vita, tutta la sua anima, in famiglia non si parlava che di Gesù. La chiamata avvenne quasi in forma visiva nel giorno della festa del Kippur, giorno dell’espiazione, di digiuno, di preghiera e di liturgia. Mentre presiedeva nella sinagoga il culto ebbe due momenti mistici. Scrive: “Iniziai a sentire come se una nebbia stesse insinuandosi nella mia anima: divenne più densa, e persi interamente il contatto con gli uomini e le cose attorno a me. Una candela, pressoché consumata, bruciava nel suo candeliere vicino a me. Appena la cera si fu liquefatta sul suo candeliere, la piccola fiamma brillò in una più grande, balzando verso il cielo. Rimasi affascinato dalla vista di ciò… La lingua di fuoco si agitava e si contorceva, tormentata; e la mia anima vi partecipava, soffriva… Subito dopo vidi con l’occhio della mente un prato stendersi in alto, con erba luminosa ma senza fiori. In questo prato vidi Gesù Cristo vestito con un mantello bianco, e oltre il suo capo il cielo blu. Provai la più grande pace interiore… Dentro il mio cuore trovai le parole: “Tu sei qui per l’ultima volta”. Le presi in considerazione con la più grande serenità di spirito e senza alcuna particolare emozione. La replica del mio cuore fu: “Così sia, così sarà, così deve essere”. Due momenti intensi distinti ma congiunti, il primo segnava la fine del suo tormento che sfociava in alto verso il cielo, il secondo la chiamata di colui che era diventato tutt’uno col suo cuore e lo invitava all’ultimo passo. Di fatti scrive Zolli: “Fu alcuni giorni dopo questi fatti che rinunciai al mio incarico in seno alla comunità ebraica e andai da un prete… per ricevere l’insegnamento cristiano… il 13 febbraio ricevetti il battesimo e venni incorporato nella Chiesa Cattolica, il corpo di Gesù Cristo” (pag. 274-75).
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GABRIELE MIOLA fa recensione del libro in FIRMANA anno 2003 nn. 32\33
JEAN CABAUD, Il rabbino che si arrese a Cristo. La storia di Eugenio Zolli rabbino capo a Roma durante la seconda guerra mondiale, Edizioni S. Paolo, Cinisello Balsamo (MI), 2002 pp.120.
\\qui di seguito un’altra diversa recensione per un libro dello Zolli \\
Questo titolo <della Cabaud> mi ha incuriosito, ho acquistato il libro e l’ho letto d’un fiato. Ricordavo il nome di Zolli dall’anno propedeutico alla teologia (1953- 54), nelle lezioni del corso di Apologetica. La conversione di Zolli, rabbino capo della sinagoga di Roma, nel 1945 aveva suscitato scalpore; ne sentii parlare ancora qualche rara volta negli anni di teologia alla Lateranense (54-58) e del Biblico (58-61), ma non avevo mai avuto l’opportunità di conoscerne la vita. Questo libretto della Cabaud, anch’essa ebrea convertita, me ne ha data l’occasione.
Questo libretto non è una biografia critica, è piuttosto una testimonianza. Scrive Messori nella presentazione: “Judith Cabaud non ha alcuna pretesa di porsi accanto alle opere della storiografia professionale. Molte cose, qui, sono soltanto accennate; molte altre necessitano di un approfondimento sulla base di una documentazione più vasta … L’autrice ha inteso il suo lavoro soprattutto come una testimonianza” (pag. 9).
Il lavoro della Cabaud sottolinea soprattutto il cammino spirituale di Zolli, che lo portò a vedere in Gesù e quindi nel cristianesimo la continuità e la pienezza delle Scritture ebraiche. Zolli infatti non si considerava “convertito, ma arrivato”.
Ecco alcuni dati biografici, desunti dal libro dalla Cabaud. Zolli nasce a Brody, città ai confini dell’impero austro-ungarico verso la Galizia polacca, ultimo di sei figli della famiglia Zoller (Zolli è cognome italianizzato) il 17 settembre 1881, ebbe il nome di Israel. La famiglia è benestante, il padre possiede una fabbrica a Lods (Polonia), ma quando quella zona della Polonia passò sotto l’amministrazione zarista, le fabbriche di proprietari stranieri vennero soppresse e la famiglia Zoller fu ridotta in povertà e si spostò a Lvov. Fece studi classici, ma con passione si dedicò anche a studi religiosi leggendo soprattutto la letteratura ebraica midrashica. Ottenne il “diploma di Maestro di religione”, che gli apriva la strada agli studi per la carriera di rabbino; lesse Maimonide, ma disdegnava tutta la casistica delle scuole rabbiniche; si appassionava a leggere Isaia e si aprì alla lettura del Nuovo Testamento e la Cabaud riporta una bella espressione dalle sue memorie: “Tutto questo mi sbalordiva: il Nuovo Testamento è, in effetti, un Testamento nuovo!” Nel 1904, morta la mamma, che gli aveva inculcato la passione per gli studi religiosi e per la quale nutriva una grande venerazione, lasciò la famiglia (che non rivedrà più) e si iscrisse all’Università di Vienna, ma per il serpeggiante antisemitismo, dopo pochi mesi lasciò l’Austria e venne in Italia. Si stabilì a Firenze dove si iscrisse alla facoltà di Filosofia presso l’Università statale e all’Istituto degli Alti Studi del Collegio rabbinico. Nel 1913 viene nominato vice-rabbino della città di Trieste e in quell’anno sposò Adele Litwak originaria di Lvov. Si ritrova così in ambito austro-ungarico, ma la lunga permanenza a Firenze l’aveva fatto innamorare dell’Italia e durante la guerra del ‘15-18, per i suoi sentimenti italiani, fu guardato a vista dalla polizia austriaca, ma egli si occupò prevalentemente, oltre che dei suoi compiti di vice-rabbino, dell’assistenza ai profughi ebrei cacciati dai paesi dell’est d’influenza russa. Dal 1918 al 1938 fu rabbino capo della sinagoga di Trieste ormai con cittadinanza italiana. Furono anni di intensa attività, ma soprattutto di studio e in particolare di confronto tra la tradizione ebraica e l’ebreo Gesù di Nazareth. Scrisse molti articoli e saggi per riviste italiane e tedesche, ma soprattutto pubblicò due opere significative: nel 1935 Israele: uno studio storico e religioso e nel 1938 II Nazareno. La Cabaud vede in queste due opere il grande cammino del rabbino verso una visione nuova che supera l’impostazione ebraica della pratica della legge e riporta questa frase di Zolli: “La Legge insegna ed indica il cammino; la corsa verso Dio passa attraverso la propria volontà. Conoscere è amare; noi amiamo con il cuore e non attraverso nozioni ricevute da fuori” (pag.37). Zolli ormai vede una continuità tra Antico e Nuovo Testamento. Gesù diventa sempre di più il personaggio di cui spesso si parla in casa. Intanto in Germania s’era scatenata la follia nazista contro gli Ebrei, ma anche in Italia, dopo un primo momento in cui Mussolini condannò la persecuzione di Hitler contro gli Ebrei, presto con le leggi razziali prima e con il patto d’acciaio poi (1938-39) gli Ebrei si trovarono in clima di persecuzione e di guerra. Il rabbino Zolli si prodigò in mille modi per aiutare Ebrei in difficoltà: da una parte favorendone la fuoriuscita verso la Palestina, dall’altra intervenendo presso le autorità, tanto che si meritò l’appellativo di rabbino buono.
