FIRMANA Rivista dell’Istituto Teologico di Fermo fondata da Gabriele Miola n. 41\42 anno 2006 Il biblista Gabriele Miola fa recensione del libro
Yves SIMOENS, “Il libro della pienezza. Il Cantico dei Cantici. Una lettura antropologica e teologica”, EDB, Bologna 2005 (pp. 206)
Il titolo del libro indica già da sé la sintesi cui è giunto l’autore, che presenta il risultato della sua ricerca in questo saggio sul Cantico dei Cantici: il Cantico celebra la pienezza della Historia salutis dell’Antico e del Nuovo Testamento, del primo in quanto il Cantico è l’espressione più alta della Sapienza e del secondo perché la Profezia ne lascia intravedere la consumazione nell’amore pieno tra il Creatore e l’uomo quale vertice di tutta la creazione. Il sottotitolo Lettura antropologica e teologica precisa il metodo seguito dall’autore, cioè di leggere unitariamente il senso letterale e spirituale del poema d’amore, che è il Cantico. Scrive nell’introduzione: «Leggeremo il Cantico integrando il senso spirituale nel senso letterale. […] Qui il senso letterale è soprattutto un senso antropologico. Il riferimento a Dio passa attraverso l’espressione dell’esperienza umana di una coppia che si ama» (pag. 8).
Simoens fa appena qualche accenno alla storia dell’interpretazione del Cantico nella tradizione ebraica e cristiana, lascia da parte le diverse teorie sulla formazione del poema, ritiene il cantico una composizione assolutamente unitaria di un unico autore anonimo del dopo esilio, che si nasconde sotto la figura di Salomone perché questo nome rimanda ad una dignità regale davidica e sapienziale.
Per Simoens i riferimenti dell’autore del Cantico sono da una parte Gen 2-3, capitoli che presentano la coppia simbolo dell’umanità, due in una carne sola, l’uno di fronte all’altro e tutti e due di fronte a Dio, che, a custodia della loro unità, ha fatto loro dono della legge, e ancora una coppia divisa dal dramma dell’amore che si sottrae alla legge, ma ancora coppia accolta ed amata; dall’altra parte tutta la storia d’Israele nel suo dramma di essere, alla luce della parola profetica, sposa che Dio s’è scelta, amata e ricercata pur nella fragilità e debolezza di lei.
La lettura simbolico-allegorica, che vede nell’amore dei due giovani la relazione JHWH-Israele, non è sovrapposta né staccata, ma interna e unitaria nel Cantico. Esso celebra di fatto l’amore di lei e di lui, di due giovani, che si amano, si cercano, si perdono e si ritrovano per arrivare a quella comunione, unità, fusione in cui trova pienezza il desiderio d’amore insito nel maschile e femminile della stessa natura umana. Nel cantare il mistero d’amore della coppia il Cantico vela e svela nello stesso tempo la storia drammatica dell’umanità nella sua tensione tra libertà e legge e la storia d’Israele nella sua terra tra liberazione e schiavitù, vita e morte. Il Cantico celebra la pienezza del disegno di Dio, di cui l’unione di lei e di lui è simbolo: unione prefigurata nei profeti quando JHWH farà Israele sua “sposa per sempre […] nella giustizia e nel diritto, nella benevolenza e nell’amore […] e conoscerà JHWH, il Signore” (Os 2,21s) e compiuta quando Gesù, lo sposo, e la Chiesa, la sposa, diranno allo Spirito-Amore: vieni! (Ap 22,17).
L’autore sulla scia dell’esegesi di P. Beauchamp, messi a parte il prologo (1,1-4) e l’epilogo (8,5-7 e 8-14) divide il Cantico in due parti simmetriche di cinque canti ciascuna (prima parte 1,5-4,15 e seconda parte 5,2-8,4) con al centro due vv. 4,15-5,1 che fanno da cerniera tra la prima e la seconda. Non si tratta quindi di canti d’amore sorti occasionalmente per le feste dei giovani o per quelle nuziali e poi uniti da un redattore, che avrebbe dato a canti profani una tonalità simbolico-religiosa, ma di un poema che canta l’amore dei giovani, che è esso stesso realtà simbolica di rapporti più alti in esso vissuti, come la relazione Dio creatore e l’umanità, uomo-donna, fatti ad immagine di Dio, e il rapporto JHWH- Israele, che preannunzia quello Cristo-Chiesa.
