CAMPO DEI PRIGIONERI DI GUERRA E CENTRO RACCOLTA PROFUGHI A SERVIGLIANO

TESTO DI GIUSEPPE ORESTE VIOZZI (1890- 1966) arciprete a Servigliano

IL CAMPO « PRIGIONIERI DI GUERRA »

Un fatto che dal 1915 fino al 1955, ha portato la piccola cittadina di Servigliano al primo piano della notorietà internazionale, è stato il « Campo prigionieri di Guerra » e successivamente « Centro Raccolta Profughi »,

Il 24 maggio 1915, quando già fin dall’agosto del 1914, divampava feroce la guerra, fra diverse nazioni d’Europa, l’Italia entra anch’essa in guerra contro l’Austria Ungheria, mentre nell’agosto successivo la dichiara alla Turchia, alla Germania, ed ai paesi dello scacchiere balcanico. In tal modo tutta l’Europa è in conflitto, schierata in due parti. E’ la cosiddetta Prima Guerra Mondiale 1914-1919. Non è nostro compito accennare qui, anche sommariamente, a questo complesso e tragico avvenimento dei primi anni del ventesimo secolo. Ne parla la storia. Crediamo però conveniente mandare alla memoria il ricordo del « Campo Prigionieri » appunto perché esso ha relazione con Servigliano.

Non ci consta il motivo: se per disposizioni superiori o se per iniziativa di qualche influente personaggio della vita locale, che intendeva dare incremento al modesto paese; anche a Servigliano venne costruito un grande accampamento per accogliere gli eventuali prigionieri di guerra.

Il luogo scelto fu la immediata periferia del paese stesso, lato mezzogiorno, lungo la via per Amandola. Furono espropriati, a diversi privati, circa tre ettari di terreno, e vi si costruirono più di 40 baracche in legno, ognuna dell’ampiezza di 500-600 metri quadrati, oltre a tutti gli altri numerosi locali per servizi ed alloggi dei militari di vigilanza al Campo. Le baracche erano capaci di ospitare circa 10.000 prigionieri, ma tale numero non sembra sia stato mai raggiunto.

Ad ogni modo, a meno di un anno dallo scoppio della guerra, le costruzioni e relative attrezzature erano ultimate, e nell’agosto del 1916, vi affluirono i prigionieri. Il primo Comandante del Campo fu il Ten. Colonnello Cav. Antonio Simoni da Firenze.

Fra i Sacerdoti incaricati all’assistenza religiosa dei prigionieri, crediamo segnalare il Sac. Marcello Mimmi, Vice-Parroco di una Parrocchia di Bologna, poi Rettore del Seminario Interregionale di quella città, in seguito Vescovo di Crema, quindi Arcivescovo di Bari, poi Cardinale Arcivescovo di Napoli ed in fine Segretario della S. Congregazione Concistoriale, e morto a Roma nel 1962.

I prigionieri furono generalmente di nazionalità austro-ungarica, turchi, serbi, ecc. Anche le religioni professate erano diverse. Durante il funzionamento del Campo, ve ne morirono ventidue per malattie varie.

I loro cadaveri furono sepolti nel Cimitero comunale del paese. Di essi soltanto uno, cioè il Ten. Colonnello Gergò Vittorio de Kormand, oriundo da Budapest, venne riesumato ed il 17 ottobre 1925, fu trasportato in Ungheria, mentre i resti di tutti gli altri, durante una esumazione generale delle salme del settore, vennero deposti, nella tomba comune, senza nessun segno di riconoscimento. Il Campo fu sgomberato definitivamente e chiuso per tutti, nel mese di. dicembre del 1919.

Così aveva termine la prima parte, diciamo, della storia di questo Campo, che nello spazio di tre anni, tante miserie e tante lacrime aveva visto degli infelici prigionieri di quella guerra che innumerevoli distruzioni di uomini e di cose portò in tutto il mondo: milioni di morti e di mutilati; miliardi, senza fine, di danni.

Questo costituì la prima guerra mondiale che il grande pontefice Papa Benedetto XV, che la seguì e la visse, giustamente chiamò: «Una inutile strage». Tutti gli eventi che seguirono, vicini e lontani, diedero piena ragione al grande Papa, che però in un primo momento, dalla massoneria internazionale venne ingiustamente dichiarato « disfattista ». Era allora la parola usata, per indicare, coloro che in fatto di guerra non la pensavano come i Capi, anche se questi avessero pieno torto.

Come abbiamo detto, alla fine del 1919 venne definitivamente chiuso, pur rimanendo tutta la sua attrezzatura intatta e in assetto di piena funzionalità.

