I SALMI BIBLICI
Studio di Gabriele MIOLA
< La traduzione dalla Bibbia CEI ed. 2008: Jahweh (JHWH) trad.= il Signore
INTRODUZIONE. Certamente tra tutti i libri dal Vecchio Testamento, il salterio à il libro che la Chiesa mette più di frequente nelle mani dei suoi fedeli. Da sempre infatti e specialmente dalla riforma liturgica del Concilio Vaticano II, la preghiera ufficiale della Chiese è ricchissima di preghiere salmodiche: basta pensare ai canti interlezionali o ai canti processionali, come quelli all’introito o alla presentazione delle offerte e alla Comunione nella liturgia eucaristica, o a tutta la liturgia delle ore.
Nonostante che in questi ultimi anni il popolo cristiano vada riscoprendo la centralità della Parola di Dio nella vita della Chiesa, tuttavia notiamo che il cammino fatto è troppo poco, che la maggior parte dei fedeli incontra difficoltà gravi nella comprensione della Bibbia specialmente del V. T. e dei salmi come preghiera da fare propria. Le stesse difficoltà trovano tanti sacerdoti che si domandano perché mai la Chiesa tenga tanto alla preghiera salmodica da inserirla ovunque nella liturgia.
Sorge spontanea allora la domanda: perché la Chiesa ci invita a pregare con i salmi così spesso e nei momenti culminanti della vita liturgica? E’ possibile per il cristiano di oggi pregare usando testi antichissimi come sono le preghiere raccolte nel salterio?
Non è questo il posto per rispondere esaurientemente ad un problema così vasto, che tocca la Bibbia, la. Liturgia, la vita della Chiesa. Compito di questi appunti è quello, più modesto, di introdurre ad una comprensione dei salmi, come primo passo verso una risposta a tali interrogativi che son diventati tanto comuni oggi nella vita pastorale.
Nell’esposizione toccheremo questi punti:
.I. – Nozioni introduttive: -1- nome e numerazione; tradizioni dei salmi; -2-divisione del salterio; -3- titoli dei salmi; – 4 – la poesia ebraica; tempo di composizione dei salmi.
.II. – Contenuto, origine e genere letterario dei salmi:
.1. Inni (salmi) di lode
.2. salmi di supplica e di ringraziamento individuali e collettivi
.3. salmi regali
.4. salmi di Sion
.5. Salmi storici e sapienziali
.III. I salmi, preghiera d’Israele e della Chiesa, del popolo dall’antica e della nuova alleanza:
.1. i salmi e la storia; .2. i salmi e il culto; .3. la lettura dei salmi: lettura storica; lettura cristologica, lettura ecclesiologica, lettura spirituale.
- NOZIONI INTRODUTTIVE
.1. – Nome, numerazione e traduzioni dei salmi.
L’ insieme dei salmi viene indicato nella Bibbia ebraica con il nome di sefer tehillim = libro della lodi o inni, oppure semplicemente con tehillim = lodi, inni, canti in greco il nome è biblos psalmòn (Lc 20,42; At 1, 20) o semplicemente psalmoi (Lc 24, 44), da cui il latino e italiane libro dei salmi o salmi (1). Di per sé tanto il nome ebraico come quello greco non corrisponde al contenuto del libro perché ben sappiamo che le 150 composizioni di cui consta il salterio (2), non sono tutti canti di lode o inni, ma vi sono anche, anzi sono la maggioranza, suppliche e lamentazioni, salmi regali, storici, sapienziali e altro.
Il salterio comprende 150 salmi, ma la successione di queste composizioni e la loro numerazione ci è stata tramandata con leggere varianti. La traduzione greca della Bibbia, detta dei Settanta (3), ha riunito insieme salmi, che sono attualmente separati nell’originale ebraico, e ha separato salmi che formano invece una sola composizione per cui ci troviamo in linea di massima differenziati di un numero tra la numerazione ebraica e quella greca, e quindi anche quella latina che dalla greca deriva (4). Ecco un quadro riassuntivo delle differenze di numerazione tra il testo ebraico e quello greco:
Testo ebraico 1- 8 Testo greco 1- 8
9+10 ‘’ 9
11-113 ‘’ 10-112
114+115 ‘’ 113
116, 1- 9 ‘’ 114
116, 10- 19 ‘’ 115
117-146 ‘’ 116, 1-5
147, 1- 11 ‘’ 146
147, 12-20 ‘’ 147
148-150 ‘’ 148- 150
.2. – La divisione interna del salterio.
All’interno del salterio si trovano gruppi minori e questo ci fa capire che l’intero salterio è risultate di un insieme di collezioni che erano prima indipendenti e che più tardi sono state raccolte insieme. Oggi però e impossibile poter stabilire un criterio con cui determinare come questi canti e preghiere sono stati riuniti insieme.
Salta all’occhio anzitutto una divisione che forma all’interno del salterio cinque gruppi, scanditi da un ritornello o meglio da una dossologia, che suona, di poco variata, così:
Sia benedetto il Signore, Dio d’Israele,
da sempre e per sempre. Amen, amen. (salmo 40, 14)
Questa dossologia si trova alla fine di altri quattro salmi (7l, 19; 89, 52; 106, 48; 150, 6) formando così cinque gruppi di salmi: 1 —41 ; 42-72; 73-89; 90-106; 107- 150.
Di questa divisione non si riesce a trovare un motivo né nel contenuto, né nella forma, né nell’autore. Forse è una divisione occasionale dovuta a raccolte minori preesistenti o a una divisione puramente formale; si è voluto cioè dividere il salterio in cinque libri sul modello della Torah, senza con questo voler porre un rapporto di contenuto; o altro confronto con i libri del Pentateuco.
E’ più facile invece rintracciare nell’insieme dei salmi collezioni minori preesistenti, che accostano insieme salmi vicini per contenuto, per forma, per autore oppure collezioni liturgiche.
Un lettore attento si accorge presto di una particolarità, dovuta all’uso che si fa nei salmi del nome proprio di Jahweh e del nome comune Elohim, o El che significano: Dio.
Nel primo libro dei salmi 3-41 c’è preponderanza del nome Jahweh, nel secondo e parte del terzo, cioè nei salmi 42-83, prevale nettamente invece il nome Elohim, nel resto del salterio 84-150 si fa uso quasi esclusivamente del tetragramma sacro JHWH, cioè Jahweh.
Si è pensato così a due raccoglitori o a due redattori; uno jahwista, che avrebbe raccolto i salmi 2-41. 84-150 ed uno elohista, che ha messo insieme la collezione 42- 83.
All’interno poi di queste due grandi divisioni troviamo raccolte minori. In quella elohista troviamo gruppi di salmi che hanno lo smesso autore; 42-49 sono dei “figli di Qorah”; 51-71 sono di David (eccetto il 66); 73-83 sono di Asaf. Il che fa supporre che il raccoglitore elohista ha usato un materiate precedentemente messo insieme. Un’altra raccolta, che mette insieme salmi di David, doveva essere indipendente e inaccessibile al raccoglitore elohista; si tratta dei salmi quasi tutti attribuiti a David (eccetto il 33). Gruppi minori si ritrovano anche nella restante parte jahwista del salterio è 84-150.
.1. altri salmi sparsi di David e dei figli di Qorah
.2. il gruppo 95-99 canta Jahweh come re e giudice
.3. i salmi alleluiatici (104-106; 111-117; 135; 146-150) così chiamati perché all’inizio, e alla fine o nel corpo del salmo ricorre il ritornello: Allelu-Jah, cioè lodate Jah (=Jahweh).
.4. i cosiddetti “salmi graduali” 120-134 una raccolta che doveva essere per uso liturgico, salmi cantati facilmente nei pellegrinaggi quando si saliva sui gradini che portavano al tempio, e alla città di David.
.3. \\\ I titoli dei salmi
L’accenno che abbiamo fatto agli autori dei Salmi ci porta a dire una parola sulle iscrizioni de salmi. All’inizio di quasi tutti i salmi si trova un’iscrizione che ci offre notizie diverse.
Spesso, come abbiamo visto, ci dà il nome dell’autore, per es. di David, di Asaf e altro. Ma non si capisce bene dove siano fondate queste notizie perché in alcuni casi è evidente che, per motivi interni al salmo, non è possibile accettare l’iscrizione.
Altre indicazioni ci danno il genere del salmo, per es. sir = canto, inno; mizmor = propriamente a salmo; tehillah = lode, inno; tefilah = lamento, impetrazione, ecc.
Alcune volte si indica lo strumento con cui il canto del salmo deve essere accompagnato (cfr 4,1; 5,3 e altro); altrove si indica sembra, l’aria musicale su come deve essere eseguito (5-, 1; 60, 1 ecc.).
Diversi titoli, oltre a dirci l’autore, ci dicono anche in quale occasione il samo è stato composto. Nota è l’indicazione del salmo 51, che dice salmo di David quando gli si presentò il profeta Natan dopo che egli si era avvicinato a Betsabea.
Ci sono poi altre indicazioni il cui significato resta oscuro e che forse non riusciremo mai a chiarire perché ci manca una conoscenza profonda del canto e della sua tecnica come pure dei riti e del loro svolgimento. Sono tuttavia indicazioni preziose e sembrano essere antiche, almeno anteriori al secondo-terzo secolo perché già esistono nella traduzione dei Settanta. Esse non sono originali, messe da qualche redattore per indicazioni storiche, musicali o liturgiche, non si trovano in diverse traduzioni antiche della Bibbia, come quella siriaca, non sono accolte da diverse Chiese orientali e quindi sono da considerarsi al di fuori del testo sacro.
.4. \\\ La forma poetica dei salmi. Il parallelismo.
Ogni mondo poetico si esprime attraverso immagini e attraverso risorse tecniche che si fondono in un tutt’uno dando origine a quell’unità inscindibile che è l’opera poetica. Essa è la proiezione di un mondo interiore che trova espressione nella lingua, le immagini, il verso, il ritmo, la rima, la strofa, e altro.
Accostandoci ai salmi non dobbiamo mai dimenticare che prendiamo in mano dei poemetti, delle composizioni poetiche e religiose nello stesso tempo. Per comprendere i salmi bisogna quindi muoversi su due linee: penetrare nel mondo interiore che esprimono, conoscere l’ambiente da cui sorgono, cogliere le immagini che trasfigurano la realtà; conoscere le leggi tecniche r i mezzi espressivi, le forme cioè della poetica. Ci fermeremo un momento su questo secondo aspetto, perché del primo parleremo trattando dei generi letterari dei salmi.
Certo ogni composizione poetica perché possa essere completamente capita e gustata dovrebbe esser letta nella lingua originale perché la forza di una creazione non sta solo nelle idee e nel contenuto, ma anche nella lingua, nel ritmo, che di quelle dee sono il veicolo e che con esse fanno un tutt’uno.
Una caratteristica fondamentale della poesia ebraica, ma si può dire del genio semitico in genere, è quella di procedere per circoli e per parallelismi; messa cioè al centro un’idea vi si gira intorno e vi st ritorna da diversi punti chiarendola, illustrandola e sviluppandola. Si ama comunicare più per colpi di luce che per concatenazione di idee, e questo sia nella prosa che nella poesia.
In poesia questo parallelismo di idee si fonde col parallelismo metrico-accentuativo formando una caratteristica tipica della poesia ebraica, in cui quindi bisogna distinguere i due aspetti: la struttura ritmico-metrica e la struttura logico-stilistica.
Nella poesia ebraica il verso è costituito non in base alla quantità delle sillabe e al succedersi di determinate misure o piedi, ma è costituito da un ritmo accentuativo e questo è caratterizzato dalla simmetria degli stichi e del numero degli accenti. In linea di massima, si può dire che ogni parola significativa ha il suo accento e questi si succedono in simmetria perfetta (es. 3+3; 2+2; 2+2+2) o in simmetria imperfetta (3+2; 4+3 raro l’inverso 2+3; 3+4). La varietà del verso è data dal numero delle sillabe atone che precedono l’accento e queste possono variare da una a quattro lasciando al poeta grande libertà di effetti ritmici e creando una bella varietà. Ogni ritmo completo o verso ha sempre significazione piena; sulla distinzione degli accenti cade una cesura ritmica, che divide in due anche il valore significativo del verso (5).
Questa divisione del verso dà origine alla struttura logico-stilistica, che è data dal parallelismo delle idee. Dicevamo che questa forma è congeniale al modo di esprimersi e alla forma mentale del popolo ebraico e consiste nel riprendere la stessa idea e spesso con le medesime parole nella seconda o nella terza parte del verso.
A volte l’idea è ripresa totalmente nella seconda parte o nella terza parte ed e espressa con sinonimi che corrispondono alla prima:
Lodate il Signore, popoli tutti,
voi tutte, nazioni, dategli gloria. (117,1)
Insorgono i re della terra, e i prìncipi congiurano insieme contro il Signore e il suo consacrato:
“Spezziamo le loro catene, gettiamo via da noi il loro giogo!”.
Ride colui che sta nei cieli, il Signore si fa beffe di loro. (2, 2-4)
Il Signore è mia luce e mia salvezza, di chi avrò paura?
Il Signore è difesa della mia vita, di chi avrò timore? (27,1)
Gli esempi potrebbero essere moltiplicati a volontà e si può dire che tutto il salterio procede in questo modo pur con varianti e sfumature diverse. A volte, ad esempio, la ripetizione è solo parziale lasciando sottintendere un membro dal primo stico ottenendo così una simmetria parziale:
Del Signore è la terra e quanto contiene,
l’universo e i suoi abitanti. (24,1)
E la mia lingua parlerà della tua giustizia, e dirà del continuo la tua lode. (35, 28).
A volte la simmetria è contrappositiva tra due elementi di un tutto:
Signore, Dio della mia salvezza, davanti a te grido giorno e notte. (88,2).
Spesso, non si tratta di una ripetizione, ma di una coordinazione che aggiunge un’idea nuova alla prima e si può chiamare coordinazione progressiva e in questo caso non si può parlare di un vero stretto parallelismo.
Apritemi le porte della giustizia: voglio entrarvi e rendere grazie al Signore. (117, 19).
Spesso l’idea nuova viene aggiunta, ma riprendendo una parola dello stico precedente:
Cantate al Signore un canto nuovo, cantate al Signore da tutta la terra.
Cantate al Signore, benedite il suo nome, annunziate di giorno in giorno la sua salvezza. (96 ,1)
I cieli furono fatti dalla parola del Signore, e tutto il loro esercito dal soffio della sua bocca. (33,6).
Ecco la generazione che lo cerca, che cerca il tuo volto, Dio di Giacobbe. (23\24,6).
