IL CARDINALE MIMMI
Un ricordo particolare che illuminava il volto di Don Costanzo, ogni volta che sulle ali della memoria glielo proponevano, era quello di aver salvato dalla fucilazione un uomo. Ne taceva il nome, ma evocava tutti i particolari del caso, aggiungendo quel bel passo di Sant’Agostino dove dice “Quando canti l’alleluia devi porgere il pane all’affamato, vestire l’ignudo, ospitare il forestiero. Se fai questo non è la voce che canta, ma alla voce si armonizzano le mani, in quanto alle parole seguono le opere”.
Raccontava. “Si era durante la guerra, (negli anni 1941-’43); un mio parrocchiano in servizio per la difesa della Patria, vuole coronare il suo sogno d’amore e si sposa. Ottiene la regolare licenza matrimoniale di quindici giorni, ma o l’ebrezza e la dolcezza della luna di miele, o il terrore di tornare in guerra, fatto sta che rimase a casa un mese. Un giorno si presentano i Carabinieri, lo prelevano e in men che non si dica viene processato come disertore.
Le leggi di guerra sono ferree. Dovrà essere fucilato. Appena la moglie lo sa, si dispera; il suo uomo, doveva morire e solo per aver prolungato la stagione d’amore. Disperata, con i capelli scarmigliati, corre urlando da Don Costanzo. “Me lo devi salvare, me lo devi salvare, se no mi ammazzo”. Povero marito mio, povera me”.
Don Costanzo burbero, ma benefico, ne fu commosso. La donna insisteva, urlava, lo abbracciava ripetendo: “Don Costanzo me lo devi salvare. Tu solo lo puoi”. E lo stringeva a sé, quasi per costringerlo a fare…la grazia. Don Costanzo non sapeva come districarsi da quelle strette… Un po’ abbracciò anche lui, ma poi ebbe il sopravvento il pensiero della sua missione sacerdotale. Promise che avrebbe fatto del tutto. La donna asciugandosi le lacrime, pur fra i singhiozzi, tornò a casa.
Don Costanzo ebbe un lampo di genio. Il suo parrocchiano doveva essere giudicato dal Tribunale Militare di Bari. Andò in chiesa e si prostrò davanti al Santissimo; invocò lo Spirito Santo.
Dicevo che era parroco a modo suo, originale e talvolta fantasioso, ma spesso ricordava il passo di San Paolo: “ Cercate le cose del cielo. Abbiate sapore delle cose del cielo” lo diceva spesso.
Mentre era in preghiera, ebbe un’illuminazione. Si alzò di scatto, prese penna e scrisse: “Eminenza Reverendissima,
il suo cognome è Mimmi, ma io vorrei parafrasarlo in Mamma. Un mio parrocchiano “ e … con grafia nitida e decisa raccontò il fatto al Cardinale Mimmi, che era arcivescovo di Bari (dal 1933 al 1952, poi cardinale nel 1953, dieci anni dopo questo fatto).
Si commosse tanto e alla fine qualche lacrima cadde sul foglio bianco immacolato intestato “Parrocchia de’ Santi, Simone e Giuda” di Torchiaro. Ripensò alla battuta: “Ho due santi sempre spicci che fanno le grazie a chiunque le chiede, perché nessuno ce li sa”.
Stavolta la grazia era forse al di sopra delle possibilità dei due Santi così per un momento pensò Don Costanzo, ma poi dentro di sé, rigettò quel pensiero come se fosse stata una sfiducia verso i protettori della sua Torchiaro. Portò la lettera davanti alle statue di San Simone e Giuda, quasi per scusarsi, o discolparsi della momentanea interruzione di fiducia nei loro confronti. Si recò personalmente nella città vicina per spedire la lettera raccomandata. La lettera viaggiò per Bari. Ci furono giorni di trepida attesa.