Nel 1940 la comunità israelitica di Roma chiama Zolli ad occupare il posto vacante di Gran Rabbino. Zolli accettò e si trasferì nella capitale. Il libro della Cabaud si ferma a descrivere l’attività di Zolli in questi anni drammatici 1940-44 per la comunità ebraica della capitale, particolarmente il periodo dell’occupazione nazista di Roma dopo la caduta del fascismo del 9 settembre del 1943: emerge una figura di Zolli uomo di fede, di preghiera, ma anche di attività diplomatica, di interventi presso le autorità di Roma e del Vaticano, di aiuto ai correligionari ebrei, fino a quando i tedeschi eliminarono i rabbini di Genova, Firenze, Bologna e allora Zolli, su cui era stata posta una taglia di trecentomila lire, fu costretto con la sua famiglia a trovar ospitalità e rifugio in una famiglia cristiana fino all’arrivo degli alleati a Roma nel giugno del ‘44.
Zolli, con l’occupazione nazista di Roma, aveva perso la cittadinanza italiana e la funzione di Gran Rabbino della capitale, il 21 settembre dello stesso anno 44, con decreto ministeriale gli fu ridata la cittadinanza italiana e fu confermato Gran Rabbino della Comunità ebraica di Roma. L’esperienza della guerra, le leggi razziali di Mussolini, la persecuzione nazista a Roma gli fecero meditare sempre di più il profeta Isaia e particolarmente i carmi del servo. Ormai nel cuore del rabbino prendeva sempre più posto la figura di Gesù. Nell’autunno del 44 mentre presiedeva la liturgia del Yom Kippur, il giorno del grande perdono, nella sinagoga ebbe una grande esperienza mistica. L’autrice del libro riporta dalla autobiografia di Zolli questa testimonianza: “D’improvviso, con gli occhi dello spirito, vidi una grande prateria e, in piedi, in mezzo all’erba verde c’era Gesù Cristo rivestito di un manto bianco; sopra di Lui il cielo era tutto blu. A quella vista provai una pace indicibile… Allora in fondo al cuore sentii queste parole: Sei qui per l’ultima volta. D’ora in poi seguirai me! Le accolsi con la massima serenità e il mio cuore rispose immediatamente: Così sia, così è, così deve essere”.
Nel Gennaio del 1945 gli fu chiesto di riorganizzare il Collegio Rabbinico di Roma, cioè il centro degli studi ebraici, ma non accettò; ormai si stava aprendo un’altra strada davanti ai suoi occhi sempre più pieni della figura di Gesù il Nazareno. Prese contatto con padre Dezza, noto professore della Gregoriana e cominciò la sua preparazione al battesimo, che ricevette da monsignor Traglia il 13 febbraio 1945 e volle prendere il nome di Eugenio in onore di papa Pio XII, Eugenio Pacelli. Con lui fu battezzata anche la moglie Emma; la figlia Miriam seguì i genitori dopo un anno.
Negli ultimi tre brevi capitoli la Cabaud segue Zolli negli ultimi anni della sua vita. Morì a Roma il 2 marzo 1956 all’età di 74 anni. Entrando nella Chiesa, Zolli perse tutto, casa e stipendio, ma soprattutto fu oggetto di calunnie e denigrazione da parte degli Ebrei non solo di Roma, ma anche dell’ebraismo internazionale, fu trattato da apostata e scomunicato. Si ritrovò in estrema povertà, ma l’accettò volentieri; fu aiutato da padre Dezza e papa Pacelli volle che tenesse dei corsi all’Istituto Biblico e alla Gregoriana, fu chiamato a tenere qualche corso anche all’Università di Roma. Zolli non considerò mai il suo battesimo una conversione, ma l’approdo di una lunga navigazione: erano state le Scritture ebraiche che l’avevano portato alla fede in Gesù come conclusione di un cammino ininterrotto, il Nuovo Testamento non è che la continuazione, il compimento della promessa fatti ai padri. Sofia Cavalletti, nota per i suoi studi sulla patristica, sulla liturgia antica e sull’ebraismo, che fu sua assistente all’Università, gli rende questa testimonianza: “Lo scopo principale della sua vita era quello di insegnare che dall’Antico al Nuovo Testamento…c’è un lento cammino dello spirito verso le mete più elevate” (pag. 104).
Messori nella prefazione a questo libro lamenta che quella di Zolli sia una figura dimenticata, non solo (del resto comprensibile) presso gli Ebrei, ma anche preso i cattolici; si augura che dopo la traduzione in italiano e la pubblicazione di questo scritto della Cabaud possano riprendere gli studi su Zolli in maniera scientifica e si approfondisca quel motivo costante che ricorreva spesso sulla bocca e si ritrova negli scritti di Zolli che Antico e Nuovo Testamento formano un’unità. E un dato fondamentale della fede e della teologia cristiana e vale la pena approfondire come l’abbia scoperto nella vita, nello studio e negli scritti Eugenio Zolli.