Per questo Simoens, riprendendo una distinzione di A. M. Pellettier, afferma che la lettura del Cantico non può fermarsi ad una esegesi “desoggettivizzata”, cioè solo storico-critica, ma richiede una lettura “soggettivizzata”, come quella patristica e quella spirituale tipica dei grandi mistici. Scrive: «Il primo tipo di esegesi tiene a distanza il soggetto interpretante, mentre il secondo tipo lo coinvolge fortemente nella lettura, al punto da considerare il testo destinato proprio a questo coinvolgimento come prioritario rispetto a qualsiasi altro atteggiamento, senza però escludere ogni interesse nei riguardi dell’apporto scientifico, nel senso esegetico moderno del termine» (pag. 28).
Questi aspetti sono continuamente richiamati ed applicati nel commento ai singoli canti, costanti sono i riferimenti a situazioni e a testi dell’Antico Testamento impliciti nel Cantico ed esplicitati nel commento, come anche le tensioni nascoste nel poema, che rimandano al Nuovo Testamento e richiamate dall’autore. Tutto ciò rende la lettura saporosa e coinvolgente, veramente “soggettivizzata”.
Un aspetto ancora da notare, non comune nei commenti al Cantico. I personaggi principali del Cantico sono evidentemente lui e lei, adombrati in Salomone (3,7-11) e la Sulammita (7,1), ma ci sono tante altre presenze: i fratelli di lei, le sentinelle della notte, i pastori, le figlie di Gerusalemme, gli amici di lui, la madre. Questi personaggi hanno un ruolo non solo come parte dello svolgimento drammatico nel cercarsi e nel perdersi reciproco dei due giovani, ma hanno anche valore di simbolo, evocativo della tensione interna al vero amore. I fratelli di lei che scacciano la sorella perché non ha custodito la vigna (1,6b), le guardie che fanno la ronda interpellate dalla ragazza in cerca dell’amato (3,3), le guardie che perlustrano la città e percuotono la giovane che rincorre l’amato e le strappano il mantello (5,7), richiamano, a parere di Simoens, il volto severo della legge, ma la legge è anche custode dell’amore perché non traligni in passione disordinata. Scrive a proposito Beauchamp:
«L’amore non è prescritto, non è la legge e la legge non è l’amore. Nessuno ha bisogno di un permesso per amare […] l’amore non si spiega che da se stesso, viene dall’origine. Cozza contro la legge, ma la legge è sempre incarnata da viventi alle prese essi stessi con il loro desiderio. Così l’amore secondo il Cantico si distingue fermamente dalla legge, ma non si sottrae puramente e semplicemente al suo dominio: vive con essa un rapporto abbastanza tormentato. I terzi richiamano continuamente la loro presenza: l’amore non può dispiegarsi fuori del corpo sociale, anche se non vi ha la sua origine. Il corpo sociale non è la legge della coppia. La legge dice ciò che sta oltre la coppia e la società» (L’uno e l’altro Testamento, vol. 2, Glossa, Milano, p. 164).
L’altra serie di presenze: i pastori dietro le cui tracce va la ragazza per trovare l’amato (1,8), gli amici del giovane invitati alla festa, a gioire e a bere vino (5,1) e soprattutto la figura della madre presso la cui stanza la giovane vuol portare l’amato (8,1-2), le figlie di Gerusalemme invocate nelle più diverse circostanze, sono figure, secondo Simoens, che collocano l’amore della coppia nel quadro sociale entro il quale l’amore trova la sua esplicitazione e il suo senso. Così pure, commenta Simoens, la figura dello sposo, nella cui persona il Cantico lascia trasparire dignità regale e sacerdotale, e la bellezza della dorma, cantata con immagini che rimandano alle caratteristiche della terra nella quale si è svolta la storia dell’alleanza tra JHWH e Israele, collocano l’amore della coppia su un piano emblematico biblico che va da Gen 2-3, attraverso la profezia e la sapienza d’Israele, cioè la storia concreta e il desiderio dell’uomo, e arriva a pienezza nel Nuovo Testamento con le nozze dell’Agnello.
Il lavoro di Yves Simoens è veramente ricco, richiede una lettura attenta e ripetuta per entrare nello spirito del commento; è un lavoro più per iniziati che per principianti. Simoens ha sviluppato le intuizioni che Paul Beauchamp ha sinteticamente presentate nel capitolo sul Cantico dei Cantici nel suo volume L’uno e l’altro Testamento. Compiere le Scritture (Glossa, Milano 2001, pp. 153-191, orig. francese 1990). Simoens è professore di esegesi alla facoltà teologica dei pp. Gesuiti Centre Sévres di Parigi, insegna al PIB di Roma. La traduzione del Cantico dall’ebraico è nuova, quasi letterale, ma molto espressiva, sembra di entrare in contatto col testo originale. Segnalo un errore di stampa nella tra-scrizione di un termine ebraico: pag. 84 terza riga del secondo capoverso: non kabah, ma kalah, meglio ancora allah.