Un bombardamento alleato ad un treno fece pensare che forse non sarebbe mai arrivata, forse era andata distrutta… Don Costanzo, il burbero bizzarro, quasi si disperava, quando un giorno eccoti il postino con una lettera raccomandata nel cui retro si scorgeva uno stemma che sembrava cardinalizio, con un cappello rosso contornato da molti fiocchi. (… da metropolita) Una bella busta così a Torchiaro non s’era mai vista. Era il cardinale Mimmi, che rispondeva. Nel retro della busta c’era il suo stemma. Come si vede, Don Costanzo l’aveva “promosso” cardinale dieci anni prima della creazione pontificia…
Firmato per ricevuta e consegnata la lettera, che aveva meravigliato non poco il postino, questi indugiava e non aveva intenzione di andarsene. La curiosità lo tratteneva.
Voleva appagare il suo desiderio, la sua bramosia di conoscere, di sapere. Don Costanzo gli offrì un bicchierino e diplomaticamente lo congedò; appena uscì e fu chiusa la porta, Don Costanzo chiamò le sue perpetue … ”Una di voi vada a chiamare La..” “Che je’ devo di?” chiese subito Pasqualina, ma il curato al pari di Don Abbondio, disse e non disse … Tutti sapevano in paese della vicenda dello sposo novello ed in un momento si sparse in paese la nuova che era stato fucilato. Scarmigliata, terrea in volto, come un razzo giunse a casa del parroco la moglie del suddetto.
Don Costanzo nel frattempo aveva letto e si era commosso. Al vederlo così, la giovane sposina gridò subito: “L’hanno ammazzato quei porci” e, quasi per aggrapparsi ad uno scoglio di salvezza, abbracciò Don Costanzo. L’emozione e la commozione erano al superlativo assoluto. Lei piangeva di disperazione, Don Costanzo di commozione e nell’onda delle opposte emozioni non riusciva a spiegarsi. Ripresosi, urlò con quanta voce aveva: ”Ma che piangi, che urli; è salvo, è vivo”. Peppina e Pasqualina che assistevano alla scena piangevano anch’esse, ma non sapevano, se di gioia o di commozione.
Don Costanzo mostrò la lettera. Lesse con il cuore in gola. Il marito era salvo, era vivo, anzi sarebbe tornato per una breve licenza prima di recarsi al fronte. L’accostamento, quasi omonimia “Mimmi, Mamma” aveva fatto un certo effetto. Immediatamente si sparse la nuova in paese; tutti accorsero a casa di Don Costanzo. La signora non cessava di piangere, ma si vedeva che erano lacrime di gioia piena. Il postino spiegava che era merito suo aver portato la lettera con i fiocchi rossi. Quasi quasi era stato lui a salvare dalla fucilazione quell’uomo! Quando Don Costanzo raccontava il fatto si esaltava e declamava così: “ Era tanta la mia gioia, ma tanta la mia preoccupazione delle moglie che si appoggiava su di me disperatamente.”
Inutile dire che in giro si sparse subito la notizia. Poi a Torchiaro fu un accorrere di gente per ottenere i più impensati favori. Chi chiedeva il ritorno del marito dalla prigionia; chi di avere notizie di un congiunto disperso in Russia; chi lo invitava a scrivere a qualche vescovo o cardinale dell’Australia, perché o marito o figlio o cognato erano prigionieri in quel continente e da tempo non scrivevano più.
Per qualcuno la cosa andò bene. Non sapeva l’inglese, ma con il suo latino Don Costanzo ottenne miracoli di riattivazione della corrispondenza; ed anche tra fidanzati divisi dal Moloch della guerra. Anzi, finita la prigionia e tornata la pace, molti fidanzati l’uno là prigioniero, l’altra qui, vollero che il loro matrimonio fosse benedetto da Don Costanzo.
I suoi interventi, o presso la Croce Rossa, soprattutto grazie ad interessamenti episcopali salvarono o ricongiunsero molti. Pensate che riuscì a far cercare un prigioniero, suo parrocchiano colonnello dell’esercito, che si chiamava DEL PAPA. Non si sa bene, se il vescovo australiano interpretasse quel Del Papa, scambiandolo forse con un parente del Santo Padre; fatto sta che la sua visita al campo di concentramento fu provvidenziale e miracolosa, perché quel paesano colonnello passava proprio in quel periodo un brutto momento di sconforto e di abbattimento.