Edito in FIRMANA nn.32\33 a. 2002
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EUGENIO ZOLLI, Prima dell’alba. A cura di Alberto Latorre. Ediz. San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 2004 pagg. 284
Le edizioni San Paolo hanno pubblicato nel 2002 su Eugenio Zolli il volume di J. Cabaud, Il rabbino che si arrese a Dio. La storia di Eugenio Zolli rabbino capo a Roma durante la seconda guerra mondiale (cfr.recensione in Firmana nn. 32-33). Ora viene opportuna la pubblicazione dell’autobiografia di Zolli. In copertina dopo il titolo Prima dell’alba c’è scritto, come sottotitolo: ”Autobiografia autorizzata”, mentre in prima pagina non c’è. Se è un’autobiografia certamente chi l’autorizza è l’autore, ma in questo caso l’autobiografia per la prima volta fu pubblicata in inglese col titolo Before the Down (Prima dell’alba) in occasione di un viaggio di Zolli in America. Si pensava quindi che lo scritto originale fosse in inglese. Invece è stato ritrovato il dattiloscritto in italiano e quindi c’è la certezza che l’inglese è una traduzione; nel “Congedo” del diario ringrazia “le reverende madri Williamson e Maranzana” che hanno curato la versione in inglese. Poiché tra il testo inglese e il dattiloscritto in italiano ci sono delle varianti, ad esempio, capitoli spostati ed altro, gli eredi hanno autorizzato la pubblicazione dell’originale italiano. Questo è precisato nella nota premessa al libro dal curatore del libro A. Latorre.
Queste le tappe principali della vita di Zolli. Nasce il 17 settembre 1881 a Brody, cittadina oggi nella Polonia, allora ai confini nord-ovest dell’impero austro-ungarico. Gli fu messo nome Israel. La sua lingua madre è quindi il tedesco. Quando Brody passò sotto l’amministrazione zarista, la famiglia si spostò a Leopoli, dove Zolli seguì studi classici e rabbinici. Nel 1904, dopo la morte dei genitori, lasciò la famiglia e si iscrisse all’università di Vienna dove rimase appena un semestre. Venne quindi a Firenze e si iscrisse alla facoltà di filosofia e contemporaneamente al Collegio Rabbinico Italiano. Completò gli studi con la laurea in filosofia all’università statale e con il titolo di rav (rabbino, maestro) al collegio rabbinico. Nel 1911 fu nominato vice-rabbino alla sinagoga di Trieste e nel 1913 rabbino e si ritrovò quindi in ambito austriaco; vi rimase fino al 1939. In quell’anno fu nominato rabbino capo della sinagoga di Roma. Qui visse tutta la tragedia degli ebrei di Roma nella bufera dell’occupazione nazista in Italia a seguito delle leggi razziali fasciste e della persecuzione tedesca contro gli ebrei nella capitale. Nel 1945 maturò la sua conversione al cristianesimo e il 13 febbraio ricevette il battesimo. Morì il 2 marzo 1956.
Quella di Zolli è un’autobiografia molto scarna di elementi cronologici e narrativi, ricca invece di considerazioni di carattere religioso, filosofico e teologico.
Del periodo a Brody ricorda la profonda religiosità della mamma e alcuni episodi come quando s’imbatté con un contadino che aveva sovraccaricato il suo cavallo, tanto che scivolò sul ghiaccio e il cavallo cadde; il ragazzo Israel si mise ad aiutare il povero contadino per far rialzare l’animale e per raccattare il carico. Tornò a casa in ritardo sul consueto orario e si ebbe dei rimproveri, ma tacque sull’opera buona che aveva fatto. Un altro episodio: un compagno s’era portato a scuola la boccettina dell’inchiostro vuota, ne chiese a Israel che gliene diede; il compagno, per averne di più, spinse improvvisamente il gomito di Israel, ma l’inchiostro fuoriuscì e gli macchiò il vestito e lo sporcò tutto. Zolli ricordando l’episodio scrive: “Non ero né indignato, né adirato; non sentivo per lui né odio né disprezzo. Non mi passò nemmeno per l’anticamera del cervello l’idea di denunciarlo al maestro. Non posso neppure dire di avergli perdonato. Nulla di tutto ciò. Per me il ragazzo era diventato una specie di non essere” (pag. 41). Tornato a casa raccontò tutto alla mamma, che lo consolò con tenerezza. Piccoli episodi che rivelano un temperamento calmo, un animo buono, ma anche fermo. Descrive particolarmente l’amico Stanislao presso cui andava spesso per passar del tempo e fare i compiti di scuola; ammirava questo compagno e la sua mamma, vedova, dolce, laboriosa, piena d’affetto verso il figlio per il quale non c’era mai bisogno di alzare la voce e tanto meno le mani. Avevano una casa semplice, ma dignitosa, c’era una grande stanza con alla parete un crocefisso e Israel lo guardava spesso quasi in contemplazione e si poneva interrogativi. Scrive: “Perché ‘questo’ fu crocefisso? Era cattivo? Oh che si crocefiggono tutti i cattivi? Se poi, fosse stato più cattivo degli altri, proprio tanto cattivo, perché tanta, proprio tanta gente lo segue? E perché le signore di mia madre … che pur seguono questo crocefisso sono tanto buone? La faccenda delle signore cominciava a divenire a sua volta uno strano ‘perché’. Come mai Stanislao e sua mamma, pure seguaci e adoratori di ‘questo’, sono tanto buoni? Perché noi ragazzi diventiamo così ‘diversi’ al cospetto di ‘questo’, e nella vicinanza di Stanislao e di sua madre?” (pag. 51). I corsivi sono originali <r.- aggiunti segni ‘ ’>, non nomina mai Gesù, ma questo personaggio diventa sempre più importante per lui. Le domande che il ragazzo Israel si poneva preludono ad un atteggiamento della vita che lo porta ad interrogarsi sugli uomini, i loro atteggiamenti, la loro fede e le loro pratiche religiose e forse sono un preludio ad interrogativi più profondi che insorgeranno nella maturità della vita con lo studio e un’attività attenta ai bisogni delle persone della propria religione e degli altri.
