DON GIOVANNI BOSCO E LA DIOCESI DI FERMO note storiche di don GERMANO LIBERATI

Don Bosco  e la sua opera nell’ Archidiocesi di Fermo

Brevi note storiche a cura di Germano Liberati (1939- 2010) in occasione del centenario della morte di Don Bosco

e del 25° di erezione della Parrocchia di S. Giovanni Bosco a Molini – Girola di Fermo. 31 Gennaio 1988

PRESENTAZIONE FATTA DALL’ARCIVESCOVO FERMANO MONS. CLETO BELLUCCI.

Sono lieto di esprimere alcuni pensieri su questo numero unico che la Parrocchia di S. Giovanni Bosco di Fermo vuole pubblicare per onorare l’anno centenario della morte del Santo. Me ne parlò la prima volta il mio parroco, un santo Sacerdote di Ancona: Mons. Antonio Gioia.

Avevo appena dieci anni. Forse lo aveva conosciuto, certamente ne era affascinato e portava nel cuore lo stesso amore ai ragazzi e ai giovani: il primo oratorio ad Ancona fu fondato da lui. Mi invitò ad entrare in Seminario, e cercava di farmi capire la missione sacerdotale col narrarmi gli amori caratteristici di Don Bosco: il Cristo, la Madonna, i giovani, i poveri, le missioni.

Nei lunghi anni del Seminario la vita del Santo ha riacceso più volte la fiamma della vocazione nei momenti di dubbio e incertezza. Quante e quante volte la sera si andava a letto sereni e ritemprati dalla lettura dei “sogni” di Don Bosco che il Padre Spirituale ci leggeva per darci la buona notte.

Negli anni indimenticabili passati al Seminario di Chieti, i due santi sulla cui vita si cercava di illuminare e temprare l’animo dei giovani alla sequela del Cristo, erano Don Bosco e il Curato d’Ars.

Sto rileggendo in questi giorni la vita del Santo. Auguro di rileggerla ai sacerdoti, ai genitori, ai giovani.

Vi troveranno speranza contro ogni sconforto, chiarezza di idee, amore, coraggio, tenacia e gioia nell’educazione cristiana dei ragazzi e dei giovani; il calore dell’amicizia, della vita comunitaria, dell’aiuto reciproco, la forza dell’amore.

Mons. Cleto Bellucci        Arcivescovo di Fermo

LIBERATI DON GERMANO – INTRODUZIONE – Il centenario della morte di S. Giovanni Bosco, che si sta celebrando con manifestazioni, convegni, pubblicazioni e culminerà con la visita del Papa a Torino, è un’occasione per riproporre eventi, offrire ritrattazioni e approfondimenti di temi specifici.

Se ormai in sede di storia generale la figura del Santo emerge assai chiara, molto resta da fare alla storia locale, la quale, avendo il duplice scopo sia di contestualizzare tempi e luoghi di per sé circoscritti, sia di offrire occasioni integrative alla visione d’insieme, ha la possibilità di cogliere aspetti e rapporti volti a sostanziare la sintesi generale sull’Uomo e il suo tempo. Pertanto quando mi è stato proposto di riesaminare i legami intercorsi tra Don Bosco, Fermo e i suoi Vescovi, mi sono prefisso con nuovi apporti, un “aggiornamento” della pubblicazione del 1930, contestualizzando fatti ed eventi di per sé non avulsi da situazioni più generali e l’integrazione dei cinquant’anni successivi a tale data.

Altre fonti sono state esplorate, altre testimonianze sono state raccolte; la visione si è arricchita ed ha assunto maggiore articolazione. Ne è scaturito il presente opuscolo costituito da due parti ben distinte. Innanzitutto la prima e più ampia, che è quella intesa a ricostruire e vagliare i vari eventi e la molteplicità dei rapporti di Fermo sia con Don Bosco che la Pia Società di S. Francesco di Sales; la seconda, meno ampia, ma preziosa, consistente in una silloge di documenti editi ed inediti. L’apparato di note ricco e, per quanto possibile, preciso, suffraga e documenta affermazioni e interpretazioni.

Spero ne risulti uno “spaccato”, sia pur modesto, ma sufficientemente preciso e vivo di storia locale, proprio là ove essa travalica luoghi e tempi circoscritti e si volge a legami più vasti e più generali.

Liberati don Germano

IL CARD. DE ANGELIS E DON BOSCO

La storia dei rapporti tra la Diocesi di Fermo e Don Bosco inizia in un momento politico assai difficile e delicato. Siamo nel 1860. Lo Stato Pontificio, dopo l’invasione militare piemontese era passato in gran parte sotto le autorità del Regno Sabaudo.  A Fermo, occupata militarmente il 21 settembre, perché il trapasso fosse netto e definitivo, onde sopire presunte “nostalgie” o comunque affinché il clero e i laici più influenti fossero posti a tacere di fronte al fatto compiuto, il più grave ostacolo era rappresentato dal Cardinale Arcivescovo. La ferma e decisa presa di posizione del Card. Filippo De Angelis, come già al tempo della Repubblica Romana, non fu gradita: si vide in lui, non tanto un difensore dei diritti della Chiesa, ma un retrogrado ed un pericoloso ribelle alle autorità piemontesi e se ne decretò il confino, o come si diceva allora, il domicilio coatto.

Il 28 settembre fu comunicato il provvedimento firmato dal Gen. Fanti ed il Cardinale due ore dopo lasciava Fermo e raggiungeva Torino.   Il sistema di “decapitare” le strutture religiose e talora amministrative dello Stato Pontificio apparve allora al governo Piemontese come il miglior modo per garantire un trapasso giuridico-istituzionale senza danni, opposizioni e presunti pericoli.

Il Card. De Angelis, una volta giunto a Torino, prese alloggio presso la Casa dei PP. Lazzaristi, detti della Missione. Ma l’arrivo del Cardinale non fu né incognito né privo di risonanze. Torino era ancora capitale del Regno, nell’impero politico incontrastato di Cavour, con una massoneria e un anticlericalismo diffusi e potenti. Tuttavia anni addietro ed in quelle circostanze, voci di sacerdoti integerrimi e santi si erano levate contro leggi e costume tendenti ad una laicizzazione progressiva della società. La formula Cavouriana “libera chiesa in libero stato” era, nonostante l’apparente apertura libertaria, subdola ed ambigua: si voleva ridurre la comunità cristiana ad esprimersi esclusivamente nel privato e nelle chiese, emarginata dalle istituzioni e fuori da ogni possibilità di presenza educativa.

Lo Statuto Albertino, il Codice Napoleonico, le leggi Siccardi erano la testimonianza più patente di una certa intolleranza religiosa. Le voci dei Vescovi di Torino e di sacerdoti come Don Cafasso, Don Cottolengo e soprattutto Don Bosco, si erano chiaramente alzate e la loro opera umanitaria aveva cercato di ricuperare spazi che le istituzioni civili, per incapacità ed insensibilità, non riuscivano a capire e soprattutto perché la gente, profondamente cristiana, non era disposta a farsi strappare.