Nel 1935 il demanio dello Stato che ne deteneva la proprietà tentò di vendere tutto il Campo, ma non vi furono acquirenti, dimodoché ne cedette, a basso prezzo, una parte, al Dopolavoro Comunale (Ente ricreativo creato dal fascismo), che rivendendolo, ci attrezzò locali in paese, ed in parte lo destinò a un vasto campo sportivo. Nelle baracche rimaste il Governo sistemò un deposito di materiale bellico e cannoni, che poi vennero inviati nella guerra di Spagna (1938-1939).

Nel 1940 era già scoppiata la seconda guerra mondiale ed anche l’Italia (insieme con Germania, Austria Ungheria, ecc. contro l’America, Inghilterra ecc.) entrava in guerra nel giugno del 1940. E così, nel dicembre di questo anno, la parte rimasta libera del Campo, venne in fretta riattivata alla meglio, per accogliere nuovamente prigionieri di guerra. Infatti il 5 gennaio 1941 fu riaperto ufficialmente, con l’arrivo del Corpo di Guarnigione. Nel febbraio successivo, arriva il primo nucleo di prigionieri di guerra, Greci, ed in pochi mesi si raggiunge il numero di 3.000.

Il 27 luglio dello stesso anno, inviato dalla Santa Sede, si reca in visita ufficiale al Campo, S. E. Rev.ma Mons. Borgoncini Duca, Nunzio Apostolico presso il Regno d’Italia. Fu naturalmente accolto con tutti gli onori dovuti al suo grado, molto festeggiato anche dai prigionieri, quantunque appena 10% fossero di religione cattolica, ed il rimanente « ortodossi », o di altre religioni. Parlò loro in lingua francese, conosciuta dalla quasi totalità. A nome del santo Padre lasciò vari doni e somme di denaro per miglioramento «rancio».

Erano molto disciplinati e perciò trattati con molta umanità, nessuna misura di rigore fu presa nei loro riguardi. L’assistenza religiosa, in un primo tempo, veniva disimpegnata dall’Arciprete Parroco del luogo Don Oreste Viozzi, ed anche tutti gli “ortodossi” assistevano alla “celebrazione della santa Messa. Nel mese di giugno 1941, venne in paese, quale internato politico un « Pope », Sacerdote ortodosso, Rettore della chiesa ortodossa a Napoli. Allora la assistenza per gli Ortodossi, venne fatta dal Pope stesso, mentre per i cattolici, continuò il Parroco don Viozzi.

Entro il mese di dicembre, sempre dello stesso anno 1941, il Campo si vuota dei prigionieri greci, i quali vengono in parte rimpatriati, altri inviati a lavorare in Sardegna ed un forte contingente viene mandato nel Campo di Cairo Montenotte, in provincia di Savona.

ARRIVANO I PRIGIONIERI DELLE NAZIONI ALLEATE

Rimasto dunque libero il campo, con la partenza dei prigionieri greci, esso viene subito preparato, per accogliere i prigionieri delle Nazioni alleate (Inglesi, Americani, ecc.). I primi contingenti arrivarono nel febbraio del 1942. In seguito, complessivamente, raggiunsero il numero di circa 2.000. Di essi appena il 10% erano cattolici, e altri Protestanti. Nei primi mesi l’assistenza religiosa (cui prendevano parte solamente i cattolici) era svolta dall’Arciprete Parroco del luogo. Il 26 marzo poi, inviato dal Ministero della Guerra, viene il rev. p. Antonio da Persiceto (Bologna) Minore Cappuccino, che era stato per 25 anni Missionario nell’India inglese, ed incaricato colà della assistenza religiosa ai militari dell’Inghilterra di stanza in quella colonia.

Il 6 settembre pure del 1942, accolto con gli onori dovuti al suo grado, è in visita ufficiale al Campo, S. E. mons. Antonio Giordani, Vescovo della G.I.L. (Organizzazione giovanile creata dal Fascismo) che amministra la Cresima a 12 prigionieri convertitisi alla religione cattolica.

Il 17 dicembre, sempre del 1942, inviato dalla S. Sede, il Campo ha l’onore di ricevere, per la seconda volta, in visita ufficiale, S. E. rev.ma Mons. Borgoncini Duca. Anche questa volta, l’accoglienza è entusiasta, pure da parte dei protestanti che costituiscono il 90%. Bel gruppo. Essi ne riportano una grandissima impressione, specialmente per i suoi modi gentili, cordiali, e (diciamo noi che eravamo presenti alla scena) quasi familiari. A nome del santo Padre, lascia in dono, due maestose fisarmoniche, strumento musicale particolarmente gradito agli inglesi. Questa volta il Nunzio parla in italiano e la traduzione in lingua inglese è fatta contemporaneamente dal Cappellano P. Antonio da Persiceto.