Diede in eredità il loro paese; … in eredità a Israele suo servo … (136,21).
Il poeta non è legato a tipi fissi di versi, ma alterna liberamente, secondo l’esigenza del pensiero dell’utilizzazione musicale e di una bella varietà, versi composti da due stichi e versi di tre stichi.
Nei tre stichi, l’insieme è più ampio e si ha un senso di maggior respiro, pur rimanendo fondamentale il parallelismo come modo di esprimersi.
Il salmo 24 ne dà un bell’esempio: Alzate, o porte, la vostra fronte,
alzatevi, soglie antiche, ed entri il re della gloria.
Chi è questo re della gloria? Il Signore forte e valoroso,
il Signore valoroso in battaglia. Alzate, o porte, la vostra fronte,
alzatevi, soglie antiche, ed entri il re della gloria.
Chi è mai questo re della gloria? Il Signore degli eserciti è il re della gloria.
(24, 7-8) (confronta anche 26, 10)
Comprendere bene il fenomeno del parallelismo significa non solo gustare meglio la struttura e la poesia del salmo, ma avere anche un mezzo di esegesi per comprendere bene costrutti ed espressioni che altrimenti sfuggirebbero, capire meglio il significato di sinonimi in cui termini e costrutti si illustrano a vicenda.
.3. \\\ Tempo di composizione e di raccolta dei salmi
Parlando delle iscrizioni dei salmi abbiamo visto che molti di essi, quasi la metà, vengono attribuiti a David. E’ vero che le iscrizioni dei salmi sono tardive e non si può fare affidamento sulle notizie che esse ci offrono, tuttavia esse conservano un dato tradizionale, che David fu poeta e cantore (cfr 2 Sam 1,17-27) e che i suoi canti servirono anche a scopo liturgico (cfr Salm. 6, 15s).
La poesia e ebraica è anteriore a David. Basti pensare ad alcune composizioni o tracce di esse che ci sono state conservate: il canto di Debora precede il periodo davidico e non c’è motivo per non farlo risalire alla profetessa e a Barak (Giud 5), così il canto che celebra la vittoria di Giosuè, di cui ci è stato tramandato solo qualche versetto (Gios 10,12-14 ); antichissimo dev’essere pure il cantico dell’Esodo, anche se fu rimaneggiato per essere adattato all’uso liturgico nella celebrazione della Pasqua (Es l5).
David quindi non fece che inserirsi in questa tradizione, sviluppare i temi dei canti e perfezionarli nella forma e nella tecnica. A David p.e. è attribuito il salmo 29 che, secando molti critici, è tra le più antiche composizioni del salterio e della Bibbia, dove riecheggiano motivi e forme desunte dalla letteratura ugaritica una letteratura che precede quella di Israele nella terra di Canaan e che ebbe un influsso non indifferente nella poesia ebraica.
Quando pensiamo ai salmi, troppo esclusivamente pensiamo alle preghiere di supplica e di lamentatone; i salmi invece rispecchiano momenti diversi della vita di tutto Israele: il culto, la storia, la vita del re, del popolo e dei singoli. Ritroviamo nei salmi la festa per il re nel giorno della sua intronizzazione, come i momenti tragici della fine del regno e il periodo dell’esilio, le speranze risorte con la liberazione e la ricostruzione di Gerusalemme e del tempio, la polemica sul culto, la parola forte dei profeti e la meditazione di saggi sulla legge.
Tutto questo ci fa capire che il salterio abbraccia un arco di tempo molto vasto: va dal tempo di David (sec. X) al periodo esilico e post-esilico (sec. V) fino al periodo maccabaico. I 150 salmi sorsero per motivi vari, come canti individuali o collettivi, spesso per uso liturgico, e anche come canto religioso individuale. Certo però che essi ben presto furono raccolti perché servissero nella liturgia del 1° e 2° tempio e così son giunti a noi in collezioni e per lo più anonimi. Questa raccolta dovette essere completata
scio verso il II sec, cioè al periodo maccabaico , che vide una fioritura religiosa e cultuale e definitivamente carchi usa in quel periodo; la traduzione dei salmi, detta dei Settanta, infatti, risale a quel tempo, ha
la collezione completa.
.II.
CONTENUTO, ORIGINE E GENERI LETTERARI DEI SALMI
E’ ormai cosa acquisita che per comprendere un’opera, una poesia, una preghiera bisogna calarsi non solo nell’animo e nella situazione dell’autore, ma anche nell’ambiente storico, culturale e sociale in cui l’autore è vissuto e l’opera è nata. Questo vale per le singole opere di cui conosciamo l’autore, ma ancor più vale quando si tratta di penetrare in un’opera che fu sì scritta da una persona, ma che è anche e soprattutto opera che promana da una collettività, da un popolo dal cui seno, dalle cui tradizioni storiche, religiose e culturali l’artista ha attingo e in cui egli stesso resta profondamente radicato fino al punto di rimanere anonimo e di divenire l‘espressi one della comunità intera.
Questo criterio storico è stato una conquista recente della scienza biblica e ha portato molti frutti nell’esegesi dei salmi. Il metodo è entrato in ogni campo della ricerca storica ed è dovuto non solo ad un modo, un atteggiamento assunto di fronte al passato, ma anche all’infinità di materiale che l’archeologia ha rimesso in luce. Conoscendo meglio il pacato e tutto il mondo ambientale della Bibbia, il mondo biblico tesso ci si è dischiuso e si è illuminato.
Non si tratta quindi di partire dal salmo singolo per comprenderlo e, farne esegesi, ma si tratta anzitutto di ricostruire il mondo ambientale in cui e da cui il salmo o più salmi affini sono sorti. Il salmo allora diventa quasi il punto di arrivo e dovrebbe come risorgere spontaneamente dall’ambiente.
Non si possono quindi comprendere i salmi, che, come abbiamo visto, si estendono dai X al II secolo, senza conoscere tutta la Bibbia: la storia d’Israele e la lettura che di essa è stata fatta dalle diverse correnti, religiose, sociali, politiche, il movimento profetico, la corrente sacerdotale e quella deuteronomista, l’attesa messianica e la spiritualità tipica di alcuni gruppi come quella dei poveri di Jahweh, il culto nei suoi aspetti esterni e nei. suoi moventi interiori. Questa conoscenza della Bibbia poi deve essere allargata e arricchita, messa accanto e confrontata con tutto il mondo e le culture, che nello spazio e nel tempo sono state vicine d’Israele.
Una conoscenza vasta della Bibbia e del suo mondo dà la possibilità di vedere forme e temi simili ricorrenti nei salmi e altrove e quindi di raggrupparli in famiglie e generi letterari.
Individuare il genere letterario di un salmo, cogliere la matrice e la corrente d ‘origine significa non solo comprendere il salmo in se stesso, ma vederlo in tutta la linea interpretativa, perché spesso è avvenuto che un salmo è stato usato in luoghi e circostanze diverse in cui e stato sottoposto a riletture subendo anche dei cambiamenti e degli adattamenti testuali. Questo lavoro è avvenuto specialmente a causa dell’uso che si è fatto dei salmi nel culto. Alcuni salmi sorti come canti e preghiere individuali sono stati poi usati nelle liturgie al tempio: tipico il caso del salmo 51 (il Miserere) sorto come preghiera di un individuo (forse David) che effonde dinanzi a Dio il suo animo pentito chiedendo di essere rinnovato nel profondo del cuore, diventa poi preghiera per la liturgia penitenziale collettiva che si svolge nel tempio (cfr vv. 20.21). Così alcuni salmi che inizialmente dovettero essere poemetti e canti in onore del re, composti in occasioni diverse, come per il giorno o l‘anniversario dell’intronizzazione o delle nozze, furono interpretati in senso messianico e forse subirono riadattamenti e rimaneggiamenti (cfr salmi 2. 20. 21. 45. 110 e altri).
Questo del culto è un aspetto molto importante da tener presente per la comprensione di molti salsi. Nel tempio si svolgevano feste e liturgie, che comportavano riti e canti. Alcuni elementi rituali traspaiano anche tra le righe di diversi salmi, co me quando si sente l’invito ad inchinarsi, a battere Le mani, a procedere per entrare nella casa del Signore, a partecipare al banchetto sacro. Si può quasi intuire lo svolgimento della liturgia e ricostruirla, così come uno che non conoscesse l’aspetto rubricale delle nostre liturgie potrebbe in qualche modo costruirne lo svolgimento attraverso gli elementi che possono risultare da inviti, monizioni, canti e altro.
Il culto inoltre tende a diventar spesso, anche e non lo dovrebbe, qualcosa di stabile e di fisso nel suo svolgimento: esso dà quindi un quadro, uno schema entro il quale poi sorgono non solo i gesti rituali, ma anche le espressioni, le preghiere, i canti. Possiamo dire che la liturgia crea di per sé il genere letterario; altro infatti è una liturgia che celebri le opere di Jahweh, come la liturgia pasquale, altro è una liturgia di ringraziamento o una liturgia penitenziale. E proprio perché vuol esprimere nel rito l’invisibile, vuol presente l’inesprimibile, trasparente il mistero, e tenta di fissare in schema l’arcano, la liturgia si ripete e diventa ricorrente; non solo por questo, ma anche perché ricorrenti sono le situazioni dell’uomo: gioia e lode, gratitudine e ringraziamento, sofferenza e supplica, dolore e penitenza. E allora accendeva che canti o raccolte di canti venivano utilizzati nelle diverse feste e liturgie per gruppi diversi di fedeli (6).
Fatti questi accenni al rapporto tra salmi e culto, prendiamo in esame i singoli generi letterari.
.1. \ Gli inni
Gli inni (7) sono canti di lode in onore di Jahweh: si celebra l’amore di Jahweh che salva il suo popolo, la grandezza d Dioiche si eleva al di sopra di tutto e di tutti perché Jahweh e il Signore unico cui cielo e terra sono sottomessi. Analizziamo la struttura letteraria e poi il contenuto di questi salmi- inni.
.A. La struttura letteraria è molto semplice: consta di una introduzione, di una parte centrale o corpo del l’inno e una conclusione.
.1. \ Introduzione nel salmo- inno
E’ l’invito a lodare Jahweh, espresso in diverse forme: con un imperativo rivolto a tutti i presenti o a un gruppo particolare, sacerdoti, leviti o gruppi di fedeli; a volte è usata una forma plurale iussiva “lodino Jahweh tutti i suoi servi”. Ma spesso l’autore del salmo o chi dirige l’azione liturgica si include tra gli altri usando una forma coortativa “lodiamo Jahweh, nostro Dio”, “loda, anima mia (9), il Signore”. Non di rado sono invitati anche gli elementi creati a lodare il Signore; il cielo e la terra, il sole, la luna e le stelle, gli animali e ogni cosa. L’uomo esprime a Dio la sua lode con la sua voce, ma anche con gli strumenti musicali, la cetra, la tromba e il corno che esternano più plasticamente il sentimento della lode che è nel cuore dell’uomo. La lode infatti è espressa qui in azione liturgica e quindi l’invito ad esprimere esternamente la lode a Dio: “gridate il nome di Jahweh” e il popolo acclamava e si prosternava gridando il nome di Dio nella forma abbreviata Jah o Jaho! Allelu-Jah e il tipico grido di acclamazione più frequente nei salmi : “ lodate Jah!”
.2. \ La parte centrale nel salmo- inno.
Dopo l’invito a lodare Dio, vengono dati i motivi di questa lode introdotti cm una particella esplicativa o causale: lodate il Signore perché è buono, perché eterna è la sua bontà” (136). Al centro c’è sempre il nome di Jahweh di cui vengono ricordate la gloria e la potenza, l’amore e la giustizia, ciò che ha compiuto e compie per il suo popolo, ciò che ha operato e opera nella natura: queste azioni vengono ricordate, introdotte da un participio attributivo o da una proposizione relativa, che specifica l’azione di Dio. Così, ad esempio nel salmo 136, che enumera le azioni di Dio nella natura e nella storia a favore del suo popolo.
.3. \ La conclusione del salmo- inno.
Il salmo generalmente termina ripetendo l’invito alla lode e si ha così una specie di inclusione, ma il salmo può terminare anche con una preghiera, “la tua grazia sia sopra di noi” o terminare ex abrupto con i soli motivi di lode.
.-. Nel gruppo degli inni un cenno a parte meritano i salmi 47. 93. 96-99 che son chiamati i salmi di Jahweh -re, perché vi si canta il regno di Jahweh e vi ricorre l’espressione Jahweh malak, cioè “Jahweh è re” o “Jahweh regna”. Questi inni recentemente sono stati al centro dell’interesse di alcuni studiosi che vi vedevano dei canti di intronizzazione di Jahweh, paralleli ad inni pagani che celebrano divinità agresti. Queste divinità sono concepite quali forze della natura e presiedono alla fecondità degli animali e alla fertilità della terra, sono inserite nel ritmo ciclico della natura, in un circolo di morte e di vita, così come si presenta la natura stessa: sono le divinità di Attis. di Tammuz o nel mondo greco di Proserpina, di Adone, di Cibele, la Magna Mater. Al risorgere della vita col ritorno della primavera, queste divinità spodestate dal loro regno, morte con la natura stessa, riprendono il loro potere, instaurano di nuovo il regno della vita e vengono intronizzate nel culto. Un accostamento di questo genere è impossibile: il regno di Jahweh è di ben altro genero e non può essere interpretato in senso naturista. Jahweh -regna anzitutto sul suo popolo e nella storia ed è tanto al di sopra e signore della natura, che essa è opera della sua parola e strumento di salvezza nelle sue mani per il suo popolo. Se si può parlare di una festa di Jahweh -re forse ci si potrebbe richiamare agli eventi storici: Jahweh è re, regna sul suo popolo, prende possesso del suo trono, il tempio, quando viene introdotta l’arca santa in Gerusalemme e nel tempio, ma la sua sovranità è tale che domina e sovrasta immensamente la natura.
.B. \\\ Il contenuto .
Visto l’aspetto formale degli inni dobbiamo vederne il contenuto teologico. Gli inni ci rivelano l’atteggiamento fondamentale dell’israelita dinanzi a Dio: il pio d’Israele e tutto il popolo cantano a Jahweh la sua lode per tutto quello che Dio ha fatto per il suo popolo. Questo atteggiamento sorge spontanea in Israele per l’esperienza che ha fatto di Dio attraverso la propria storia. Anzitutto Israele ha incontrato il Dio vivente, che lo ha scelto, lo ha salvato, lo ha guidato secondo Ia sua linea e le sue promesse. E’ stata la parola di Jahweh che gli ha aperto il senso degli avvenimenti, che lo ha portato ad intendere il significato della sua storia.
