MIOLA GABRIELE mons. Vicario generale dell’arcidiocesi di Fermo – Anno 1980 –
Il Vicario Generale Mons., Gabriele Miola ha partecipato al Convegno Nazionale su “LA SPIRITUALITÀ’ DEL PRESBITERO DIOCESANO, OGGI” dal 3 al 6 novembre organizzato dalla C. E. I. – Commissione Episcopale per il Clero –
Pubblichiamo le INDICAZIONI CONCLUSIVE <proposte> e alcune IMPRESSIONI di Mons. Miola, che riteniamo particolarmente indicative di come, pur nella generale positività dello stesso Convegno, sia difficoltoso affrontare con coraggio e netto spirito conciliare la attualissima questione della spiritualità del Clero diocesano.
.1. –“ Indicazioni conclusive dai Convegno raccolte dal Presidente della Commissione per il Clero. – La così alta e intensa partecipazione a un Convegno tanto impegnativo, quale questo nazionale sulla “Spiritualità dei Presbitero diocesano, oggi” è già rivelatrice del bisogno ed esigenza, disponibilità e prontezza dei sacerdoti ad approfondire la propria identità di chiamati e convocati da Cristo nel servizio dei fratelli nelle cose che riguardano Dio per l’edificazione della Chiesa.
L’esigenza è imposta: dal desiderio di vivere autenticamente il sacerdozio; dalla realtà pastorale odierna in continua e rapida evoluzione, acuita dalla crisi dei valori del mondo contemporaneo che oggettivamente insidia anche il presbitero.
Il Convegno, attento al filone storico della spiritualità dei sacerdoti che ha saputo esprimere, in ogni luogo e tempo, i tanti testimoni della carità pastorale; accogliente delle motivazioni teologiche della chiamata del Presbitero a essere ministro di Cristo e della sua opera di salvezza, ha ravvisato che il Presbitero diocesano ha una sua propria, specifica spiritualità. Essa si radica nel sacramento dell’ordine e si attua mediante la carità pastorale.
Il Convegno ha quindi indicato le vie che il Presbitero deve percorrere, i mezzi che deve adoperare per essere nel mondo ciò che Dio vuole, cioè la presenza sacramentale del buon Pastore, pronto a impegnarsi, unito al Vescovo e per mezzo del Vescovo al Papa, al Presbiterio e a tutto il popolo di Dio nella evangelizzazione con tutte le forze e a dare la vita per le anime.
Il Convegno, avuto modo così di riflettere sull’esigenza della identità sacerdotale; preso atto delle indicazioni della storia; meditata la dottrina del sacerdozio, le esigenze della carità pastorale, ha raffrontato le opinioni di tutti in ampie discussioni che si configurano non tanto come conclusioni finali, ma piuttosto come una proposta da affidare allo studio e alla esperienza vissuta in vista di una più precisa definizione del volto spirituale del presbitero.
Emergono intanto con evidenza queste constatazioni:
- – Portare avanti, con decisione e fermezza, la permanente formazione dei Presbiteri alla loro specifica spiritualità, nei modi e nelle forme che i singoli presbiteri studieranno insieme con i loro Vescovi. E ciò per sviluppare sempre più nelle forme tipiche della spiritualità presbiteriale le varie dimensioni della vita sacerdotale: la preghiera personale e contemplativa dei misteri; le preghiera che diventa un’unica cosa col servizio pastorale; l’ascolto della Parola di Dio, meditata per sé e spezzata con fedeltà e fervore alle menti, perché orienti la vita e tutto il ministero; un cammino penitenziale permanente di conversione che purifica le intenzioni e rende obbedienti all’iniziativa di Dio (confessione frequente – revisione di vita – periodi di aggiornamento – incontri spirituali di Clero; ecc.).
Soprattutto una intensa vita liturgica, partecipata e vissuta con celebrazioni ben preparate, significative e bene espresse della Messa, dell’adorazione, della pietà mariana, delle “Ore”, e dell’intero anno liturgico.
In questo modo il Presbitero realizza il suo ministero di Pastore celebrante ed edifica il popolo di Dio con la grazia che viene dall’alto. Sarà quindi in grado di trarre da queste perenni sorgenti la forza per seguire fedelmente il Cristo nella verginità, nella povertà, nell’obbedienza, segno e condizione insieme di quella carità pastorale che è lo specifico della spiritualità del Presbitero diocesano.
- – Il celibato fa del prete un uomo consegnato per amore alla sua comunità che diviene, così, la sua famiglia. In tal modo egli aderisce più facilmente e totalmente a Cristo Pastore che dà la vita per le sue pecore e si dispone meglio a una più ampia paternità.