Del periodo degli studi all’università di Firenze e al Collegio rabbinico e poi della sua attività di rabbino a Trieste non racconta episodi, ma lascia trasparire una vita intensa caratterizzata da una forte tensione nel suo lavoro e una costante riflessione sui testi biblici non solo dell’Antico Testamento e del Talmud, ma anche sui testi del Nuovo Testamento: s’interroga sul ‘mistero’ della figura del servo di Dio nel profeta Isaia, sulla cultura giudaica e quella greca, sulla sete di Dio che traspare dai salmi, sul dialogo tra l’anima e Dio, l’io e Lui, s’interroga sulla sofferenza di Dio e la tristezza del Signore, sui vangeli e la persona di Gesù. Affronta la figura di Paolo ebreo e di Paolo cristiano e la posizione dell’apostolo nei confronti della Torah. Si appassiona nell’approfondire il cammino di ebrei arrivati alle soglie del cristianesimo come il filosofo Bergson. In maniera velata, perché descrive la sete che l’anima ha di Dio quando l’uomo ne è lontano, ma vi tende con tutte le forze e sente vibrare nel suo essere un’attrazione divina, descrive la sua tensione e il suo cammino. Scrive: “la sua anima stanca lo scorge dapprima flebilmente, si dibatte ancora nel dubbio. Ma poi si aggrappa disperatamente a lui e si lascia trascinare per una via estatica. E salendo di altezza in altezza, in quali sfere meravigliose viene condotta! “(pag. 133).
A partire dal capitolo Prima dell’alba, senza che il testo offra dati cronologici, si capisce che Zolli ormai si trova a Roma, con l’incarico di rabbino capo della sinagoga della capitale e le pagine del diario sono la memoria del suo travaglio interiore e del suo cammino verso Cristo, Si domanda se la conversione sia un’infedeltà alle origini, un tradire l’ebraismo e risponde a se stesso che è come la fioritura della primavera; ricorda la conversione di alcuni amici, richiama la figura di Edith Stein, della dottoressa Meirowsky, meno conosciuta della Stein, anch’essa ebrea convertita divenuta suora e morta martire nella persecuzione nazista, si ferma a lungo a descrivere la personalità, l’opera e il martirio di Massimiliano Kolbe, legge gli scritti delle origine cristiane, come la Didachè, nei quali vede continuità e novità nel passaggio dal giudaismo al cristianesimo, riflette sul concetto di coscienza e fede nelle lettere di S. Paolo e scrive: “ La coscienza non attinge la sua forza dalla legge, la quale spirituale e santa diletta la mente, resta pur tuttavia annullata (anche se assimilata) dal corpo di peccato, che è morte. L’uomo muore assieme al peccato attraverso il battesimo nella morte di Cristo. Risorto alla vita attraverso la crocefissione di Cristo l’uomo è libero dal peccato e la sua coscienza resta ormai totalmente e indissolubilmente legata al Padre, al Figlio, allo Spirito santo” (pag. 184s) e con S. Paolo e la Didachè prega: Marana’ ta’, Signore, vieni!
Gli ultimi tre capitoli hanno lo stile di una documentazione. La conversione di Zolli, rabbino capo della sinagoga di Roma, aveva creato non solo sorpresa tra gli ebrei della capi-tale, ma anche indignazione, accusa di tradimento, che sfociò in calunnie, quasi che egli avesse pensato a salvare se stesso e la sua famiglia e si fosse disinteressato della comunità ebraica durante l’occupazione nazista. Di fatto Zolli, che conosceva bene la lingua tedesca ed altre lingue aveva contatti con molte sinagoghe anche estere, fu preveggente nel capire le conseguenze dell’occupazione di Roma da parte dei tedeschi e intervenne presso personalità ebraiche autorevoli, che dirigevano uffici importanti del governo fascista ed erano legate a personaggi del regime, perché diffidassero delle assicurazioni provenienti dai ranghi del partito, ma non fu creduto. Zolli riporta un’ampia documentazione ufficiale, che dimostra la falsità delle accuse e rivendica il suo operato a favore dei suoi correligionari durante tutto il periodo terribile dell’occupazione nazista di Roma. Termina con un elogio dell’attività di Pio XII e dei padri Gesuiti per la salvezza di singoli e di gruppi di ebrei.
Il diario termina qui, Zolli non parla della sua conversione, del battesimo, né degli undici anni della vita dopo la conversione. Ora nel testo è riportato un breve capitolo in appendice, tradotto dall’inglese. Quest’appendice era stata pubblicata nell’edizione inglese del 1954, al curatore è sembrato opportuno aggiungerla all’edizione italiana. Zolli confessa che ogni conversione è avvolta nel mistero della grazia di Dio, e anche la sua, tuttavia rivede un cammino che in qualche modo ha preparato la risposta alla chiamata. Tutti gli riconoscevano una spiccata capacità riflessiva e una predisposizione al misticismo, anche se lui confessa di non averne avuta mai consapevolezza. Gli studi rabbinici, la lettura dell’Antico Testamento, del Talmud particolarmente delle parti midraschiche e soprattutto dello Zohar, gli hanno aperto l’anima verso una luce superiore, che ha trovato nel vangelo e nella persona di Gesù. Gesù era diventato il centro della sua vita, tutta la sua anima, in famiglia non si parlava che di Gesù. La chiamata avvenne quasi in forma visiva nel giorno della festa del Kippur, giorno dell’espiazione, di digiuno, di preghiera e di liturgia. Mentre presiedeva nella sinagoga il culto ebbe due momenti mistici. Scrive: “Iniziai a sentire come se una nebbia stesse insinuandosi nella mia anima: divenne più densa, e persi interamente il contatto con gli uomini e le cose attorno a me. Una candela, pressoché consumata, bruciava nel suo candeliere vicino a me. Appena la cera si fu liquefatta sul suo candeliere, la piccola fiamma brillò in una più grande, balzando verso il cielo. Rimasi affascinato dalla vista di ciò… La lingua di fuoco si agitava e si contorceva, tormentata; e la mia anima vi partecipava, soffriva… Subito dopo vidi con l’occhio della mente un prato stendersi in alto, con erba luminosa ma senza fiori. In questo prato vidi Gesù Cristo vestito con un mantello bianco, e oltre il suo capo il cielo blu. Provai la più grande pace interiore… Dentro il mio cuore trovai le parole: “Tu sei qui per l’ultima volta”. Le presi in considerazione con la più grande serenità di spirito e senza alcuna particolare emozione. La replica del mio cuore fu: “Così sia, così sarà, così deve essere”. Due momenti intensi distinti ma congiunti, il primo segnava la fine del suo tormento che sfociava in alto verso il cielo, il secondo la chiamata di colui che era diventato tutt’uno col suo cuore e lo invitava all’ultimo passo. Di fatti scrive Zolli: “Fu alcuni giorni dopo questi fatti che rinunciai al mio incarico in seno alla comunità ebraica e andai da un prete… per ricevere l’insegnamento cristiano… il 13 febbraio ricevetti il battesimo e venni incorporato nella Chiesa Cattolica, il corpo di Gesù Cristo” (pag. 274-75).