Quel che domina prima rii tutto è il concetto della salvezza: questo popolo che si raduna in assemblea, lo fa per proclamare la salvezza operata dal suo Dio. E allora le tappe salienti di questa storia salvifica, vengono richiamate alla memoria e si celebra Dio per le sue opere: i patriarchi, Mosè e la salvezza dalla schiavitù, Giosuè a la terra dei padri, David, Gerusalemme e il tempio. Questa storia continuamente richiamata e meditata ha fatto scoprire ad Israele la fedeltà di Dio alla salvezza promessa nonostante l’infedeltà del popolo e così pure la trascendenza di Jahweh, la sua grandezza e onnipotenza, come si elevi alto sopra i re e i popoli, sopra tutte le cose: Jahweh è il signore degli uomini e della natura.
Egli è anzitutto il creatore del suo popolo e tutto il quadro della creazione cosmica non è che lo sfondo su cui Dio, fedele alle promesse, costruisce il suo popolo e guida tutti i popoli: Israele incontra prima Dio nella sua storia, negli eventi salvifici e da qui ascende a Dio che è Signore di ogni cosa, perché tutto è opera delle sue mani, tutto è uscito dal soffio della sua bocca (104).
Ecco perché l’atteggiamento fondamentale di Israele è quello della lode, perché tutto ha ricevuto da Dio gratuitamente. Israele loda Dio e par i suoi interventi salvifici nella storia e per le sue opere grandiose nella natura, che è strumento di Dio per la salvezza del suo popolo. E’ dalla storia che Israele arriva a Dio e attraverso essa si apre ad una contemplazione della natura quale opera di Dio e quale sfondo della propria salvezza (cfr salmo 136).
.2. \\\ I salmi di supplica e al ringraziamento individuali e collettivi
A questo genere letterario appartiene la maggior parte dei salmi (8): i primi sono preghiere di impetrazione rivolte al Signore, spesso nel tempio, individualmente o collettivamente, nelle liturgie e nelle feste; i secondi sono canti con cui i singoli o Israele core popolo e comunità esprimono la propria gratitudine a Dio per i benefici ricevuti. I due aspetti, quindi, quello della supplica e della domanda, quello della gratitudine e dell’esultanza, vanno ben distinti, ma spessissimo in questi salmi i due motivi sono intrecciati insieme: nel canto di ringraziamento vengono richiamate le situazioni difficili e le tribolazioni da cui il pio fedele e il popolo è staio salvato per l’intervento di Jahweh e riportata la fervida preghiera accolta da Dio; nelle suppliche troviamo la ferma fiducia di essere ascoltate la promessa di lodare e ringraziare il Signore e di annunziarne la opere di salvezza. Mettiamo insieme questi due generi che andrebbero formalmente distinti, ma che di fatto si trovano mescolati e si richiamano l’un l’altro. Cerchiamo anche qui di mettere in evidenza prima la struttura poi il contenuto di questi salmi.
.A. La struttura.
. La struttura interna di questi salmi, sia di quelli di ringraziamento che di quelli di supplica, è uguale, ma
i motivi richiamati evidentemente sono differenti perché la prospettiva è diversa.
.1. – In una prima parte che funge come da introduzione alla supplica o al ringraziamento troviamo l’invocazione del nome di Jahweh per impetrare aiuto o per ringraziarlo del suo intervento.
In Jahweh è riposta tutta la fede, la forza e la speranza del pio fedele e di tutto Israele:”noi siamo forti nel nome di Jahweh” (cfr 43. 6. 9; 54, 3 ecc.). Dio rivelò il suo nome a Israele perché fosse il fondamento della sua fede, non come uno strumento dalla potenza magica da usare segretamente per costringere la divinità ad agire in proprio favore.
Il Dio dei padri si rivelò a Mosè con questo nome, che indica la sua sovranità e la sua indipendenza: “sono quel che sono”, “sono quel che io voglio essere con voi”, ma anche la sua vicinanza: “sarò con te”, “sarò sul tuo labbro ” “sarò la tua salvezza” (cfr es. 3). L’israelita prende due atteggiamenti quasi contradittori dinanzi al nome di Jahweh: Dio è immensamente lontano, sovrasta e domina Israele tanto che il fedele sente il timore del nome di Dio, ma egli è anche talmente vicino che l’israelita si sente a suo agio accanto a lui e può usare il suo nome, cioè trattare con lui in piena confidenza.
Invocare Jahweh significa esprimere una fede, ricordare i suoi interventi salvifici come fondamento di questa fede. Differenti sono i modi con cui ci si rivolge a Dio:
O Signore, ascolta ciò che è giusto, sii attento al mio grido;
porgi orecchio alla mia preghiera che non viene da labbra ingannatrici.\
Io t’invoco, perché tu m’esaudisci, o Dio; inclina verso di me il tuo orecchio,
ascolta le mie parole! \\ Abbi cura di me come la pupilla dell’occhio … (17,1.6.8)
Pietà di me, o Dio, nel tuo amore; nella tua grande misericordia
cancella la mia iniquità. Lavami tutto dalla mia colpa,
dal mio peccato rendimi puro. (51, 3. 4)
A volte il fedele si rivolge a Dio arditamente sollecitandolo e pone interrogativi chiedendo una risposta di aiuto efficace ed immediato: “fino a quando, Jahweh, mi dimenticherai? Per sempre? …
Fino a quando, Signore, continuerai a dimenticarmi? …
Fino a quando nell’anima mia proverò affanni … ? (13, 2.3)
Sorgi, Signore, … emetti un giudizio, mio Dio … (7,7)
Destati, svegliati per il mio giudizio … mio Dio e Signore, (35,23)
Chi ha ricevuto aiuto, chi è stato liberato dal male loda e ringrazia il Signore ed invita gli altri ad unirsi al suo ringraziamento e ad aver fede:
Allora io ti renderò grazie al suono dell’arpa, per la tua fedeltà, o mio Dio (71, 12)
Benedici il Signore, anima mia, non dimenticare tutti i suoi benedifi (103,2)
È bene lodare Jahweh ….
E’ bello rendere grazie al Signore … perché mi dai gioia, Signore …
Esulto per l’opera delle tue mani. (92, 2.5)
Gustate e vedete com’è buono il Signore …(34, 9)
Mi ha messo sulla mia bocca un canto nuovo …
molti vedranno …. e confideranno nel Signore (40,4)
.2. – La parte centrale di questi salmi mette in evidenza i motivi della supplica e del rendimento di grazie e vi troviamo spesso narrato il caso triste da cui il fedele chiede di essere liberato o per cui è venuto a ringraziare dopo di essere stato salvato. A volte si tratta di motivazioni generali; i casi particolari più ricorrenti sono: pericolo di morte, malattia, falsa accusa, oppressione e violenza dei potenti.
Non possiamo fermarci a descrivere dettagliatamente i singoli casi, presentati sempre con abbondanza di metafore in un linguaggio ricchissimo. Facciamo alcune riflessioni generali. Il male che mette a repentaglio la vita, qualunque esso sia, è visto come il male estremo che tronca non solo l’esistenza, ma anche il rapporto con Dio. L’israelita, non ancora in possesso di una rivelazione piena sulla giustizia e sull’amore di Dio e sulla possibilità di una vita che, oltrepassando quella presente, trovi il suo compimento in Dio, pensa che la promessa di Dio siano legate molto concretamente alla vita presente: benessere, felicità, vita lunga sono beni che rivelano la benevolenza di Dio ed esprimono anche agli occhi di tutti la giustizia e la rettitudine del pio fedele.
Il superbo, che è senza Dio, opprime il debole e il povero e questi, allora, abbandonato anche da altri amici non ha altro a cui ricorrere all’infuori di Dio: oppresso, angustiato, sta per perdere la sua vita e per lui questa razza di superbi senza legge e senza Dio è gente nemica non solo del povero e del fedele, ma di Dio stesso. La preghiera allora si fa accorata e veemente presso Dio contro questi nemici e diventa supplica perché Dio li stermini e li distrugga non solo perché lui, il povero, sia liberato, ma anche perché ne va di mezzo l’onore stesso di Dio.
Anche il male fisico la malattia, ad esempio, o qualsiasi altro pericolo che spezzi una vita specialmente giovane, è visto come qualcosa che tronca il rapporto con Dio, segno della sua ira e del suo giudizio, frutto di una colpa commessa, magari rimasta nascosta, o di una potenza malefica e della maledizione di un perverso.
A volte colui che è colpito dal male lo vede come giusta punizione di Dio, riconosce la propria miseria e debolezza alla luce della santità di Dio e supplica Jahweh perché non guardi ai suoi peccati, ma lo liberi e viva. Altre volte vede il male come non meritato e allora pone grossi interrogativi al Signore e prega perché ne sia liberato e Jahweh mostri la sua fedeltà, la sua potenza e
la sua gloria (10):
Tu mi sosterrai nella mia integrità, e mi accoglierai alla tua presenza per sempre
… ho riconosciuto che vu mi vuoi bene, il mio nemico non ha trionfato su di me. (41, 12.13)
Quanto a me, nella mia prosperità, dicevo: «Non sarò mai smosso».
O Signore … tu nascondesti il tuo volto, e io rimasi smarrito …
Ho gridato a te, o Signore.(30, 7.8.9)
.3. – Nell’ultima parte di questi salmi i motivi sono pressoché identici. In quelli di impetrazione torna ancora a pregare per essere esaudito, promette di seguire la legge del Signore, di lodare e ringraziare per sempre, di far conoscere le opere del Signore in modo che chi udrà raccontare si converta e si unisca nel lodare l’onnipotenza salvifica di Jahweh.
Nei salmi di ringraziamento il saImista invita a unirsi a lui per lodare Dio; questo invito è rivolto ai presenti, e spesso è rivolto anche ai lontani, perché conoscano le opere di Jahweh, altre volte è tutta la creazione ad essere invitata in questo slancio di ringraziamento e di lode:
lo nella tua fedeltà ho confidato, esulterà il mio cuore nella tua salvezza,
Canterò al Signore che mi ha beneficato (13, 6).
Manterrò, Signore, i voti che ti ho fatto: ti renderò azione di grazie …
perché hai liberato la mia vita dalla morte …
per camminare davanti a Dio, nella luce dei viventi (56, 13s)
Svegliati, mio cuore, svegliatevi, arpa a cetra, voglio svegliare l’aurora .
Ti loderò fra i popoli, o Signore, a te canterò fra le nazioni (57,9s)
-.B.- Il contenuto. Alcune considerazioni sull’ambiente e la teologia di questi salmi.
.1.- Già abbiamo accennato come l’ambiente in cui i salmi sono sorti è generalmente quello del tempio. Questo è vero particolarmente per i salmi di ringraziamento e di impetrazione: è nel tempio che si viene a ringraziare Dio per l’aiuto che ha portato, è nel tempio che si va, o si manda a supplicare Jahweh perché soccorra il fedele. Tanto è vero che alcuni salmi appaiono senz’ altro come liturgie di ringraziamento, di supplica o penitenziali.
Per esemplificazione e per amor di brevità esaminiamo i salmi 118 e 22.
Nel 118 i due aspetti, ringraziamento e supplica, si trovano uniti, il primo come elemento di fondo di tutto il salmo, il secondo come momento della narrazione del caso da cui il fedele è stato da Dio liberato.
Il 22 è un tipico salmo di impetrazione. In tutt’e due ci troviamo nel tempio e tutt’e due ci fanno rivivere una liturgia.
Ecco lo sviluppo del salmo 118: all’inizio troviamo un invito a lodare il Signore rivolto a tutti i presenti (1- 4); segue la preghiera rivolta a Dio (5-9): “nel pericolo ho gridato al Signore: mi ha risposto e mi ha tratto in salvo (118, 5) “…. è meglio rifugiarsi nel Signore che confidare nell’uomo” (118, 8); quindi l’esposizione in forma generica del caso da cui è stato liberato (10-13): “mi hanno circondato … come api …mi avevano spinto con forza per farmi cadere” (118, 12.13); continua proclamando le opere di Jahweh (14 -18 ): ”non morirò, ma resterò in vita e annuncerò le opere del Signore” (117, 17); comincia poi il rito sacro, che consiste nell’offrire un sacrificio, quale atto di ringraziamento, mentre i sacerdoti e i presenti proclamano beato, il salmista, che è stato stabilito da Dio segno della bontà divina e quindi motivo di fede per quanti lo conosceranno, mentre prima non era che una pietra scartata perché inadatta a costruire la casa(19-27): “Apritemi le porte di giustizia, vi entrerò per ringraziare il Signore … la pietra scartata dai costruttori è divenuta la pietr d’angolo … formate il corteo con rami frondosi fino agli angoli dell’altare!
Anche il salmo 22 ha uno sviluppo chiaro: la preghiera fiduciosa e la certezza di essere esaudito, come lo furono i padri (2-6 ): “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato? … Grido di giorno e non rispondi … In te confidarono i nostri padri e tu li liberasti”; mette poi dinanzi a Jahweh il suo caso disperato (7-22): ” Ma io sono verme e non uomo … un branco di cani mi circonda … hanno scavato le mie mani e i miei piedi”; in fine, sicuro di essere esaudito, anzi superata la stessa situazione presente, rende grazie al Signore nell’assemblea con un rito, in modo che tutti anche i lontani ascoltando tornino a Jahweh e perfino i morti lo lodino(23-32): “annuncerò il tuo nome ai miei fratelli, ti loderò in mezzo all’assemblea … torneranno al Signore tutti i confini della terra … a lui si prostreranno quanti dormono nella terra … si parlerà del Signore alla generazione che viene, annunceranno la sua giustizia, al popolo che nascerà diranno: ‘Ecco l’’opera del Signore’!”.
.2.
