FIRMANA Rivista dell’Istituto Teologico di Fermo fondata da Gabriele Miola n. 41\42 anno 2006 Il biblista Gabriele Miola fa recensione del libro
- L. SKA, Il Libro Sigillato e il Libro Aperto, EDB, Bologna 2005 (pp. 512) € 35,00
Il volume raccoglie 23 articoli sull’Antico Testamento pubblicati tra il 1990 e il 2004 in diverse riviste e collettanee; dalla nota bibliografica posta alla fine del volume risulta che erano stati pubblicati: sei nella rivista «La Civiltà Cattolica», otto sono relazioni tenute presso lo Studio biblico teologico aquilano edite in collane a cura dell’ISSRA (L’Aquila) oppure presso le Dehoniane di Bologna o Roma, due in «Rinascere» rivista del movimento “Rinascita Cristiana”, due in «Parola, Spirito e Vita», uno in «Studia Patavina», una conferenza tenuta presso la facoltà di Lettere dell’Università di Pisa, uno in «Synaxis», uno in «Asprenas», una relazione tenuta all’ISR di Avellino. I 23 articoli sono stati raggruppati in tre parti, ognuna delle quali esprime un ambito o indirizzo comune: la prima parte, chiamata “Orientamenti” tocca temi generali di metodo e di ermeneutica dell’AT; la seconda intitolata “Letture bibliche” è dedicata alla presentazione di brani soprattutto di Genesi ed Esodo, ma anche di Samuele, Rut e Proverbi; la terza raccoglie tre interventi dedicati a “Diritto e Istituzioni della Bibbia”.
Il titolo del volume II Libro Sigillato e il Libro Aperto rimanda all’immagine dell’Apocalisse (5,2.9), al rotolo sigillato con sette sigilli che solo l’Agnello può dissigillare e l’immagine è ripresa per dire che la Sacra Scrittura ha bisogno di una mano che guidi alla comprensione della parola di Dio in essa trasmessa, come il diacono Filippo guida l’etiope ministro della regina Candace, che sul suo carro legge Isaia ed è incapace di capire la Scrittura fino a quando Filippo gli apre il brano di Isaia al senso della profezia (At 8,26-35). Il prof. Ska prende il lettore per mano e lo conduce dentro tanti testi dell’Antico Testamento.
Il prof. Ska insegna esegesi dell’Antico Testamento al Pontificio Istituto Biblico di Roma e accanto all’indispensabile metodo storico-critico privilegia quello narratologico. È questa una caratteristica delle sue relazioni negli incontri biblici, il professore, chiariti problemi storici e di contesto, ti fa entrare in maniera piana nelle pagine della Scrittura suscitando stupore e meraviglia per la loro bellezza letteraria e insieme per il messaggio che ne proviene. Così ognuno degli articoli raccolti in questo volume ti invita ad andare avanti, a leggerne altri e a gustare la parola di Dio.
Non è evidentemente possibile presentare i 23 articoli, ne sceglierò qualcuno dalle tre parti. Apre la prima raccolta un articolo dal titolo: Come leggere l’Antico Testamento. Un problema sempre aperto e affrontato in tutte le epoche dell’esegesi biblica e della storia della Chiesa, molto sentito oggi perché la Bibbia è messa in mano a tutti e se ne consiglia la lettura personale. Richiamate le difficoltà che il cristiano prova di fronte alla condotta e alle ambiguità dei patriarchi e di altri personaggi, di fronte alle guerre e alla violenza ordinate da Dio al suo popolo contro i nemici nell’occupazione della terra promessa o nella storia d’Israele, come pure di fronte ad una teologia carente sul problema della vita eterna nei Salmi, nei libri di Qohelet e di Giobbe, l’autore fa due premesse:
a). nota che esistono modi e canoni diversi nell’accostarsi ai testi: personaggi violenti, guerre ed eventi di distruzione non fanno scandalo in poemi classici, lo fanno invece nella Bibbia; ma anche le stesse pagine bibliche che sconcertano un lettore diventano per altre fonte di ispirazione come è avvenuto spesso nelle arti figurative e teatrali, basti pensare alla trasfigurazione artistica di personaggi come Giosuè, Sansone, David ecc.
b). chiede al lettore della Bibbia di accostarsi con metodo giusto alla lettura di essa. La cultura illuminista e positivista aveva imposto una lettura astratta perché si preoccupava dell’oggettività dell’evento o della verità in sé, astraeva dall’aspetto narrativo e letterario, il senso era come estrinseco alla Bibbia stessa; giustamente Ska seguendo autori recenti d’ermeneutica, invita ad entrare nelle pieghe della narrazione biblica e ad interpretarne eventi e personaggi secondo criteri che emergono dai testi stessi poiché “essi definiscono il rapporto con la realtà storica in accordo con le convenzioni letterarie della loro epoca e generano la loro peculiare teologia seguendo le vie a loro proprie” (pag. 20).