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Un ricordo che lo adirava era il seguente. Un giorno si presentò una signorina forestiera, che sprizzava vitalità da tutti i pori. Chiese di potersi confessare; Don Costanzo era lieto di offrire il suo ministero e non si fece pregare, anzi ringraziò il Signore che gli offriva un’occasione di far del bene. La serie di peccati era lunga, dettagliata, circostanziata precisa. “Questa sì che è una buona confessione pensava il curato”… Ma quando uscì dal confessionale e fece un giro di ricognizione nella chiesa, non tardò ad accorgersi che tutte le cassette delle elemosine erano state vuotate con ladresca maestria. Ecco perché ogni tanto la signorina tossiva o si soffiava forte il naso. Erano segnali o coperture per lo scassinatore!
Questa truffa gli rimase per molto tempo come un magone sullo stomaco. “Che tempi! Che gioventù ci vengono incontro” esclamava severo. “Che tempi, che gioventù” facevano immediata eco Peppina e Pasqualina.
Le due erano l’ombra di Don Costanzo e non dissentivano mai dalle sue considerazioni; lo ricolmavano di cure, sembravano non stancarsi mai, né adombrarsi di fronte alle prove quotidiane, ai rimproveri. Zappavano l’orto; seminavano; allevavano galline, conigli, rammendavano, stiravano, badavano alla sacrestia, accompagnavano il coro nel canto domenicale e nelle messe da morto. Il tutto con un impegno costante; ci mettevano tutte se stesse, sempre ossequenti.
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Peppina e Pasqualina ebbero il loro momento curioso di gloria rendendosi protagoniste di un “comunicato stampa” per conto di Peppe il macellaio ed ecco come. Subito dopo la festa patronale dei santi Simone e Giuda Taddeo che cade il 28 ottobre (data fatidica nei tempi passati), il curato si era recato per un breve periodo di riposo dagli Agostiniani nella vicina Fermo. Sarebbe tornato per il primo novembre Festa di tutti i Santi; il due novembre, si sarebbe recato con le Confraternite al Camposanto.
Al mattino del 30 ottobre, bussava trafelato alla porta della parrocchia Peppe il macellaio del paese. Doveva comunicare alla clientela che la macelleria restava chiusa il primo novembre ed aperta il due.
Peppe aveva frequentato sì e no le scuole elementari e per essere sicuro della ortografia del comunicato chiedeva “lumi” a Don Costanzo. Ma non lo trovò. Peppina e Pasqualina cercarono di provvedere loro e così dalla spremuta concentrica dei cervelli delle tre P: Peppina, Pasqualina e Peppe, si cercò di “sopperire alla bisogna” ma non veniva fuori granché. Pasqualina, che da piccola era stata presso le Suore, ebbe però una repentina “illuminazione”. Andò nella scrivania di Don Costanzo prese la carta intestata della Parrocchia, la girò e trionfante, scrisse a stampatello:
“ AVVISO AI CLIENTI
LA MACELLERIA RESTA CHIUSA PER I SANTI
E APERTA PER I MORTI.”
Anche Peppina volle avere il suo momento di protagonista. Fece subito notare che i Santi doveva essere scritto con la maiuscola e i morti pure… Cosa che fu attuata nell’ “edizione definitiva”.
Don Costanzo tornato dalle “ferie spirituali”, vide il manifestino e sorrise di gusto, proprio perché era quanto mai originale e aveva attirato tanti sguardi e suscitato battute ironiche.
IL PRESEPIO, … IL MORTO
La compagnia del curato era distensiva, simpatica; alcune sue trovate evidenziavano una fantasia inesauribile, come quella volta che ne fece una cosa sorprendente a Natale.
All’approssimarsi di questa festività, gli alunni erano investiti da un sentimento di gioiosa attesa… Tutti dovevano raccogliere il musco e portarlo al parroco, che allestiva il presepe in chiesa; questa era la tradizione, guai a non rispettarla!
Grande però fu la mia sorpresa, quando un lunedì, rientrando a scuola, trovai sulla cattedra uno scatolone contenente malconce statuine del presepe.
Un alunno mi trasmise subito il categorico messaggio del curato; bisognava aggiustarle tutte. Incominciai a tirarne fuori qualcuna, ma…all’angelo mancava un’ala, al Bambinello una manina benedicente ed un piedino, allo zampognaro s’era staccata la zampogna…
La testa cominciò a ronzarmi; non ero proprio fatto per quel lavoro… come uscirne fuori? Che giustificazione addurre?