E’ stato rilevato che questo valore della verginità arricchisce la Chiesa in quanto segno rivelatore dell’amore di Dio e l’avvicina nel servizio al mondo. Convinti che la vita celibe è un dono di Dio, si rileva la convinzione che va chiesto a Dio con insistenza. La vita celibe è parte della particolare ascesi del presbitero e della fraternità sacramentale, e va vissuta in amicizia con i confratelli e col Vescovo.
Ne deriva una spirituale fraternità che induce fortemente il presbitero a discernere tra i figli di Dio quanti Egli ha chiamato a ogni forma di vita consacrata, soprattutto al sacerdozio. Sentirà allora insopprimibile l’amore al luogo di sua formazione, il seminario, ove ritornerà spesso, mente et opere, curerà a tal fine con una pastorale vocazionale, tutta la gioventù.
Ricorderà alla famiglia dei laici la loro specifica vocazione battesimale di vivere secondo Dio per “ordinare secondo Dio” le realtà temporali del mondo e si sentirà, a tal fine, impegnato a dare ad essi quanto ad essi occorre, di verità e di grazia, perché non abbiano mai a separare la vita dalla fede.
III. – La povertà evangelica vissuta ad imitazione di Cristo che, si è fatto povero per arricchirci tutti della sua povertà (2 Cor 8-9) diventa segno della gratuità con la quale l’apostolo annuncia quel Vangelo che gratuitamente ha ricevuto; viene così accolto l’invito del Concilio ad abbracciare la povertà “con cui possono conformarsi a Cristo in modo più evidente ed essere in grado di svolgere con maggiore prontezza il sacro ministero”. (PO 17). Dimostra anche di sapere che povertà, è atteggiamento di distacco, di accettazione dei propri limiti, di rinuncia a ogni forma di potere; che povertà vuol dire comunione presbiterale con i confratelli, attenzione ai loro bisogni, condivisione dei beni con essi, e ogni forma di pronta collaborazione nei ministeri e di generosa assistenza.
- – L’obbedienza. E’ ciò per avere ed esprimere gli stessi sentimenti di Cristo “fatto obbediente fino alla morte di Croce” (Rom 5,9; PO, 15) e come Lui, secondo la volontà dei Padre, radunare i dispersi. Il Presbitero infatti è colui che ha mani e piedi legati dallo Spirito per giovare alla salvezza di molti. Per essere attuata così, l’obbedienza richiede “uno spirito di fede” (PO, 15) in coloro che Cristo ha posto come reggitori della sua Chiesa che per questo diverrà “responsabile e volontaria”, vissuta con i Pastori in un dialogo fiducioso e aperto, che è punto e luogo di incontro della comunione col Vescovo, nella ricerca comune del disegno di Dio in quanto si sentono corresponsabili col Vescovo nel Presbiterio, della vita cristiana della Chiesa locale; sono infatti membri di Cristo Capo per la vita di tutto il popolo sacerdotale.
Questi i punti principali emersi per lo sviluppo della spiritualità del Presbitero.
Il Convegno presenta e affida questi rilievi ai Vescovi, a tutti i Presbiteri diocesani che sono il luogo dove il Presbitero deve trovare richiamo acuto e stimolo a vivere la propria spiritualità; ai Vescovi perché lo aiutino ad attuarli; ai fedeli perché preghino per i loro sacerdoti. In questo contesto va rinnovato l’apprezzamento per quei movimenti, associazioni, gruppi di spiritualità sacerdotale, per il servizio che offrono alla crescita di tutto il corpo sacerdotale.
Per compiere ed attuare tutti questi suggerimenti il Convegno indica l’esigenza di incrementare e dar vita nella Chiesa locale, a quelle condizioni strutturali che rendono possibile ai Presbiteri di crescere nella loro spiritualità, rispettando ed incrementando tutti i presupposti di un’autentica maturità umana e cristiana.
Anzitutto bisogna assicurare rapporti più intensi e spirituali con il Vescovo e i confratelli uniti all’offerta di mezzi adeguati quali luoghi e sussidi di preghiera, e tutte quelle condizioni che rendono serena la vita del Presbitero, lo aiutano a essere santo.
E’ rilevata la necessità che il Convegno di Roma, così felicemente concluso e che ha avuto momenti di grazia straordinaria nella concelebrazione col Papa e con i Vescovi, sia ora attualizzato, Regione per Regione, Diocesi per Diocesi.
