MIOLA GABRIELE PRESENTA I SALMI SAPIENZIALI DELLA BIBBIA E LA GUIDA TRA IL BUONO E IL MALVAGIO

  1. I SALMI SAPIENZIALI

In questo gruppo, sotto questo nome generico raccogliamo diversi tipi di salmi, che non possono essere ridotti ad un unico genere letterario né per gli aspetti formali né per contenuto, ma che pur hanno una linea comune che li lega. Questo filo unitario può essere individuato nella “riflessione sapienziale”: sono i salmi che affrontano problemi diversi come il giusto e l’empio nella vita, la legge, la storia d’Israele, il vero culto da rendere a Dio ed altri temi.

.1. – Alcune riflessioni generali sulla sapienza.

Prima di parlare dei diversi aspetti di questi salmi è bene fare un breve cenno alla riflessione sapienziale in Israele per cogliere meglio l’ambiente in cui questi salmi sono sorti. Possiamo distinguere tre filoni diversi sebbene strettamente connessi tra di loro.

.a.\   la sapienza della vita e della prassi, riguarda il modo di vivere, di comportarsi. E’ una sapienza pratica che raccoglie l’esperienza di generazioni, esperienza che si è condensata in detti, massime, proverbi che toccano i momenti e gli aspetti più vari della vita: l’educazione dei figli, una certa politica familiare, il comportamento con le donne, vizi e virtù umane, il maneggio politico e amministrativo e altro. E’ tutto un cumulo di materiale che s’arricchisce di sempre nuove osservazioni e che fanno la saggezza della vita e quel fondo umano di un saper vivere, che è sempre vero e sempre nuovo. Questo tipo di saggezza forma il sostrato della vita del popolo, ma emerge a coscienza di bene comune quando un “saggio” osserva, raccoglie e ordina questo materiale che vaga tra il popolo. Questa riflessione sapienziale non è certamente esclusiva di Israele, è qualcosa di comune a tutti i popoli con accentuazioni più o meno forti: celebre era nell’oriente biblico la saggezza di Edom e degli arabi o quella degli Egiziani e delle grandi culture della valle del Tigri e dell’Eufrate. Anzi possiamo dire che Israele si inserì in questo vasto contesto sapienziale solo tardivamente, nel periodo della monarchia dopo Salomone. Fece tesoro della sua sapienza, s’arricchì dell’esperienza degli altri, ma tutto filtrò alla luce della sua peculiare tradizione e religiosità. Questo materiale fu raccolto e dovette circolare prima liberamente tra il popolo, poi in collezioni più o meno ufficiali. Noi ne abbiamo tracce nel libro dei Proverbi in cui trovammo materiale proprio di Israele e di altri saggi anche non israeliti (cfr Prov 1 ,1-6; 10, 1; 22, 17; 25, 1; 30, 1; 31, 1).

.b.\   Questa riflessione sulla vita non tocca solo aspetti pratici e il saper vivere, ma diventa spontaneamente anche riflessione sui grandi perché della vita in genere, e di Israele in particolare. Allora questa sapienza spicciola fatta di massime, proverbi e tradizioni, diventa vera e propria filosofia. Non dobbiamo farci ingannare da questo termine dandogli la coloritura che ha preso nella nostra mentalità, cioè di riflessione autonoma del pensiero umano che cerca di comprendere se stesso e la realtà; per Israele si tratta sempre di partire dalla sua esperienza, dalla sua storia, che gli offre dati sicuri e da cui non può assolutamente prescindere. Questi dati sono l’incontro con Dio, la scoperta del Dio vivo; della sua assolutezza, trascendenza, fedeltà e bontà. Questo punto per Israele è incontroverso, è il punto fermo di partenza. Ma non per questo tutto è risolto, si pongono invece interrogativi e problemi formidabili anche al sapiente d’Israele.