Per fortuna l’ingegnosità, la creatività, l’operatività degli alunni mi furono di grande aiuto e così, per nostra pace, ma soprattutto per la gioia del curato, portammo a termine i restauri…
In men che si dica, il presepe fu allestito… e poi non tanto male; montagne, valli, fiumi, laghi… un vero paese! Aggiungiamo, però, che non mancò un allagamento del pavimento della chiesa, dovuto allo straripamento del fiume e del lago del presepe, una domenica sera, quando Peppina si dimenticò di chiudere il rubinetto che alimentava il fiume e il lago …
Tutta la gente, lì in chiesa davanti al presepe, viveva momenti d’incanto; tutti sembravano presi da un immenso entusiasmo, perché il curato presentava ad una ad una le statuine come fossero persone conosciute; la gente si faceva il segno della croce, baciava il Bambinello come fosse di carne vera!
Nell’archivio del mio cuore, quell’atmosfera suggestiva, colma di semplice, autentica umanità, di quella folla raccolta, profondamente unita nell’intensa esperienza religiosa, spesso ritorna con suoni e voci… Già: nel cuore nessun luogo è lontano; il ricordo è sempre vivo; non è schiavo del tempo e dello spazio!
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L’inverno intanto si faceva sentire; non mancavano i grandi fuochi con ciocchi di quercia, o di castagno per chi poteva permetterseli, anche fuochi con semplici sterpi o rovi, raccolti qua e là, uno dopo l’altro lungo le siepi e i greppi. “I poveri si scaldano con poco, si scaldano con l’amore divino”, soleva ripetere il buon Don Costanzo (qualche parrocchiano era molto devoto a Bacco, e “di.vino” assumeva un duplice, birichino significato).
Ma quando la neve scese con eccessiva abbondanza, il paese rimase isolato, privo di comunicazioni; occorrevano medicinali, coperte, viveri… La situazione era diventata grave; bisognava chiedere l’intervento del Prefetto… Per comunicare con gli uffici provinciali, necessitava però raggiungere un centro vicino più grande; a Torchiaro non c’erano né l’ufficio postale, né quello telegrafico. Don Costanzo chiamò a consiglio le menti pensanti del paese; le due perpetue Peppina e Pasqualina, il mezzo sacrestano Quarantò, Pilluccu, Cucciulì e… anche me. Fu deciso che solo lui, con la sua antica e forte auto Balilla poteva affrontare tale difficile percorso.
Fu una vera odissea. L’auto rimessa sotto un fatiscente capanno, era diventata l’abitazione momentanea di galline, pollastre, galli ed oche… Le due perpetue, furono incaricate di trasferire i gallinacei; qualche forzuto del luogo ed io con i miei alunni, dovevamo essere pronti a spingere. Il freddo era intenso e la scassata auto non partiva; fu inondata di acqua bollente per riscaldarla, ma niente da fare; occorreva spingere…
Chiamai quei pochi alunni che, nonostante la neve, avevano raggiunto la scuola ed unito a loro spingemmo quella benedetta carcassa; “Dai! dai, spingi!”… All’improvviso, la macchina partì, scattò veloce, trascinando a terra, sulla neve, le due perpetue che si erano unite alla turba per maggior forza.
Don Costanzo raggiunse il paese vicino; fu spedito un vibrante telegramma; “ S.O.S. Torchiaro isolata, urgono: viveri, medicinali, coperte!”. L’allarme ebbe effetto immediato; dopo un solo giorno l’elicottero, ripetutamente, sorvolò il paese, lanciando viveri, medicinali, coperte… una vera manna esattamente come aveva chiesto il furbo parroco.
Alla vista di quel ben di Dio non mancarono motti, detti, ed esclamazioni. Ognuno sentenziava la sua “È vero! Bussate e vi sarà aperto”. “Volere è potere”. “È meglio andare, che cento ‘andremo”. “Necessità aguzza l’ingegno”. “A chi nulla tenta nulla riesce”. “Dove voglia è pronta anche le gambe sono leggere”. “L’ingegno è il capitale dei poveri!”.