Infine auspica, che la Commissione Episcopale, avvalendosi della Commissione Presbiterale Italiana, porti avanti gli studi sulla teologia del Presbitero Diocesano, affidando il compito a persone e strumenti qualificati.
Il Convegno auspica ancora infine, l’istituzione di una cattedra del Presbitero Diocesano nei seminari teologici e nelle facilità universitarie.
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.2. – Mons. Gabriele Miola annota le proprie IMPRESSIONI
.1) Il convegno era molto atteso: Io stava a testimoniare la larga partecipazione dei preti da quasi tutte le Diocesi d’Italia: erano presenti circa 500 preti, diocesani per lo più e alcuni religiosi, impegnati direttamente nelle parrocchie. Il convegno ha avuto un momento importante nella concelebrazione con il Papa nel suo giorno onomastico, il 4 novembre, festa di S. Carlo Borromeo, la figura più significativa di pastore della riforma tridentina.
.2)- Alla domanda perché i vescovi italiani hanno voluto ed organizzato questo convegno sono venute diverse risposte. Nel depliant ufficiale del programma le finalità erano così individuate:
“Il convegno si propone di offrire contributi alle attuali esigenze dei presbiteri in Missione nella Comunità ecclesiale italiana … di approfondire l’identità del presbitero come uomo chiamato e consacrato da Cristo per il servizio dei fratelli nelle cose che riguardano Dio”. Negli interventi sono state sottolineate altre finalità o meglio altre occasioni che hanno stimolato al convegno: ritrovare una unità nella figura del prete dopo la discussione acuta e più o meno serena degli anni postconciliari sulla identità del sacerdote; venire incontro ad una evidente richiesta di “spiritualità”, che sfocia in movimenti collaterali di aiuto e di appoggio della vita spirituale del prete; specificare la spiritualità del prete in ordine alla spiritualità tipica degli ordini religiosi.
A questo proposito un lucido intervento di uno dei partecipanti faceva rilevare: dalla fine dei Concilio ad oggi si sono succedute come tre generazioni: una generazione di entusiasti, che pensava di dover superare immediatamente il Vaticano II e già pensava di avere tra le mani il Vaticano III; una generazione di delusi, che riteneva di dover tornare al passato e portava nella Chiesa nostalgie di stampo lefebriano; una terza, che invece dice: non conosciamo il Vaticano II o per lo meno non ne abbiamo assimilato il messaggio e la ricchezza e quindi “evangelizziamo” il Vaticano II. Concludeva: la spiritualità del prete bisogna enunclearla a partire dai documenti del Vaticano II senza fughe in avanti, ma anche senza involuzioni e riflussi che possono nuocere alla vita dei presbiteri e alla pastorale.
3)-Le tre relazioni fondamentali hanno enucleato questa teologia incentrata sulla Chiesa locale, sulla diocesanità quindi, sul rapporto del presbitero con il popolo di Dio e con il vescovo che è il padre ed il vigile custode dell’unità della fede e della carità.
Queste le tre relazioni di base:
- Linee storiche della spiritualità presbiterale nell’età moderna (G. Maiali)
- Immagine attuale del presbitero nelle sue motivazioni teologiche (P. Colombo)
- Indicazioni di spiritualità presbiterale (C. Scanzillo)
La seconda relazione, ottima per la impostazione e la chiarezza, ha attirato l’attenzione di molti perché coglieva il punto nodale della problematica facendo vedere come la teologia manualistica del prete, che sottolineava unilateralmente soltanto un aspetto della teologia tridentina, è stata superata o integrata dalla teologia sul prete del Vaticano II. La prima rispecchiava il modello “dionisiano” del prete, tutta basata sulla costituzione gerarchica delia Chiesa e sul “carattere” sacerdotale e trovava la sua espressione di spiritualità nell’opera del Card. Mercier, “La vie interieure”, da cui emergeva la figura del prete “alter Christus”; la seconda ha avuto una prospettiva più ecclesiologica sulla linea agostiniana ed ha evidenziato alcune esigenze unitarie, proprie del ministero ordinato, ministero di unità del corpo di Cristo che è la Chiesa, da cui emerge la figura del vescovo e del presbitero come “buon pastore”.
- Una osservazione critica: il convegno ha suscitato tante speranze, ma ha lasciato, non si può negare, anche profonde delusioni, che si coglievano nelle parole, nel volto, nell’atteggiamento di diversi partecipanti. L’osservazione critica è questa: le tre relazioni avevano ben centrato il problema e particolarmente stimolante era stata la relazione di P. Colombo, però non sono state messe a frutto. A mio modesto parere l’errore è venuto nella impostazione del lavoro dei gruppi. Il lavoro doveva essere sviluppato nella linea ecclesiologica, cioè partendo dalle prerogative del popolo di Dio, come sono state illustrate nei capitoli primo e secondo della Lumen Gentium: popolo profetico, popolo sacerdotale, popolo regale.