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GABRIELE MIOLA fa recensione del libro in FIRMANA anno 2003 nn. 32\33
JEAN CABAUD, Il rabbino che si arrese a Cristo. La storia di Eugenio Zolli rabbino capo a Roma durante la seconda guerra mondiale, Edizioni S. Paolo, Cinisello Balsamo (MI), 2002 pp.120.
\\qui di seguito un’altra diversa recensione per un libro dello Zolli \\
Questo titolo <della Cabaud> mi ha incuriosito, ho acquistato il libro e l’ho letto d’un fiato. Ricordavo il nome di Zolli dall’anno propedeutico alla teologia (1953- 54), nelle lezioni del corso di Apologetica. La conversione di Zolli, rabbino capo della sinagoga di Roma, nel 1945 aveva suscitato scalpore; ne sentii parlare ancora qualche rara volta negli anni di teologia alla Lateranense (54-58) e del Biblico (58-61), ma non avevo mai avuto l’opportunità di conoscerne la vita. Questo libretto della Cabaud, anch’essa ebrea convertita, me ne ha data l’occasione.
Questo libretto non è una biografia critica, è piuttosto una testimonianza. Scrive Messori nella presentazione: “Judith Cabaud non ha alcuna pretesa di porsi accanto alle opere della storiografia professionale. Molte cose, qui, sono soltanto accennate; molte altre necessitano di un approfondimento sulla base di una documentazione più vasta … L’autrice ha inteso il suo lavoro soprattutto come una testimonianza” (pag. 9).
Il lavoro della Cabaud sottolinea soprattutto il cammino spirituale di Zolli, che lo portò a vedere in Gesù e quindi nel cristianesimo la continuità e la pienezza delle Scritture ebraiche. Zolli infatti non si considerava “convertito, ma arrivato”.
Ecco alcuni dati biografici, desunti dal libro dalla Cabaud. Zolli nasce a Brody, città ai confini dell’impero austro-ungarico verso la Galizia polacca, ultimo di sei figli della famiglia Zoller (Zolli è cognome italianizzato) il 17 settembre 1881, ebbe il nome di Israel. La famiglia è benestante, il padre possiede una fabbrica a Lods (Polonia), ma quando quella zona della Polonia passò sotto l’amministrazione zarista, le fabbriche di proprietari stranieri vennero soppresse e la famiglia Zoller fu ridotta in povertà e si spostò a Lvov. Fece studi classici, ma con passione si dedicò anche a studi religiosi leggendo soprattutto la letteratura ebraica midrashica. Ottenne il “diploma di Maestro di religione”, che gli apriva la strada agli studi per la carriera di rabbino; lesse Maimonide, ma disdegnava tutta la casistica delle scuole rabbiniche; si appassionava a leggere Isaia e si aprì alla lettura del Nuovo Testamento e la Cabaud riporta una bella espressione dalle sue memorie: “Tutto questo mi sbalordiva: il Nuovo Testamento è, in effetti, un Testamento nuovo!” Nel 1904, morta la mamma, che gli aveva inculcato la passione per gli studi religiosi e per la quale nutriva una grande venerazione, lasciò la famiglia (che non rivedrà più) e si iscrisse all’Università di Vienna, ma per il serpeggiante antisemitismo, dopo pochi mesi lasciò l’Austria e venne in Italia. Si stabilì a Firenze dove si iscrisse alla facoltà di Filosofia presso l’Università statale e all’Istituto degli Alti Studi del Collegio rabbinico. Nel 1913 viene nominato vice-rabbino della città di Trieste e in quell’anno sposò Adele Litwak originaria di Lvov. Si ritrova così in ambito austro-ungarico, ma la lunga permanenza a Firenze l’aveva fatto innamorare dell’Italia e durante la guerra del ‘15-18, per i suoi sentimenti italiani, fu guardato a vista dalla polizia austriaca, ma egli si occupò prevalentemente, oltre che dei suoi compiti di vice-rabbino, dell’assistenza ai profughi ebrei cacciati dai paesi dell’est d’influenza russa. Dal 1918 al 1938 fu rabbino capo della sinagoga di Trieste ormai con cittadinanza italiana. Furono anni di intensa attività, ma soprattutto di studio e in particolare di confronto tra la tradizione ebraica e l’ebreo Gesù di Nazareth. Scrisse molti articoli e saggi per riviste italiane e tedesche, ma soprattutto pubblicò due opere significative: nel 1935 Israele: uno studio storico e religioso e nel 1938 II Nazareno. La Cabaud vede in queste due opere il grande cammino del rabbino verso una visione nuova che supera l’impostazione ebraica della pratica della legge e riporta questa frase di Zolli: “La Legge insegna ed indica il cammino; la corsa verso Dio passa attraverso la propria volontà. Conoscere è amare; noi amiamo con il cuore e non attraverso nozioni ricevute da fuori” (pag.37). Zolli ormai vede una continuità tra Antico e Nuovo Testamento. Gesù diventa sempre di più il personaggio di cui spesso si parla in casa. Intanto in Germania s’era scatenata la follia nazista contro gli Ebrei, ma anche in Italia, dopo un primo momento in cui Mussolini condannò la persecuzione di Hitler contro gli Ebrei, presto con le leggi razziali prima e con il patto d’acciaio poi (1938-39) gli Ebrei si trovarono in clima di persecuzione e di guerra. Il rabbino Zolli si prodigò in mille modi per aiutare Ebrei in difficoltà: da una parte favorendone la fuoriuscita verso la Palestina, dall’altra intervenendo presso le autorità, tanto che si meritò l’appellativo di rabbino buono.