In realtà questa gente semplice, esprimeva sinteticamente tutta una cultura popolare sulle grandi potenzialità umane, che però per venire alla luce richiedono volontà, impegno, coraggio, entusiasmo, spirito d’iniziativa. Feci tesoro di questa lezione di saggezza, di fiducia nella vita; la interiorizzai. La vita spesso insegna più dei libri.
Occorreva tuttavia ringraziare il Prefetto, che aveva mandato l’elicottero. Fui impegnato in prima persona. “Maestro, adesso tocca a te!” Capii l’antifona e mi accinsi a stilare la lettera di ringraziamento, ovviamente a nome di Don Costanzo e dei paesani. Scrissi una sentita lettera. Don Costanzo approvò con grande lode. Egli stesso volle consegnarla personalmente al Prefetto. Già, dimenticavo di precisare che questo buon curato trovava tempo per moltissimi impegni.
Conosceva bene gli animi, le miserie umane ed intelligentemente evitava certe bigotterie, o regole imposte dall’antica usanza. Voleva andare incontro a tutti, accettare tutti, buoni e peccatori, calmi o tumultuosi. Era fratello, padre, consigliere, farmacista, notaio, legale a seconda delle necessità. Quando una tremenda grandinata devastò il frutto del lavoro di un intero anno di molti parrocchiani, lo vidi piangere. Così come sapeva gioire intensamente del clima festoso di un matrimonio, di una nuova creatura che veniva al mondo, della prima comunione dei bambini, soffriva con chi soffrisse.
Ma torniamo al suo impegno di recarsi al capoluogo di provincia per ringraziare della solidarietà ricevuta nell’emergenza neve. Quel viaggio rimarrà proprio nella storia, perché parte di esso il curato lo fece a bordo di un carro funebre. Ecco come. Nell’andata, tutto bene! Congratulazioni e complimenti del Prefetto per la bella lettera. Tanta la gioia di Don Costanzo. In quell’occasione fece bella figura… Tutta la Prefettura di Ascoli P. volle conoscere quel simpatico curato.
Il ritorno da Ascoli si prospettò difficile, anzi difficilissimo. La neve cominciò a cadere come mai si era visto negli ultimi cinquant’anni. Un taxi, chiamato per riportare Don Costanzo a Torchiaro, nonostante un prospettato doppio pagamento, non volle cimentarsi. Il cammino era lungo ed neanche con le catene si aveva un certo affidamento. Il curato aveva premura di ritornare a Torchiaro…
Entrò in una chiesa: si stava celebrando un funerale. Quando vide che il carro funebre era targato Ancona; Don Costanzo ebbe un lampo di genio. “Dovrà ripassare per l’Adriatica” pensò; tanto disse e tanto fece, che convinse l’autista e l’aiutante; ma non trovandosi altra soluzione poteva solo venir issato a bordo … al posto della salma, portata pochi minuti prima all’eterna dimora. Accettò.
L’autista, e l’aiutante non avevano opposto rifiuto alla richiesta della sistemazione; Don Costanzo era piuttosto grosso. Il suo peso unito a quello degli autisti avrebbe fatto aderire maggiormente le gomme e le catene sulla neve. Il che era positivo!
Ma qualcuno, lungo il tragitto si accorse del “defunto-vivo”. Anche se coperto dal mantello nero, ogni tanto Don Costanzo si muoveva. Misericordia! Un morto risuscitato! Se lo telefonarono l’un l’altro. Si chiamò la Polizia. Ma, con quel tempo, chi poteva muoversi? Arrivati vicino al fiume Aso, fecero una sosta; gli autisti scesero, scese pure il “morto” e andarono al bar. Delle bollenti chine calde, fecero risuscitare i vivi e il “morto”.
Sorbite le bevande, con disinvoltura e naturalezza il “morto” tornò nel suo “loculo” senza farsi notare e i suoi guidatori nell’abitacolo. La macchina procedeva a velocità moderata. Ma presso il fiume Ete il carro funebre dovette fermarsi per il fatto che un incidente aveva bloccato la strada. Indaffarate e incappucciate, diverse persone erano lì all’aperto. Molti, incuriositi, si avvicinarono allo pseudo-morto. Qualcuno si fece il segno della croce. Don Costanzo fece scongiuri. Il giorno dopo lo seppero in Prefettura e risero di cuore. o stesso Prefetto rideva sotto i baffi, dignitosamente, elegantemente.