Ska invita ad entrare nel racconto e vedere il cammino della ricerca di Dio propria dei personaggi, ricerca che passa attraverso difficoltà e valori morali propri del tempo, mette in evidenza che il giudizio non va fatto in astratto, ma dentro il racconto, che vede il dramma dei personaggi e il realizzarsi del piano del Signore attraverso le difficoltà, le contraddizioni e le miserie umane. Se è vero che già la sapienza pagana diceva: «Nulla di umano mi è estraneo» (Homo sum, humani nìhil a me alienum puto: Terenzio), a maggior ragione è vero dei personaggi biblici e del piano di Dio, tanto più che “da quando il Verbo si è fatto carne, il sacro si è radicato nel mondo profano o, per adoperare la parola di C. Peguy, “lo spirituale si è fatto carnale”” (p. 18).
Sacra Scrittura e Parola di Dio è il terzo articolo, una relazione tenuta poco dopo l’11 settembre 2001 e l’autore s’interroga all’inizio come mai può succedere che Scritture ritenute sacre, come il Corano, abbiano potuto avallare l’idea di un crimine terribile, sostenere gli esecutori nel preparare il piano e indurli a perpetrarlo con il loro stesso suicidio distruggendo le Twin Towers, procurando la morte di migliaia di innocenti. Si potrebbe dire: il Corano non è la Bibbia e può avallare comportamenti di quel tipo. Ma anche nella Bibbia possiamo trovare violenze e molto gravi: per esempio perché Dio ordina a Giosuè di sterminare tutte le popolazioni di Canaan? Ska invita a capire i modi diversi con cui i lettori si pongono dinanzi alla Bibbia, perché c’è “una lettura fondamentalista e una lettura critica delle Scritture. Entrambe sono fatte da credenti, ed è proprio questo che rende il problema più acuto. La differenza essenziale però è che la lettura critica riesce a distinguere tra “sacra scrittura” e “parola di Dio” e, soprattutto, non identifica la “lettera” e ogni “lettera” della Bibbia con la parola di Dio nella sua globalità” (pp. 44-45).
Ska ci propone due immagini per cogliere questa differenza: la sfera e il bosco. La sfera è considerata perfetta perché ogni punto è uguale ad un altro ed è sempre egualmente equidistante dal centro: così ogni parola della Scrittura è uguale ad un’altra; l’immagine esprime il tipo fondamentalista di lettura della Bibbia. Il bosco invece è una realtà costantemente ineguale, bisogna conoscerlo addentrandosi in esso e cogliendone nei diversi adattamenti secondo le stagioni e la luce del giorno e del tempo l’estrema diversità di ogni componente per gustarne la varietà e la ricchezza. Premesso che nella Bibbia si trovano tanti generi espressivi: dall’oracolo profetico, al genere sapienziale, a racconti storici e parabolici ecc., l’autore mette in evidenza tre aspetti: primo, quello della “compilazione”, cioè racconti che si sovrappongono, ma distinguendosi, per esempio i due racconti della creazione, i diversi atteggiamenti di valutazione nei confronti del tempio, cosa sacra e residenza perenne di Dio e invece cosa da distruggere perché diventato covo di idolatria ecc.; secondo, quello della “revisione”: Abramo è prima della legge, ma è anche uno che osserva la legge, oppure la promessa e la realizzazione della monarchia come struttura essenziale di Israele quale nazione tra le altre, e la visione postesilica secondo la quale per costituire Israele sono sufficienti il culto e la Torah senza il monarca; terzo, quello dell’“intenzione”: la prospettiva di Israele da una parte è quella di possedere una terra, ma dall’altra invece la Bibbia ebraica si chiude con il libro ielle Cronache, che dopo l’editto di Ciro esorta gli ebrei a tornare, ma è un popolo in cammino verso una terra che non gli appartiene. La Torah del resto, il libro fondamentale d’Israele, termina con la morte di Mosè senza entrare nella terra di Canaan, e il popolo accampato sulle rive del Giordano è in attesa di entrare, come ad indicare che esso è sempre in cammino verso la terra promessa. Concludendo Ska scrive: «La verità non è nella “lettera” del testo, ma nell’atto intelligente e critico del lettore che prolunga, all’interno della comunità dei credenti, lo sforzo di aggiornamento iniziato dalla stessa Scrittura» (p. 58).