Un interrogativo che si presenta come preliminare è questo: deve collocare la storia di Israele, che inizia con Abramo, Isacco e Giacobbe? Allora sulla base di fatti storici, di antiche tradizioni popolari, di elementi mitici sono sorti quei racconti che nelle diverse correnti jahwista, elohista, sacerdotale, hanno creato la cornice e la tela entro cui e su cui porre la storia d’Israele. Questa riflessione diversa, che qui non possiamo analizzare, trovò la sua forma ultima negli attuali primi undici capitoli del Genesi, che nel loro insieme bisogna leggere e interpretare fondamentalmente partendo da un punto di vista sapienziale. Diciamo sapienziale e non filosofico per accentuare la profonda diversità che troviamo tra la riflessione sapienziale d’Israele e la riflessione filosofica ad esempio della Grecia e nostra su un problema in fondo comune: l’uomo, il suo essere, la sua comprensione; il cosmo, la sua origine, il suo significato; il peccato, la sofferenza, la morte. Un problema uguale, ma trattato partendo da punti diversi e con strumenti diversi e quindi prospettato in maniera radicalmente diversa. Questi temi li troviamo nei salmi specialmente là dove si canta l’azione creatrice di Dio. Un altro interrogativo pressante che si presenta all’animo d’Israele è quello della sofferenza e del dolore. In un primo momento l’ebreo considerò il dolore, le malattie, la morte prematura e cose simili, come la giusta punizione di un male compiuto dall’individuo stesso che ne era colpito o dalla famiglia e dalla collettività di cui la persona faceva parte. Con Geremia ed Ezechiele, nel periodo dell’esilio, sviluppatasi una visione più personalistica della responsabilità e quindi anche del castigo e delle pene, però all’oscuro ancora di una realtà come quella di resurrezione e di vita piena con Dio, ci si trova dinanzi ad un formidabile punto interrogativo sul perché delle pene e della miseria del giusto, di colui che è stato fedele a Jahweh. Risposta non c’era e lo conferma l’autore del libro di Giobbe, che vede il problema avvolto nel mistero insondabile della trascendenza e dell’onnipotenza di Dio. Giobbe pur non sapendo dare una risposta al tormentoso problema, rimane saldo nella fede in Jaweh; altri invece, come l’Ecclesiaste, un po’ per temperamento, un po’ per l’esperienza amara della vita, inclina ad una risposta tinta piuttosto di scetticismo: è inutile porsi il problema e tentare di risolverlo, tutto è vanità sia la gioia sia il dolore, tanto la ricchezza quanto la povertà, perché in fine, “chi sa se il soffio vitale dell’uomo sale in alto mentre quello della bestia scende in basso, nella terra?” (Qo 3, 21).

.c.\   Un altro filone della riflessione sapienziale è quello che ha come tema quello della legge e della sapienza di Dio. Quella saggezza pratica, cui abbiamo sopra accennato, era stata filtrata alla luce della rivelazione, maturata sotto l’influsso della legge di Dio, ma chi guidava la vita di Israele era soprattutto la legge di Mosè, ormai, dopo l’esilio, ben determinata scritta e commentata: nella legge era la vita e la ragion d’essere dell’israelita. Quando si cominciò a riflettere sull’origine della legge si risalì direttamente a Dio: la legge viene dalla sapienza di Dio. La sapienza di Dio è in opera dappertutto, nella creazione del cosmo e dell’uomo, la parola di Dio rivela la sua sapienza, quella parola che ha ordinato l’universo, ma che ha anche creato Israele a cui ha dato la legge come norma di vita.

Parola, legge, sapienza sono realtà molto vicine. La sapienza esprime quasi il piano di Dio, la parola è la potenza realizzatrice di questo piano e la legge è la stessa sapienza e parola di Dio divenuta norma di vita per Israele: la sapienza, la parola, la legge parlano, appellano, invitano a nome di Dio: non sono Jahweh, ma un “io” che con autorità parla: accettare il suo appello significa avere la vita e la salvezza, rifiutarlo significa la condanna e la morte.

Questo invito è rivolto a tutti, ma la sapienza per ordine di Dio ha trovato in Israele la sua dimora e nella legge la più alta espressione. Queste idee le troviamo sviluppate nei libri sapienziali e precisamente nella prima parte del libro dei Proverbi (1-8), nel libro di Giobbe (cap. 28), nell’Ecclesiastico (cap. 24) e altrove. Diversi salmi riprendono più o meno direttamente questi temi sviluppandoli su un piano di meditazione e di preghiera.

.2.   Temi sapienziali nei salmi.

Temi sapienziali si trovano in diversi salmi specialmente là dove trattano della storia di Israele, del problema del dolore, della retribuzione, del giusto che soffre.

.a.\   In alcuni salmi, che possiamo chiamare “storici ” (78; 81; 105;106) perché vi è ampiamente richiamata la storia di Israele, sono evidenti l’impostazione o i richiami sapienziali.