Leggendo i salmi di impetrazione e di ringraziamento quel che più colpisce è la fiducia, l’abbandono, la fede con cui ci si rivolge a Jahweh. Di Dio il pio fedele conosce il nome, di Dio conosce in modo particolare la fedeltà e la misericordia che lui ha rivelato in tutte le sue opere: Jahweh è il Dio vivo, è il Dio dei padri, è il Dio d’Israele che egli ha liberato dalla schiavitù e per cui ha compiuto prodigi, è il Signore che ha stretto alleanza col suo popolo: “lo sono il vostro Dio e voi siete il mio popolo (Es 19, 4-6). Attraverso la propria storia, illuminata dalla parola profetica, Israele ha conosciuto, sperimentato il suo Dio e l’ha conosciuto come il Dio fedele, misericordioso, come il solo Dio. Gli avvenimenti passati sono per l’israelita Ia piattaforma della sua fede: agli ricorre a Dio e sa che Jahweh l’ascolterà come ha ascoltato il grido del suo popolo. Con piena confidenza ardisce ricordargli quel che ha compiuto altre volte e quasi ammonirlo perché non si smentisca, non metta a repentaglio la gloria che si è acquistata, o meglio diciamo:
Israele si esalta ricordando la sua storia: è tutta opera di Dio, del suo amore e della sua misericordia e quindi con piena fiducia ricorre nel presente a Jahweh di cui ha conosciuto l’amore misericordioso, la hesed e la fedeltà. La fede proietta l’uomo in Dio e genera la speranza e noi vediamo nei salmi un continuo passare dalla impetrazione alla certezza dell’esaudimento, dalla fede alla speranza. Questa tensione peculiare in tutta la storia di Israele: in fondo Jahweh è il Dio che chiama e promette e Israele è il popolo che vive nell’attesa del futuro promesso, che non sarà opera a sua, ma dono di Dio. La realizzatone poi sopravanza la promessa stessa perché è pregna di un nuovo futuro e quindi si crea una tensione nuova che si appoggia sulla realizzazione già passata e sulla Parola di Dio che si schiude al futuro. Questa tensione è l’anima delIa storta e della spiritualità d’Israele e non fa meraviglia di ritrovarla nella preghiera dei salmi.
.3.
Con ciò è connesso un altro aspetto caratteristico di questo genere di salmi: il fedele promette di narrare le opere di Jahweh nell’assemblea perché tutti conoscano le meraviglie che egli opera. Il fedele promette di offrire anche sacrifici di lode, ma non è questo l’atto principale di ringraziamento. Quando egli avrà allerto sacrifici, proprio allora, egli annunzierà la benevolenza usatagli da Jahweh a tutti i presenti, a quelli che avranno partecipato insieme con lui all’azione di grazie e al banchetto sacro. AI poveri, agli umili, ai figli, ai nipoti porterà questa buona novella perché ancor più confidino nel Signore.
Questo atto è visto come più importante degli stessi sacrifici perché esso, più che i riti, rende gloria a Dio, fonda e rafforza la fede e la speranza della comunità, del popolo di Dio. In fondo il fedele si sente unito a tutto il popolo, è un membro della comunità, ed egli sa che il suo rapporto con Dio non prescinde da quello della comunità perché in essa si è nutrito di fede e in essa ha conosciuto Jahweh e in essa trasmette la sua fede e la sua speranza.
Parlando dei salmi di impetrazione e di ringraziamento ci siamo fermati particolarmente a quelli individuali, ma accanto a questi troviamo suppliche e azioni di grazie di carattere pubblico, salmi che riguardano tutto il popolo e assumono quindi un carattere nazionale. Anzi a volte si è verificato il caso di salmi sorti come canti di carattere individuale che poi sono stati rimaneggiati per adattarli a situazioni nazionali. Così ad esempio, il salmo 102, che probabilmente rispecchia due momenti diversi: nella prima (2-12; e terza (24- 29) parte troviamo una preghiera individuale, nella seconda (13-23), forse aggiunta più tardi, una supplica che riguarda Sion. Lo stesso è per il salmo 51, che è tutto d’intonazione personale, ma, negli ultimi due versetti, la preghiera riguarda Gerusalemme.
In questi salai ritroviamo la stessa struttura e lo stesso contenuto di quelli individuali, ma gli elementi e il quadro evidentemente si allargano. Questi sorgono in momenti di calamità nazionali, di disfatte militari, di turbamenti civili; i nemici allora sono i popoli pagani, gli i eserciti nemici, quelli che hanno tradito Israele e gli stessi israeliti che hanno abbandonato Jahweh; la preghiera si fa più pressante mentre il salmista ricorda i grandi interventi di Dio a favore del suo popolo; l’ambiente è quello del tempio, ove il popolo si è riunito per una liturgia penitenziale, digiuno e preghiera e in cui l’intervento del sacerdote o del profeta che in forma oracolare prometteva l’aiuto e la protezione di Dio creava quell’atmosfera sacra in cui il popolo sperimentava di nuovo la presenza protettrice di Dio che salva, vede rinsaldata la sua fede riaffermate le promesse d Dio (cfr i salmi 60. 74. 79. 80. 83. 85. 90. 137 e altri).
.3.
I SALMI REGALI
I salmi regali formano un piccolo gruppo(11) all’interno del salterio e sebbene gli elementi formali siano differenti da un salmo all’altro, li unisce tuttavia il contenuto comune, perché tutti hanno per oggetto il re: oracoli, messaggi profetici, preghiere, promesse divine per il futuro e il presente sono alcuni degli elementi ricorrenti in questi salmi. Per sintetizzare l’argomento toccheremo solo alcuni punti: l’ambiente e l’origine di questi salmi, gli elementi che li compongono, e in fine la loro prospettiva.
.1.
<Ambiente> L’avvento della monarchia segnò in Israele una svolta importante e fu un trapasso doloroso e sofferto. Basta rileggere il 1° libro di Samuele per convincersene (1 Sam 8). In Israele il re è Jahweh e accanto a lui non c’è posto per un altro re. Morto Mosè, scomparso Giosuè, capi del popolo, o meglio delle singole tribù e di alcune tribù insieme, furono i giudici, che sono dei carismatici, guide ad un tempo spirituali, sociali e militari; ma Jahveh è il vero re di tutto Israele, che si riunisce intorno a lui presso l’arca dell’alleanza a Silo, formando così un’unità sulla base di una anfizionia. Quando Israele sotto la pressione di situazioni nuove e di eventi che lo spingevano a cercare una maggiore unità e sull’esempio delle nazioni vicine, chiese un re, questo atto sembrò non solo un attentato alle vecchie istituzioni tribali e anfizioniche di Israele, ma anche alla stessa regalità di Jahweh su Israele. Gli ambienti religiosi, con capo Samuele, all’inizio reagirono, ma poi lo stesso Samuele operò la mediazione in quanto il re designato è unto in nome di Jahweh, ne rappresenta l’autorità e diventa il garante del rapporto stesso di alleanza tra Jahweh e il suo popolo. La mediazione fu difficile e noi possiamo vedere attraverso il 1° libro di Samuele gli scontri tra sacerdozio e circoli religiosi da una parte e monarchia dall’altra (l Sam 13. 15 e altro). La mediazione fu perfetta con David: chi regna in Israele è sempre Jahweh, ma il re ne è il rappresentante; Israele è il “figlio di Dio” (Os 11, 1; Es 4, 22s e altro), ma il re ne è come il primogenito e rappresenta il modello di questo rapporto di paternità-filiazione (Salmo 2, 7); la legge è la stessa, quella di Jahweh, per tutto il popolo e per il re, ma questi ne è il garante e colui che la applica per tutto il popolo. Con questo è fatto il passo per superare una concezione regale che proiettava il re nella sfera sacrale e ne faceva l’incarnazione della divinità e l’assoluto sul popolo, come avveniva nei popoli vicini ad Israele. David invece e la sua di scadenza sono i portatori delle promesse liberamente fatte da Dio e sono sempre soggetti alla sua parola di giudizio.
Punto focale di queste promesse divine è la profezia di Natan: 2 Sam 7. A David che vuol costruire una casa, un tempio a Jahweh, Dio risponde per mezzo di Natan: “il Signore ti annuncia che farà a te una casa… io susciterò un tuo discendente dopo di te … e renderò stabile ilsuo regno … io sarò per lui padre ed egli sarà per me figlio … “(cfr 2 Sam 7, 11-14 ) Da qui si svilupperà tutta la linea messianica e d’ora in avanti il futuro d’Israele è racchiuso nella discendenza davidica, l’attesa e le promesse poggeranno sul rampollo che spunterà dal ceppo di Jesse (cfr Is 4 ,2; 7, 14-16; 9, 5-6; 11, 1-10; Ger 23, 5; 33, 15; Zac 3, 8; 6,12).
Questa prospettiva influirà poi naturalmente sulla presentazione che si farà di Gerusalemme. Gerusalemme infatti si sente tutta legata alla casa davidica. Occupata da David (2 Sam 5, 6-16), diventa la capitale del regno ed è la città di Jahweh perché ivi ha posto la sua presenza e per mezzo della stessa casa davidica e per mezzo del tempio costruito sul Sion. Gerusalemme, il tempio, la casata davidica formano un tutt’uno, sono il segno dell’elezione di Jahweh e della sua promessa.
E’ in questa mentalità che nella corte e nel tempio sorgono i salmi regali. Occasioni ne sono l’elezione e l’intronizzazione del re, festa di nozze a corte, una liturgia per invocare la protezione di Jahweh sul re prima di un’impresa militare o per ringraziarlo dopo il felice esito di una campagna e eventi simili.
.2.
<Origine> Gli elementi che rientrano in questi salmi sono molteplice e li lega tutti il tema fondamentale che è il re, non tanto nella sua persona, ma per quello che egli rappresenta La figura del re viene idealizzata e proiettata verso il futuro, verso un tipo ideale che s’incarna nel discendente di David.
.a.\ Un elemento importante è quello oracolare. Nel giorno della intronizzazione o in altra occasione il poeta canta al re la sua poesia: riprende i motivi di Natan e traspone sul re davidico caratteristiche della monarchia gebussea, che regnava su Gerusalemme prima di David. Sono chiari questi motivi ad esempio nei salmi 2, e, 110: “ io stesso ho stabilito il mio sovrano sul Sion, mia santa montagna … “un tuo discendente porrò sul tuo trono …” (2, 6), “tu sei mio figlio, io oggi ti ho generato … “ (2, 7). “… Ti darò in eredità le genti, e in tuo dominio le terre più lontane“ (2, 8); “ siedi alla mia destra …“ (110, 1), “tu sei sacerdote per sempre (12) al modo di Melchisedek “ (110, 4);.”Questo è il luogo (Gerusalemme) del mio riposo per sempre” (132, 11-18). Gli oracoli esprimono una fede ed hanno un senso augurale: la fede nella promessa di Jahweh e nella sua fedeltà, l’augurio che la promessa trovi compimento perfetto.
.b. \ Questo tono augurale, espresso in una preghiera o in indirizzo di omaggio o in una occasione festiva, lo troviamo particolarmente negli altri salmi di intonazione regale:
“… [Jahweh] ti mandi l’aiuto dal suo santuario (20, 3)
“ … ti conceda ciò che il tuo cuore desidera.”(20, 5)
Altre volte è il re stesso che prega Jahweh, che donò la vittoria à David suo servo (l44,10):
”Stendi dall’alto la tua mano, scampami e liberami dalle grandi acque ”(144, 7)
Un tono più affermativo e più aderente alle promesse (2 Sam 7) troviamo nel salmo 21:
“Perché il re confida nel Signore, per la fedeltà dell’Altissimo non sarà mai scosso” (21, 8).
Un canto augurale si può considerare anche il salmo 45, che è un epitalamio per il giorno delle nozze del re.
Altre volte il re stesso enuncia il suo programma di fedeltà a Jahweh e alla sua legge: il salmo 101 lo si può leggere come una specie di discorso della corona:
“Camminerò con cuore innocente dentro la mia casa …
I miei occhi sono rivolti ai fedeli del paese,
perché restino accanto a me. (101,2.6)
.c …La preghiera, l’augurio per il re, la fedeltà al patto davidico, sono tutti elementi che si fondano in una visione escatologica. La discrepanza tra quello che erano il discendente davidico e il suo regno nella realtà e il discendente e il regno promesso secondo il patto era troppo forte. La speranza messianica alimentata dai profeti si proietta verso il futuro. Il salmo 72 può essere definito la descrizione del futuro re:
“Ai poveri del paese renda giustizia,
salvi i figli del misero …
nei suoi giorni fiorisca la giustizia
e abbondi la pace finché non si spenga la luce.” (72, 4.7)
Dinanzi ad una realtà profondamente diversa come quella che si profilò nella caduta di Gerusalemme e della casa davidica, il fedele si trova scosso da grossi interrogativi. In questa prospettiva bisogna leggere il salmo 89, che dopo aver richiamato tutta la promessa di Dio (89, 20-39) alla casa davidica, continua:
“…ma tu ora hai respinto e disonorato
Ti sei adirato contro il tuo consacrato (89, 39)
hai rovesciato a terra il suo trono. (89, 45)
Dov’è, Signore, il tuo amore di un tempo? (89, 50)
E’ la prova della fede, che però rimane salda sulla fedeltà e l’onnipotenza di Jahweh, poiché “amore (hesed) e fedeltà (èmet) precedono il tuo volto” (89, 15).
.3.
< Prospettiva> Vedendo gli elementi che entrano nei salmi che cantano il re, abbiamo dato, anche se frammentariamente il contenuto di essi. Ma qual’è la loro prospettiva? Questi salmi cantano senz’altro il re di Gerusalemme, il discendente di David nella sua realtà storica. Ma ci si deve fermare qui? Come intendere allora quegli sguardi aperti sul futuro e come spiegare quelle forme oracolari che trascendono senza meno il momento storico presente?
Prescindiamo qui da questioni storiche, esegetiche, di analisi letterarie e di derivazioni ambientali, e mettiamoci nella linea di una lettura piena della Bibbia. Non possiamo dimenticare che tutta la Bibbia si trova in una tensione escatologica che tende alla realizzazione piena delle promesse dell’alleanza nei suoi diversi aspetti, e che questa tensione è stata orientata ed alimentata dai profeti durante il periodo della monarchia. Ora i profeti sono fortemente legati al momento presente, sono i giudici della realtà presente sulla base della Parola di Dio, della fedeltà al contenuto delle promesse, dell’alleanza abramitica, dell’alleanza sinaitica e davidica; ma sono orientati anche verso il futuro, quando il contenuto delle promesse e dell’alleanza sarà una realtà nuova e piena. Non è che questo futuro lo posseggano, ma lo affermano sulla solidità, la fedeltà, la certezza della Parola di Dio.
I salmi regali bisogna leggerli in questa chiave e in questa prospettiva, cosi come leggiamo i profeti e i loro oracoli messianici. Essi riguardano il re nella sua figura e funzione storica, ma trascendono subito il re e la monarchia davidica nella sua storicità per annunciare qualcosa d’altro: il futuro di Dio, che è totalmente e solo nelle sue promesse e nelle sue mani.