L’articolo 4, di ben 40 pagine, intitolato La Bibbia un libro aperto o un libro sigillato? dà il titolo a tutta la raccolta del volume. L’autore vi riprende il problema ermeneutico, che aveva trattato in un ampio articolo La “nouvelle critique” et L’exégése anglo-saxonne pubblicato in RSR 80 (1992) 29-53. Scrive: «La Bibbia è un libro aperto o sigillato e quasi incomprensibile? Le riflessioni di quest’articolo vorrebbero fornire alcuni punti saldi per orientarsi nell’ermeneutica moderna» (p. 60).
L’autore nella prima parte riassume le diverse prospettive dell’ermeneutica indicando tre punti di partenza con cui si può guardare la Bibbia: come “documento”, come “monumento”, come “avvenimento”. Prendere la Bibbia come “documento” significa analizzarla nella sua genesi e stratificazioni successive, interpretare l’intenzione dell’autore in funzione dei destinatari di ogni testo o brano. È il metodo storico-critico, che ha avuto i suoi grandi meriti, ma ha corso il rischio di far perdere l’unità e lo sguardo d’insieme del testo biblico. Considerare la Bibbia come un “monumento” significa considerare l’intera Bibbia e singoli libri come opera a se stante, coglierne le proporzioni, lo stile, la bellezza, i personaggi senza preoccuparsi dei valori teologici e morali dei testi. È la lettura della Bibbia con i metodi più attuali d’analisi sincronica. Uno sguardo sincronico sulla Bibbia è di fatti molto proficuo, ma può correre il rischio di fermarsi ad una lettura estetizzante. Porsi dinanzi alla Bibbia come un “avvenimento” significa lasciarsi interrogare dal testo ed entrare in esso coinvolgendosi perché il testo non solo mi interpella, ma io stesso divento attore nell’evento o nella riflessione. Ska presenta questa prospettiva ermeneutica riassumendola come segue: «Il significato del testo non è “nascosto” nel testo e il compito del lettore non è di “scoprire” quello che sta già presente in esso. Il compito del lettore è molto creativo: deve costruire il significato» (p. 73). La Bibbia è sempre una parola che interpella perché aspetta una risposta dell’uomo a Dio, che è il vero autore di essa, ma l’interprete non può esprimere una creatività soggettiva che stravolga l’appello e la relativa risposta dell’uomo. Scrive Ska: «Le posizioni estreme sono poco difendibili perché sembrano implicare che non sia più necessario leggere il testo per poi interpretarlo. Nessuno arriva a questa posizione insostenibile, però è un pericolo corso da alcune teorie poco bilanciate» (p. 75) e per una posizione equilibrata d’applicazione di questi metodi rimanda al libro di U. Eco: I limiti dell’interpretazione.
La seconda parte dell’articolo porta il titolo Lo specchio, la lampada e la finestra “tre immagini che serviranno non esattamente a classificare le diverse scuole di esegesi, piuttosto a definire tre direzioni principali dell’ermeneutica dall’antichità fino ad oggi” (p. 78 . L’immagine dello “specchio” usata nell’ermeneutica fin da Platone, che legge l’arte in genere, pittura, scultura, opere letterarie, come specchio di una realtà perché la imita, è un tipo di lettura arrivata fino ai nostri tempi, anche se reinterpretata secondo la sensibilità della cultura nelle diverse epoche storiche. Anche oggi diciamo che le narrazioni bibliche p.e. quelle dell’Esodo, vanno lette come narrazioni specchio di un messaggio teologico che bisogna cogliere nel racconto: «Il lettore è invitato a guardare bene nello “specchio” e ad interpretare il mondo delle immagini che passa davanti ai suoi occhi» (p. 81). L’immagine della “lampada” o della “sorgente” serve a Ska ad evidenziare l’esegesi influenzata dal romanticismo, che rigetta il classicismo e si rifà alla spontaneità del primitivo e delle origini. È l’esegesi tipica di grandi esegeti come Gunkel, von Rad, che privilegiano esaltare i periodi antichi, quelli delle saghe dei patriarchi, dell’epopea dell’esodo o del regno davidico a scapito della strutturazione rigida, tipica d’Israele nel post-esilio. La metafora della “finestra” non caratterizza una scuola particolare, ma l’immagine serve per intravedere come la lettura di un brano può essere illuminato a seconda delle finestre che si aprono. Ska presenta come esempio i diversi modi: con cui si può leggere (ed è stato letto) il brano della vedova che ottiene dal profeta Eliseo la moltiplicazione dell’olio per poter pagare i suoi creditori ed evitare così di finire in schiavitù lei e i suoi figli a causa dei debiti (2 Re 4,1-7): il racconto viene letto da una “finestra” classica, da una sociologica, da una storica, politica, teologica e da una letteraria.