Da questo tempo la vita del Campo si svolge più o meno normale (eccetto i tentativi di … fuga, da parte di alcuni prigionieri), fino alla data dell’armistizio, del settembre 1943. I prigionieri subivano frequenti cambi, ma erano sempre: Americani, Inglesi, e dell’Isola di Cipro.

Avvenuto l’armistizio dell’Italia, con gli Alleati, i circa 2.000 prigionieri, nella notte del 14 settembre 1943, temendo, da un momento all’altro, l’arrivo delle truppe Tedesche, che dal Sud risalivano verso il Nord, si dispersero nelle campagne e paesi vicini, ed ivi rimasero nascosti fino alla completa liberazione, ossia fino al 14 giugno 1944. Nelle famiglie coloniche, in modo speciale, essi trovarono cordiale e generosa ospitalità, in parte poi ricompensata alla fine della guerra.

Intanto alcuni militari di Reparti Tedeschi, prendono possesso del Campo e nei giorni 3-4-5 ottobre asportano parecchie centinaia di pacchi, appartenenti ai prigionieri inglesi. Due civili italiani (marito e moglie) che tentano di prendere anch’essi del materiale, vi trovano la morte, da parte dei Tedeschi stessi, ormai padroni del campo.

Verso la fine di ottobre, sempre del 1943, vengono raccolte nel campo, alcune decine di Ebrei, qui internati, che nel mese di dicembre raggiungono il numero di circa 200. In questi giorni fa loro visita S.E. Mons. Norberto Perini, Arcivescovo di Fermo, che li conforta con la parola, e lascia in dono una certa somma di denaro.

Ai principi del 1944; nel mese di Febbraio, vi vengono internati circa 300 maltesi-tripolini, che insieme ad altri 4.000, da circa 2 anni, si trovano in Italia, provenienti da Tripoli. Questi, quantunque emigrati da secoli dall’isola di Malta, loro patria di origine, tenevano ancora la cittadinanza inglese, nonostante che nella lingua, nella religione (esemplari cattolici) e nello spirito, si sentissero veramente italiani. Erano divisi in circa 70 famiglie, con componenti di ogni età.

A mano a mano che il fronte di guerra, avanza verso di noi, in questa primavera affluiscono al Campo, ogni giorno, altri Ebrei, e parecchi Cinesi. Il 3 maggio, alle ore 22,30, il campo viene bombardato da un aereo di ignota nazione. Si seppe, più tardi che esso era inglese, ed aveva sorvolato il campo, per dare l’allarme e mettere lo scompiglio, e far in modo che gli Ebrei si dessero alla fuga, essendo imminente l’arrivo di automezzi tedeschi, per prelevarli e farli uccidere. Fra gli internati di Tripoli, si ha un morto ed alcuni feriti. Dopo questo fatto tutti fuggono dal campo, e gli Ebrei, a conoscenza forse del loro pericolo, si rifugiano nei luoghi circostanti.

Al mattino del 4 maggio, parecchi automezzi tedeschi sono dinanzi al Campo, per caricare gli Ebrei dei quali parleremo tra poco. Una settimana dopo, tutti indistintamente, debbono rientrare al Campo. Il 4 giugno Mons. Norberto Perini, Arcivescovo di Fermo, fa nuovamente una visita al campo ed amministra la santa Cresima a circa 13 bambini, maltesi- tripolini.

In questo stesso pomeriggio, giunge la notizia, che i Tedeschi hanno lasciato libera Roma. Dal 14 al 18 giugno, giorni di ansia e trepidazione per tutti, a causa del passaggio delle truppe tedesche, che si ritirano verso il nord. Fuga dei giovani; verso le campagne, tentata requisizione di bestiame e generi, ostruzione delle strade, nascondimenti di apparecchi radio per ascoltare clandestinamente le notizie degli avvenimenti che precipitano verso l’epilogo.

La grande piazza del paese è letteralmente occupata, per tre o quattro giorni, dai grandi automezzi tedeschi, che hanno posto i loro Uffici nel Palazzo Comunale. Ciò nonostante la popolazione si mantiene calma e non tenta nessuna inutile reazione, perciò non si verificarono incidenti di rilievo, mentre indisturbati transitavano automezzi, cavalli e truppa, affluendo dalla strada di S. Vittoria, e da Amandola, dirigendosi verso l’interno, via Macerata, Foligno, e oltre.

