Anno 968 novembre 2
Ottone sentenzia a favore del monastero di Santa Croce all’Ete e al Chienti.
(Archivio di Sant’Elpidio a Mare. M.G.H. Diplomata t. I; 1 pp. 503-505 n. 367; MARANESI, I Placiti …II, p.67 doc. 26)
Nel nome della santa ed individua Trinità. Ottone, augusto imperatore per divino favore: se restauriamo i luoghi votivi sacri e venerabili, rovinati dalle superstizioni, non dubitiamo di partecipare della mercede di coloro che sono votati a Dio. Vogliamo che sia noto a tutti i fedeli della santa Chiesa di Dio, che mentre compivamo una spedizione nella Puglia, per reintegrarla nel nostro Regno Italico, ritogliendola ai Greci, nella santa e divina Chiesa Fermana, per richiesta, sedevamo in giudizio <=placito> per attuare sufficientemente la legge e stabilirla per quelli che la reclamavano. Ecco Giovanni, abate del monastero, edificato per testamento dal vescovo Teodicio, in onore della santa Croce dalla quale siamo stati redenti, presentò gli editti emanati a loro favore dai nostri predecessori, facendo querela al presente vescovo della Chiesa Fermana, Gaidulfo, riguardo a due agglomerati fondiari curtensi (curtes) di Sant’Ilario e inoltre della Santa Resurrezione e altri beni presi per suo uso. Subito chiedemmo al vescovo perché presumesse ciò. Rispose di essere corroborato da un editto dell’imperatore Berengario. Decidemmo che si leggessero gli atti dell’uno e dell’altro e furono letti. Per ordine del predetto beato vescovo Teodicio che per primo aveva costruito questo monastero con il consenso dell’imperatore Carlo, e per ordine dell’imperatore Berengario confermato dallo stesso imperatore Carlo, nostro antecessore, si dovevano soltanto pagare dieci soldi, ogni anno, alla Chiesa Fermana. Così chiarito a noi, risultava a tutti ingiusto e contro le leggi che gli scritti concessi in epoca posteriore eccedessero quelli precedenti nel dare alla santa Chiesa Fermana ogni diritto e dominio su questo monastero di Santa Croce. Pertanto, per giudizio dei vescovi, dei conti o giudici tutti, fu distrutto il sigillo e furono strappata la pergamena <di Berengario> per mano del nostro arcicancelliere, vescovo Uberto, e di nostra autorità precettiva, abbiamo confermato e corroborato inviolabilmente quanto stabilito dal beato vescovo Teodicio e dal nostro antecessore Carlo imperatore e ciò per sempre rimanga inviolabile in perpetuo. Al predetto monastero, al suo abate e successori non sia recata alcuna iattura, né alcun servizio sia richiesto a favore della santa Chiesa Fermana, eccetto il pagamento annuale di dieci soldi e il ricevere da questa la consacrazione dell’abate dello stesso monastero e l’ordinazione dei monaci a servizio di Dio. Stabiliamo inoltre la conferma a favore di questo monastero dei beni e proprietà conferite dal vescovo Teodicio e dai nostri antecessori, cioè gli agglomerati curtensi di San Marco con metà del Porto chiamato Chienti o anche l’agglomerato curtense di San Giorgio in località detta ***** e l’agglomerato curtense di Sant’Agata di Lucilliano o il territorio di Santa Maria genitrice di Dio, in Castiglione, e l’agglomerato curtense di Santa Ilaria e quello della Santa Resurrezione con pertinenze, castelli e chiese, e la Villa chiamata Categiano e i bene mobili ed immobili appartenenti ai predetti: ville, abitazioni, campi, castelli, torri, edifici, servi e serve, coloni e colone, ‘aldi’ <=liberi> e coloni non aldi, <lavoratori> livellari, ‘cartulati’, precari, ‘prestandari’ e famigli dell’una e dell’altro sesso, masserizie, campi, vigne, prati, pascoli, selve, acque, acque, corsi d’acqua, pescagioni, saliceti, canneti, oliveti, molini, terre coltivate e non incolte, divise o indivise. L’abate e i monaci in servizio a Dio abbiano ciò in uso per il vitto e per i vestiti, lo tengano e posseggano fermamente e ne fruiscano in perpetuo, esclusa ogni contestazione di qualsiasi uomo. Se il vescovo violasse in parte grande o piccola, o se presumesse fare pretese contro questa nostra conferma, <penalità> cinque mila mancasi di oro, di cui metà alla camera imperiale e metà al predetto monastero e <il vescovo> sia deprivato di ogni potere su abati e monaci.
Confermiamo questo nostro precetto rafforzandolo con la firma di nostra mano e comandiamo sia apposto il segno del nostro anello, sigillo di Ottone invittissimo imperatore. Scrisse e pose il sigillo il cancelliere Ambrogio nelle veci dell’arcicancelliere vescovo Uberto, il 2 novembre dell’anno dell’incarnazione 968, anno ottavo dell’impero di Ottone <I> cesare piissimo. Indizione XII <ma?=VII> Fatto felicemente a Subporticu. Amen.