Naturale fu dunque l’incontro tra due anime che, sia pur in contesti differenti, avevano di mira il bene dei fedeli e soffrivano per la libertà della Chiesa. L’incontro ci fu. Non sappiamo se sollecitato dal Card. De Angelis o di libera iniziativa di Don Giovanni Bosco.

Era l’aprile del 1861, quando Don Bosco varcava la soglia della Casa dei Lazzaristi per incontrarsi con il Cardinale. La vita in quei giorni trascorsi a Torino era stata per il Cardinale una vera e propria prigionia, parte per le restrizioni, parte per una sua presa di posizione, per cui non era mai uscito dalla Casa dove era ospitato, considerandosi prigioniero [Annali della Società Salesiana, vol 1°, p. 103]. Alla segregazione si aggiunga la sofferenza morale per la lontananza dalla sua Diocesi per la quale si era sempre prodigato con grande zelo pastorale. Questo era, ad un di presso, lo stato d’animo del Cardinale.

Che cosa si dissero in quell’incontro i due non ci è dato saperlo, al di fuori dell’aneddotica che è anch’essa veritiera perché parte dalla infinita trama degli eventi, sogni e fatti curiosi di cui è intessuta la vita di Don Bosco [- Riportiamo alcuni tratti di quel curioso e significativo dialogo: ” Sua Eminenza gli disse: – Mi racconti qualcosa da tenermi allegro.” . -Le racconterò un sogno.-

“Volentieri, sentiamo.”  “Don Bosco cominciò a narrargli quanto sopra abbiamo descritto, però con maggiori particolarità e riflessioni; ma quando fu al “lago di sangue” il Cardinale si faceva serio e malinconico. Allora D. Bosco troncò il racconto dicendo:  -Fin qui !- “Vada avanti!  gli disse il Cardinale. -Fin qui e basta – concluse D. Bosco e prese a discorrere di fatti ameni.” (LEMOYNE, Memorie di don Bosco, vol. VI, p. 881].

E’ certo comunque che fu un incontro che mise di fronte due uomini che già si conoscevano per fama. Entrambi si saranno confidati le loro pene e le loro difficoltà, entrambi avranno fatto ricorso alla speranza cristiana che non delude perché legata alla provvidenza divina. Il fatto è che questa visita non fu unica, segno quindi di un affiatamento che si era instaurato; e Don Bosco, in quei lunghi sei anni che il Cardinale restò a Torino, tornò a incontrarlo più volte, portando con sé altri sacerdoti suoi collaboratori, come Don Francesia e Don Berto [” La seconda testimonianza è del Cardinal De Angelis, Arcivescovo di Fermo, che, condotto in prigione a Torino durante i rivolgimenti politici del 1860, era stato relegato per sei anni nella casa dei Lazzaristi, dove aveva stretto relazione con Don Bosco, solito a visitarlo senza temere le ire dei malevoli” [ivi].

Durante quelle visite il Cardinale si interessava “vivamente delle cose dell’Oratorio a segno che, con chiunque gliene parlasse, si mostrava premuroso di sapere tutto ciò che riguardava il suo buon andamento. Il Servo di Dio [Don Bosco] lo aveva lungamente intrattenuto sulle grazie che Maria SS. concedeva ai suoi giovinetti, e come talvolta loro svelasse il futuro. E l’Eminentissimo lo ascoltava con infantile semplicità e più volte lo pregò a dirgli qualche cosa sopra il suo avvenire” [ibidem vol. VIII, p. 523]. Da questa frequentazione in amicizia e stima reciproche nacque una particolare condiscendenza e disponibilità da parte del Presule verso l’opera Salesiana e grande fiducia da parte di Don Bosco, che avranno in seguito notevoli ri- percussioni. In altri termini, gli incontri torinesi costituirono l’inizio di quei rapporti tra opera salesiana e Fermo che hanno avuto propagginazioni fino ad oggi.

A Torino i rapporti tra i due ebbero termine alla fine del 1866. Il Ministro Bettino Ricasoli in due successive circolari [2 ottobre e 15 novembre], aveva consentito ai vescovi che durante l’annessione piemontese si erano o rifugiati a Roma o erano stati confinati, di ritornare alle loro sedi.

Don Bosco un giorno prima che la seconda circolare fosse pubblicata, era andato a far visita al Cardinale. Tra loro avvenne un dialogo che il cronista salesiano riassume in questi termini:

“-Ebbene, Don Bosco, gli disse l’Eminentissimo appena lo vide; sapete qualcosa del mio avvenire?

-Prepari i bauli, Eminenza, perché presto potrà ritornare a Fermo.

-Ritornare a Fermo? Ora? Con questa guerra che si muove al clero?

-Eppure è cosi, la Madonna l’ha detto ad un nostro giovane. -Ebbene, quando sarò libero, voglio recarmi subito dove mi chiama il dovere, ma prima passerò all’Oratorio per restituirle le visite e testificare la mia gratitudine alla Madonna”

[L’accenno “alla guerra contro il clero”  trova documentazione nelle stesse Memorie: “L’odio contro il clero, invece di placarsi dopo tante sevizie, pareva si accentuasse con rabbia speciale in un certo partito del Parlamento, e qualche deputato voleva proporre una legge con cui si obbligassero i Preti a deporre la veste talare e ad andar vestiti come laici. Tutto accennava a nuove persecuzioni, quindi appariva sempre più lontana ogni speranza di liberazione del Cardinale”. (ivi)].

E la previsione si avverò: dopo qualche giorno, giunse al Cardinale l’avviso di poter tornare alla sua sede vescovile . Un solo giorno si fermò ancora a Torino e solo per fare alcune visite di cortesia e per il dovere di ricambiare1 l’affetto e la stima a Don Bosco.

“Il 23 novembre [I866]…fu solenne e giocondo per i giovani dell’Oratorio. Celebrata la s. Messa alla Consolata, egli scese a Valdocco e saliva allo studio dove Don Francesia lesse una bella poesia all’Apostolo che per l’amor di Dio e per fedeltà al Vicario di Gesù Cristo aveva sofferto così lunga detenzione.

A SUA EMINENZA REVERENDISSIMA IL CARDINALE FILIPPO DE ANGELIS ARCIVESCOVO DI FERMO

I GIOVANI DELL’ ORATORIO DI S. FRANCESCO DI SALES FESTOSI PEL SUO RITORNO IN DIOCESI DOPO SEI ANNI D’ESILIO NEL DÌ CHE LI VISITAVA 23 NOVEMBRE 1866 DI SEMPRE CARA E RICONOSCENTE RIMEMBRANZA                                                          ODE

Angiol di Fermo, oh giubila!

Schiudi a letizia il cuore,

ecco il tuo piede è libero

del carcere all’ orrore,

e alfin in mezzo ai teneri

bramosi figli tuoi

che tempo già t’aspettano

lieto tornar or puoi.

 

Quando quel pio che regola

in queste sacre mura

ci ricordò gli aneliti

dell’alma tua secura

quanta speranza, o Presule,

di rivederti un dì,

e di baciar la porpora

che tanto onor sortì.