Nel 1940 la comunità israelitica di Roma chiama Zolli ad occupare il posto vacante di Gran Rabbino. Zolli accettò e si trasferì nella capitale. Il libro della Cabaud si ferma a descrivere l’attività di Zolli in questi anni drammatici 1940-44 per la comunità ebraica della capitale, particolarmente il periodo dell’occupazione nazista di Roma dopo la caduta del fascismo del 9 settembre del 1943: emerge una figura di Zolli uomo di fede, di preghiera, ma anche di attività diplomatica, di interventi presso le autorità di Roma e del Vaticano, di aiuto ai correligionari ebrei, fino a quando i tedeschi eliminarono i rabbini di Genova, Firenze, Bologna e allora Zolli, su cui era stata posta una taglia di trecentomila lire, fu costretto con la sua famiglia a trovar ospitalità e rifugio in una famiglia cristiana fino all’arrivo degli alleati a Roma nel giugno del ‘44.
Zolli, con l’occupazione nazista di Roma, aveva perso la cittadinanza italiana e la funzione di Gran Rabbino della capitale, il 21 settembre dello stesso anno 44, con decreto ministeriale gli fu ridata la cittadinanza italiana e fu confermato Gran Rabbino della Comunità ebraica di Roma. L’esperienza della guerra, le leggi razziali di Mussolini, la persecuzione nazista a Roma gli fecero meditare sempre di più il profeta Isaia e particolarmente i carmi del servo. Ormai nel cuore del rabbino prendeva sempre più posto la figura di Gesù. Nell’autunno del 44 mentre presiedeva la liturgia del Yom Kippur, il giorno del grande perdono, nella sinagoga ebbe una grande esperienza mistica. L’autrice del libro riporta dalla autobiografia di Zolli questa testimonianza: “D’improvviso, con gli occhi dello spirito, vidi una grande prateria e, in piedi, in mezzo all’erba verde c’era Gesù Cristo rivestito di un manto bianco; sopra di Lui il cielo era tutto blu. A quella vista provai una pace indicibile… Allora in fondo al cuore sentii queste parole: Sei qui per l’ultima volta. D’ora in poi seguirai me! Le accolsi con la massima serenità e il mio cuore rispose immediatamente: Così sia, così è, così deve essere”.
Nel Gennaio del 1945 gli fu chiesto di riorganizzare il Collegio Rabbinico di Roma, cioè il centro degli studi ebraici, ma non accettò; ormai si stava aprendo un’altra strada davanti ai suoi occhi sempre più pieni della figura di Gesù il Nazareno. Prese contatto con padre Dezza, noto professore della Gregoriana e cominciò la sua preparazione al battesimo, che ricevette da monsignor Traglia il 13 febbraio 1945 e volle prendere il nome di Eugenio in onore di papa Pio XII, Eugenio Pacelli. Con lui fu battezzata anche la moglie Emma; la figlia Miriam seguì i genitori dopo un anno.
Negli ultimi tre brevi capitoli la Cabaud segue Zolli negli ultimi anni della sua vita. Morì a Roma il 2 marzo 1956 all’età di 74 anni. Entrando nella Chiesa, Zolli perse tutto, casa e stipendio, ma soprattutto fu oggetto di calunnie e denigrazione da parte degli Ebrei non solo di Roma, ma anche dell’ebraismo internazionale, fu trattato da apostata e scomunicato. Si ritrovò in estrema povertà, ma l’accettò volentieri; fu aiutato da padre Dezza e papa Pacelli volle che tenesse dei corsi all’Istituto Biblico e alla Gregoriana, fu chiamato a tenere qualche corso anche all’Università di Roma. Zolli non considerò mai il suo battesimo una conversione, ma l’approdo di una lunga navigazione: erano state le Scritture ebraiche che l’avevano portato alla fede in Gesù come conclusione di un cammino ininterrotto, il Nuovo Testamento non è che la continuazione, il compimento della promessa fatti ai padri. Sofia Cavalletti, nota per i suoi studi sulla patristica, sulla liturgia antica e sull’ebraismo, che fu sua assistente all’Università, gli rende questa testimonianza: “Lo scopo principale della sua vita era quello di insegnare che dall’Antico al Nuovo Testamento…c’è un lento cammino dello spirito verso le mete più elevate” (pag. 104).
Messori nella prefazione a questo libro lamenta che quella di Zolli sia una figura dimenticata, non solo (del resto comprensibile) presso gli Ebrei, ma anche preso i cattolici; si augura che dopo la traduzione in italiano e la pubblicazione di questo scritto della Cabaud possano riprendere gli studi su Zolli in maniera scientifica e si approfondisca quel motivo costante che ricorreva spesso sulla bocca e si ritrova negli scritti di Zolli che Antico e Nuovo Testamento formano un’unità. E un dato fondamentale della fede e della teologia cristiana e vale la pena approfondire come l’abbia scoperto nella vita, nello studio e negli scritti Eugenio Zolli.
Edito in FIRMANA nn.32\33 a. 2002
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EUGENIO ZOLLI, Prima dell’alba. A cura di Alberto Latorre. Ediz. San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 2004 pagg. 284
Le edizioni San Paolo hanno pubblicato nel 2002 su Eugenio Zolli il volume di J. Cabaud, Il rabbino che si arrese a Dio. La storia di Eugenio Zolli rabbino capo a Roma durante la seconda guerra mondiale (cfr.recensione in Firmana nn. 32-33). Ora viene opportuna la pubblicazione dell’autobiografia di Zolli. In copertina dopo il titolo Prima dell’alba c’è scritto, come sottotitolo: ”Autobiografia autorizzata”, mentre in prima pagina non c’è. Se è un’autobiografia certamente chi l’autorizza è l’autore, ma in questo caso l’autobiografia per la prima volta fu pubblicata in inglese col titolo Before the Down (Prima dell’alba) in occasione di un viaggio di Zolli in America. Si pensava quindi che lo scritto originale fosse in inglese. Invece è stato ritrovato il dattiloscritto in italiano e quindi c’è la certezza che l’inglese è una traduzione; nel “Congedo” del diario ringrazia “le reverende madri Williamson e Maranzana” che hanno curato la versione in inglese. Poiché tra il testo inglese e il dattiloscritto in italiano ci sono delle varianti, ad esempio, capitoli spostati ed altro, gli eredi hanno autorizzato la pubblicazione dell’originale italiano. Questo è precisato nella nota premessa al libro dal curatore del libro A. Latorre.