Certo il salmista non poteva cantare di Gesù di Nazareth, il Cristo, Figlio di Dio, né della sua vittoria sul male e sulla morte con la croce e la resurrezione, né del regno di Dio da Cristo annunciati e realizzato, ma cantava del re “figlio di Dio” (2,7). della sua glorificazione sul trono di Sion, che è il trono [alta montagna] di Jahweh (2,6), del suo regno futuro (110,2) della sua preghiera ascoltata da Jahweh, della sua vittoria definitiva sui nemici e altro. Dopo gli eventi del Cristo, la comunità cristiana primitiva non poteva non leggere questi salmi se non nella chiave messianica, come ce lo testimoniano gli Atti degli Apostoli, le lettere di Paolo, la lettera agli Ebrei. I salmi venivano letti nella linea di tutto il V.T. ma questo era intelligibile pienamente solo alla luce del Nuovo.
I SALMI DI SION E DI PEREGRINAZIONE
.4. I salmi di Sion, e i salmi di peregrinazione formano un piccolo gruppo (13), celebrano Gerusalemme, la città santa, la sede e la dimora dell’Altissmo.
Questi salmi sono molto legati a quelli regali e vi ritroviamo concetti molto affini. Del resto la riflessione storica e profetica su Gerusalemme va di pari passo con quella sul re e la sua discendenza, sul tempio e la presenza di Dio.
.1. – L’ambiente in cui questi salmi sorgono è quello in cui si è sviluppata una teologia di Gerusalemme, città del re, città del tempio, dimora di Dio, centro di raccolta e di unità di tutti i popoli. Ora tutte queste idee si sono sviluppate sulla base dell’alleanza davidica.
Al tempo di Giosuè e dei Giudici, Gerusalemme era rimasta in mano ai Cananei, cioè ai Gebusei; occupata da David verso il 1000 (2 Sam 5,6-10), divenne la capitale unica di tutto il popolo di Giuda e di. Israele; una volta che vi fu portata l’arca dell’alleanza (2 Sam 6) e poi costruito il tempio (I Re 6-9). Gerusalemme viene glorificata come la sede di Dio e la sede del trono davidico.
Con la predicazione profetica sono riprese queste idee e queste realtà, ma inserite nella visione nuova che i profeti presentano dell’alleanza sinaitica e davidica, del rapporto di Jahweh col suo popolo, della sua presenza nel tempio, in Gerusalemme, nella discendenza davidica. E come l’alleanza viene proiettata in una visione futura di rinnovamento, così anche Gerusalemme viene vista in una luce nuova. Il punto di partenza di questi salmi è quindi quello della glorificazione di Sion.
Ambiente e circostanze esterne che li hanno causati sono le feste e le liturgie che si svolgevano a Gerusalemme e che avevano come centro il tempio o la corte, i pellegrinaggi che il popolo faceva una e più volte all’anno, mura e costruzioni che difendevano e ornavano la città rendendola un baluardo di difesa per il popolo, la predicazione profetica soprattutto che creò il fondo religioso che voleva una Gerusalemme rinnovata nel culto e nella fedeltà a Jahweh.
.2. — I motivi che troviamo in questo piccolo gruppo di salmi sono vari e li possiamo così sintetizzare.
.a.\ La lode per Gerusalemme, città bella, tutta splendente e ben difesa: “Dio nei suoi palazzi un baluardo si è dimostrato”(48, 4): “percorrete Sion, giratele attorno, contate le sue torri!” (48,15); i fedeli pensano con nostalgia agli atri e ai cortili del tempio della città (84, 4.5.11), “Gerusalemme è costruita come città, unita e compatta” (122,3).
.b.\ Questo elemento però è un fatto molto esteriore, conta molto di più la fede che Gerusalemme risveglia. Sion è anzitutto la sede di Dio, alla cui presenza salgono le tribù d’Israele (122, 4), “E’ in Salem la sua tenda, in Sion la sua dimora ” (76, 3), è la città del nostro Dio, “ la sua santa montagna, altura stupenda, è la gioia di tutta la terra” (48, 2s). Jahweh vi domina dal suo tempio e là si rivela ad Israele e i fedeli vi accorrono per contemplare il volto di Dio. Perché Dio è presente a Gerusalemme, perché è la città del Dio delle schiere, essa è forte e sicura: vennero i nemici, ma videro e fuggirono, si addensarono nubi e si scatenò la tempesta sulla città, ma Jahweh ha messo a tacere tutte le forze nemiche (cfr.46; 48; 11): Dio stesso è suo presidio e baluardo. I profeti, Geremia ed Ezechiele soprattutto, purificheranno questa mentalità, perché esigeranno anzitutto la fede e la coerenza nella vita col patto stretto tra Jahweh e il suo popolo. E’ inutile appellarsi al tempio e alla città santa, se poi viene tradito il patto d’alleanza con Dio. Essi però non negheranno questa visione della città, anzi proiettandola nel futuro, quando il popolo e Gerusalemme saranno purificati, l’innalzano e l’ingrandiscono: allora città e tempio saranno il segno di una presenza di Dio più vera, la presenza in mezzo al suo popolo santificato.
.c.\ “Sì, il Signore ha scelto Sion, l’ha voluta per sua residenza: questo sarà il luogo del mio riposo per sempre “(132, 13 s); questo è il fatto fondamentale, l’elezione da parte di Dio. Ogni cosa comincia sempre con la scelta che Dio fa: Abramo, il popolo, Mosè, David, Sion. Con questo tema dell’elezione è strettamente connesso l’altro, quello del destino di Gerusalemme: la città santa è il centro della salvezza, la patria di tutti, la madre dei popoli, non solo d’Israele; bisogna essere figli di Gerusalemme e là registrati per poter partecipare alla salvezza che viene da Dio.
Il salmo 87 celebra questa prospettiva universalistica e senz’altro chi ha sciolto questo canto risentiva della predicatone profetica e particolarmente del DeuteroIsaia.
Il tono di questi salmi di Sion è sempre molto alto, è celebrativo della grandezza della città, della sua elezione, del suo futuro. Vi troviamo spesso elementi oracolari ed evocativi, promesse enunciate dal profeta in nome di Jahweh, richiami ad eventi passati, che fondano la grandezza del presente e del futuro. Sviluppato è anche l’elemento augurale: la preghiera per Gerusalemme, per la sua pace e la sua prosperità, perché in essa si realizzi pienamente il disegno di Dio.
.3. — A conclusione di questo genere accenniamo anche ai cosiddetti “salmi di peregrinazione “, che hanno punti di contatto con i salmi di Sion. Non si tratta di salmi che per sé formino un genere letterario specifico, piuttosto di elementi sparsi qua e là in alcuni salmi, che fanno pensare ad un ambiente e a delle circostanze che hanno creato questi elementi.
.a.\ Il nome. Un gruppo di salmi (120-124) portano questa iscrizione “sir hamma’alot’’: sir significa canto, inno: è difficile invece rendere il significato del secondo temine perché il senso dipende da come s’intende questo gruppo di salmi. Le spiegazioni sono state diverse, ne presentiamo solo due come le più probabili: -1- “canto dei gradini”, canticum graduum tradusse S. Girolamo: sarebbero i salmi cantati da cori, che accoglievano i pellegrini sulle gradinate del tempio; -2-.“canto di peregrinazione” , cioè salmi che venivano cantati durante i pellegrinaggi a Gerusalemme o durante le processione, nelle feste. Per sé si potrebbe fondere insieme i due aspetti e intendere: inni processionali o di peregrinazione cantati nel momento terminale e, quando si salivano le scalinate, i gradini, che portavano alla valle del Cedron al tempio e a Gerusalemme (cfr. Ne 3,15;12,37).
Intesi come salmi di peregrinazione non e però che tutti questi salmi (120-134) abbiano come tema i pellegrinaggi di Israele. Eccetto il 122 e il 132, che già abbiamo visto come salmi di Sion, gli altri non accennano affatto a pellegrinaggi o processioni. Porse formavano una raccolta usata in queste circostanze, ma senza un tema specifico.
.b.\ I pellegrinaggi e le feste al tempio e a Gerusalemme sono momenti tipici della spiritualità dell’israelita. Già nel periodo tardivo della monarchia, una volta accentrato il culto sul Sion, la salita alla città santa divenne un fatto importante e significativo. In un culto molto austero, privo di immagini, il ritrovarsi insieme rappresentava un motivo di grande gioia non solo, ma anche di comunità di fede.
Le feste più antiche e le principi in Israele sono: la Pasqua, la Pentecoste e la festa delle Tende. Queste tre feste cadono in momenti tipici della vita agricola: Pasqua all’inizio primavera, Pentecoste cinquanta giorni dopo Pasqua, all’inizio del raccolto, le Tende in autunno alla fine della stagione dei raccolti. Questi legami fanno vedere l’origina agricola do tali feste, ma esse non avevano affatto un carattere agricolo o naturistico richiamavano invece i momenti centrali della storia della salvezza: Pasqua ricordava la liberazione dall’Egitto; Pentecoste celebrava l’alleanza del Sinai; la festa delle Tende fu messa in relazione con la permanenza nel deserto. Questo carattere storico aveva la preminenza sugli altri aspetti e serviva a richiamare e ad irrobustire la fede dell’israelita.
.c.\ Le feste venivano annunciate: araldi passavano per le campagne e i villaggi per invitare i fedeli a salire a Gerusalemme. Dopo un’esperienza religiosa intensa vissuta a Gerusalemme durante la festa, al momento di ripartire il pellegrino ricordava soddisfatto e commosso il momento in cui udì l’annuncio e si decise a partire per la città santa: “Quale gioia, quando mi dissero: «andremo alla casa del Signore» “(122, 1). I profeti annunciando i tempi messianici vedranno turbe non solo da Israele, ma da tutte le nazioni salire a Gerusalemme (cfr.Ger 31, 6; Is.60 ecc.), per venire ad inebriarsi alla luce del Dio d’Israele che regna in Gerusalemme.
Il salmo 84 rivive poeticamente il pellegrinaggio per la festa delle Tende, quando i fedeli, dopo l’arsura estiva e il raccolto passano per le campagne aride implorando la prima pioggia autunnale quale benedizione di Dio: “Passando per una valle arida la rendono una fonte, la pioggia poi la copre di benedizioni. Essi vanno di altura in altura: Dio apparirà loro in Sion “(84, 7s).
L’occhio dell’israelita è rivolto a Gerusalemme e il suo cuore è nel tempio, la casa di Jahweh. Ivi desidera fermarsi ed abitare, porvi il nido come le rondini e i passeri (84, 4). Prima di entrare nel tempio bisogna purificarsi e i pellegrini partecipavano a delle liturgie di purificazione all’ingresso del tempio. Il salmo 15 lo si può intendere come una liturgia d’ingresso. Ai fedeli che domandavano: “Signore, chi dimorerà nella tua tenda? Chi dimorerà sulla tua santa montagna?”(15, 1) i leviti e i sacerdoti rispondevano enunciando come una specie di decalogo:”Colui che cammina senza colpa”. (vv. 2-5), a cui i presenti, sentendosi vicini a Jahweh e purificati rispondono: “Ecco la generazione che lo cerca, che cerca il tuo volto, Dio di Giacobbe”(24, 6. Cfr.95, 6-11).
Le feste erano anche occasioni propizie per istruire il popolo, anzi il Deuteronomio fa esplicito precetto di rileggere almeno ogni sette anni la legge del Signore al popolo durante la festa delle Tende (Dt.31, 10-13); era anche l’occasione in cui i profeti portavano il loro messaggio e richiamavano all’osservanza del patto: basti pensare ad Amos, a Geremia e poi allo stesso Gesù.
Al momento di partire il pellegrino si accomiatava dal tempio, dalla città, dai sacerdoti, che invocavano su lui la benedizione di Jahweh (Num 6, 24- 6):”Il Signore ti benedica da Sion: egli ha fatto cielo e terra”(134, 3).
. 5. I SALMI SAPIENZIALI
In questo gruppo, sotto questo nome generico raccogliamo diversi tipi di salmi, che non possono essere ridotti ad un unico genere letterario né per gli aspetti formali né per contenuto, ma che pur hanno una linea comune che li lega. Questo filo unitario può essere individuato nella “riflessione sapienziale”: sono i salmi che affrontano problemi diversi come il giusto e l’empio nella vita, la legge, la storia d’Israele, il vero culto da rendere a Dio ed altri temi.
.1. – Alcune riflessioni generali sulla sapienza.
Prima di parlare dei diversi aspetti di questi salmi è bene fare un breve cenno alla riflessione sapienziale in Israele per cogliere meglio l’ambiente in cui questi salmi sono sorti. Possiamo distinguere tre filoni diversi sebbene strettamente connessi tra di loro.
.a.\ la sapienza della vita e della prassi, riguarda il modo di vivere, di comportarsi. E’ una sapienza pratica che raccoglie l’esperienza di generazioni, esperienza che si è condensata in detti, massime, proverbi che toccano i momenti e gli aspetti più vari della vita: l’educazione dei figli, una certa politica familiare, il comportamento con le donne, vizi e virtù umane, il maneggio politico e amministrativo e altro. E’ tutto un cumulo di materiale che s’arricchisce di sempre nuove osservazioni e che fanno la saggezza della vita e quel fondo umano di un saper vivere, che è sempre vero e sempre nuovo. Questo tipo di saggezza forma il sostrato della vita del popolo, ma emerge a coscienza di bene comune quando un “saggio” osserva, raccoglie e ordina questo materiale che vaga tra il popolo. Questa riflessione sapienziale non è certamente esclusiva di Israele, è qualcosa di comune a tutti i popoli con accentuazioni più o meno forti: celebre era nell’oriente biblico la saggezza di Edom e degli arabi o quella degli Egiziani e delle grandi culture della valle del Tigri e dell’Eufrate. Anzi possiamo dire che Israele si inserì in questo vasto contesto sapienziale solo tardivamente, nel periodo della monarchia dopo Salomone. Fece tesoro della sua sapienza, s’arricchì dell’esperienza degli altri, ma tutto filtrò alla luce della sua peculiare tradizione e religiosità. Questo materiale fu raccolto e dovette circolare prima liberamente tra il popolo, poi in collezioni più o meno ufficiali. Noi ne abbiamo tracce nel libro dei Proverbi in cui trovammo materiale proprio di Israele e di altri saggi anche non israeliti (cfr Prov 1 ,1-6; 10, 1; 22, 17; 25, 1; 30, 1; 31, 1).