Dato per acquisito quanto la L.G. dice al paragrafo 10 e cioè che il sacerdozio comune dei fedeli e il sacerdozio ministeriale differiscono non solo di grado, ma per essenza, si doveva, secondo me, impostare il lavoro su queste tematiche: il popolo profetico ed il presbitero e quindi tutto il rapporto con la “parola” nell’annuncio, nell’evangelizzazione, nella catechesi ecc.; il popolo sacerdotale ed il presbitero e quindi il rapporto con la preghiera, la liturgia, i sacramenti, la pietà popolare ecc.; il popolo regale e il presbitero e quindi il rapporto con l’animazione della carità, del sociale ecc. E’ qui che si radica la spiritualità specifica dei presbitero diocesano.
A mio avviso il lavoro dei gruppi è stato deviante perché pur ricorrendo spesso questa prospettiva, la riflessione si è spostata sostanzialmente sulla figura de prete in sé e per spiritualità si sono intese ancora le linee tipiche della vita religiosa per cui i gruppi hanno disquisito, come sempre, su: il celibato del prete, la povertà, l’obbedienza del prete, la vita comunitaria, la preghiera, la formazione permanente, i movimenti di sostegno della spiritualità del prete (l’ottavo gruppo: ironia del caso, mentre si faceva un convegno sulla spiritualità del prete, si parlava della spiritualità di sostegno del prete). Povertà, obbedienza, verginità, comunità, conversione continua fanno parte della vocazione del cristiano, cioè sono radicate nel battesimo e quindi nella sequela di Cristo, ma altro è il modo di vivere questi “doni” da parte del laico, altro quello del vescovo e del presbitero, altro quello del religioso. Sembra ancora che questa specificità non sia emersa, per cui i primi, i laici, ne sono esclusi, i secondi, cioè i presbiteri imitano o si appoggiano ai religiosi, e questi, i terzi, sono il modello di ogni spiritualità. Pare ancora che la teologia dei ministeri e dei carismi non sia entrata bene nella riflessione ecclesiologica. Le conclusioni ufficiali auspicano che “il convegno sia ora attualizzato Regione per Regione, Diocesi per Diocesi”, auspica ancora che “si porti avanti gli studi sulla teologia del Presbitero Diocesano” e suggerisce “l’istituzione di una cattedra del Presbitero Diocesano nei seminari teologici e nelle facoltà universitarie”. Già questo sarebbe un ottimo frutto. La pubblicazione “integrale” degli Atti del convegno, promessa tra breve tempo, potrà aiutare ad un maggior approfondimento. Don Gabriele Miola
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ATTI DEL VII CONGRESSO EUCARISTICO DIOCESANO (C.E.D.). Fermo 1985
E’ bene conservarne memoria scritta perché è stato un momento significativo della vita diocesana. Ci sono stati due anni di preparazione e di animazione pastorale per il C.E.D. Il tema del C.E.D. era lo stesso di quello nazionale, celebrato a Milano l’anno prima: L’Eucaristia al centro della vita della Chiesa. La preparazione è consistita nel riesaminare tutta la vita ecclesiale e la pastorale diocesana alla luce della centralità dell’Eucaristia, che è il Mistero della fede. Chi ha partecipato e vissuto intensamente questi due anni, sa che questo è stato senz’altro il lavoro più proficuo e frutto significativo sono i tanti animatori di gruppo e di centri di ascolto sorti in diverse parrocchie. Di tutto questo lavoro ci sono soltanto pochi cenni in questo volume.
Questi sono soprattutto gli Atti delle celebrazioni conclusive. E’ stato dato poco spazio alla cronaca; si è cercato di riportare invece per intero sia gli interventi dell’Arcivescovo con la lettera di indizione del Congresso e con l’omelia della giornata conclusiva, sia le relazioni degli incontri pastorali perché rimangano come linee orientative per la lettura della nostra situazione pastorale in Diocesi e per un lavoro futuro.