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Il biblista Gabriele Miola fa recensione del libro
- SlMOENS, Il libro della pienezza. Il Cantico dei Cantici. Una lettura antropologica e teologica, EDB, Bologna 2005 (pp. 206) euro 15,50.
Il titolo del libro indica già da sé la sintesi cui è giunto l’autore, che presenta il risultato della sua ricerca in questo saggio sul Cantico dei Cantici: il Cantico celebra la pienezza della Historia salutis dell’Antico e del Nuovo Testamento, del primo in quanto il Cantico è l’espressione più alta della Sapienza e del secondo perché la Profezia ne lascia intravedere la consumazione nell’amore pieno tra il Creatore e l’uomo quale vertice di tutta la creazione. Il sottotitolo Lettura antropologica e teologica precisa il metodo seguito dall’autore, cioè di leggere unitariamente il senso letterale e spirituale del poema d’amore, che è il Cantico. Scrive nell’introduzione: «Leggeremo il Cantico integrando il senso spirituale nel senso letterale. […] Qui il senso letterale è soprattutto un senso antropologico. Il riferimento a Dio passa attraverso l’espressione dell’esperienza umana di una coppia che si ama» (pag. 8).
Simoens fa appena qualche accenno alla storia dell’interpretazione del Cantico nella tradizione ebraica e cristiana, lascia da parte le diverse teorie sulla formazione del poema, ritiene il cantico una composizione assolutamente unitaria di un unico autore anonimo del dopo esilio, che si nasconde sotto la figura di Salomone perché questo nome rimanda ad una dignità regale davidica e sapienziale.
Per Simoens i riferimenti dell’autore del Cantico sono da una parte Gen 2-3, capitoli che presentano la coppia simbolo dell’umanità, due in una carne sola, l’uno di fronte all’altro e tutti e due di fronte a Dio, che, a custodia della loro unità, ha fatto loro dono della legge, e ancora una coppia divisa dal dramma dell’amore che si sottrae alla legge, ma ancora coppia accolta ed amata; dall’altra parte tutta la storia d’Israele nel suo dramma di essere, alla luce della parola profetica, sposa che Dio s’è scelta, amata e ricercata pur nella fragilità e debolezza di lei.
La lettura simbolico-allegorica, che vede nell’amore dei due giovani la relazione JHWH-Israele, non è sovrapposta né staccata, ma interna e unitaria nel Cantico. Esso celebra di fatto l’amore di lei e di lui, di due giovani, che si amano, si cercano, si perdono e si ritrovano per arrivare a quella comunione, unità, fusione in cui trova pienezza il desiderio d’amore insito nel maschile e femminile della stessa natura umana. Nel cantare il mistero d’amore della coppia il Cantico vela e svela nello stesso tempo la storia drammatica dell’umanità nella sua tensione tra libertà e legge e la storia d’Israele nella sua terra tra liberazione e schiavitù, vita e morte. Il Cantico celebra la pienezza del disegno di Dio, di cui l’unione di lei e di lui è simbolo: unione prefigurata nei profeti quando JHWH farà Israele sua “sposa per sempre […] nella giustizia e nel diritto, nella benevolenza e nell’amore […] e conoscerà JHWH, il Signore” (Os 2,21s) e compiuta quando Gesù, lo sposo, e la Chiesa, la sposa, diranno allo Spirito-Amore: vieni! (Ap 22,17).
L’autore sulla scia dell’esegesi di P. Beauchamp, messi a parte il prologo (1,1-4) e l’epilogo (8,5-7 e 8-14) divide il Cantico in due parti simmetriche di cinque canti ciascuna (prima parte 1,5-4,15 e seconda parte 5,2-8,4) con al centro due vv. 4,15-5,1 che fanno da cerniera tra la prima e la seconda. Non si tratta quindi di canti d’amore sorti occasionalmente per le feste dei giovani o per quelle nuziali e poi uniti da un redattore, che avrebbe dato a canti profani una tonalità simbolico-religiosa, ma di un poema che canta l’amore dei giovani, che è esso stesso realtà simbolica di rapporti più alti in esso vissuti, come la relazione Dio creatore e l’umanità, uomo-donna, fatti ad immagine di Dio, e il rapporto JHWH- Israele, che preannunzia quello Cristo-Chiesa.