E allora in calde lacrime,

presso ai sacrati altari

pensammo alli tuoi gemiti

a’ tuoi dolori amari,

e lieti sempre e trepidi

fummo nel supplicar

Lui che incatena il turbine

Lui che acquieta il mar.

Tergi il mio pianto, allegrati,

depon la negra vesta,

o Fermo, e il sacro tempio

d’oro e di fior si vesta.

Ecco … ritorna l’Angiolo

che ti rapì il dolor,

Iddio pietoso all’Orfana

ridona il suo Pastor.

Oh quante volte al tacito

morir d’un lento giorno

andasti in ala rapida

alla tua Chiesa attorno

per consolar quei trepidi

figli, che nel dolor

piangenti al ciel chiamavano

il loro pio Pastor.

Se alla città del Tevere

ti porterà il desìo

dove sereno domina

e siede il nono Pio,

digli che a Lui sacrarono

eterna la lor fe’

più di ottocento giovani

che vedi qui al tuo pie’.

 

L’Eminentissimo Porporato parlò a tutti con grande spirito di bontà, dicendo che quel mattino aveva pregato anche per loro, avendo essi pregato per lui perché potesse tornar presto alla sua diocesi: e li assicurò che andando a Roma non avrebbe mancato di far parola di loro al S. Padre, mentre dal canto suo li avrebbe sempre aiutati secondo le sue forze. In fine, a due a due, i giovani si appressarono a baciargli l’anello. Don Bosco stava al suo fianco…Dall’Oratorio passò a visitare il Cottolengo e il giorno dopo partì per Fermo ” [ivi pp. 524-525].

Ritornato a Fermo, il Cardinale non accantonò quella amicizia, sia per alcune sollecitazioni da parte di Don Bosco stesso, sia per una intrinseca consapevolezza del valore dell’esperienza vissuta a Torino. Ai fedeli della Diocesi nella prima lettera pastorale così scriveva: “Ci piace ricordare quel provvidenziale Oratorio di giovani affidato alla speciale protezione di S. Francesco di Sales e della Gran Vergine Ausiliatrice, creato e sostenuto dallo zelo di un povero prete”.

Anche altri vescovi inclini verso l’opera di Don Bosco, desiderando una sua visita in Diocesi si raccomandavano al Card. De Angelis perché interponesse verso il Santo i suoi buoni uffici. Valga per tutti quanto Mons. Rota Vescovo di Guastalla scriveva il 25.2.1867: “Ho subito scritto a Sua Eminenza il Card. Arcivescovo di Fermo pregandolo che comandi a Don Bosco di venire a Guastalla” (LEMOYNE, VIII, p. 695).

Nel frattempo tuttavia il fondatore dell’Oratorio Salesiano aveva premura che la S. Sede riconoscesse la sua Pia Società e si rivolgeva ai vescovi suoi estimatori ed al corrente della sua opera, perché gli rilasciassero lettere commendatizie in proposito. Ma la corrispondenza con il Card. De Angelis andò ben oltre negli anni 1867-68. Non solo a lui Don Bosco si rivolgeva per ottenere lettere commendatizie ma addirittura perché personalmente interponesse Ì suoi buoni uffici a Roma; un ulteriore segno della intimità e confidenza che esisteva tra i due.

E quando Don Bosco personalmente nel 1867 si recò a Roma a questo scopo, colse l’occasione per far visita al Cardinale venendo a Fermo.

DON BOSCO A FERMO

Non abbiamo dati per stabilire se la visita avvenne su iniziativa di Don Bosco che così voleva personalmente perorare la sua causa presso il Card. Arcivescovo o l’invito gli fosse stato rivolto dal Porporato per il desiderio di rivederlo e così ricambiare in qualche modo le attenzioni ricevute a Torino.

Era partito da Roma in compagnia di Don Francesia la sera del 26 febbraio e dopo una notte di viaggio, era giunto a Fermo nella tarda mattinata. Alle 10,30 si presentava al Cardinale in Episcopio che lo accoglieva con “grande gioia”.

[Il giorno stesso dell’arrivo a Fermo, Don Francesia, che accompagnava don Bosco, scrive ad un amico in questi termini: “Fermo, 27 febbraio 1867 – -Carissimo sig. Cavaliere, Ieri sera soltanto abbiamo lasciato Roma e dopo felice, se non lieto, viaggio siamo arrivati a Fermo. Abbiamo incontrato sua Eminenza; sta bene; il suo segretario e gli altri di sua famiglia, tutti bene, e ci accolsero colle feste più belle e care…” (Op. cit. p. 708 ).].

La permanenza di Don Bosco a Fermo, in quella che fu l’unica visita, durò un giorno e mezzo ed è assai agevole ricostruirne il programma. Per tutto il giorno 27 febbraio egli si trattenne con il Cardinale che lo ospitò: del resto cose da dirsi ne avevano in abbondanza [rievocare ricordi passati, ragguagli, consigli e richieste di Don Bosco circa la Società Salesiana per la quale si stava adoperando onde ottenere la approvazione pontificia]. Non bisogna inoltre escludere qualche altra visita ed incontro: il Cardinale certamente si sarà premurato di presentare al Santo sacerdoti e laici più autorevoli [Don Pellegrino Tofoni era il segretario in compagnia con il cardinale a Torino]. E per il mattino dopo, quale incontro più significativo e costruttivo se non quello con gli alunni del Seminario? Il Cardinale avrà pensato che un incontro dei suoi giovani aspiranti al sacerdozio con un sacerdote così zelante e un educatore così perspicace e incisivo fosse la maniera migliore di approfittare di una tale presenza.

Il 28 febbraio, infatti, Don Bosco, al mattino, si recò al Seminario, allora a pochi passi dall’Episcopio, e incontrò la comunità nella celebrazione liturgica, al termine della quale parlò ai giovani. Un testimone qualificato e attento, il futuro Cardinale Svampa, così riassume quell’omelia: “Ci parlò come parla un padre ai suoi figlioli, non nella sublimità del sermone, ma nel manifestare lo spirito il giorno stesso dell’arrivo a Fermo, Don Francesia, che accompagnava don Bosco, scrive ad un amico in questi termini: “Fermo, 27 febbraio 1867 – -Carissimo sig. Cavaliere, Ieri sera soltanto abbiamo lasciato Roma e dopo felice, se non lieto, viaggio siamo arrivati a Fermo. Abbiamo incontrato sua Eminenza; sta bene; il suo segretario e gli altri di sua famiglia, tutti bene, e ci accolsero colle feste più belle e care…” (Memorie-cit., Vol. VIII, p. 708 ). … due cose ci raccomandò specialmente: la devozione a Gesù Sacramentato e la devozione alla nostra cara Madre celeste” [Bollettino salesiano, 1907]. Del resto chi non vede come i due temi siano quelli ricorrenti nell’insegnamento e nella pedagogia di Don Bosco? Dunque, un discorso perfettamente in linea con la sua fede e il suo zelo sacerdotale.

A DON GIOVANNI BOSCO

   Salve, Giovanni, Oh! il giubilo

figlio di caldo affetto,

oh! il gaudio e la letizia

di cui ci esulta il petto

   or che il dolce e amabile

sembiante tuo miriamo,

ora che un bacio imprimere

sulla tua man possiamo.