Queste le tappe principali della vita di Zolli. Nasce il 17 settembre 1881 a Brody, cittadina oggi nella Polonia, allora ai confini nord-ovest dell’impero austro-ungarico. Gli fu messo nome Israel. La sua lingua madre è quindi il tedesco. Quando Brody passò sotto l’amministrazione zarista, la famiglia si spostò a Leopoli, dove Zolli seguì studi classici e rabbinici. Nel 1904, dopo la morte dei genitori, lasciò la famiglia e si iscrisse all’università di Vienna dove rimase appena un semestre. Venne quindi a Firenze e si iscrisse alla facoltà di filosofia e contemporaneamente al Collegio Rabbinico Italiano. Completò gli studi con la laurea in filosofia all’università statale e con il titolo di rav (rabbino, maestro) al collegio rabbinico. Nel 1911 fu nominato vice-rabbino alla sinagoga di Trieste e nel 1913 rabbino e si ritrovò quindi in ambito austriaco; vi rimase fino al 1939. In quell’anno fu nominato rabbino capo della sinagoga di Roma. Qui visse tutta la tragedia degli ebrei di Roma nella bufera dell’occupazione nazista in Italia a seguito delle leggi razziali fasciste e della persecuzione tedesca contro gli ebrei nella capitale. Nel 1945 maturò la sua conversione al cristianesimo e il 13 febbraio ricevette il battesimo. Morì il 2 marzo 1956.
Quella di Zolli è un’autobiografia molto scarna di elementi cronologici e narrativi, ricca invece di considerazioni di carattere religioso, filosofico e teologico.
Del periodo a Brody ricorda la profonda religiosità della mamma e alcuni episodi come quando s’imbatté con un contadino che aveva sovraccaricato il suo cavallo, tanto che scivolò sul ghiaccio e il cavallo cadde; il ragazzo Israel si mise ad aiutare il povero contadino per far rialzare l’animale e per raccattare il carico. Tornò a casa in ritardo sul consueto orario e si ebbe dei rimproveri, ma tacque sull’opera buona che aveva fatto. Un altro episodio: un compagno s’era portato a scuola la boccettina dell’inchiostro vuota, ne chiese a Israel che gliene diede; il compagno, per averne di più, spinse improvvisamente il gomito di Israel, ma l’inchiostro fuoriuscì e gli macchiò il vestito e lo sporcò tutto. Zolli ricordando l’episodio scrive: “Non ero né indignato, né adirato; non sentivo per lui né odio né disprezzo. Non mi passò nemmeno per l’anticamera del cervello l’idea di denunciarlo al maestro. Non posso neppure dire di avergli perdonato. Nulla di tutto ciò. Per me il ragazzo era diventato una specie di non essere” (pag. 41). Tornato a casa raccontò tutto alla mamma, che lo consolò con tenerezza. Piccoli episodi che rivelano un temperamento calmo, un animo buono, ma anche fermo. Descrive particolarmente l’amico Stanislao presso cui andava spesso per passar del tempo e fare i compiti di scuola; ammirava questo compagno e la sua mamma, vedova, dolce, laboriosa, piena d’affetto verso il figlio per il quale non c’era mai bisogno di alzare la voce e tanto meno le mani. Avevano una casa semplice, ma dignitosa, c’era una grande stanza con alla parete un crocefisso e Israel lo guardava spesso quasi in contemplazione e si poneva interrogativi. Scrive: “Perché ‘questo’ fu crocefisso? Era cattivo? Oh che si crocefiggono tutti i cattivi? Se poi, fosse stato più cattivo degli altri, proprio tanto cattivo, perché tanta, proprio tanta gente lo segue? E perché le signore di mia madre … che pur seguono questo crocefisso sono tanto buone? La faccenda delle signore cominciava a divenire a sua volta uno strano ‘perché’. Come mai Stanislao e sua mamma, pure seguaci e adoratori di ‘questo’, sono tanto buoni? Perché noi ragazzi diventiamo così ‘diversi’ al cospetto di ‘questo’, e nella vicinanza di Stanislao e di sua madre?” (pag. 51). I corsivi sono originali <r.- aggiunti segni ‘ ’>, non nomina mai Gesù, ma questo personaggio diventa sempre più importante per lui. Le domande che il ragazzo Israel si poneva preludono ad un atteggiamento della vita che lo porta ad interrogarsi sugli uomini, i loro atteggiamenti, la loro fede e le loro pratiche religiose e forse sono un preludio ad interrogativi più profondi che insorgeranno nella maturità della vita con lo studio e un’attività attenta ai bisogni delle persone della propria religione e degli altri.
Del periodo degli studi all’università di Firenze e al Collegio rabbinico e poi della sua attività di rabbino a Trieste non racconta episodi, ma lascia trasparire una vita intensa caratterizzata da una forte tensione nel suo lavoro e una costante riflessione sui testi biblici non solo dell’Antico Testamento e del Talmud, ma anche sui testi del Nuovo Testamento: s’interroga sul ‘mistero’ della figura del servo di Dio nel profeta Isaia, sulla cultura giudaica e quella greca, sulla sete di Dio che traspare dai salmi, sul dialogo tra l’anima e Dio, l’io e Lui, s’interroga sulla sofferenza di Dio e la tristezza del Signore, sui vangeli e la persona di Gesù. Affronta la figura di Paolo ebreo e di Paolo cristiano e la posizione dell’apostolo nei confronti della Torah. Si appassiona nell’approfondire il cammino di ebrei arrivati alle soglie del cristianesimo come il filosofo Bergson. In maniera velata, perché descrive la sete che l’anima ha di Dio quando l’uomo ne è lontano, ma vi tende con tutte le forze e sente vibrare nel suo essere un’attrazione divina, descrive la sua tensione e il suo cammino. Scrive: “la sua anima stanca lo scorge dapprima flebilmente, si dibatte ancora nel dubbio. Ma poi si aggrappa disperatamente a lui e si lascia trascinare per una via estatica. E salendo di altezza in altezza, in quali sfere meravigliose viene condotta! “(pag. 133).