Il salmo 78 si presenta come un “insegnamento”, che proferisce ” sentenze” e ’’enigmi antichi“ (1-2) vi viene richiamata tutta la storia dai padri fino a David mettendo in contrapposizione la generosità di Dio verso il suo popolo e la ingratitudine di questo. La stessa impostazione ha il salmo 106 mentre il 105, pur presentando gli stessi elementi storici, ha una impostazione innica in cui si proclamano le opere di Dio. Il salmo 81 infine si sviluppa in una cornice chiaramente liturgica, in cui per mezzo di una teofania il discorso storico è riportato direttamente a Dio come ammonizione (81, 9) al suo popolo perché comprenda e si converta. Questi salmi dovevano trovare il loro posto soprattutto nelle feste di Israele ed erano una fonte di meditazione e di richiamo alla fede.

.b.\   Anche il salmo 50 può essere interpretato in chiave sapienziale pur essendo, per linguaggio e per tema, di derivazione profetica. Viene affrontato il problema del culto, tante volte trattato dai profeti. Il rapporto tra culto esterno e pietà interiore era cruciale al tempo del salmista ma è sempre attuale, ieri come oggi. Il salmo si apre con una grandiosa teofania, non è il profeta che parla, ma Dio stesso (50, 1-4): egli convoca il suo popolo a giudizio e richiama il punto centrale dell’alleanza: “io sono Dio, il tuo Dio” (50. 7), un Dio che non ha bisogno di offerte e di sacrifici perché tutto è suo (8-13), vuole invece un “sacrificio di lode”, cioè l’osservanza del patto e della legge (l4-2l), termina invitando alla conversione e a rendere un culto sincero (22-23). Il salmo deve essere considerato come una riflessione sul significato del culto e quasi un commento ai brani profetici (cfr.Am.9, 2l-23; 0s.6, 6; Mich.6,6-8; Is.l,ll-l3; Ger.7,21-23 ecc.).

.c.\   Due salmi riguardano direttamente la legge: il salmo 19 e il 119. Il primo mette insieme due temi che possono essere considerati strettamente uniti, la legge i Dio che si manifesta nel cosmo specialmente attraverso i ritmi del cammino solare, e la legge di Dio come norma di vita data al suo popolo, potrebbero sembrare due temi tanto lontani tra loro, sono invece molto vicini attraverso la riflessone sapienziale: è la stessa sapienza divina che presiede alle opere della creazione e che ha trovato dimora in Israele portando come dono la legge.

Il salmo 119 è la composizione più lunga tra i 190 salmi, si compone di 176 versi in 22 strofe ognuna di 8 versi che cominciano sempre con la stessa lettera dell’alfabeto la quale però varia progressivamente per ogni strofa dalla prima lettera all’ultima. Il tema è unico, quello della legge, trattato senza un vero piano, ma con enunziati, detti, riflessioni, invocazioni: non c’è un vero nesso di sviluppo a causa di un procedimento stilistico rigido e meccanico come quello numerico e alfabetico. Tuttavia il salmo rivela un profondo sentimento religioso e un attaccamento commovente alla legge.

Questa viene indicata con termini diversi: legge, parola, detti, comandamenti, precetti, testimonianze, statuti, decreti, ma si tratta sempre della stessa realtà, della sapienza che esce dalla bocca di Dio e che riempie il cuore del salmista. Solo gli empi non capiscono e si rifiutano di ascoltare e di ubbidire, ma i giusti si rallegrano della legge, che è la loro salvezza. Su questo stesso piano possiamo porre altri salmi che fanno un parallelo tra i giusti e gli empi, tra coloro che osservano la legge e pongono la loro confidenza in Dio e coloro che dimenticano Dio e la sua legge. I primi possono abitare con sicurezza nella casa di Jahweh (15,1-5) prosperano come alberi piantati lungo il fiume (1, 3; 52,10), ricolmi di benedizioni nella propria casa ricca di prole e di felicità (112, 3; 127,3-5; 128, 3),gli altri periranno nelle loro stesse menzogne ed astuzie(32,3-7) e saranno per sempre dimenticatici (4-6; 112,10 e altri).