   Più volte del tuo giungere

volò tra noi la fama,

di te più volte vivida

si accese in cuor la brama,

   ed ecco alfin s’appagano

i desideri ardenti:

alfin ci è dato scorgerti

ci è dato udir tuoi accenti.

   Siccome in notte placida

bella è a mirar la luna

in cui candore argenteo,

almo splendor s’aduna,

   come di varii e fulgidi

color l’iri s’abbella,

qual sorge dall’oceano

ridente amica stella,

   così soave e amabile

ne appare il tuo sorriso,

in cui la luce splendere

veggiam del Paradiso.

   Dunque gradisci il giubilo,

figlio di caldo affetto,

gradisci la letizia

di cui ci esulta il petto.

   e in sul partir, deh! a’ pargoli

sorridi e benedici:

non chieggon più, ché renderli

può questo sol felici

           Domenico Svampa

 

L’incontro con i seminaristi si prolungò oltre, attraverso la visita alle sei camerate in cui erano divisi secondo l’età e l’avanzamento negli studi. In quegli incontri settoriali, il clima e la formalità del primo impatto dovettero certo essere superati da una maggior confidenza di dialogo ed una atmosfera di festa più spontanea e aperta. In ciascuna camerata un componente indirizzò a Don Bosco un saluto, in versi, come allora era d’uso in tutte le scuole umanistiche. Il Santo rispondeva in ogni caso, parlava con qualche singolo, rivolgeva domande; l’incontro si concludeva con la sua benedizione.

Nel pomeriggio Don Bosco, accingendosi alla partenza, consegnò al Card. De Angelis una copia del suo volume La Storia d’Italia” con dedica autografa nella quale ricorre l’espressione: “Cordialissimo omaggio dell’autore”, a testimoniare l’intimità e familiarità di rapporti esistenti fra i due. E come se ce ne fosse bisogno, ulteriore prova si può ritrovare al momento in cui tra gli ultimi saluti il Cardinale chiese e, dopo schermaglie e insistenze, ottenne di essere benedetto dal Santo.

[Questo significativo episodio della Benedizione è narrato nelle fonti salesiane: Memorie cit., Vol.VII, p. 712.

All’ora della partenza il Card. De Angelis si inginocchiò per terra e pregò don Bosco a benedirlo; ma il Venerabile si gettò anch’egli in ginocchio davanti al Cardinale. Questi continuava:

-Sono vecchio, non ci vedremo più su questa terra: D. Bosco mi benedica!

-Io benedirlo!? Io povero prete? Mai più!

– Oh si che mi benedirà!

-Ma come? io povero pretazzuolo benedire un Cardinale, un Vescovo, un Principe?  Tocca a Lei benedir me!

– Quando è cosi, vede D. Bosco quella borsa? – e gliel’additava – E’ poca cosa, ma se mi benedice gliela dono per la sua Chiesa; altrimenti no!

Don Bosco pensò alquanto e poi concluse:

-Quando è cosi, io la benedico. Vostra Eminenza della mia benedizione non ne ha bisogno, mentre io invece ho bisogno dei suoi denari. ]

In questa visita, sia pur fugace, si possono tuttavia individuare  componenti importanti e feconde. Per Don Bosco questo ulteriore attestato di stima era importante in quel momento di impasse. [Il Cardinale fermano il 7 ottobre 1867 fu nominato Camerlengo di Santa Romana Chiesa acquistando maggior “peso” a Roma. Se si tiene conto della visita a Fermo e della successiva lunga e frequente corrispondenza epistolare, si può agevolmente pensare che quando nel 1869 la P. Società Salesiana ottenne l’approvazione provvisoria, gran parte del merito sia proprio del Cardinal De Angelis nell’approvazione dell’Istituto: ne sono testimonianza i successivi contatti epistolari intrattenuti con il Cardinale in cui emergono soprattutto due fondamentali preoccupazioni di Don Bosco. Innanzitutto il fatto che la Società Salesiana, che ormai si stava espandendo in Piemonte ed in altre parti d’Italia, aveva necessità di un riconoscimento pontificio e il Cardinale, proprio per la stima che godeva presso Pio IX, era il migliore interprete e patrocinatore. Inoltre, proprio per questo riconoscimento non ancora ottenuto, Don Bosco che era preoccupato della formazione dei suoi chierici, era costretto a sottostare ai regolamenti del Seminario di Torino e, dopo le recenti disposizioni dell’Arcivescovo, forse sarebbe stato costretto anche a dover far loro frequentare il Seminario: regolamento e ambiente assai lontani dalle visioni pedagogiche del Santo. Su questi problemi vertono le lettere di Don Bosco che nel Cardinale trovava sempre un caro amico e confidente ed un saggio consigliere [18].

Per Fermo, la visita fu seme che produrrà i suoi frutti negli anni successivi, con un contatto sempre più stretto con la Società Salesiana e soprattutto per la progressiva applicazione pastorale dell’attività degli Oratori per incontrare ed educare i giovani.

IL “SALESIANO” CARD. DOMENICO SVAMPA

Il Cardinal Domenico Svampa era nato a Montegranaro il 13 giugno 1851. Compì gli studi prima al Seminario di Fermo e poi al Seminario Pio  di Roma conseguendo la laurea in filosofia, teologia e in diritto. Ordinato Sacerdote fu insegnante nel Seminario di Fermo e poi ottenne la cattedra di diritto all1 Apollinare di Roma. Nel 1887 fu nominato vescovo di Forlì: Il 18maggio del 1894 Leone XIII lo elevava alla porpora cardinalizia, destinandolo alla sede di Bologna, poco più che quarantenne. Vi moriva il 10 agosto 1907.

Era ancora convittore quando nel Seminario di Fermo era venuto don Bosco e toccò a lui, durante la visita alla camerata S. Luigi”, indirizzare il saluto a nome di tutti. Lo fece in poesia, con una graziosa se pur scolastica composizione, mettendo in evidenza la fama di lui ormai giunta anche a Fermo ed esprimendo la gioia dell’incontro. La lirica si concludeva con una appassionata richiesta:

” E in sul partir, deh! a’ pargoli sorridi e benedici: non chieggon più, che renderli può questo sol felici”.

E n’ebbe assai di più il giovinetto Svampa dal Santo, come le Memorie di Don Bosco annotano: “un alunno della camerata di S. Luigi leggevagli e consegnavagli una poesia con la propria firma…il Venerabile disse una parolina all’orecchio e diede uno sguardo affettuoso e una piccola medaglia al caro poeta”. Il giovinetto, divenuto poi sacerdote, successivamente Vescovo di Forlì e di lì promosso con la porpora cardinalizia alla prestigiosa sede di Bologna, appena quarantenne, nel 1894, mostrò di non aver dimenticato quell’incontro che forse aveva segnato la sua vita.

Già dalla sede di Forlì intratteneva regolari rapporti epistolari con il successore di Don Bosco, Don Rua; e, nel settembre 1894, in procinto di partire per la nuova sede emiliana, gli scriveva: “Io spero che Don Bosco dal paradiso mi guardi come uno dei suoi figli e che mi darà a Bologna la sospiratissima consolazione di vedere impiantata una sua opera per la salvezza dei poveri figli del popolo” [Bollettino del Santuario del santuario del S. Cuore, nov. 1897].