La Pontificia Commissione Biblica nel documento L’interpretazione della Bibbia nella Chiesa (1993) al primo capitolo Metodi e approcci per l’interpretazione elenca ben tredici metodi ripartiti in diverse aree. La conclusione di Ska è simpatica, invita a non smarrirsi di fronte alle proposte odierne dell’ermeneutica, ma a prendere l’atteggiamento di chi entra in università e sa che vi trova “maestri che guideranno passo passo lo studente nel suo cammino” preparandolo ad essere autonomo nelle specializzazioni che metterà poi a servizio dei cittadini o a vedere coloro che insegnano e studiano in università come una famiglia in cui si sperimenta “entusiasmo per lo studio, curiosità per le ricerche nuove, solidarietà nei momenti difficili e legami duraturi per il futuro” (p. 97).
Ancora cinque articoli sono raccolti nella prima parte: due sono dedicati al problema del canone delle Scritture, di questi il sesto: Formazione del canone delle Scritture ebraiche e cristiane, molto curato, si sviluppa per ben 50 pagine.
La seconda parte della raccolta sotto il titolo Letture bibliche riunisce undici articoli: cinque dedicati a Genesi, tre all’Esodo, uno a Rut, uno a 2 Samuele su David e il figlio Assalonne, l’ultimo porta il titolo I volti “insoliti” di Dio nell’AT, che prelude ad un altro volumetto: I volti insoliti di Dio. Meditazioni bibliche, pubblicato di recente (cfr. sotto). Mi limito a presentare il n° 13: Genesi 18,1-15 alla prova dell’esegesi classica e dell’esegesi narrativa e il n° 15 L’Esodo, il nome di Dio e la storia d’Israele.
Nel presentare il racconto della teofania di Mamre e l’ultimo annuncio della nascita di un figlio ad Abramo (Gen 18,1-15) Ska parte dall’analisi dello studio di Frei, che mette sott’accusa l’esegesi classica per aver accantonato la narrativa biblica e letto il testo solo sotto il profilo delle fonti e quindi della storicità dei racconti. L’esegesi classica correva il rischio, come mette in evidenza Frei, una volta analizzate le fonti e suddiviso il testo, di abbandonare la narrazione biblica e di esprimere solo gli aspetti teologici di ogni brano e di perdere quindi l’unità del racconto e della Bibbia. Gen 18,1-15 veniva in genere suddiviso in due parti: il v. 1 come introduttivo, i w. 2-8 una scena di “teoxenia”, cioè di ospitalità della divinità, i vv. 9-15 come annuncio di nascita basato sul significato del nome del nascituro Isacco, che può essere inteso come “JHWH fa sorridere, porta il sorriso”; i due spezzoni venivano rapportati il primo a teofanie simili e il secondo ad annunci di nascita comuni nelle pagine bibliche. La divisione del racconto veniva basato su alcune apparenti incongruenze di termini come pane-focacce, l’uso del singolare e del plurale nel dialogo dei tre ospiti con Abramo. Nella seconda parte dell’articolo Ska si affida all’analisi narratologica e rileva l’unità del brano: la scenografia proposta, in cui si muovono i personaggi tra l’albero e la tenda, la cortesia attenta di Abramo verso gli ospiti, l’intreccio del dialogo e la sorpresa della promessa, umanamente impossibile, di avere un figlio all’età dei due protagonisti, trovano la loro unità, ricchezza espressiva e danno un messaggio al lettore di ieri e di oggi. Conclude l’autore:
«Il messaggio finale riguarda il modo in cui JHWH si è rivelato allorquando ha annunziato la nascita di Isacco, dalla quale dipendevano le promesse e dal quale è sorto il popolo d’Israele. Ora il lettore virtuale del racconto è un membro del popolo d’Israele e questo racconto gli comunica qualcosa circa la sua origine, che è legata a un “riso”.