A partire dal capitolo Prima dell’alba, senza che il testo offra dati cronologici, si capisce che Zolli ormai si trova a Roma, con l’incarico di rabbino capo della sinagoga della capitale e le pagine del diario sono la memoria del suo travaglio interiore e del suo cammino verso Cristo, Si domanda se la conversione sia un’infedeltà alle origini, un tradire l’ebraismo e risponde a se stesso che è come la fioritura della primavera; ricorda la conversione di alcuni amici, richiama la figura di Edith Stein, della dottoressa Meirowsky, meno conosciuta della Stein, anch’essa ebrea convertita divenuta suora e morta martire nella persecuzione nazista, si ferma a lungo a descrivere la personalità, l’opera e il martirio di Massimiliano Kolbe, legge gli scritti delle origine cristiane, come la Didachè, nei quali vede continuità e novità nel passaggio dal giudaismo al cristianesimo, riflette sul concetto di coscienza e fede nelle lettere di S. Paolo e scrive: “ La coscienza non attinge la sua forza dalla legge, la quale spirituale e santa diletta la mente, resta pur tuttavia annullata (anche se assimilata) dal corpo di peccato, che è morte. L’uomo muore assieme al peccato attraverso il battesimo nella morte di Cristo. Risorto alla vita attraverso la crocefissione di Cristo l’uomo è libero dal peccato e la sua coscienza resta ormai totalmente e indissolubilmente legata al Padre, al Figlio, allo Spirito santo” (pag. 184s) e con S. Paolo e la Didachè prega: Marana’ ta’, Signore, vieni!
Gli ultimi tre capitoli hanno lo stile di una documentazione. La conversione di Zolli, rabbino capo della sinagoga di Roma, aveva creato non solo sorpresa tra gli ebrei della capi-tale, ma anche indignazione, accusa di tradimento, che sfociò in calunnie, quasi che egli avesse pensato a salvare se stesso e la sua famiglia e si fosse disinteressato della comunità ebraica durante l’occupazione nazista. Di fatto Zolli, che conosceva bene la lingua tedesca ed altre lingue aveva contatti con molte sinagoghe anche estere, fu preveggente nel capire le conseguenze dell’occupazione di Roma da parte dei tedeschi e intervenne presso personalità ebraiche autorevoli, che dirigevano uffici importanti del governo fascista ed erano legate a personaggi del regime, perché diffidassero delle assicurazioni provenienti dai ranghi del partito, ma non fu creduto. Zolli riporta un’ampia documentazione ufficiale, che dimostra la falsità delle accuse e rivendica il suo operato a favore dei suoi correligionari durante tutto il periodo terribile dell’occupazione nazista di Roma. Termina con un elogio dell’attività di Pio XII e dei padri Gesuiti per la salvezza di singoli e di gruppi di ebrei.
Il diario termina qui, Zolli non parla della sua conversione, del battesimo, né degli undici anni della vita dopo la conversione. Ora nel testo è riportato un breve capitolo in appendice, tradotto dall’inglese. Quest’appendice era stata pubblicata nell’edizione inglese del 1954, al curatore è sembrato opportuno aggiungerla all’edizione italiana. Zolli confessa che ogni conversione è avvolta nel mistero della grazia di Dio, e anche la sua, tuttavia rivede un cammino che in qualche modo ha preparato la risposta alla chiamata. Tutti gli riconoscevano una spiccata capacità riflessiva e una predisposizione al misticismo, anche se lui confessa di non averne avuta mai consapevolezza. Gli studi rabbinici, la lettura dell’Antico Testamento, del Talmud particolarmente delle parti midraschiche e soprattutto dello Zohar, gli hanno aperto l’anima verso una luce superiore, che ha trovato nel vangelo e nella persona di Gesù. Gesù era diventato il centro della sua vita, tutta la sua anima, in famiglia non si parlava che di Gesù. La chiamata avvenne quasi in forma visiva nel giorno della festa del Kippur, giorno dell’espiazione, di digiuno, di preghiera e di liturgia. Mentre presiedeva nella sinagoga il culto ebbe due momenti mistici. Scrive: “Iniziai a sentire come se una nebbia stesse insinuandosi nella mia anima: divenne più densa, e persi interamente il contatto con gli uomini e le cose attorno a me. Una candela, pressoché consumata, bruciava nel suo candeliere vicino a me. Appena la cera si fu liquefatta sul suo candeliere, la piccola fiamma brillò in una più grande, balzando verso il cielo. Rimasi affascinato dalla vista di ciò… La lingua di fuoco si agitava e si contorceva, tormentata; e la mia anima vi partecipava, soffriva… Subito dopo vidi con l’occhio della mente un prato stendersi in alto, con erba luminosa ma senza fiori. In questo prato vidi Gesù Cristo vestito con un mantello bianco, e oltre il suo capo il cielo blu. Provai la più grande pace interiore… Dentro il mio cuore trovai le parole: “Tu sei qui per l’ultima volta”. Le presi in considerazione con la più grande serenità di spirito e senza alcuna particolare emozione. La replica del mio cuore fu: “Così sia, così sarà, così deve essere”. Due momenti intensi distinti ma congiunti, il primo segnava la fine del suo tormento che sfociava in alto verso il cielo, il secondo la chiamata di colui che era diventato tutt’uno col suo cuore e lo invitava all’ultimo passo. Di fatti scrive Zolli: “Fu alcuni giorni dopo questi fatti che rinunciai al mio incarico in seno alla comunità ebraica e andai da un prete… per ricevere l’insegnamento cristiano… il 13 febbraio ricevetti il battesimo e venni incorporato nella Chiesa Cattolica, il corpo di Gesù Cristo” (pag. 274-75).
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