Don Bosco si era recato più volte a Bologna, ma non risulta che avesse mai trattato per impiantare una sua casa in quella città. E toccò proprio all’animo salesiano del Card. Svampa vedere realizzata questa iniziativa. Ma affinché la presenza salesiana potesse essere efficace, occorreva preparare il terreno e proprio l’anno successivo al suo arrivo, il Cardinale si adoperò per organizzare proprio a Bologna il primo Congresso dei Cooperatori Salesiani. Si svolse nell’aprile del 1895 e dall’apertura dei lavori, il Cardinale, ricordando la venerazione per Don Bosco, si abbandona alle memorie ed esprime speranze: “Per me, mi sia consentito il dirlo, la memoria e la venerazione profonda che sento per Don Bosco e per l’opera sua è antica, perché si riannoda ai miei primi anni. Incominciò da quando, appena trilustre, ebbi la fortuna di incontrarmi con quell’uomo straordinario, ne intesi la calda parola, ricevetti dalle sue mani la S. Eucarestia, la S. Benedizione, e fui regalato di una piccola medaglia che tuttora porto al petto” [LEMOYNE, VIII, 711].

Questa straordinaria testimonianza del Pastore di Bologna mosse Don Rua ad adoperarsi per aprire la prima casa salesiana, affidandola alla prestigiosa personalità di Don Carlo Viglietti, ex-segretario di Don Bosco; l’Oratorio fu aperto nei locali detti di S. Carlino; il nuovo Istituto, fuori porta Galliera, fu inaugurato nel 1899. Ma il Cardinale non era pago di questa presenza e promosse addirittura la costruzione di un santuario dedicato al S. Cuore, ché coltivava l’aspirazione di fare del capoluogo emiliano un centro di diffusione della devozione al Sacro Cuore di Gesù. Nel discorso, in occasione della posa della prima pietra, il 14 giugno 1901, così il Card. Svampa affermò: “L’Istituto Salesiano ed il tempio del S. Cuore realizzano nei mio pensiero un passo avanti nel progresso del bene; sono quasi il segnale di una nuova alleanza fra il cielo e la terra nella diocesi bolognese” [La città di Bologna si presentava “laica”].

Il Card. Svampa non poté vedere conclusa la sua opera, che fu inaugurata dal suo successore, il Card. Giacomo Della Chiesa [futuro Papa Benedetto XV]. Tuttavia il 3 giugno 1903, festa del Sacro Cuore, il Cardinale consacrava la cripta affidandone l’ufficiatura ai Salesiani. In quella cripta verrà poi tumulata la sua salma [1912] – e vi riposa ancora – alcuni anni dopo la sua morte avvenuta nel 1907.

DON BOSCO NEI RICORDI DI ALCUNI ALUNNI DEL SEMINARIO DI FERMO

La visita di Don Bosco, se ebbe particolare incisività nell’allora convittore Domenico Svampa, non certo restò indifferente e insignificante per altri alunni del Seminario, in quel suo vagare la mattina del 28 febbraio nelle camerate del Seminario.

Nel 1930, in occasione della Beatificazione del sacerdote di Valdocco, furono raccolte alcune testimonianze, quelle di ex seminaristi ancora vivi, sacerdoti e non. In tutte c’è una concordanza di accenti, di ricordi e di momenti particolarmente significativi di quella visita ed ancor vivi nella loro memoria di uomini ormai avanti negli anni. E ciò che più colpisce, è che questa concordanza si riscontra sia in quelli che giunsero al sacerdozio che in quelli che scelsero la vita laicale.

Mons. Jaffei, Vescovo di Forlì, così si esprime: “Lo accogliemmo con entusiasmo, felicissimi di conoscere personalmente l’illustre educatore della gioventù, del quale conoscevamo libri di letture e di scuola” [Numdero unico: Il beato don Bosco. Fermo 1930].

Gli fa eco Mons. Occhioni che mostra, all’età di ottantuno anni, avere vivissima la memoria, quasi fotografica, di quell’incontro: “Vi giunse accompagnato da un correligioso e si fermò nel mezzo del camerone, mentre noi festanti ci stringevamo intorno alla sua persona. Teneva le mani conserte, gli occhi e la testa bassi. Da un superiore venne invitato a visitare l’ambiente quindi seguì un breve indirizzo letto dall’alunno Francesco Astorri…”.

Analoga la testimonianza di laici. Al Prof. Serafino Alessandrini, allora alunno del Seminario, quando il Santo giunse nella camerata “S. Giuseppe”, toccò il compito di offrire il suo saluto poetico. E negli ultimi anni della sua vita [morì nel 1927], a chi gli chiedeva di quell’incontro, rispondeva che “gli sembrava di vederlo ancora ascoltare la poesia e chiederne, con un movimento dell’indice, il manoscritto al giovane autore”.

Nel 1915, nel centenario della nascita del Santo, sempre in rapporto alla visita nel Seminario di cui era stato testimone, tenne il discorso commemorativo e le sue parole, proprio perché di un laico, suscitarono entusiasmo e commozione.

Ma nella memoria di tutti i testimoni, in genere, ciò che colpisce è il vivo ricordo di quell’incontro che si contorna di particolari, di per sé marginali, ma che nel loro complesso costituiscono il carattere di una impronta indelebile.

“Dopo le iterate e festose accoglienze dei superiori e degli alunni – è Mons. Jaffei che precisa – l’amabilità di Don Bosco si compiacque di percorrere tutto il Seminario per trovarci nelle singole camerate, donandoci una medaglia a ciascuno e ne aveva in un borsellino, anche per i suoi figli di Torino. Ci dissero che sotto la mano distributrice di Don Bosco si moltiplicassero”.

E dal ricordo di ciò che avvenne nella camerata “S. Giuseppe”, nella memoria di Mons. Occhioni emerge un’altra figura di rilievo tra i giovani seminaristi del tempo, oltre al già menzionato Card. Svampa: “…..  quindi seguì un breve indirizzo letto dall’alunno Francesco Astorri di Campofilone, che chiudeva implorando la Santa Benedizione. Questa benedizione certo scese copiosissima – è ancora Mons. Occhioni che commenta – su chi aveva presentato l’indirizzo. Lo rese infatti privilegiato innanzi a Dio, giacché fu cristiano tutto d’un pezzo, ottimo padre di famiglia, cui corrisposero egregiamente i figliuoli; lo rese pure privilegiato innanzi agli uomini perché l’Astorri riuscì ottimo Ingegnere Idraulico stimato e venerato”.

Come si vede, a distanza di anni, quel piccolo seme era ancora rigoglioso di frutti.