.b.\ Questa riflessione sulla vita non tocca solo aspetti pratici e il saper vivere, ma diventa spontaneamente anche riflessione sui grandi perché della vita in genere, e di Israele in particolare. Allora questa sapienza spicciola fatta di massime, proverbi e tradizioni, diventa vera e propria filosofia. Non dobbiamo farci ingannare da questo termine dandogli la coloritura che ha preso nella nostra mentalità, cioè di riflessione autonoma del pensiero umano che cerca di comprendere se stesso e la realtà; per Israele si tratta sempre di partire dalla sua esperienza, dalla sua storia, che gli offre dati sicuri e da cui non può assolutamente prescindere. Questi dati sono l’incontro con Dio, la scoperta del Dio vivo; della sua assolutezza, trascendenza, fedeltà e bontà. Questo punto per Israele è incontroverso, è il punto fermo di partenza. Ma non per questo tutto è risolto, si pongono invece interrogativi e problemi formidabili anche al sapiente d’Israele.
Un interrogativo che si presenta come preliminare è questo: deve collocare la storia di Israele, che inizia con Abramo, Isacco e Giacobbe? Allora sulla base di fatti storici, di antiche tradizioni popolari, di elementi mitici sono sorti quei racconti che nelle diverse correnti jahwista, elohista, sacerdotale, hanno creato la cornice e la tela entro cui e su cui porre la storia d’Israele. Questa riflessione diversa, che qui non possiamo analizzare, trovò la sua forma ultima negli attuali primi undici capitoli del Genesi, che nel loro insieme bisogna leggere e interpretare fondamentalmente partendo da un punto di vista sapienziale. Diciamo sapienziale e non filosofico per accentuare la profonda diversità che troviamo tra la riflessione sapienziale d’Israele e la riflessione filosofica ad esempio della Grecia e nostra su un problema in fondo comune: l’uomo, il suo essere, la sua comprensione; il cosmo, la sua origine, il suo significato; il peccato, la sofferenza, la morte. Un problema uguale, ma trattato partendo da punti diversi e con strumenti diversi e quindi prospettato in maniera radicalmente diversa. Questi temi li troviamo nei salmi specialmente là dove si canta l’azione creatrice di Dio. Un altro interrogativo pressante che si presenta all’animo d’Israele è quello della sofferenza e del dolore. In un primo momento l’ebreo considerò il dolore, le malattie, la morte prematura e cose simili, come la giusta punizione di un male compiuto dall’individuo stesso che ne era colpito o dalla famiglia e dalla collettività di cui la persona faceva parte. Con Geremia ed Ezechiele, nel periodo dell’esilio, sviluppatasi una visione più personalistica della responsabilità e quindi anche del castigo e delle pene, però all’oscuro ancora di una realtà come quella di resurrezione e di vita piena con Dio, ci si trova dinanzi ad un formidabile punto interrogativo sul perché delle pene e della miseria del giusto, di colui che è stato fedele a Jahweh. Risposta non c’era e lo conferma l’autore del libro di Giobbe, che vede il problema avvolto nel mistero insondabile della trascendenza e dell’onnipotenza di Dio. Giobbe pur non sapendo dare una risposta al tormentoso problema, rimane saldo nella fede in Jaweh; altri invece, come l’Ecclesiaste, un po’ per temperamento, un po’ per l’esperienza amara della vita, inclina ad una risposta tinta piuttosto di scetticismo: è inutile porsi il problema e tentare di risolverlo, tutto è vanità sia la gioia sia il dolore, tanto la ricchezza quanto la povertà, perché in fine, “chi sa se il soffio vitale dell’uomo sale in alto mentre quello della bestia scende in basso, nella terra?” (Qo 3, 21).
.c.\ Un altro filone della riflessione sapienziale è quello che ha come tema quello della legge e della sapienza di Dio. Quella saggezza pratica, cui abbiamo sopra accennato, era stata filtrata alla luce della rivelazione, maturata sotto l’influsso della legge di Dio, ma chi guidava la vita di Israele era soprattutto la legge di Mosè, ormai, dopo l’esilio, ben determinata scritta e commentata: nella legge era la vita e la ragion d’essere dell’israelita. Quando si cominciò a riflettere sull’origine della legge si risalì direttamente a Dio: la legge viene dalla sapienza di Dio. La sapienza di Dio è in opera dappertutto, nella creazione del cosmo e dell’uomo, la Parola di Dio rivela la sua sapienza, quella parola che ha ordinato l’universo, ma che ha anche creato Israele a cui ha dato la legge come norma di vita.
Parola, legge, sapienza sono realtà molto vicine. La sapienza esprime quasi il piano di Dio, la parola è la potenza realizzatrice di questo piano e la legge è la stessa sapienza e Parola di Dio divenuta norma di vita per Israele: la sapienza, la parola, la legge parlano, appellano, invitano a nome di Dio: non sono Jahweh, ma un “io” che con autorità parla: accettare il suo appello significa avere la vita e la salvezza, rifiutarlo significa la condanna e la morte.
Questo invito è rivolto a tutti, ma la sapienza per ordine di Dio ha trovato in Israele la sua dimora e nella legge la più alta espressione. Queste idee le troviamo sviluppate nei libri sapienziali e precisamente nella prima parte del libro dei Proverbi (1-8), nel libro di Giobbe (cap. 28), nell’Ecclesiastico (cap. 24) e altrove. Diversi salmi riprendono più o meno direttamente questi temi sviluppandoli su un piano di meditazione e di preghiera.
.2. Temi sapienziali nei salmi.
Temi sapienziali si trovano in diversi salmi specialmente là dove trattano della storia di Israele, del problema del dolore, della retribuzione, del giusto che soffre.
.a.\ In alcuni salmi, che possiamo chiamare “storici ” (78; 81; 105;106) perché vi è ampiamente richiamata la storia di Israele, sono evidenti l’impostazione o i richiami sapienziali.
Il salmo 78 si presenta come un “insegnamento”, che proferisce ” sentenze” e ’’enigmi antichi“ (1-2) vi viene richiamata tutta la storia dai padri fino a David mettendo in contrapposizione la generosità di Dio verso il suo popolo e la ingratitudine di questo. La stessa impostazione ha il salmo 106 mentre il 105, pur presentando gli stessi elementi storici, ha una impostazione innica in cui si proclamano le opere di Dio. Il salmo 81 infine si sviluppa in una cornice chiaramente liturgica, in cui per mezzo di una teofania il discorso storico è riportato direttamente a Dio come ammonizione (81, 9) al suo popolo perché comprenda e si converta. Questi salmi dovevano trovare il loro posto soprattutto nelle feste di Israele ed erano una fonte di meditazione e di richiamo alla fede.
.b.\ Anche il salmo 50 può essere interpretato in chiave sapienziale pur essendo, per linguaggio e per tema, di derivazione profetica. Viene affrontato il problema del culto, tante volte trattato dai profeti. Il rapporto tra culto esterno e pietà interiore era cruciale al tempo del salmista ma è sempre attuale, ieri come oggi. Il salmo si apre con una grandiosa teofania, non è il profeta che parla, ma Dio stesso (50, 1-4): egli convoca il suo popolo a giudizio e richiama il punto centrale dell’alleanza: “io sono Dio, il tuo Dio” (50. 7), un Dio che non ha bisogno di offerte e di sacrifici perché tutto è suo (8-13), vuole invece un “sacrificio di lode”, cioè l’osservanza del patto e della legge (l4-2l), termina invitando alla conversione e a rendere un culto sincero (22-23). Il salmo deve essere considerato come una riflessione sul significato del culto e quasi un commento ai brani profetici (cfr.Am.9, 2l-23; 0s.6, 6; Mich.6,6-8; Is.l,ll-l3; Ger.7,21-23 ecc.).
.c.\ Due salmi riguardano direttamente la legge: il salmo 19 e il 119. Il primo mette insieme due temi che possono essere considerati strettamente uniti, la legge i Dio che si manifesta nel cosmo specialmente attraverso i ritmi del cammino solare, e la legge di Dio come norma di vita data al suo popolo, potrebbero sembrare due temi tanto lontani tra loro, sono invece molto vicini attraverso la riflessone sapienziale: è la stessa sapienza divina che presiede alle opere della creazione e che ha trovato dimora in Israele portando come dono la legge.
Il salmo 119 è la composizione più lunga tra i 190 salmi, si compone di 176 versi in 22 strofe ognuna di 8 versi che cominciano sempre con la stessa lettera dell’alfabeto la quale però varia progressivamente per ogni strofa dalla prima lettera all’ultima. Il tema è unico, quello della legge, trattato senza un vero piano, ma con enunziati, detti, riflessioni, invocazioni: non c’è un vero nesso di sviluppo a causa di un procedimento stilistico rigido e meccanico come quello numerico e alfabetico. Tuttavia il salmo rivela un profondo sentimento religioso e un attaccamento commovente alla legge.
Questa viene indicata con termini diversi: legge, parola, detti, comandamenti, precetti, testimonianze, statuti, decreti, ma si tratta sempre della stessa realtà, della sapienza che esce dalla bocca di Dio e che riempie il cuore del salmista. Solo gli empi non capiscono e si rifiutano di ascoltare e di ubbidire, ma i giusti si rallegrano della legge, che è la loro salvezza. Su questo stesso piano possiamo porre altri salmi che fanno un parallelo tra i giusti e gli empi, tra coloro che osservano la legge e pongono la loro confidenza in Dio e coloro che dimenticano Dio e la sua legge. I primi possono abitare con sicurezza nella casa di Jahweh (15,1-5) prosperano come alberi piantati lungo il fiume (1, 3; 52,10), ricolmi di benedizioni nella propria casa ricca di prole e di felicità (112, 3; 127,3-5; 128, 3),gli altri periranno nelle loro stesse menzogne ed astuzie(32,3-7) e saranno per sempre dimenticatici (4-6; 112,10 e altri).
.d.\ Se nei salmi precedenti c’è quasi una contemplazione distaccata, come di uno che faccia una certa teologia astratta sui giusti e sugli ingiusti e la loro sorte, in altri salmi invece si sente che il problema è vissuto di persona. Questi salmi hanno sempre due parti: nella prima si descrive l’orgoglio e le oppressami degli empi: “con arroganza il malvagio perseguita il povero” (10, 2) e proclama “Dio non ne chiede conto, non esiste!” (10, 4); “si dicono menzogne l’uno all’altro (12,3),”sono tutti traviati, tutti corrotti”(14, 3; 33,4) (n14), “uccidono la vedova e il forestiero, massacrano gli orfani e dicono: Il Signore non vede!”(94,6s). Nella seconda si chiede l’intervento di Dio: “spezza il braccio del malvagio e dell’empio” (10,15) “, “per l’oppressione dei miseri e il gemito dei poveri, ecco mi alzerò – dice il Signore-” (12, 6), oppure l’autore ironizza sulla presunta sicurezza dell’empio: “intendete, ignoranti del popolo, stolti, quando diventerete saggi? Chi ha formato l’orecchio, forse non sente? Chi ha plasmato l’occhio forse non vede?” (94,8s). In questi salmi l’autore appare per un momento conturbato, ma poi riafferma con sicurezza la sua fede: i fatti gli pongono un problema, ma la sua fede non vacilla. Da rilevare come l’empietà si manifesta soprattutto nell’oppressione dei poveri e nello sfruttamento da parte degli orgogliosi. Questa gente umile sono i “poveri di Jahweh”, che non trovano altra forza e sicurezza che in Dio. Sono anticipate quasi le beatitudini proclamate da Cristo! Certo le beatitudini non debbono essere interpretate come rassegnazione, passività di fronte alle situazioni, ma come sicurezza di una presenza preferenziale di Dio. Non ci dobbiamo quindi scandalizzare se nel salmo 139 (e in altri salmi), dopo aver descritto la fiducia del povero e la presenza di Dio nella sua vita, sentiamo espressioni come queste: “io li odio con odio implacabile” (v. 22), perché questa è l’espressione di colui che ha rimesso tutto nelle mani di Dio e i suoi nemici personali sono i nemici di Dio: più che espressione di odio si tratta di un giudizio che vede nell’empietà stessa già presente la Parola di Dio quasi forza immanente, che giudica e condanna.
Certo il salmista non conosce la proclamazione del “discorso del monte” e quindi nemmeno lo spirito delle beatitudini e tanto meno ha avuto l’esperienza del Cristo. E’ vero però anche che il salmista, pur all’oscuro della vera soluzione del problema del male e del dolore, ci sa anticipare in alcuni salmi (36; 37; 49; 73; 91 e altri) visioni meravigliose come quando intuisce che, al di là di ogni caso e di ogni sofferenza, solo in Dio c’è la pace: “Quanto è prezioso il tuo amore, o Dio! Si rifugiano all’ombra delle tue ali, si saziano dell’abbondanza della tua casa: tu li disseti delle tue delizie. E’ in te è la sorgente della vita” (36, 8-10). “Sta’ in silenzio davanti al Signore e spera in lui; non irritarti per chi ha successo, per l’uomo che trama insidie” (37,7), e ancora “Certo, Dio riscatterà la mia vita, mi strapperà dalla mano degli inferi. Non temere se un uomo arricchisce” (49,16s). Altrove il salmista (cfr 73) dopo aver descritto a lungo quasi con invidia la apparente felicità degli empi (2. 22) si accorge d’aver sbagliato tutto, perché vale molto di più essere con il Signore. “Ma io sono sempre con te: tu mi hai preso per la mano destra. Mi guiderai secondo i tuoi disegni e poi mi accoglierai nella gloria. Chi avrò per me nel cielo? Con te non desidero nulla sulla terra. Vengono meno la mia carne e il mio cuore; ma Dio è roccia del mio cuore, mia parte per sempre. Ecco, si perderà chi da te si allontana; tu distruggi chiunque ti è infedele. Per me, il mio bene è stare vicino a Dio; nel Signore Dio ho posto il mio rifugio, per narrare tutte le tue opere” (73, 23-28) poiché l’unico rifugio è Dio, sotto la protezione dell’Altissimo. “ Chi abita al riparo dell’Altissimo passerà la notte all’ombra dell’Onnipotente. Io dico al Signore: «Mio rifugio e mia fortezza, mio Dio in cui confido»” (91, 1s).
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MIOLA.SALMI
.III. – I salmi, preghiera d’Israele e della Chiesa, del popolo dell’antica e della nuova alleanza.
