Mons. Augusto Curi, Arcivescovo di Bari,
nota gentilmente compilata da Mons. Achille Corradini.
MONS AUGUSTO CURI, Arcivescovo di Bari
Mons. Augusto Curi nacque a Servigliano, da Geremia e Virginia Graziapiena, il 15 agosto 1870. Ebbe la fortuna di essere preparato dal futuro Card. Domenico Svampa arcivescovo di Bologna, alla prima Comunione che ricevette dalle mani del Card. Amilcare Malagola, arcivescovo di Fermo, nel 1881.
Entrato nel Seminario diocesano nel novembre dello stesso anno, percorse brillantemente la via degli studi e, come Egli stesso scrisse, non ebbe mai alcuna incertezza sulla sublime realtà della sua vocazione: il 24 marzo 1894 veniva ordinato sacerdote.
Gli fu subito dato l’incarico di Cancelliere e Segretario del suo Cardinale Arcivescovo e contemporaneamente fu incaricato a reggere la parrocchia cittadina dei S.S. Cosma e Damiano. In seguito a concorso fu nominato Parroco dell’importante arcipretura di Montottone che conservò per poco tempo essendo stato eletto, con voto plebiscitario, Priore Parroco della Collegiata di S. Michele Arcangelo in Fermo. Qui profondeva tesori di sapienza e di carità, moltiplicando le opere di un fervido apostolato.
Nel 1912 fu chiamato a far parte del Capitolo Metropolitano, in qualità di Arcidiacono. Il Seminario interdiocesano lo volle insegnante di teologia morale e pastorale; sempre ammirato dagli alunni per la vastità del sapere, per la chiarezza del linguaggio, per la dolcezza e la signorilità dei modi.
Nel 1918, già ricco di meriti e di esperienza, con Bolla Pontificia del 23 dicembre, fu eletto Vescovo della Diocesi di Cagli e Pergola. Ma un campo più vasto era destinato alla sua intensa attività:’, l’Archidiocesi di Bari, dove giungeva solennemente festeggiato da autorità, clero e popolo, il 18 ottobre 1925.
Mons. Curi fu uomo e vescovo di grande cuore, sensibile, delicato, generoso. Il suo aspetto fisico, bello e signorile, la sua voce dolce e suasiva contribuivano ad affascinare e conquistare quanti lo avvicinavano.
Abbiamo già detto della vivacità del suo ingegno, della vastità della sua cultura, della profonda preparazione ai suoi compiti di Vescovo: ma la nota distintiva della sua personalità era indubbiamente l’eccellente bontà del cuore che veniva notata con immediatezza da chiunque lo conoscesse.
A Fermo ebbe attività molteplice. Riacquistati i beni della Collegiata, ne fu amministratore competente e fedele. Ripristinò e rese fiorente l’Ufficiatura, accrebbe notevolmente gli arredi sacri. Fondò una Cassa Rurale, tra le più fiorenti e provvide della Diocesi. Presenziò e animò tutte le buone iniziative; appartenne ad Istituti di Credito e ad Opere Pie. Curò i vecchi poveri, gli artigianelli, le fanciulle del popolo. Fu membro attivissimo delle conferenze di san Vincenzo de Paoli, del Consiglio delle Cucine economiche e del Consiglio dell’Unione Cooperativa, composto di cittadini di ogni partito.
Con mons. Luigi Capo tosti, poi Cardinale, con mons. Domenico Artesi e con mons. Giovanni Cicconi, fece del periodico « La Voce delle Marche » un valido mezzo per diffondere e difendere la verità, combattendo aspre battaglie in momenti molto difficili.
Percorse la Diocesi più volte, richiesto da tanti suoi confratelli per la sacra predicazione, sempre ascoltato con piacere e profitto.
In periodi critici, in situazioni scabrose, tra contrasti che sembravano implacabili, con tatto, prudenza e carità, riuscì spesso a soluzioni insperate. Durante la guerra del 1915-1918, si adoperò per infondere coraggio, suggerire rassegnazione, assistere i cittadini bisognosi. Per questo i Fermami lo ebbero caro.
Quando il 1° febbraio 1920 il suo ingresso a Cagli, fu accolto da un branco di scamiciati tra cui una donna, al canto di « Bandiera Rossa… » sopportò quella difficile giornata sorridendo e benedicendo, sicuro che avrebbe vinto il male col bene: e così fu. Vinse con le armi a cui nessuno può resistere: col fascino della sua personalità, con le parole della verità, con le opere della carità.
Ricordiamo qui solo le quattro parrocchie da Lui fondate a Cagli e la chiesa eretta in onore del S. Cuore di Gesù a Bellisio di Pergola, profondendo tanta parte del suo patrimonio. Quando dopo cinque anni si allontanò da Cagli e Pergola, il popolo piangeva.
Che cosa egli fece a Bari? Si potrebbe sintetizzare con una frase del Vangelo: « Passò facendo del bene a tutti, sanando tante piaghe… ». Fece dono inesausto ai suoi figli, non solo del tanto cammino per vederli, del tanto parlare per illuminarli, delle tante benedizioni perché vivessero in pace: fece dono ad essi dei suoi averi, vivendo da povero e povero morendo.
A Bari non fu soltanto il Vescovo zelante, ma anche il cittadino esemplare e il fervente patriota; e come ben pochi seppe armonizzare l’amore alla Chiesa e l’amore all’Italia. Consacrò le forze alla concordia cittadina, consentì con entusiasmo a tutte le iniziative per fare di Bari una delle più belle città d’Italia, sinceramente godendo di tutti i suoi progressi.
Riposano le sue spoglie mortali accanto a quelle dell’illustre predecessore Mons. Vaccaro, in quel tempio di S. Giuseppe, che i due pastori vollero eretto nel rione più nuovo e progredito della città. Monumento più bello non poteva esserci a Bari, per ricordare con devota gratitudine uno dei suoi Arcivescovi più grandi, il 93° della serie gloriosa,
morto il 28 marzo 1933.
Servigliano, che gli diede i natali, lo ricorda con ammirazione ed affetto.