MONS. CASTELLI E LE CELEBRAZIONI PER LA BEATIFICAZIONE DI DON BOSCO

Nel 1929, al termine del processo canonico, Don Bosco veniva dal Papa Pio XI elevato agli onori degli altari e proclamato Beato. Tra le innumerevoli celebrazioni e commemorazioni della sua persona, anche a Fermo si pensò di ricordare il nuovo Beato proprio per il legame con la Diocesi, con il Seminario e soprattutto con l’Arcivescovo di quel tempo, il Card. Filippo De Angelis. Patrocinatore dell’iniziativa fu l’Arcivescovo Mons. Carlo Castelli il quale per strani ed insondabili fili provvidenziali, aveva anche lui, ancor giovinetto, conosciuto Don Bosco ed ora Presule di quella Diocesi che nel Card. De Angelis e nel Card. Svampa era apparsa tanto legata al Sacerdote di Valdocco.

La testimonianza di Mons. Castelli di quell’incontro col Santo è viva e nitida nei contorni, per cui è bene lasciare a lui stesso la parola: “Lo conobbi personalmente. E’ questa un’altra grande grazia che mi fece il Signore, della quale, come di tutte le altre lo ringrazio di cuore.

Nel 1883, ero suddiacono, fatti i bagni di mare ad Alassio nel grande Collegio che ivi tengono i Salesiani, nel ritorno volli passare a Torino, precisamente per vedere Don Bosco, ed ottenerne la Benedizione. Vi giunsi la vigilia del suo genetliaco che si festeggiava il 15 di agosto. L’indomani Don Bosco avrebbe raggiunto il suo sessantanovesimo anno. Accolto con molta benevolenza dai figli di Don Bosco, la sera ebbi la fortuna di ascoltare il discorsetto che egli, d. Bosco, soleva fare ai suoi figli sotto il portico aperto del grande cortile prima che si coricassero, di baciargli la mano e di averne la prima benedizione. L’indomani mi volli confessare da lui, potei parlargli con molta confidenza, che la dava a tutti; e la sera partecipai ad un’accademia [intrattenimento, n. d. r.], ben riuscita, data dai Salesiani in onore del loro amato Padre. Poesie, canti, bande, discorsetti: una vera festa di famiglia … Prima di partire potei ancora parlare con Don Bosco nel suo studiolo, su al secondo piano, in fondo al ballatoio. Quanta bontà in quell’uomo! Quanta semplicità nelle parole, nel gesto, in tutto. Mi benedisse, mi confortò e mi assicurò che nonostante i disturbi di stomaco che pativo quella mattina, avrei fatto buon viaggio, e che giunto a Milano mi sarei sentito benissimo come di fatto avvenne.

Altre due volte ebbi la ventura di conferire con Don Bosco, e sempre ne ebbi l’impressione di parlare con un Santo: semplicità, affabilità, cordialità, sempre il sorriso sulle labbra; mai dimostrava stanchezza, noia, fretta, sempre la massima calma come se non avesse avuto a far altro che parlare con me! E lui aveva affari con tutto il mondo!”[ivi]. Proprio questo affetto per i Salesiani e Don Bosco fu la spinta che nel 1930 a Fermo si indicessero celebrazioni per il nuovo Beato. Si svolsero dal 29 maggio al 1 giugno e l’organizzazione fu affidata ai superiori, agli insegnanti e agli alunni del Seminario. Il triduo solenne si svolse nella attigua chiesa del Carmine, con largo concorso di fedeli; la predicazione fu affidata all’ “illustre predicatore Mons. A. Crocetti” di Ancona.

il primo giugno la solenne celebrazione: alle 7 la messa dell’Arcivescovo Mons. Castelli con la partecipazione della “gioventù studentesca” della città; alle 10,30 la messa solenne con assistenza pontificale.

Il clou della manifestazione si raggiunse al pomeriggio in Seminario, con inizio alle ore 17: furono scoperti il busto e la lapide commemorativa della visita di Don Bosco al Seminario nel 1867, cui seguì una solenne “accademia” musicale-letteraria, nella quale il discorso commemorativo fu tenuto dal Comm. C. Ossicini di Milano [Va sottolineata l’iniziativa di radunare la “gioventù studentesca” di Fermo, cui si aggiunsero i giovani di A.C. della Diocesi. Siamo infatti negli anni difficili, dopo la Conciliazione, in cui il Governo Italiano e il Partito Fascista si stavano scagliando contro le associazioni cattoliche. Una manifestazione giovanile di questo genere rappresentava un atto di coraggio ed una risposta].

Una particolare sottolineatura merita la lapide dettata in latino da Mons. Giovanni Cicconi, noto umanista e storico [34],

ANNO CHRISTIANO MDCCCLXVII \ III KAL. MARTIAS \ JOANNES BOSCO

FUIT HOSPES APUD V. E. \ CARD. PHILIPPIM DE ANGELIS ARCHIEP. PRINC. N.

SEMINARIUM H. MAGNIS EXCEPTUS LAETITIIS \ OPTATISSIMO ADSPECTU SUO MONESTAVIT

ALUMNOS AD VIRTUTEM SANCTISSIMIS VERBIS \ COHORTATUS EST

NUNC AUCTUS HONORE COELITUM BEATORUM \ VOLENS PROPITIUS USQUE ADSIT

MAGISTER BONUS ET CUSTOS \ AN. MCMXXX

Nella traduzione italiana suona ad un dipresso così:

= NELL’ANNO DELL’ERA CRISTIANA 1867 \ IL 28 FEBBRAIO \ GIOVANNI BOSCO \ OSPITE A FERMO DEL CARD. FILIPPO DE ANGELIS \ ARCIV. E PRINCIPE NOSTRO \ FU ACCOLTO CON GRANDE GIOIA \ ONORO’ QUESTO SEMINARIO \ CON LA SUA PRESENZA TANTO DESIDERATA \ ESORTO’ CON SANTE PAROLE ISPIRATE GLI ALUNNI ALLA VIRTÙ’ \ANNO 1930 \ ORA INNALZATO ALL’ONORE DEI CELESTI BEATI \ CONDISCENDENDO ANCORA PROPIZIO \ SIA PRESENTE COME BUON MAESTRO E CUSTODE =

Ma quel che più conta, le celebrazioni furono accompagnate. dalla pubblicazione di un fascicolo dal titolo “Il Beato Giova Bosco – omaggio del Ven. Seminario Arc.le di Fermo”, in data giugno 1930. Al di là di un sistema storiografico forse ora superato, quanto indulgente all’aneddotica e privo di quel contesto storico religioso in cui i fatti locali prendono consistenza e significato, lavoro si presenta ricco di spunti, abbondante nella documentazione testimonianza significativa di entusiasmo e coscienza di un legame che a distanza di decenni era ancor vivo e profondo. Le attestazioni stesse di alcuni tra coloro che furono un tempo i giovani seminaristi che Don Bosco aveva incontrato nel lontano 1867, stupisco il lettore di oggi, e contribuiscono a delineare un quadro assai interessante e prezioso per lo storico.

A dare il significato globale del lavoro possono essere utili alcune espressioni di Mons. Castelli poste in prima pagina con presentazione del fascicolo commemorativo: “Don Bosco fu qui Fermo; si ricorda ancora con vera compiacenza il suo incontro col nostro Venerando Card. De Angelis, e si leggono con commozione le lettere che Don Bosco scriveva a lui per avere consigli ed appoggio in merito alla fondazione della Società Salesiana: egli ebbe per noi, figli di Alessandro e Filippo un particolare affetto che dimostrò anche quando il Card. Arcivescovo fu deportato Torino”.

