TREBBI FRANCESCO (Mercatello sul Metauro 1824- Fermo 1912) <notizie derivate e adattate dal Foglio Ufficiale Ecclesiastico di Fermo anno 1912 pagg. 104-105>
Sacerdote arcidiacono della chiesa metropolitana di Fermo, è nato il 2 Aprile del 1824 a Mercatello <sul Metauro> da Vittorio Trebbi medico valente e cristiano piissimo e da Annunziata Rossi santa e gentil donna di Urbania. Nel 1836 entrava nel Seminario di Fossombrone dove compiva con assai lode il corso triennale di Grammatica Latina. Nel 1839, avendo il padre suo trasferito il domicilio in Monte Giorgio per ragioni professionali, il giovanetto Francesco passava al Seminario arcivescovile di Fermo dove fu sempre tra i primi, per studio, bontà e candore di animo. Ebbe gli Ordini minori dal cardinal Gabriele Ferretti arcivescovo e principe di Fermo (1837- 1841) e dal successore cardinal Filippo De Angelis (1842- 1877) ebbe la consacrazione Sacerdotale il 19 dicembre del 1847.Fin dal novembre di quest’anno, destinato da semplice diacono ad insegnare Belle Lettere nel Seminario, iniziava il corso di quel magistero glorioso che tanti uomini egregi per cultura letteraria non men che per virtù doveva preparare alla Chiesa e all’Italia. Zelantissimo, infaticabile, ha portato la sua attività anche nel confessionale e nel pergamo. Rari i paesi della Fermana archidiocesi che non abbiano intesa la sua parola dolce, insinuante, persuasiva e tutti ne conservano la più grata memoria. Corona ai suoi meriti, dall’arcivescovo cardinale Amilcare Malagola (1877-1895) gli è stato conferito l’onore di Canonico, poi di Arcidiacono della Chiesa Metropolitana. Nel Seminario dopo la cattedra ha tenuto l’ufficio importantissimo di Rettore e per rinuncia da questo è passato a quello di Prefetto degli studi che ha continuato sempre a disimpegnare con senno e prudenza. Mansuetudine di cuore, soave semplicità di costumi, compassione e generosa pietà per i poverelli, accoppiata alle altre virtù proprie del sacerdote cattolico hanno fatto di lui l’uomo diletto a Dio e agli uomini; la sua figura fu una delle più amabili e simpatiche della città di Fermo. Ma superiore ad ogni elogio fu certamente la sua modestia. Linguista e scrittore valente negli idiomi italiano e latino, epigrafista di vaglia, poeta gentile tale da meritare stima tra quanti vanno per la maggiore nel campo delle lettere. Un eminente personaggio lo ha dichiarato: “gemma nascosta dell’archidiocesi”. Amò, piuttosto, rimanersene nascosto e noto solo a quel Dio alla cui gloria aveva irrevocabilmente consacrato la vita, le forze, l’ingegno.