Tale messaggio è inseparabile dall’esperienza della lettura e dal contributo attivo del lettore, che rimane il solo incaricato di rispondere alle domande del racconto» (p. 297).
L’Esodo, il nome di Dio e la storia d’Israele è il n° 15 della raccolta e l’articolo è stato pubblicato nel n. 47 della rivista «Parola, Spirito e Vita» il cui tema generale, per i diversi contributi di quel numero, è dato dal titolo Leggere la storia come salvezza. Questo arti-colo di Ska è il primo di quel numero della rivista, che ha finalità di lettura teologico-spirituale della Bibbia; l’articolo legge i capitoli 1-15 dell’Esodo in chiave narrativa, superando gli interrogativi sulla storicità degli eventi narrati nell’Esodo per il cui significato rimanda alla bibliografia citata nelle diverse note.
I temi sviluppati nell’articolo sono quattro: I. Il nome di Dio. Fatto un breve cenno al significato del nome, Ska mette in rilievo che il nome è legato dall’evento dell’esodo alla formula: “Io sono JHWH che vi ho fatto uscire dall’Egitto”, che si ritrova in quasi tutti i libri storici e profetici come una confessione di fede legata alla storia, che ha costituito Israele come popolo libero, perché solo JHWH può rendere libero e “solo la persona libera, nel mondo antico, è davvero persona” (p. 317). IL II contesto. Ska legge l’insieme dei capitoli sulla linea di un processo. Dio istituisce un processo contro il faraone e contro l’Egitto perché il popolo di Israele viene trattato con “brutalità”. I testi descrivono in effetti un reato, un’ingiustizia grave, che crea una tensione drammatica nel racconto, che si risolverà quando Dio ristabilirà la giustizia a favore del suo popolo. Diverse volte ricorre l’espressione che Dio ha visto, osservato le umiliazioni del suo popolo e la brutalità con cui è trattato Israele e ha deciso di liberarlo. Il giudizio di Dio in qualche modo è un giudizio di parte a sollievo e salvezza dell’oppresso perché Dio non tollera l’ingiustizia. III. La vocazione di Mosè. La vocazione di Mosè è il contesto in cui si rivela il nome di Dio. Dio si fa presente, “sono sceso” dice “per liberare Israele dalla mano degli Egiziani”. Uno scendere, sottolinea Ska, che ha il senso dell’incarnazione. Il nome che Dio rivela, JHWH (senza entrare in questioni filologiche) esprime una presenza, un esserci, una presenza nella storia ed è nella storia che Dio rivela il suo esserci quando difende la sua gloria, il suo nome nelle opere della salvezza. IV. Le piaghe d’Egitto. Nei racconti delle piaghe ricorre più volte l’espressione “affinché tu (Mosè) o egli (il faraone) sappia o sappiano (gli egiziani) o sappiate (gli israeliti) che io sono JHWH” e questo conferma che Dio si rivela quando salva. Le piaghe non sono quindi una punizione quanto piuttosto una dimostrazione del potere di giudizio che Dio applica di fronte all’ostinatezza dei colpevoli e del potere di salvezza per chi si è rivolto al giudice giusto. Conclude Ska: «Il linguaggio giuridico di alcuni brani posti in posizioni chiave nel racconto ha come scopo di dare a questa “storia” il suo significato più profondo» (p. 329).
Una nota. Fa piacere vedere come il prof. Ska nell’esposizione si serva anche di studi di suoi alunni, come quando nelle note rimanda al commento in due volumi del nostro docente di esegesi a Fermo, Antonio Nepi, Esodo, pubblicati nella collana Dabar Logos Parola, edizioni Messaggero di Padova.