L’ARCIVESCOVO MONS. PERINI E I SALESIANI IN DIOCESI

Nonostante i legami che avevano unito la diocesi a Don Bosco, le successive celebrazioni e lo spirito e la “formazione” salesiani di alcuni suoi vescovi, i Salesiani, come presenza attiva nella vita diocesana, non vi erano ancora. A fare questo ultimo passo e a rinvigorire anche altri aspetti dello spirito di Don Bosco, toccò a Mons. Norberto Perini, negli anni dell’immediato dopo guerra. Egli volle con ferma convinzione i Salesiani in Diocesi. Le motivazioni di questa sua scelta vanno ricercate sia nei personali legami di affetto che il presule aveva con la Società Salesiana, sia nelle particolari condizioni socio-politiche e religiose di alcuni centri della nostra Diocesi.

Mons. Perini prima di entrare nel Seminario Ambrosiano era stato alunno al Ginnasio presso l’Istituto Salesiano “S. Ambrogio” di Milano con grande profitto scolastico, riuscendo sempre tra i premiati: erano i lontani anni 1901-1904. Questo Istituto era stato fondato nel 1897, appena nove anni dopo la morte di Don Bosco, e diretto da Don Lorenzo Saluzzo che fin da ragazzo era cresciuto all’Oratorio di Don Bosco e con lui aveva fatto le prime esperienze di sacerdote salesiano. Vi si doveva respirare dunque un’aria autentica di spiritualità salesiana quale Don Bosco l’aveva ispirata. Certo, per il ragazzo che veniva dalla provincia [Carpiano], fu un motivo di forte ripensamento e soprattutto di maturazione interiore. In quella esperienza il giovane Norberto Perini maturerà la sua decisione sacerdotale come del resto egli stesso confida in una sua lettera al superiore dell’Istituto, nel 1954: “Ricordo sempre con piacere e alcune volte con commozione l’Istituto dove ho trascorso i primi anni di Ginnasio e dove si è chiarita la mia Vocazione al sacerdozio” [Lettera dell’arc. Perini 25.III.1954]. La confidenza citata è suffragata dal suo successivo comportamento, secondo quanto ricorda Don Alfonso Minonzio: “Quando ero ragazzo, tra il 1931 e il ’35, ho .sentito Mons. Perini, prima rettore a Tradate e poi prevosto a Busto [Arsizio], perché nelle visite all’Istituto parlava a noi ragazzi; ricordo poi la visita che volle fare appena divenuto vescovo [di Fermo] come atto di riconoscenza perché amava Don Bosco e ricordava con affetto i Salesiani che aveva conosciuto da ragazzo. Lo vidi l’ultima volta a Rho: accompagnavo il direttore don Franzetti e altri confratelli per un atto di omaggio e di gratitudine per chi amava tanto Don Bosco e questo Istituto” [D. A. Minonzio 29.XII.1987].

Il suo stesso fresco ed agile volumetto dedicato ai giovani “L’Età Fiorita” sprigiona più d’uno dei principi pedagogici di Don Bosco e fa costante riferimento allo spirito salesiano. E ispirata alla pedagogia salesiana fu anche la rivista “Catechesi” che egli ancor sacerdote, insieme a Don Montalbetti [futuro vescovo di Reggio C.] fondò e diresse tanto che, dopo qualche anno di cessata pubblicazione, fu rilevata dai Salesiani ed edita ancor oggi per i tipi della ELLE Di Ci.

Quando venne a Fermo, nel 1942, notò la mancanza di questa presenza: ma non erano quelli i tempi propizi per una iniziativa che potesse sopperirvi.

Alcuni fenomeni socio-politici che hanno caratterizzato il dopo guerra nella nostra Diocesi, sono stati allora il segno che questa impresa si dovesse realizzare. Negli anni della ricostruzione i centri costieri hanno visto una fortissima immigrazione, duplicando e triplicando il numero di abitanti. Occorrevano interventi pastorali più precisi e più decisi per tenere il passo con i fenomeni in corso. Tra questi centri, Porto Civitanova era quello che maggiormente aveva urgenza di una nuova sistemazione parrocchiale e di una più incisiva pastorale giovanile. Infatti la città era la più industrializzata della zona e presentava i maggiori squilibri sociali, urbanistici e ideologici. Il Vescovo se ne era interessato e soprattutto aveva fatto qualche tentativo per ovviarvi. Ma non bastava. Da più parti, laici soprattutto, avevano chiesto un intervento più preciso e più radicale. “Mi permetto di interessarmi a questa situazione tremenda pensando all’avvenire dei miei tre figli e di tutta l’Italia e oso chiedere un aiuto effettivo per questi nostri figli…” si legge in una delle numerose petizioni [40]. Le richieste erano precise: “occorrono circoli cattolici, ricreativi, teatrini, cinema, sale di lettura, il posto dove questi giovani possano passare ore di svago ….” [Lettera di S. P. 14.XII.1950].

Di fronte a queste denunce accorate e richieste pressanti, niente di più opportuno che rivolgersi ai Salesiani, esperti e accorti educatori di giovani. Il problema era però duplice: la ricerca di un’area adatta ed adeguata e l’opera di convincimento da compiersi presso i superiori dell’Istituto.

Si pensò subito al Santuario di S. Marone, con la casa annessa che fungeva allora da rettoria. Si trovava, in quegli anni, in una zona quasi suburbana, collegata al centro e attigua alla zona industriale. In più era zona prevista di sviluppo urbano e quindi destinata a crescere. Mancava tuttavia un’area sufficiente per le strutture ricreative e di accoglienza dei giovani. A fianco della chiesa v’era un terreno agricolo appartenente alla tenuta del Principe Napoleone Bonaparte, già previsto come area fabbricabile. Mons. Perini prese personalmente contratti con il Principe che si dichiarò disposto ad una donazione purché fossero rispettati gli scopi e la destinazione di essa.

Le trattative si conclusero a metà del 1950 ed un’area dì 20.000 mq. fu ceduta alla Diocesi che avrebbe provveduto a destinarla per opere di assistenza giovanile. Nel frattempo, vista la ben avviata trattativa per l’area, l’Arcivescovo incaricò Mons. Emilio Del Bianco di prendere contatti con l’Ispettoria Salesiana “Adriatica”, allora con sede a Macerata. Una fitta corrispondenza e forse anche contatti personali portarono ad una felice conclusione.

I Salesiani chiedevano precisazioni; il Vescovo faceva rispondere con chiarezza e decisione: “E’ desiderio dell’Ecc. Presule che i Salesiani a Porto Civitanova abbiano a creare una loro opera completa, cominciando con oratorio per la gioventù… e quanto altro si riterrà opportuno per la educazione cristiana della gioventù operaia”. [Lettera 7.X.1950].

Si giunse così alla “Convenzione tra l’Archidiocesi di Fermo e l’Ispettoria Salesiana Adriatica” stipulata il 4 aprile 1951. I Salesiani presero così possesso della casa è della chiesa di S. Marone il 1 settembre 1951.