Per questo Simoens, riprendendo una distinzione di A. M. Pellettier, afferma che la lettura del Cantico non può fermarsi ad una esegesi “desoggettivizzata”, cioè solo storico-critica, ma richiede una lettura “soggettivizzata”, come quella patristica e quella spirituale tipica dei grandi mistici. Scrive: «Il primo tipo di esegesi tiene a distanza il soggetto interpretante, mentre il secondo tipo lo coinvolge fortemente nella lettura, al punto da considerare il testo destinato proprio a questo coinvolgimento come prioritario rispetto a qualsiasi altro atteggiamento, senza però escludere ogni interesse nei riguardi dell’apporto scientifico, nel senso esegetico moderno del termine» (pag. 28).
Questi aspetti sono continuamente richiamati ed applicati nel commento ai singoli canti, costanti sono i riferimenti a situazioni e a testi dell’Antico Testamento impliciti nel Cantico ed esplicitati nel commento, come anche le tensioni nascoste nel poema, che rimandano al Nuovo Testamento e richiamate dall’autore. Tutto ciò rende la lettura saporosa e coinvolgente, veramente “soggettivizzata”.
Un aspetto ancora da notare, non comune nei commenti al Cantico. I personaggi principali del Cantico sono evidentemente lui e lei, adombrati in Salomone (3,7-11) e la Sulammita (7,1), ma ci sono tante altre presenze: i fratelli di lei, le sentinelle della notte, i pastori, le figlie di Gerusalemme, gli amici di lui, la madre. Questi personaggi hanno un ruolo non solo come parte dello svolgimento drammatico nel cercarsi e nel perdersi reciproco dei due giovani, ma hanno anche valore di simbolo, evocativo della tensione interna al vero amore. I fratelli di lei che scacciano la sorella perché non ha custodito la vigna (1,6b), le guardie che fanno la ronda interpellate dalla ragazza in cerca dell’amato (3,3), le guardie che perlustrano la città e percuotono la giovane che rincorre l’amato e le strappano il mantello (5,7), richiamano, a parere di Simoens, il volto severo della legge, ma la legge è anche custode dell’amore perché non traligni in passione disordinata. Scrive a proposito Beauchamp:
«L’amore non è prescritto, non è la legge e la legge non è l’amore. Nessuno ha bisogno di un permesso per amare […] l’amore non si spiega che da se stesso, viene dall’origine. Cozza contro la legge, ma la legge è sempre incarnata da viventi alle prese essi stessi con il loro desiderio. Così l’amore secondo il Cantico si distingue fermamente dalla legge, ma non si sottrae puramente e semplicemente al suo dominio: vive con essa un rapporto abbastanza tormentato. I terzi richiamano continuamente la loro presenza: l’amore non può dispiegarsi fuori del corpo sociale, anche se non vi ha la sua origine. Il corpo sociale non è la legge della coppia. La legge dice ciò che sta oltre la coppia e la società» (L’uno e l’altro Testamento, vol. 2, Glossa, Milano, p. 164).
L’altra serie di presenze: i pastori dietro le cui tracce va la ragazza per trovare l’amato (1,8), gli amici del giovane invitati alla festa, a gioire e a bere vino (5,1) e soprattutto la figura della madre presso la cui stanza la giovane vuol portare l’amato (8,1-2), le figlie di Gerusalemme invocate nelle più diverse circostanze, sono figure, secondo Simoens, che collocano l’amore della coppia nel quadro sociale entro il quale l’amore trova la sua esplicitazione e il suo senso. Così pure, commenta Simoens, la figura dello sposo, nella cui persona il Cantico lascia trasparire dignità regale e sacerdotale, e la bellezza della dorma, cantata con immagini che rimandano alle caratteristiche della terra nella quale si è svolta la storia dell’alleanza tra JHWH e Israele, collocano l’amore della coppia su un piano emblematico biblico che va da Gen 2-3, attraverso la profezia e la sapienza d’Israele, cioè la storia concreta e il desiderio dell’uomo, e arriva a pienezza nel Nuovo Testamento con le nozze dell’Agnello.
Il lavoro di Yves Simoens è veramente ricco, richiede una lettura attenta e ripetuta per entrare nello spirito del commento; è un lavoro più per iniziati che per principianti. Simoens ha sviluppato le intuizioni che Paul Beauchamp ha sinteticamente presentate nel capitolo sul Cantico dei Cantici nel suo volume L’uno e l’altro Testamento. Compiere le Scritture (Glossa, Milano 2001, pp. 153-191, orig. francese 1990). Simoens è professore di esegesi alla facoltà teologica dei pp. Gesuiti Centre Sévres di Parigi, insegna al PIB di Roma. La traduzione del Cantico dall’ebraico è nuova, quasi letterale, ma molto espressiva, sembra di entrare in contatto col testo originale. Segnalo un errore di stampa nella tra-scrizione di un termine ebraico: pag. 84 terza riga del secondo capoverso: non kabah, ma kalah, meglio ancora allah.
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