Martino Bonfini dipingeva al santuario dell’Ambro di Montefortino (FM). Stdio id Giuseppe Santarelli

I DISPINTI DI MARTINO BONFINI originario di Patrignone di Montalto Marche negli anni 1610-1611 ispirandosi alle pitture del santuario di Loreto

Studio di Giuseppe Santarelli

Prima della conclusione della nuova Chiesa del Venturi, i Deputati del Comune di Montefortino affida­rono a Martino Bonfini da Patrignone (AP) la pittura della Cappella, eseguita a olio su muro nel 1610-11, dandogli, a lavoro compiuto, 300 fiorini.

Sulla formazione artistica di Martino, membro di una nota famiglia di pittori e di ebanisti, fra cui spiccò soprattutto lo scultore in legno Desiderio (1576- 1634), si hanno pochissime notizie. Sembra che abbia appreso i primi rudimenti dell’arte pittorica da Giacomo Bonfini, ritenuto suo zio, ma è più certo che poi abbia approfondito i suoi studi ad Ascoli Piceno, dove era operoso il fertile Nicola Filotesio,

detto Cola dell’Amatrice, di cui, a detta di quasi tutti gli studiosi, “fu tardo discepolo”.

C’è chi lo dice anche sensibile all’influsso di Vincenzo Pagani di Monterubbiano (1490-1568), attivissimo nel Piceno, ma i raccordi stilistici scoraggiano una simile ipotesi. Altri lo dicono alunno di Carlo Allegretti di Monteprandone, di Pietro Gaia, di origine veneta, di Simone De Magistris da Caldarola e, verso il 1610, del versatilissimo Andrea Lilli, anconetano.

Ma il Bonfini fu attento anche ad altri artisti, suoi contemporanei, attivi nel Piceno, con l’occhio fisso ora al Ridolfi, ora al Boscoli e ora al Pomarancio, capace di attingere un suo lin­guaggio pittorico nella inquieta

temperie manieristica del suo tempo.

L’attività del Bonfini è stata abbastanza intensa, intercalata anche con la sua occupazione di esperto ebanista. Da giovane dipinse per la Confraternita del SS. Sacramento del suo paese, della quale fu Priore; poi attese al ciclo dell’Ambro nel 1610-11, il più impegnativo; quindi, nel 1622, eseguì per il Comune di Ripatransone un dipinto raffigurante S. Isidoro e S. Filippo, per il quale ebbe il bel compenso di 50 fiorini. Si ignora l’anno della sua morte, anche se qualcuno cerca di fissarla al 1635, senza però un documento certo.

Il ciclo mariano dell’Ambro è senz’altro il capolavoro del Bonfini pittore. Egli, come l’architetto Venturi, guardò al Santuario di Loreto, perché si può agevolmente supporre che si sia ispirato, non solo al rivestimento marmoreo della Santa Casa, dove sono scolpite scene della vita della Madonna, tra statue di Sibille e di Profeti, ma anche e forse più ancora agli affreschi di Cristoforo Roncalli, detto il Pomarancio, eseguiti poco prima (1605-1610) nella Sala del Tesoro, raffiguranti anch’essi storie della Vergine tra Sibille e Profeti, con festoni, in stucco, opimi di frutta e fiori, affreschi che ebbero una immediata e vasta risonanza in tutte le Marche. A Loreto poté vedere anche gli affreschi, su tema mariano, di Federico Zuccari, eseguiti nella Cappella dei Duchi di Urbino tra il 1582-83.

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