Toccheremo alcuni aspetti che dovrebbero aiutare a vedere i salmi in un piano spirituale, come preghiera che la Chiesa mette continuamente sulle nostre labbra. Tutta la preghiera liturgica infatti trova il suo perno nella salmodia. Nella liturgia della parola il salmo sottolinea il significato fondamentale della lettura mettendo su un piano di risposta di fide dinanzi alla proclamazione fatta con un atteggiamento di lode di ringraziamento, di meditazione o di supplica; i canti processionali d’introito [ingresso], di presentazione delle offerte e alla comunione sono presi quasi esclusivamente dal salterio perché proprio con i salmi si può sottolineare il significato dell’azione liturgica. La liturgia infatti non fa che celebrare il mistero della salvezza inserendoci in esso e i salmi sono proprio il canto della salvezza operata da Dio nella storia. La riscoperta del salterio porterà il popolo cristiano ad una visione di fede più profonda ed autentica e lo tirerà fuori da fante sovrastrutture pietiste fatte di devozioni e di pratiche, che hanno avuto magari il loro valore nel momento in cui son sorte, ma che non possono assolutamente assurgere a preghiera universale della Chiesa.
La Chiesa antica ci ha lasciato veramente un esempio straordinario facendo proprio il salterio e assumendolo come sua preghiera. Era stata la preghiera di Israele, fu la preghiera ai Gesù, divenne la preghiera della Chiesa. S. Giovanni Crisostomo, che ci ha lasciato un bel commentario ai salmi poteva scrivere: “Quando si veglia nelle Chiese non si fa che cantare all’inizio, nel mezzo e alla fine i canti di David. Allo spuntar del giorno nella riunione si salmeggia, all’inizio, nel mezzo e alla fine un canto ai David … Nei funerali s’inizia la preghiera, la si prosegue e la si- termina sempre con un -canto di David … Cosa magnifica è che coloro che non sanno di lettere conoscono a memoria tutto il salterio di-David, e lo si canta non solo nelle chiese e nella città, ma anche fuori nelle campagne e nelle piazze pubbliche. Nei monasteri tra coloro che si sforzano di condurre una vita angelica, semper et primus et medius et novissinus est David [= il salmo di David è sempre il primo, il medio e l’ultimo] (Homelia VI de Poenitentia in Patrologia Greca)
Non ci si può nascondere che oggi nonostante tutto il movimento liturgica, c’è .ancora una frattura tra la preghiera ufficiale della Chiesa, che come abbiado visto è sostanziata di salmi, e la preghiera dei fedeli, del clero e dei religiosi, perché i salmi tornino ad essere preghiera viva della Chiesa occorre che i cristiani entrino in una mentalità nuova riscoprano la Parola di Dio come pane indispensabile per la vita cristiana a pari titolo dell’Eucaristia (cfr Dei Verbum 21); che tutta la Bibbia sia quel che essa vuol essere, storia dell’opera salvifica di Dio per noi e non un repertorio di verità da credere e dì precetti da praticare che la Chiesa sia vista, più come popolo di Dio e non baluardo di credenze e di istituzioni che la vita liturgica sia meno un incontro con Dio per accaparramento di favori e di grazie, quanto piuttosto la celebrazione dell’opus salvificum; che la fede sia espressione viva di vita e di speranza che non teoria astratti-. Allora anche i salmi acquisteranno una dimensione nuova. Fermiamoci ora su due aspetti più importanti: i salmi e la storia, i salmi e il culto per poi tentare una lettura cristiana di alcuni salmi.
.1.\\\ I salmi e la storia.
I salmi, come abbiamo visto, sono sorti all’interno della storia di Israele e sono in essa radicati. E’ impossibile comprendere i salmi prescindendo dalla storia di Israele. Non nel senso evidentemente di una conoscenza a carattere tecnico- scientifico, ma a quel livello che è capace di farci gettare uno sguardo d’insieme sul piano di Dio e sulla storia della rivelazione, fino al centro di tutto, Cristo, e di farci uscire dal guscio angusto del nostro angolo visuale per sentirci immersi in un piano d’amore che ci trascende, così come Paolo ce lo fa sentire nelle sue lettere (cfr Rom 5-8; Ef 1,3-14; 3, 1-13; Col 1, 9-23 e altro).
Nei salmi infatti non si tratta di-una preghiera che parta anzitutto dalle necessità dell’uomo, né dal suo sforzo, di elevazione a Dio; ma di una preghiera che ha come quadro il piano stesso di Dio che si svolge nella storia. Se dovessimo sintetizzare in poche linee la teologia dei salmi non potranno partire dall’uomo che si rivolge a Dio, ma da Dio che si rivolge all’uomo. Nei salmi non stanno prima le necessità e le miserie dell’uomo presentate ed esposte ad un Qualcuno perché questi aiuti e consoli, ma prima di tutto la parola di Jahweh, le sue promesse, la sua salvezza attraverso la storia: Abramo, Giacobbe, Mosè e il popolo, Giosuè e i Giudici, David e la sua casata, Sion e il tempio, i profeti e l’infedeltà del popolo, la promessa di Dio e la dimenticanza dei suoi eletti. Bisogna ben comprendere una verità fondamentale che tutti con conosciamo, ma che tanto spesso dimentichiamo: la Bibbia non è il risultato di un nobile sforzo dell’uomo per elevarsi fino a Dio, ma è la storia di Dio che viene incontro all’uomo di Dio che irrompe nella storia umana scegliendo come portatori del suo messaggio degli uomini e quindi per forza di cose un linguaggio, una cultura, una terra e un tempo determinato. Si potrebbe dire che questo è l’aspetto più sconcertante della Bibbia: il coartarsi di Dio entro termini angusti come sono sempre i limiti dell’uomo, e delle sue generazioni. Questi limiti sono trascesi solo dalla sua parola, che si apre verso l’infinito, e scompaiono quando la Parola, fattasi carne, rivelando la pienezza dell’amore e del piano di Dio, porta l’uomo ad un dialogo perfetto col Padre, L’incontro con la Parola di Dio chiede una risposta, quella della fede, fede come atteggiamento di vita dinanzi a Dio che chiama “se non avrete fede non persisterete” (Is 7, 8). Torniamo ali salmi. Essi seno l’espressione orante dall’anima di Israele che contempla anzitutto la storia della sua salvezza. Nei salmi i richiami alla storia sono i pilastri della preghiera e come un ‘credo’ di Israele è un credo storico (Cfr Deut 26, 5-8; Gios 24, 1-28), così anzitutto la sua preghiera è una preghiera storica. Gesù che è venuto a compiere la legge e i profeti, cioè la storia di Israele, ha fatto sua questa preghiera dei salmi e li ha spiegati ai discepoli perché essi parlavano di lui, e noi dobbiamo farla nostra come preghiera della storia della nostra salvezza, rischiarata dalla luce di Cristo.
I salmi ei richiedono anzitutto uno spirito di contemplazione che penetra nel piano di Dio, per mezzo di Cristo e lo vede realizzato in lui e nella sua Chiesa. Allora acquistano sapore e significato i salmi storici, quelli regali e quelli di Sion, allora diventa preghiera nostra il travaglio dell’animo d’Israele e ci sentiremo immersi nella vita del povero di Jahweh che implora con fede l’intervento di Dio e uniremo il nostro canto a quello del salmista che celebra le meraviglie che Dio ha profuso nella creazione.
.2. \\\ I salmi e il culto.
Una volta capito il carattere storico della preghiera salmodica non è difficile capire il rapporto tra i salmi e il culto. Se uno prescinde dalla Bibbia e rifletta sul culto in genere come relazione dell’uomo a Dio, si metterà su una linea, puramente, razionale e coglierà il culto come doveroso atto di omaggio dell’uomo, sua creatura, come atto di adorazione e di ringraziamento, di impetrazione e di espiazione. Il culto in Israele è visto anzitutto sotto un’altra prospettiva. Esso è celebrazione dell’opera salvifica di Dio e quindi anzitutto “memoriale”, memoria celebrativa della storia salvifica.
Parlando dell’origine e del contenuto dei salmi abbiamo detto che Israele incontra mio prima di tutto nella storia e poi, se si parlare in questo campo con categorie temporali, scopre Dio come signore del creato, si può dire che prima sperimenta l’aziona salvifica di Dio e poi coglie la propria dipendenza come creatura. Quando l’Israelita pensa a Dio quindi pensa anzitutto alla sua storia e scopre la grandezza, l’onnipotenza, la trascendenza di Dio nella sua storia. Questo fatto del ricordare, della ‘memoria’ è importante. E’ Dio stesso che ordina a Israele: “Non dimenticare quello che io ho fatto per te” (cfr Es 12, 14; 13, 3; Deut 7, 18 e altri), come d’altra parte Israele dice a Dio: “Non dimenticare le tue opere” (cfr Es 32, 13; Deut 9, 27;salmo 74 e altri). Il culto in Israele incorpora tutti quegli elementi di adorazione, di lode e di ringraziamento, di impetrazione e di espiazione, ma sempre in quel rapporto peculiare che è il rapporto creatosi nella storia tra Dio e il suo popolo. Il culto quindi non è anzitutto movimento dell’uomo verso Dio, ma riattualizzazione dell’opera salvifica di Dio. Non per nulla le feste principali di Israele, soprattutto la Pasqua, come abbiano visto, erano commemorative di eventi storici. Questo aspetto storico del culto è una novità assoluta. Il culto in genere infatti è un movimento dell’uomo verso Dio, tentativo di penetrare i cieli a di svelare il mistero o è proiezione del mito nel tempo e quindi momento di iniziazione all’arcano e al divino e forza magica per entrare in una sfera preclusa all’uomo. Il culto nella Bibbia, proprio per il suo aspetto storico, invece è atto di fede, risposta dell’uomo alla salvezza operata da Dio, incontro personale con lui, momento culminante di una tensione che abbraccia tutta la vita, fonte dell’etica intesa come rapporto personale impegnativo con Colui che si propone come salvezza, li culto è qualcosa di oggettivo che ci viene offerto e noi non dobbiamo fare altro che accettare l’offerta del piano divino di salvezza, aprirci a questa proposta, confrontarci e continuamente con essa e trasformare quindi in liturgia tutta la vita, come Cristo. Egli infatti è il grande liturgo del Padre (cfr Eb 8, 2), come Figlio che attua il suo piano e noi in lui siano chiamati, come figli, a riattualizzarlo nella nostra vita.
Questi brevi accenni, che dovrebbero essere sviluppati, ci debbono aiutare a comprendere meglio i salmi. Essi nell’azione liturgica sono la parola stessa di Dio messa nella nostra bocca come risposta al suo piano. E’ la Chiesa intera, è tutto il popolo ai Dio che celebra la storia dell’amore del Padre, da Abramo a Cristo in un unico sguardo,
.3. \\\ La lettura cristiana nei salmi
Il senso della storia della salvezza e il senso storico della preghiera dei salmi ci danno la chiave per una lettura di essi. Certamente questi canti sono sorti nel Vecchio Testamento e ne sono come la sintesi; ma come tutto il V. T. è aperto verso Cristo, così i salmi trovano il loro compimento in lui e acquistano in lui una luce nuova. La storia della salvezza è unica e abbraccia il Vecchio e il Nuovo Testamento, il popolo dell’antica e della nuova alleanza, si apre sulle realtà presenti e-si protende verso le future: Cristo ne è al centro e da lui irradia la luce che dà senso a tutta la storia. I salmi dobbiamo leggerli in questa. prospettiva e allora acquistano livelli diversi di senso, che si completano vicendevolmente. Possiamo leggerli in chiave puramente storica e scoprirne il primo senso, ma possiamo vederli anche illuminati da Cristo e leggerli in chiave cristologica, riferito alla comunità e al popolo del Vecchio Testamento, ma anche, alla comunità dei tempi nuovi in attesa delle ultime realtà e leggerli in chiave ecclesiologica, sentirli riferiti alle realtà terrestri, ma anche alla vita spirituale dei fedeli e del popolo e sentirne tutta la portata spirituale. I salmi così acquistano un’ampiezza straordinaria, ma basta assumere il linguaggio e le prospettive bibliche par rendersi conto della profonda unità della storia salvifica e di tutta la realtà. Del resto chi legittima una tale lettura è la Bibbia stessa che nel Nuovo Testamento riprende i salmi leggendoli in una visione più. profonda che sfuggiva all’autore originario a agli oranti del V. T., ma che si rivelava vera ad una lettura fatta alla luce degli eventi salvifici del N. T. e nella nuova realtà realizzatasi in Cristo (15).
Per non perderci in problemi difficili di esegesi e di teologia prendiamo alcuni salmi e vediamone una lettura a livelli diversi, diamo i salmi: 8 tra gli inni, 22tra le lamentazioni, 2 tra i salmi regali, 122 tra quelli di Sion, lasciando da parte altri generi letterari.
.a.\ Salmo. 8. Il salmo è un inno che canta la gloria del nome di Dio, gloria che si rivela in tutto il creato (v. 2), soprattutto nell’uomo, che Egli ha fatto di poco inferiore a sé (vv. 4-6) facendolo signore di tutta la creazione animata e inanimata (vv.7-9). Tutti son capaci di contemplare la gloria di Dio, soltanto i suoi nemici vogliono chiudere gli occhi, ma sono smascherati dall’esultanza innocente dei bambini che ammirano estasiati le meraviglie del creato, divenendo così strumenti di vittoria di Dio sull’ipocrisia dei violenti suoi nemici (v.3). Il poeta sembra, si sia reso estraneo dalla vita, che non conosca le piccolezze e le miserie dell’uomo, che si sia arrestato ai primi due capitoli del Genesi e non conosca il terzo capitolo ove sono descritti il peccato e la miseria dall’uomo: il suo occhio va al di là dell’uomo attuale per guardare l’opera di Dio come è uscita pura dalle sue mani o per vedere l’uomo nuovo nella pienezza della redenzione. Su questo piano possiamo dare una lettura cristologica del salmo mettendoci sul parallelismo tra il primo uomo (Adamo) e il secondo uomo (Cristo), Cristo è l’uomo rivestito di gloria e di splendore, al di sopra di tutto il creato, innalzato fino a Dio, immagine della sua gloria, a cui tutto è stato sottoposto. A questo ci invita la lettura che del salmo fa l’autore della lettera agli Ebrei (2, 5-10) e gli inni cristologici nelle lettere paoline (cfr.Ef 8, 22; Col 1, 15; Fil. 2,9s).
Il fatto che Mt 21,16 citi questo salmo per dire che i bambini innocenti hanno glorificato Cristo quando entrò a Gerusalemme, mentre i suoi nemici non l’accolsero, ci invita ad una lettura a sfondo ecclesiologico; coloro che sono rinati nell’acqua e nello Spirito hanno occhi nuovi per vedere e cantare la gloria di Cristo, gli altri sono ciechi che non vogliono vedere. E, in fine, possiamo cogliere in questo salmo delle linee di antropologia soprannaturale e farne una lettura spirituale e vedere nel salmo il canto dell’uomo che nella sua libertà si avvicina a Dio per arricchirsi e perfezionarsi mentre con la sua superbia si fa nemico di Dio e si distrugge.