Un accenno alla terza parte della raccolta intitolata Diritto e istituzioni nella Bibbia, dove l’autore affronta questi temi: 1. Il sacerdozio nell’Antica e Nuova Alleanza (n. 21) 2. Istituzione degli anziani nell’Antico Testamento (n. 22) e 3. Diritto biblico e democrazia occidentale (n° 23), quest’ultimo pubblicato in «La Civiltà Cattolica» (2004). Ska prende lo spunto dal lavoro per l’elaborazione della Costituzione europea e dalla questione sulle radici cristiane dell’Europa, richiama gli studi di Harold J. Berman sul Dictatus Papae di Gregorio VII (1074-75), che secondo il noto studioso divenne la fonte del diritto degli stati europei, mette in evidenza che i principi basilari della democrazia moderna si trovano nella Bibbia, che nelle sue istituzioni non ha strutture democratiche di partecipazione politica, ma in essa si trovano le basi della democrazia per i valori di cui la Bibbia, insieme al diritto romano, è fondazione e li elenca in: la dignità umana, privilegio universale; la libertà; il diritto e la legalità; alleanza e consenso; responsabilità; il giudizio ultimo e la responsabilità personale.
Ricordo che affrontò questo stesso tema, su invito del nostro Istituto Teologico nel 2005, in una tavola rotonda con il filosofo e deputato Rocco Buttiglione e con il giornalista L. Segarelli e destò meraviglia e discussione l’affermazione circa la base biblica della democrazia odierna. Le risposte del relatore si possono trovare proprio in quest’articolo.
È noto che negli ultimi trenta anni sono entrate molte novità negli studi biblici: in esegesi sono stati sempre più accolti i metodi sincronici, sull’origine del Pentateuco è stata abbandonata la teoria di Wellhausen delle quattro fonti JEDP (su cui è basato il commento dell’edizione della Bibbia di Gerusalemme, Dehoniane), in storiografia è stata revisionata la lettura della corrente deuteronomista, che ha segnato la storia d’Israele da Giosuè ai libri dei Re. Il prof. Ska è maestro in questi ambiti e i suoi articoli, raccolti in questo libro, hanno il sapore della novità, anche per chi ha coltivato studi biblici prima degli anni Settanta, e sono di facile lettura per tutti. È un invito a prendere in mano il libro e gustarlo articolo per articolo.
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Il biblista GABRIELE MIOLA fa recensione del libro
- L. SKA, I volti insoliti di Dio. Meditazioni bibliche, EDB, Bologna 2006 (pp. 142) € 10,50
È un altro piccolo gioiello del prof. Ska sul tema del volto di Dio. Il professore vi raccoglie le meditazioni scritte per il Movimento Rinascita Cristiana con l’aggiunta di alcune altre per arricchire il tema svolto. Sono 21 meditazioni bibliche sullo stesso tema: ogni meditazione presenta in due massimo tre pagine (solo due volte arriva alle dieci pagine) il tema e in una pagina offre degli spunti di riflessione con interrogativi, cui il lettore è invitato a rispondere entrando nella propria coscienza e nella propria fede. Le 21 meditazioni prendono spunto da sedici testi dell’Antico Testamento e da cinque del Nuovo.
Il desiderio di Dio, di vedere il suo volto è il fine di ogni religione; la Bibbia l’esprime con interrogativi pressanti e ripetuti: «Quando verrò e vedrò il volto di Dio» (Sai 42,3), o quando Mosè chiede a Dio: «Mostrami la tua gloria» cioè il volto (Es 33, 18.20). Ska nell’introduzione mette in evidenza che, per la Bibbia, Dio non lo si raggiunge con speculazioni intellettuali o misticismi umani, ma egli stesso si rivela nella storia. Lo stesso nome che Dio s’è dato JHWH esprime una presenza, è il Dio che s’è mostrato ad Abramo, Isacco e Giacobbe, è il Dio che s’è rivelato nel volto di Gesù Cristo (Gv 14,8). Secondo la Bibbia Dio è sempre presente nella storia dell’uomo, cammina accanto a lui, quando sperimenta la gioia del bene e della vita e anche quando l’uomo pretende di far da solo allontanandosi da lui, perché Dio lo sollecita sempre, lo aspetta con tenerezza e amore.
Ska con queste meditazioni fa una lettura sapienziale dei testi biblici, li fa gustare ed invita ad un lavoro di approfondimento personale. Mette a profitto il suo lungo lavoro scientifico, la sua larga conoscenza per far assaporare la profondità e la bellezza della paro-la di Dio. Ci offre una vera lectio divina. Ci auguriamo che questo libretto arrivi nelle mani di preti, religiosi e laici; darà molti frutti.
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