.d.\   Se nei salmi precedenti c’è quasi una contemplazione distaccata, come di uno che faccia una certa teologia astratta sui giusti e sugli ingiusti e la loro sorte, in altri salmi invece si sente che il problema è vissuto di persona. Questi salmi hanno sempre due parti: nella prima si descrive l’orgoglio e le oppressami degli empi: “con arroganza il malvagio perseguita il povero” (10, 2) e proclama “Dio non ne chiede conto, non esiste!” (10, 4); “si dicono menzogne l’uno all’altro (12,3),”sono tutti traviati, tutti corrotti”(14, 3; 33,4) (n14), “uccidono la vedova e il forestiero, massacrano gli orfani e dicono: Il Signore non vede!”(94,6s). Nella seconda si chiede l’intervento di Dio: “spezza il braccio del malvagio e dell’empio” (10,15) “, “per l’oppressione dei miseri e il gemito dei poveri, ecco mi alzerò – dice il Signore-” (12, 6), oppure l’autore ironizza sulla presunta sicurezza dell’empio: “intendete, ignoranti del popolo, stolti, quando diventerete saggi? Chi ha formato l’orecchio, forse non sente? Chi ha plasmato l’occhio forse non vede?” (94,8s). In questi salmi l’autore appare per un momento conturbato, ma poi riafferma con sicurezza la sua fede: i fatti gli pongono un problema, ma la sua fede non vacilla. Da rilevare come l’empietà si manifesta soprattutto nell’oppressione dei poveri e nello sfruttamento da parte degli orgogliosi. Questa gente umile sono i “poveri di Jahweh”, che non trovano altra forza e sicurezza che in Dio. Sono anticipate quasi le beatitudini proclamate da Cristo! Certo le beatitudini non debbono essere interpretate come rassegnazione, passività di fronte alle situazioni, ma come sicurezza di una presenza preferenziale di Dio. Non ci dobbiamo quindi scandalizzare se nel salmo 139 (e in altri salmi), dopo aver descritto la fiducia del povero e la presenza di Dio nella sua vita, sentiamo espressioni come queste: “io li odio con odio implacabile” (v. 22), perché questa è l’espressione di colui che ha rimesso tutto nelle mani di Dio e i suoi nemici personali sono i nemici di Dio: più che espressione di odio si tratta di un giudizio che vede nell’empietà stessa già presente la parola di Dio quasi forza immanente, che giudica e condanna.

Certo il salmista non conosce la proclamazione del “discorso del monte” e quindi nemmeno lo spirito delle beatitudini e tanto meno ha avuto l’esperienza del Cristo. E’ vero però anche che il salmista, pur all’oscuro della vera soluzione del problema del male e del dolore, ci sa anticipare in alcuni salmi (36; 37; 49; 73; 91 e altri) visioni meravigliose come quando intuisce che, al di là di ogni caso e di ogni sofferenza, solo in Dio c’è la pace: “Quanto è prezioso il tuo amore, o Dio! Si rifugiano all’ombra delle tue ali, si saziano dell’abbondanza della tua casa: tu li disseti delle tue delizie. E’ in te è la sorgente della vita” (36, 8-10). “Sta’ in silenzio davanti al Signore e spera in lui; non irritarti per chi ha successo, per l’uomo che trama insidie” (37,7), e ancora “Certo, Dio riscatterà la mia vita, mi strapperà dalla mano degli inferi. Non temere se un uomo arricchisce” (49,16s). Altrove il salmista (cfr 73) dopo aver descritto a lungo quasi con invidia la apparente felicità degli empi (2. 22) si accorge d’aver sbagliato tutto, perché vale molto di più essere con il Signore. “Ma io sono sempre con te: tu mi hai preso per la mano destra. Mi guiderai secondo i tuoi disegni e poi mi accoglierai nella gloria. Chi avrò per me nel cielo? Con te non desidero nulla sulla terra. Vengono meno la mia carne e il mio cuore; ma Dio è roccia del mio cuore, mia parte per sempre. Ecco, si perderà chi da te si allontana; tu distruggi chiunque ti è infedele. Per me, il mio bene è stare vicino a Dio; nel Signore Dio ho posto il mio rifugio, per narrare tutte le tue opere” (73, 23-28) poiché l’unico rifugio è Dio, sotto la protezione dell’Altissimo. “ Chi abita al riparo dell’Altissimo passerà la notte all’ombra dell’Onnipotente. Io dico al Signore: «Mio rifugio e mia fortezza, mio Dio in cui confido»” (91, 1s).

 

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