.b.\ Il salmo 22 è una lamentazione individuale tra le più belle e uno dai salmi più citati nel Nuovo T. Ha la struttura tipica dalle lamentazioni: presenta la preghiera accorata di un pio fedele che si rivolge con tutta fiducia a Jahweh il Dio dei padri, in una situazione disperata, nella certezza che anche la sua preghiera sarà ascoltata promette di narrare a tutti, ai vivi e ai morti, l’intervento salvifico di Dio. Fin qui la lettura a livello storico.
Ma questo salmo che rispecchia la teologia dal servo sofferente (Is 52, 13; 53, 12) che ci pone dinanzi lo stato dell’umiliazione più profonda, e dell’esultanza più gloriosa. Gesù lo fece proprio e sulla croce innalzò al Padre la sua preghiera con le stesse parole del salmo: “Dio mio, perché mi hai abbandonato? ’ (Mt 27, 46) , e gli evangelisti hanno più volte citato questo salmo nel racconto della passione di Gesù (cfr Mt 27,35s; Gv 19,24). Gli evangelisti cioè hanno fatto una lettura cristologica del salmo: nel giusto sofferente di questo salmo e nella sua preghiera hanno visto Gesù, il “ servo di Jahweh” e la sua preghiera: Gesù il giusto nella sua profonda umiliazione, nella morte sulla croce, ma anche colui che è stato ascoltato ed esaltato alla destra del Padre per annunziare all’assemblea la salvezza di Dio.
Per il passaggio stupendo e ricco di speranza che c’è tra la prima e la seconda parte del salmo è stato preso dalla Chiesa nella liturgia per cantare il passaggio dalla morte alla vita, dalla tenebra alla luce, dal peccato alla grazia. La Chiesa primitiva lo lesse in chiave ecclesiologia e spirituale: i battezzandi sono chiamati dalla morte alla vita ad annunziare la mirabile gloria di Dio nell’assemblea dei santi. Il canto è divenuto il canto dei catecumeni e il salmo dell’iniziazione cristiana che culmina nella liturgia pasquale (17).
.c.\ Il salmo 2
La lettura storica di questo salmo in onore del re è piana e semplice. Lo si può intendere come omaggio al re di discendenza davidica sul trono di Gerusalemme, cantato nel giorno della sua intronizzazione e come canto augurale nell’imminenza di intraprendere una campagna militare per reprimere vassalli ribelli o re di popoli vicini. La conclusione ha l’andamento di un dramma: la prima scena si svolge sulla terra: popoli e nazioni, re e principi si ribellano e complottano contro il re di Gerusalemme l’’’Unto di Jahweh ” (18).
La seconda parte è impostata in cielo: è Jahweh stesso che interviene e riafferma il suo decreto: “Io ho posto il mio unto sul mio monte santo e gli ho dato in mano i cardini della terra “. Nella terza scena è il salmista che interviene, quasi scosso dalla voce di Dio e dalla irreversibilità del suo decreto, per ammonire sovrani e popoli a sottomettersi al disegno di Dio e ad accettare il dominio del suo “ messia ”
Questo salmo era interpretato in chiave messianica già nel mondo giudaico e non stupisce affatto che gli apostoli ne abbiano fatto una lettura cristologica riferendolo a Gesù di Nazaret: i nemici che si ribellano sono le potenze del male che hanno messo a morte Gesù per mezzo di coloro che non hanno voluto accogliere il suo regno, ma il Padre ha glorificato Gesù, Figlio suo, liberandolo dalia morte, costituendolo re e dandogli in eredità i popoli. Questa interpretazione la leggiamo in bocca a Pietro nel discorso dinanzi al sinedrio (Mt, 4, 25-27), in bocca a Paolo (At 13, 33), nella lettera agli Ebrei (1,5; 5,5), nell’Apocalisse
(12, 5; 19, 15 e altrove) anzi il salmo doveva far parte di quella raccolta di ‘dicta probantia’ , desunti dal V. T. che formavano come il tessuto di un discorso teologico nell’evangelizzazione e nella catechesi dalla Chiesa primitiva.
Il regno di Dio dato in mano al suo Figlio è il regno sul popolo della nuova alleanza, sulla Chiesa di Dio, che si raccoglie convocata dai quattro venti, purificata dall’acqua e dallo Spirito, per celebrare l’inno di ringraziamento, l’Eucaristia, al Padre per mezzo del suo Cristo. La lettura ecclesiologica e spirituale di questo salmo è trasparente e la liturgia più volte nel corso dell’anno ci invita a questo approfondimento, sapendo che la tempesta che infuria intorno a Cristo scuote la Chiesa intera e i suoi figli ma invitando a fidarsi dalla sua Parola e proclamando ‘beati’ quelli che confidano in lui (2, 12).
.d.\ Il salmo 122
E’ un piccolo idillio che canta la gioia dal pio israelita nel contemplare il tempio e la città santa, la casa e la dimora di Dio, David e la sua discendenza. Basta conoscere un po’ di teologia biblica, sapere che cosa significhino queste realtà, Gerusalemme, il tempio, la casa davidica e come queste realtà siano legate alla presenza di Dio nella storia dal suo popolo e subito si intuisce la ricchezza straordinaria di questo salmo.
Passare poi dalla Gerusalemme terrestre a cucila celeste, dal tempio materiale a quello spirituale, dal tempio di pietre al corpo di Cristo, dalla presenza ai Dio nel tempio, a Gerusalemme, in Israele, alla presenza di Dio in Cristo, nell’Eucaristia, nella Chiesa e nel popolo della nuova alleanza, passare dalla prima Gerusalemme alla Gerusalemme ultima quella dell’Apocalisse (cfr capp. 21s), non è difficile. Fare questo passaggio significa vedere in unità tutte le realtà più profonde della rivelazione e cogliere nell’insieme tutto il piano salvifico di Dio. Significa anche fare la vera lettura, l’unica lettura unitaria e profonda dei salmi in cui gli aspetti storici, cristologici, ecclesiologici, spirituali e escatologici sono fusi in una visione d’insieme che è quella stessa di Dio, quella che agli ci ha dato di sé e del suo amore attraverso la rivelazione.
<conclusione> Sono queste solo dei cenni per alcuni salcigna è chiaro che, senza forzature e con criterio, una tale lettura si può fare par tutto il salterio. Quando ai propone una lettura simile del salterio non si vuol dire che gli autori dai salmi volessero esprimere tutti i diversi aspetti, ma si vuol affermare che noi oggi abbiano diritto di vedere in guaste preghiere una realtà più ricca e più profonda alla luce dell’unità del disegno salvifico di Dio, che la sua Parola ci ha rivelato. Un paragone: una vera poesia va al di là, dell’intento immediato del poeta, ma possiede in sé tutte quelle virtualità che i commentatori vi scoprono man mano che riescono ad entrare più profondamente nella realtà e nell’uomo. Per la Bibbia ci è guida a questa lettura più ampia e più profonda la stessa Parola di Dio e lo Spirito che lui ci ha dato.
Prima condizione a questo tipo di lettura è la meditazione di tutta la Bibbia poiché i salmi sono nati dall’anima orante di Israele in tutta quella storia che Dio ha operato per in suo popolo; inoltre è aiuto efficacissimo l’uso intelligente di commenti ai salmi dei Padri della Chiesa, specialmente delle “Enarrationes in psalmos” di sant’Agostino, poiché questi commenti ci dànno il gusto di una preghiera di ampio respiro che va col ritmo della liturgia mentre questa nell’arco dell’anno ritesse, rivive e riattua con animo contemplativo l’opera salvifica del Padre, del Figlio e dello Spirito.
MIOLA:SALMI..note
(1) Salmo è traslitterazione di psalmos e questo deriva dal verbo psallo che significa tendere la corda e quindi suonare uno strumento a corda cetra o lira che sia.
(2) Salterio è anch’esso un termine traslitterato da psalterion che significa strumento a corda, generalmente la cetra. Lo strumento ha dato poi il nome a tutto libro.
(3) La traduzione detta dei Settanta, è una traduzione greca sorta in Egitto, soprattutto in Alessandria, durante il 3° e 2° sec. in mezzo alle diverse comunità ebraiche che non parlavano più la lingua materna ed avevano quindi bisogno di leggere la Bibbia in greco. Sorte specialmente per uso sinagogale liturgico, queste traduzioni diverse trovarono poi completezza ed unità, probabilmente nel terzo secolo o poco più tardi. Fu chiamata traduzione dei settanta perché, secondo uno scritto forse degli inizi del II sec. tramandato sotto il titolo di “Lettera di Aristea a Filocrate”, a fare la traduzione sarebbero stati settantadue (sei per ognuna delle dodici tribù di Israele) esperti di lingua ebraica e greca venuti ad Alessandria su invito del re Tolomeo e inviati da Gerusalemme dal sommo sacerdote Eleazaro. Per comodità il numero settantadue fu semplificato in Settanta.
(4) Forse vale la pena far un cenno alle versioni latine della Bibbia e del salterio fatte non sul testo ebraico, ma su quello greco detto dei Settanta. Fu per opera li S. Girolamo, che, sotto il pontificato di papa Damaso (360-384) si cominciò a rivedere l’antica traduzione latina. Per sommi capi possiamo così sintetizzare opera di S. Girolamo: -1.- nel 380-84 a Roma il Santo rivide la traduzione latina del N.T. (almeno dei Vangeli) sul testo greco e rivide il salterio usato nella Basilica di S. Pietro a Roma (salterio romano); -2.-nel 366- in Palestina rivide la traduzione latina del V.T. sulla base delle Exapla (esegesi del V. T.) di Origine e rifece una traduzione del salterio, che si diffuse poi nelle Gallie, fu chiamato salterio gallicano, entrò poi nella Vulgata. -3.- nel 330-405 a Betlhehem portò a termine una nuova traduzione, ma questa volta sulla base del testo ebraico, di tutti i libri canonici del V.T. e di qualcuno dei deuterocanonici. Tradusse ancora una volta i salmi dal salterio ebraico, ma questa traduzione non entrò nella Vulgata. La traduzione di S. Girolamo s’impose a poco a poco e soltanto alla fine lei VI sec. era divenuta comune nella Chiesa occidentale e nel XIII sec. prese il nome di Volgata. Essa comprende: -a- la revisione di S. Gerolamo del N.T.; -b- la traduzione di S. Gerolamo dei protocanonici del V.T. (tranne il salterio) e di alcuni deuterocanonici; -c- Quattro deuterocanonici non tradotti da S. Girolamo, il cui testo è quello dell’antica versione latina. Nel I950 sotto Pio XII uscì una nuova traduzione dei salmi (salterio piano) che non fu bene accolta dai liturgisti e dai gregorianisti per la sua troppa novità; nel 1969 infine è uscito il ‘Liber psalmorum’ (Typis polygl. Vatic. I965), una revisione del testo della volgata secondo il desiderio dei Padri conciliari espresso nella costituzione liturgica (S.C. 9l), portata a termine dalla commissione ‘per l’edizione dei libri della nuova vulgata’. Necessaria una fedele e bella traduzione italiana, che diventi ufficiale nella liturgia in modo che nell’unità del testo sacro il popolo e gli artisti cristiani trovino il modo e le note adatte per pregare e cantare con i salmi.
(5) Non è possibile dare qui, per mancanza di spazio, esempi dei vari tipi, bisognerebbe inoltre conoscere la lingua ebraica. Le traduzioni moderne per quanto si sforzino non possono rendere il ritmo della poesia ebraica in tutte le sue varietà. Forse la traduzione meglio riuscita in questo campo è quella francese della Bibbia di Gerusalemme.
(6) Il salmo 106 è un tipico esempio di liturgia di ringraziamento fatta per gruppi: viandanti (4-9); prigionieri (10-16), malati (17-22); mariani(23-32).
(7) ln questo genere potremmo classificare i seguenti salmi: 8.19.29.33.47.63. 66.53. 96.-99.100.104.105.111.113.114.11117,135,145,150
(8) ll termine “anima” evidentemente non va inteso in senso direi quasi filosofico o nella nostra accezione comune di parte spirituale dell’uomo, ma equivale al significato di persona, cioè soggetto, e quindi la frase equivale a: “io voglio lodare il Signore”.
(9) In questo gruppo potremmo catalogare: 3.5.6.7.13.17.22.25.26.27. 28.35. 38.39.41.42 e 43. (questi due formano un solo salmo) 51.54.55.56.57.59.61.63.64. 69.71.86.88.102.109.130;140.141.143.
(10) La traduzione discorda per l’interpretazione dei tempi dei verbi da quella proposta dall’UTET.
(11) Ecco l’elenco: 2.20.21.45.72.39.101.110.132.144,1-11.
(12) Qui l’autore del salmo attribuisce al re di Gerusalemme poteri che non gli competevano: i sacerdoti in Israele appartenevano solo alla tribù di Levi, mentre la famiglia di David appartiene alla tribù di Giuda. Ma David divenendo re di Gerusalemme assume anche i poteri tipici del re gebusseo e in questo caso anche il potere sacerdotale, come Melchisedek, re di Gerusalemme al tempo di Abramo (Gen. 14). Su questo oracolo l‘autore della lettera agli Ebrei fonderà la superiorità del sacerdozio di Cristo, discendente di David su quello levitico-aaronitico il primo basato sull’oracolo di Dio, il secondo basato sulla trasmissione attraverso la discendenza carnale (cfr.Eb.7).
(13) 48.76.84.87.122 (46.132)
(14) I salmi 14 e 53 sono uguali: il 53 non è che un duplicato in cui è stato sostituito il nome comune di Dio Elohim a quello personale Jahweh.
(15) Il problema dell’uso del V. T. nel N.T. è un problema complicato cfr. Venard L., Citations de l’A.T. dans le N.T., in « Dictionnaire de la Bible ». Suppl. II,23-51; Idem L’utilisation des Psaumes dans l’epître aux Hebreux in « Mélangés E. Podechard » pag. 253-264.
(16) La traduzione UTET dice: “L’hai reso di poco inferiore a Dio”. Il testo ebraico ha “elohim”, che per sé può significare sia “Dio” come anche “esseri divini”, “angeli” .
(17) cfr. Danielou J., Bible et Liturgie, pagg.240-258. Ed. Cerf. Paris 1958 (Traduz. italiana)
(18) “Unto” è la traduzione del termine ebraico “mesiah”; per sé l’italiano “messia” non è che la traslitterazione dall’ebraico.