L’ augurio è che queste pagine possano arricchire la nostra memoria e stimolare il nostro impegno pastorale. don GABRIELE MIOLA Vicario Generale
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Anno 1981 = PRESBITERO E COMUNITA’ NELL’AMBITO DELLA LITURGIA
Riportiamo gli appunti della relazione svolta da don Miola; il relatore ha ampliato notevolmente le tematiche, ha sottolineato particolarmente la proposta di un CATECUMENATO per gli ADULTI
.1 / La situazione
Premessa: nei 10 incontri per paesi che ho tenuto in giugno hanno partecipato 59 preti nelle riunioni di vicaria: a Montefiore 4; Grottazzolina 3; Civitanova 8; Fermo (I) 11; Fermo (II) 1; Altidona 6; Petritoli 9; Piane di Falerone 9; Porto Sant’Elpidio 3; Porto San Giorgio 5.
A dire il vero si è parlato più sulla catechesi che non sulla liturgia; comunque sono emerse considerazioni di un certo rilievo che dividerei così:
.a. – aspetto positivo: il primo è l‘accettazione piena, toto corde, della riforma liturgica; da noi non ci sono rimpianti per il messale di S. Pio V o il latino e simili. Se si pensa che il primo messale in Italiano approvato dalla Conferenza Episcopale Italiana (CEI) è del 12 marzo 1965 – messale e letture – ; che i lezionari sono entrati a cominciare dal 1972 ( Natale ‘71 e la traduzione ufficiale CEI della Bibbia ); che i diversi ordines sono entrati man mano in quest’ultimo decennio (cfr. CEI Battesimo 6.5.1970; battesimo adulti 4.3.’979; cresima 1.1.’973; matrimonio 1.1.’976; penitenza 21.4.’974; unzione degli infermi 16.2.’975); che la liturgia delle ore, approvata nel ‘970, ma in italiano è stata approntata nel ‘975; se si tiene presente tutto questo si deve dire che il cammino fatto è breve, che abbiamo fatto pochi passi. Tutti sono stati d’accordo nel dire che la liturgia nella lingua propria è una grande grazia sia per il presbitero sia per i fedeli, anche se né il presbitero né i fedeli ne hanno percepito tutta la ricchezza.
L’ actio liturgica in italiano, qualunque essa sia, costringe il celebrante ad un nuovo rapporto con la comunità, non solo per quanto riguarda il testo, la dizione, il senso, anche e soprattutto come mentalità e svolgimento della celebrazione.
.b. – aspetti negativi: – Un’osservazione generale è stata questa: è cambiata la lingua, sono cambiati alcuni riti, ma la partecipazione è scarsa; il linguaggio liturgico e biblico fa difficoltà alla gente, esso richiede un’iniziazione, non è compreso; e questo vale per la Messa e i sacramenti. In questa situazione per forza il rapporto tra prete e comunità non può essere che quello per cui da una parte l’uomo delle cose sacre, attore, celebrante, e dall’altra degli spettatori di pratiche religiose, di gente che fa le devozioni, che compie il suo dovere con Dio, che dà un senso sacro alla sua vita e simili.
– Diversi hanno rilevato che la liturgia è tanto meglio partecipata e vissuta quanto più cresce la comunità: il riferimento in questo caso andava diretto ai gruppi dove si attua un altro rapporto prete-comunità e dove la partecipazione è spontanea e immediata.
– Qualcuno ha detto che il problema è sì quello della liturgia e del rapporto nella liturgia tra prete e comunità, ma prima c’è un altro problema più vero, che è quello della spiritualità del prete sia nella preghiera personale, sia nella celebrazione liturgica. C’è una mediazione del prete nella liturgia che passa attraverso la sua esperienza personale di preghiera: meditazione, lettura spirituale, liturgia delle ore, presenza in chiesa, periodi di ritiro e altro. Perdendo questo non si recupera nemmeno sul piano della liturgia perché allora essa diventa comandata, formale, arida o estetica. Oggi abbiamo più strumenti e contenuti diversi, noi però siamo diventati più attivisti di organizzazione che preti cioè uomini di pietà e della parola; siamo troppo preoccupati delle tecniche e dei risultati pastorali, il prete deve essere l’educatore alla preghiera e c’è da ricreare una “struttura” di preghiera sia nella nostra vita personale, sia nella parrocchia, sia nella famiglia. Se al prete manca questa dimensione non potrà mai essere animatore di vocazioni e favorire vocazioni.