Successivamente, con Decreto arcivescovile del 25.5.1952, la Rettoria fu elevata a parrocchia con un suo proprio territorio. Nel frattempo crescevano le strutture dell’opera educativa dei figli di Don Bosco che portavano lo spirito del Fondatore nella città più popolosa e articolata della Diocesi.

LA PARROCCHIA E LA CHIESA DI S. GIOVANNI BOSCO A MOLINI-GIROLA DI FERMO

Anche l’attività di Mons. Perini che si proiettò in tutta la Diocesi nella ridefinizione delle parrocchie, nella costruzione di nuove chiese, per far fronte ai nuovi insediamenti ed alle nuove proiezioni urbanistiche dei maggiori centri, ebbe presente il Sacerdote di Valdocco. Mancavano in Diocesi una chiesa ed una parrocchia a lui dedicate. Pertanto, quando nell’area ora denominata Molini-Girola, in seguito alla crescente urbanizzazione, si fece sentire la necessità’ di una parrocchia autonoma, l’Arcivescovo operò uno stralcio di territorio dalla parrocchia urbana di S. Lucia e con Decreto del 7 marzol962 eresse una nuova parrocchia.

E’ curioso e nello stesso tempo sintomatico notare come il Decreto di erezione stilato dalla Cancelleria Arcivescovile parli di contrada Girola di Fermo con la chiesa del Sacro Cuore di Gesù eretta a Parrocchia. Ma poi nella domanda inviata al Ministero dell’Interno in data 3.10.1962 si legge: “Il sottoscritto Arcivescovo di Fermo chiede…. venga riconosciuto agli effetti civili il Decreto di Erezione della nuova Parrocchia di “San Giovanni Bosco” con sede nella chiesa del S. Cuore, in contrada Girola nel territorio di Fermo, emesso in data 7 marzo 1962″.

Era avvenuto che nel tempo intercorso tra l’emissione del Decreto di erezione e l’inoltro della pratica per il riconoscimento civile era maturata nell’animo di Mons. Perini la decisione di intestare la nuova parrocchia a S. Giovanni Bosco e di costruire la chiesa omonima nel territorio della nuova parrocchia, ma in contrada Molini di Tenna, dove già funzionava come centro di culto uno dei capannoni dell’industria conciaria SACOMAR s. p. a. dei Fratelli Santori, capannone che, per la sua ampiezza e ubicazione, per oltre sette anni assolse in pratica la funzione di chiesa parrocchiale. Il Decreto di riconoscimento civile, firmato dal Presidente della Repubblica Antonio Segni, porta la data del 22 marzo 1963. L’attività pastorale della nuova parrocchia ebbe inizio il 13 ottobre 1963 con l’ingresso del primo Parroco, il Sac. Giuseppe Paci.

Per quanto riguarda la nuova chiesa parrocchiale bastino questi brevi accenni: nel 1967 fu acquistata dall’Opera Pia Ospedale di Fermo l’area di circa 6.000 mq. strutture ricreative e di accoglienza dei giovani. A fianco della chiesa vi era un terreno agricolo appartenente alla tenuta del Principe Napoleone Bonaparte, già previsto come area fabbricabile. Mons. Perini prese personalmente contratti con il Principe che si dichiarò disposto ad una donazione purché fossero rispettati gli scopi e la destinazione di essa.

Le trattative si conclusero a metà del 1950 ed un’area di 20.000 mq. fu ceduta alla Diocesi che avrebbe provveduto a destinarla per opere di assistenza giovanile. Nel frattempo, vista la ben avviata trattativa per l’area, l’Arcivescovo incaricò Mons. Emilio Del Bianco di prendere contatti con l’Ispettoria Salesiana “Adriatica”, allora con sede a Macerata. Una fitta corrispondenza e forse anche contatti personali portarono ad una felice conclusione.

I Salesiani chiedevano precisazioni; il Vescovo faceva rispondere con chiarezza e decisione: “E’ desiderio dell’Eco. Presule che i Salesiani a Porto Civitanova abbiano a creare una loro opera completa, cominciando con oratorio per la gioventù… e quanto altro si riterrà opportuno per la educazione cristiana della gioventù operaia”.

Si giunse cosi alla “Convenzione tra l’Archidiocesi di Fermo e l’Ispettoria Salesiana Adriatica” stipulata il 4 aprile 1951. I Salesiani presero così possesso della casa è della chiesa di S. Marone il 1 settembre 1951.

Successivamente, con Decreto arcivescovile del 25.5.1952, la Rettoria fu elevata a parrocchia con un suo proprio territorio. Nel frattempo crescevano le strutture dell’opera educativa dei figli di Don Bosco che portavano lo spirito del Fondatore nella città più popolosa e articolata della Diocesi.

La progettazione della chiesa e annessa casa parrocchiale fu affidata personalmente da Mons. Perini all’Arch. Sac. Gaetano Banfi di Saronno, che si era offerto di eseguirlo gratuitamente in segno di riconoscenza all’Arcivescovo che lo aveva accolto nel Seminario e lo aveva ordinato sacerdote incardinandolo nell’Archi- diocesi di Fermo.

I lavori di costruzione furono aggiudicati, in seguito a gara d’appalto, all’Impresa Edile Mazzoni Basilio e Figli di Porto S. Giorgio. Il 17 novembre 1968 Mons. Perini pose la Prima Pietra del nuovo complesso parrocchiale e per la prima volta celebrò la S. Messa nella nuova chiesa, ancora incompleta, il 30 agosto 1970, amministrando la S. Cresima a 27 ragazzi della parrocchia.

L’Arcivescovo Mons. Ernesto Civardi, allora Segretario della S. Congregazione dei Vescovi, oggi Cardinale, la consacrava il 1 maggio 1974. Mons. Perini, nonostante gli 86 anni e gli acciacchi, volle essere presente e concelebrò stando quasi sempre seduto a lato dell’altare, ma si notava sul suo volto la gioia e la soddisfazione di vedere ormai completamente realizzata, dopo oltre 10 anni, un’opera da lui tanto vivamente desiderata.

Mons. Cleto Bellucci, allora Amministratore Apostolico della Archidiocesi, non poté essere presente perché costretto ad un ricovero ospedaliero per un grave incidente automobilistico occorsogli pochi giorni prima, ma lo fu spiritualmente con la preghiera e l’offerta delle sue sofferenze.

Quattro targhe di rame, poste all’ingresso della chiesa nella Pasqua 1982, sintetizzano la storia dell’ultimo omaggio di devozione filiale a S. Giovanni Bosco di Mons. Norberto Perini.

vanni Bosco è tutta conservata nell’Archivio Storico dell’Archidiocesi di Fermo.

46- Alla nota n. 34 dopo “Aula Magna” si aggiunga: “posto al di sopra di una lapide con iscrizione latina dettata dall’illustre latinista mons. Tommaso Mariucci, della Segreteria di Stato di Sua Santità”

 

<Poesia di un alunno dell’oratorio di don Bosco>

 

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+++++++++++++++++++ Questa digitazione dell’opera è di VESPRINI ALBINO

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