Un solo caso deplorevole ed inumano è da ricordare: l’uccisione dell’ebreo Schlaf Jesael Isidor, barbaramente trucidato ad un Km. da Servigliano, lungo la strada Matenana, per il solo motivo che venne riconosciuto di razza ebraica.

Il monumentale ponte sul Tenna, in precedenza preparato e minato, sotto gli occhi dei cittadini, è fatto saltare la sera del 19 giugno, alle ore 21,30, per quasi un terzo dei suoi 15 pilastri, dalle truppe tedesche disordinatamente in ritirata, verso il nord.

Una grande emozione, in quella storica sera di giugno, invase tutti gli spettatori, che finalmente si sentirono liberi e sicuri. La guerra per noi era finita!

Unici internati, rimasti nel Campo, erano i maltesi-tripolini, che dopo un naturale sbandamento avvenuto anche per loro, il 22 giugno rientrano nelle loro baracche ed il 17 luglio, su più di 30 automezzi, vengono trasportati a Bari e da qui imbarcati per la loro Tripoli d’Africa.

Così il Campo ritorna nuovamente semideserto, custodito da un minuscolo Corpo militare di guardia; ma questo silenzio è di breve durata, perché sarà presto riattivato e si denominerà «Centro raccolta profughi».

IL CENTRO RACCOLTA PROFUGHI CIVILI

Il Campo, nella avanzata primavera del 1945, cioè a neppure un anno dalla partenza degli ultimi internati di guerra, viene frettolosamente ed alla meglio riadattato. Intanto, sia in questo, come nelle case del paese, arrivano circa 800 militari Polacchi, per un corso di addestramento, e vi rimangono per più di un anno. Hanno anche il loro Cappellano, ed officiano, alla domenica, nella chiesa parrocchiale.

Il giorno 3 settembre 1945, nuovamente si ripopola e si rianima per essere Centro Raccolta Profughi. Arrivano circa 1300 profughi dalla Slovenia (Jugoslavia) e precisamente della Diocesi di Lubiana. Sono persone di ogni età, qualcuno anche novantenne e di ogni categoria sociale, ma nella maggioranza operai e contadini. Sono con essi cinquanta Sacerdoti cattolici. Si trovano sotto la protezione e l’assistenza della Organizzazione internazionale U.N.R.A.

Il motivo della loro fuga dalla patria, è la persecuzione religiosa e politica, ingaggiata dal Comunismo, specie per opera del dittatore « Tito ». Sono tutti esemplari cattolici e per i primi 6 mesi, i 50 Sacerdoti, celebrano tutti, ogni giorno, la santa Messa, nella chiesa parrocchiale, poi adattano a cappella una baracca del Campo, ed una metà celebra lì. Istituiscono anche una scuola, o Seminario, per i loro giovani. Tale scuola viene ufficialmente riconosciuta dagli Alleati.

Alcuni di questi Sacerdoti si prestano per le confessioni e predicazione, data la conoscenza che parecchi avevano della lingua italiana, essendo delle vicinanze di Trieste e Gorizia. Il 17 novembre del 1945, S. E. Mons. Norberto Perini Arcivescovo di Fermo, si reca in visita al Centro Profughi., intrattenendosi in lunga conversazione specialmente con i 50 Sacerdoti. Dai Registri parrocchiali si nota che numerosi furono i Battesimi dei bambini sloveni qui nati, come anche i matrimoni celebrati, ma sempre tra gli sloveni medesimi.

Siamo così al 1946, ed il 24 maggio di questo anno, è ancora una volta, al Centro Profughi, S. E. Mons. Arcivescovo che, nella baracca adibita a Cappella, amministra la S. Cresima a circa 30 bambini e bambine e rivolge agli sloveni un nobile discorso, che viene simultaneamente tradotto da un loro Sacerdote, in lingua slovena. E’ doveroso notare come fra detti Sacerdoti, ve ne fossero parecchi competentissimi in musica sacra, disegno ed altre arti liberali.

Il 1 luglio 1946, lasciano Servigliano gli 800 militari polacchi, essendo terminato il loro corso di addestramento.

Anche i profughi sloveni si preparano a partire: il 24 luglio 1946, tutti, con i 50 Sacerdoti, vengono, sempre dagli Alleati, trasferiti al Campo Profughi di Senigallia (Ancona). Da qui, dopo appena un anno, come ci risulta, partono per la Repubblica Argentina, ove fondano una loro colonia; colà i Sacerdoti assistono anche i fedeli del luogo.

Un’altra volta il centro profughi rimane abbandonato e deserto. Si intuisce però che presto verranno altri « inquilini » ad abitarlo. Intanto si procede a sommarie disinfezioni e restauri, ed appena ad un anno dal trasferimento degli Sloveni, il Centro si ripopola di nuovo.