– – Qualcuno ha lamentato come in questo periodo di cambiamenti siano scomparse tante cose e tutto sia stato ridotto alla celebrazione della messa o al mattino o alla sera. E sono scomparsi il rosario, la peregrinatio Mariae nelle famiglie con la statuina, un momento di preghiera in Chiesa che non sia la Messa e altro. In un momento di cambiamento di cultura di massa non siamo stati capaci di trovare forme di trasmissione di preghiera proprio in quell’unico nucleo in certo modo più stabile, che è la famiglia. La famiglia non prega più e per la famiglia il prete non è l’uomo della preghiera, ma forse è l’uomo del culto più di quanto non lo fosse nella mentalità della famiglia di prima, il ricupero della liturgia è stato grande e ancora non ne abbiamo visto i frutti, ma è urgente ricuperare quest’altro aspetto, che media il senso e la partecipazione alla liturgia, cioè la preghiera personale e famigliare.
.2./ La liturgia – Il prete e la comunità. Spunti di riflessione
Non si può non partire dai diversi modi di comprendere la liturgia come tale:
.a.) – – liturgia come culto reso a Dio, da Lui stabilito sia nell’Antico che nel Nuovo Testamento: culto come ‘ opera compiuta ’ e nei suoi aspetti di adorazione e ringraziamento, di impetrazione e riparazione o espiazione, un opus operatum che però richiede una purità morale (o anche legale): qui il prete è mediatore, uomo del sacro, la comunità è spettatrice, riceve quel che le viene concesso;
.b.) – – liturgia come momento, strumento, fonte di grazie cioè di aiuti e interventi divini dall’alto: qui il prete è mediatore e la comunità riceve; viene sottolineata la dignità per chiedere e mediare, cioè la vita morale o santità del sacerdote, e la dignità morale per ricevere;
.c.) – – liturgia come consacrazione della vita nelle sue tappe fondamentali: nascita e morte, pubertà e matrimonio, feste ricorrenti (settimanali, mensili, annuali), luoghi e oggetti sacri: il prete qui è colui che ha il potere di consacrare persone, luoghi, tempi, cose; la comunità usufruisce di tutto questo, delle cose sacre;
.d.).. – – liturgia come celebrazione (ripresentazione e attualizzazione nella comunità) del mistero salvifico che Dio ha operato in Cristo: qui il prete è il segno (sacramento) dell’iniziativa salvifica di Dio per la sua comunità, cioè la chiesa, e la comunità è il segno (sacramento) dell’iniziativa di Dio per il mondo.
L’ultimo aspetto evidentemente è quello specifico cristiano, che non rifiuta gli altri aspetti, ma li ingloba e li realizza in pieno non tanto nei suoi aspetti rituali, ma perché trovano la pienezza in Cristo, che è il vero adoratore dei Padre cui rende il vero culto, è la fonte della grazia e di ogni grazia, consacra, offre tutta la vita nei suoi aspetti di persona, tempi e luoghi a Dio. Ora nella nostra formazione teologica nel presentare la liturgia (Messa e sacramenti) s’era privilegiato come “princeps analogatum”, cioè come riferimento, il fatto religioso nella sua fenomenologia (c’è il sacrificio, il cristianesimo ha il sacrificio; c’è la preghiera, ci sono i riti e simili, il cristianesimo ha la preghiera, i riti e altro). Invece bisogna sottolineare la specificità cristiana e quindi la rivelazione, il messaggio per comprendere la liturgia come tale.
Da notare che nell’ambito delle culture religiose l’aspetto rituale-sacerdotale è in più specifico come servizio reso a Dio (cfr. anche nell’A. T. abodah’, litourgia – servizio cultuale fatto a Dio), mentre nel N.T. è il più inglobante perché liturgia è il servizio a Dio nella vita, che e tutta sacerdotale (ctr. nel NT: iereis, ierautema- la comunità o ogni cristiano; presbiteroi, episcopoi- servizio di annuncio e presidenza). La Chiesa intera, la Chiesa locale meglio, è ‘segno-sacramento ’ per il mondo, l’umanità, la storia della presenza salvifica di Dio; il prete o meglio il vescovo (con il suo presbiterio) è segno sacramento per la chiesa dell’iniziativa salvifica di Dio in Cristo. E’ evidente che questo vale prima di tutto per il vescovo nel rapporto con la comunità; per il presbitero, in quanto collaboratore del vescovo e sua presenza nella parrocchia, si stabilisce un duplice rapporto e cioè con il vescovo e con la comunità. Ora la liturgia pone il prete in un rapporto tutto particolare con la comunità: insieme con la comunità il prete partecipa della dignità e funzione profetica, sacerdotale e regale di Cristo, per la comunità è ‘segno-sacramento’ della gratuita e libera iniziativa di Dio.
Di qui derivano alcune conseguenze primarie molto importanti:
.a.) – a livello personale: se il prete è “segno-sacramento” per la comunità, proprio perché tale egli vive prima di tutto personalmente il rapporto sacramentale, per cui egli è:
– l’uomo dell’ascolto e della risposta
– della contemplazione e della mediazione
– dell’annuncio e della profezia
– della lode, dell’offerta, dell’impetrazione
– della sequela del Cristo nelle beatitudini che sono dono di Dio
– l’uomo della preghiera e delle virtù, con parole di sempre;
.b.)- a livello di comunità : è il segno-sacramento per tutta la comunità, per tutti coloro che in qualche maniera appartengono alla comunità:
-è l’uomo di preghiera per tutta la comunità
– celebra e presiede per tutta la comunità
– le celebrazioni particolari sono sempre in vista della comunità.
La dialettica tra gruppi e movimenti e comunità non è mai in senso alternativo, ma di funzionalità e di complementarietà; non a livello di “rifondazione’’ di Chiesa, ma a quello di metodologie o spiritualità che si integrano tra di loro;
c)- il presbitero “presiede” la celebrazione che è di tutta la comunità pur nei ruoli differenti; ora la presidenza è vera saggezza, sapienza, arte nel miglior senso della parola: presiedere è dar senso, spazio, tempo, partecipazione a tutto e in tutto quello che si fa. Il nostro spesso non è un presiedere, ma compiere un rito. Per presiedere bisogna non solo conoscere lo svolgimento della celebrazione, ma possederne tutta la profondità; una celebrazione non la si improvvisa mai, ma deve essere preparata non solo a livello di sviluppo rituale e di ruoli da svolgere, ma soprattutto a livello di consapevolezza o meglio di fede. E’ facile che il “religioso” e il “sacramentale” scada nel “rituale”.
.d.)- Nella situazione odierna un aspetto da non trascurare è il rapporto che c’è nelle celebrazioni liturgiche tra fatto religioso e fatto “misterico ’: è chiaro che le nostre celebrazioni sono più momenti religiosi che fatti di fede. Questo scadimento avviene fatalmente quando c’è mancanza di seria catechesi, ai contenuti di fede; quando la celebrazione è sentita a livello sacro o addirittura di magia fatta per tradizione o convenienza ecc.
Il rapporto tra questi due aspetti è delicato: spesso si è tentati di respingere, rifiutare l’aspetto religioso e di privilegiare e accogliere solo quello specifico cristiano, non bisogna però dimenticare che sotto il primo si nascondono autentici valori umani e aperture cristiane, si tratta quindi di coglierne gli aspetti positivi e le tensioni verso la piena espressione cristiana: far scoprire che solo in Cristo si realizza la pienezza religiosa. Qui si dovrebbe aprire il discorso di “esperienze catecumenali” per la celebrazione dei sacramenti.
3/ Proposte e questionario
1)- La prima preoccupazione deve essere quella del prete maestro della preghiera, al di là di quella che è la presidenza nella celebrazione della Messa e dei sacramenti. Nelle nostre parrocchie manca una dimensione di rapporto ai segni tra vita religiosa-monastica e popolo cristiano. Ma al di là di questo problema rimane vera la missione del prete come ‘maestro di preghiera ‘ e quindi prima di tutto come uomo di preghiera. Fra l’altro non abbiamo saputo utilizzare la presenza in Diocesi di ben 14 monasteri. Sono un grande segno e una enorme ricchezza, ma non ne abbiamo capito la funzione, eppure veramente grande, soprattutto dopo il Vaticano II. Nel passato si era insistito molto sull’aspetto personale della preghiera del prete e negli incontri è emerso spesso il richiamo agli esempi di preti uomini di preghiera nelle parrocchie.
C’è da domandarsi:
– può recuperare il prete (ad esempio) la liturgia delle ore, soprattutto lodi e vespri con la comunità o meglio come momento specifico di vita parrocchiale? es.: lodi (salmi, lettura biblica, meditazione, preghiera dei fedeli) al mattino ed Eucaristia alla sera (es. nei periodi forti: avvento-natale-Epifania; quaresima-Pasqua-pentecoste) e viceversa: Eucarestia al mattino e vespri alla sera? E il rosario come riproporlo?
– per il prete personalmente: sono utili ancora mezzi di sostegno come l’Unione Apostolica Clero (U.A.C)? o la “lega mariana” o altro, senza legami a particolari spiritualità? Il prete non è il maestro di quell’unica sorgente che è la proposta ufficiale della Chiesa al popolo cristiano?
– come può il prete essere maestro di preghiera per i giovani (ritiri? incontri? deserto?), per le famiglie (brevi forme di preghiera per i genitori, per i bambini, momenti di incontro, di ritiro?).