Il 20 settembre 1947, nelle baracche, restaurate alla meglio, cominciano ad affluire altri profughi. D’ora in avanti, e per quasi 8 anni, essi saranno tutti italiani, o di provincie già appartenente all’Italia!

I primi arrivati in numero di circa 300, provenivano dalla Dalmazia, Venezia Giulia, Istria, Fiume. Negli anni successivi vennero dalla Tripolitania, Etiopia, e altrove.  Tutte quelle colonie, che una volta erano sotto I’Italia, in forza del trattato di pace, dopo la seconda guerra mondiale, ritornarono ai loro vecchi padroni; perciò molti italiani, spontaneamente o costretti, rimpatriarono.

Dato che nella quasi totalità si trattava di operai e coloni, trasferiti sotto il fascismo nell’Africa orientale, ed avendo dovuto lasciare improvvisamente i modesti averi e le proprie attività, colà avviate, si riscontrava in tutti una grande miseria materiale, ma specialmente morale e religiosa. Nel Campo avevano l’assistenza dal Governo italiano, prima in natura, poi in denaro. Nel Comune avevano « anagrafe » speciale ed erano ammessi al voto, nelle varie circostanze che vi capitavano.

L’assistenza religiosa era disimpegnata da un Sacerdote, nominato da S. E. Mons. Arcivescovo, che una prima volta si recò per una visita la sera del 30 settembre 1947, inaugurando nella circostanza il servizio di altoparlanti nella Chiesa parrocchiale.

In otto anni, passarono dai 40 ai 50 mila profughi che gradatamente venivano immessi nella vita civile e nelle varie attività della nostra nazione. Fino al 1955, la vita del Centro Profughi si svolge su questa alternativa di profughi che vengono e profughi che vanno. Dai registri parrocchiali si rileva che numerosi battesimi furono amministrati ai bambini ivi nati, parecchi furono i matrimoni celebrati, fra i profughi stessi e non pochi furono, in detti anni, i deceduti, per cause diverse.

Li 11 luglio 1955, tornandovi, S. E. Mons. Arcivescovo amministra la S. Cresima ai 28 bambini dei profughi e nella loro Cappella celebra la S. Messa. In questa estate del 1955, gli «arrivi» si stanno esaurendo, mentre le «partenze » sono accelerate: il Centro si sta «sfollando» e nell’ottobre di quell’anno, esso è definitivamente vuoto, per cui venne ufficialmente chiuso.

 

PER 40 ANNI SI UDIRONO LINGUE DIVERSE

Anche il Centro Raccolta Profughi ha concluso definitivamente e speriamo per sempre, la sua attività. A noi che abbiamo visto, ed almeno spiritualmente, vissuto questa tragedia morale del Campo si impone una conclusione a queste note di cronaca.

Dai prigionieri della prima guerra mondiale (1915-1918), a quelli della successiva (1940-1944), alle migliaia di internati politici, ed agli altrettanti profughi civili stranieri ed italiani, succedutesi nel lungo arco di tempo di 40 anni, quante lingue diverse hanno udito le annose baracche; quanti sospiri e quante lacrime, nelle interminabili notti insonni, al pensiero dei parenti lontani, oltre i monti, oltre i mari, a migliaia di chilometri!

Qui si vedevano morire, senza lo sguardo e la carezza materna, sopra una nuda branda da campo, e sepolti in una fossa comune … che non era quella della propria Patria, del proprio paese nativo, ove dormivano i loro cari! «Sunt lacrimae rerum…» anche le cose piangono…!

Orgoglio … ambizione … pazzie … di Capi, portano a quella abominevole cosa che è la Guerra, inutile strage di popoli e nazioni! Tutte queste brutte cose …sono dette ai posteri dal Campo prigionieri e Profughi di Servigliano, ed insieme ad esso dai tanti e tanti altri d’Italia fino ai più tragici, più disumani, ed obbrobriosi di Europa, e del mondo in guerra…! Il mondo ha perduto la coscienza e l’idea delle leggi divine della umana fratellanza.

<1966> Scriviamo queste note e questi ricordi a 12 anni di distanza dalla chiusura definitiva di questo Campo. Le attrezzature tutte in legno, dopo 40 anni, abbandonate a se stesse, stanno subendo la sorte del tempo, che tutto distrugge. Forse presto il cumulo di dolorosi e tragici ricordi sarà tutto raso al suolo, e ritornerà a rifiorirvi la vita e l’umano lavoro. Queste cose le abbiamo volute scrivere a ricordo del passato, e ad ammaestramento dei posteri … lontani!

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