.2.) L’altro momento fondamentale del prete è la presidenza nella celebrazione del “mistero”.
– il primo interrogativo è questo: la moltiplicazione delle celebrazioni (particolarmente di Messe) giova ad una vera presidenza? La celebrazione è esperienza di fede e di presenza salvifica di Dio, e catechesi, è fatto comunitario, è annuncio ed apertura alla vita e altro: come “media” tutto questo il prete? o fa solo il rito, un rito affrettato, svolto rubricalmente o abborracciato?
– è connessa con questo l’altra osservazione: certamente questa presidenza del prete è la sorgente più vera della sua spiritualità. Questo richiede certamente fede profonda, ma anche preparazione: come la si fa?
– per sé nella parrocchia la celebrazione dovrebbe essere sempre unica come fatto in sé (non moltiplicare le celebrazioni senza gravi necessità) e unica come rapporto gruppi e comunità. Fino a che punto questo è possibile? qual’è la funzione che la celebrazione nei e per i gruppi in rapporto alla comunità intera? di élite, di rifondazione, di divisione? di pedagogia ecc.? che ruolo vi svolge il prete in tutto questo? si sente più compreso? lo realizza di più nella missione sua specifica? lo sostiene spiritualmente? lo mette in posizione critica o di confronto o di animazione di fronte agli altri, cioè alla comunità intera?
.3.) Il prete ha il compito di trasmettere la fede insieme a tutta la comunità e di essere l’animatore ai questa trasmissione (come detto per la catechesi; ma ci si domanda: per arrivare ad una vera, autentica celebrazione, la chiesa ha tradizionalmente proposto una esperienza di catecumenato: è riproponibile oggi?
Come deve essere allora organizzato perché questo sia cammino, esperienza di fede e di grazia, di rinnovamento? a chi proporlo? per coloro che celebreranno il sacramento del matrimonio o a genitori che chiedono di battezzare i figli? si può proporre per tutti un catecumenato di almeno un anno? è pronta la comunità ecclesiale fermana per una proposta del genere? siamo pronti noi preti ? ci dobbiamo preparare a questo? come? siamo capaci di animare un catecumenato?
Negli “ordines” dei sacramenti si parla sempre di catecumenato, è richiesto esplicitamente per il battesimo degli adulti; ma ancora non si è mosso un passo, non solo da noi, ma in tutta Italia
.4.) Una situazione che si ripropone sempre è quella del rapporto tra la celebrazione dei sacramenti e le offerte dei fedeli; la materia è in movimento, ma non si è ancora chiarita. Non ancora ci si è sganciati da una teologia impostata sul concetto dei frutti, che senz’altro rispondeva ad una visione privatista. Superato teologicamente questo punto di partenza come si può fare entrare in noi e nei fedeli il concetto della compartecipazione ecclesiale sotto l’aspetto contributivo? in occasione delle celebrazioni? fuori di esse? in quale rapporto per la comunità-parrocchia di cui si fa parte e per la Chiesa, locale-diocesi?
.5.) Si propone di rivedere dopo cinque anni la notificazione vescovile su catecnesi e celebrazione; vederne l’applicazione, i punti mancanti e altro.
don Gabriele Miola
L’elenco dei diversi riti tradotti in italiano e approvati dalla CEl, classificati in ordine di tempo (fino al 1981).
— Rito del battesimo, in vigore dal 29 giugno ‘970;
— Rito della confermazione, in vigore dal 1 gennaio ‘973;
— Rito della penitenza, in vigore dal 21 aprile ‘974
— Sacramento dell’unzione e cura pastorale infermi, in vigore dal 16 febbraio ‘975;
_ Rito delle esequie, in vigore dalla pasqua ‘975;
_ Sacramento del matrimonio, in vigore dal 1 gennaio ‘976;
— Messa e lezionario dei fanciulli, in vigore dal 15 die. ‘976;
— Preghiere eucaristiche della riconciliazione, in vigore dal 17 febbraio ‘977;
_ Rito della iniziazione cristiana degli adulti, in vigore dal 4 marzo ‘979;
— Rito della comunione fuori della messa e culto eucaristico, in vigore dal 20 febbraio ‘980
— Rito di ordinazione del vescovo, presbiteri e diaconi, in vigore dal 1 luglio ‘980;
— Rito della benedizione Olii e dedicazione chiesa e altari, in vigore dal 16 aprile ‘981;
— Liturgia delle ore, in vigore dall’avvento ‘975.
Da Foglio Ufficiale Ecclesiastico anno 1981 n. 4