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Dopo questo viaggio però, Don Costanzo forse per il freddo, forse per un virus influenzale si ammalò. Inutile esprimere le angosce delle perpetue; Peppina e Pasqualina che si alternavano con impiastri, mattoni caldi, infusi per la tosse, trabiccoli fumanti; anche i paesani manifestavano la loro generosità. Chi poteva, portava: pecorino profumato, ricotta, uova, ciambelle fatte in casa, conigli, polli ruspanti.
A dire il vero, in quel periodo io stetti bene. Dato il fatto che il curato non aveva molto appetito, mi invitava spesso, perché con la mia voglia di mangiare lo contagiassi.
Dopo un po’ di tempo, sul lindo, grazioso paesino si abbatteva la falce della morte. Tra i più assidui parrocchiani che si erano recati a visitare Don Costanzo c’era stato anche Cucciulì, minato già da una grave malattia, ma dotato di gran voglia di vivere. Pareva non fosse nulla, ma dopo cinque o sei giorni di febbre altissima stava per andarsene. Cucciulì viveva in campagna, vennero a chiamare Don Costanzo per gli ultimi sacramenti. Io lo accompagnai con la mia Fiat 600, che nel frattempo, grazie allo stipendio, aveva sostituito la mia Vespa. Salimmo le scale, si parlò del più e del meno, Cucciulì si confessò. Era piuttosto sereno, ben conscio di dover morire “Don Costanzo, non ci vedremo più; stavolta l’ora della chiamata è vicina”.
“Beato te che andrai a cena con il Signore” rispose Don Costanzo e Cucciulì dal letto di morte, con arguzia contadinesca gli chiese: “Curato, non potresti venire anche tu alla cena con il Signore?” – “Io la sera non faccio cena, prendo solo una tazza di latte” fu la risposta pronta. Era tanta la confidenza e la cordialità che, moribondo e curato, scherzavano anche nell’ora tragica e suprema del trapasso.
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C’è da considerare che quando la morte bussava prematuramente a qualche porta, o qualcuno soffriva, Don Costanzo era sempre presente a condividere pianto, preoccupazioni, disavventure.
A proposito di dolore, spesso l’ho sentito narrare questa leggenda, che amo tantissimo e che a mia volta ho raccontato ad altri, compresi gli alunni.
\ In Paradiso c’era uno spirito bello e felice, ma fece uno sbaglio e fu scacciato temporaneamente dall’Angelo del Signore. Mentre usciva, lacrimante, dal luogo beato, l’Angelo gli disse: “Potrai varcare di nuovo questa porta, solo se porterai un dono straordinario, gradito a Dio. Solo allora sarai perdonato”.
Lo spirito fu subito rassicurato da tale promessa e prontamente iniziò a pensare… e disse: “Se io mi riempissi di luce?” Volò tra gli spazi, rapì i raggi alle stelle più luminose, alla luna e si vestì di tanto splendore, poi raggiante si ripresentò alla porta del cielo.
Ma l’Angelo così gli rispose: “Attraverso quel folgorio di luci la tua macchia appare ancora più vistosa”. Lo spirito triste piegò il volto a terra e ripartì.
Nell’aria brillava primavera, freschi fiori sbocciavano odorosi e profumati! Ne colse di belli, si adornò la fronte, il collo, le vesti e salì di nuovo per entrare nel Regno. Ma anche questa volta fu respinto, perché il profumo dei fiori non copriva il disgusto della sua colpa.
Lo spirito allora cercò nelle profondità del mare e raccolse pietre preziose. Ma quelle ricchezze furono ugualmente rifiutate, perché non coprivano completamente la sua povertà.
Lo spirito era veramente desolato: cosa portare? Ad un certo momento vide un figlio brutale percuotere sua madre e questa piangere, piangere lacrime amare.
Lo spirito raccolse quelle lacrime con rispetto dentro “il calice” di un fiore e risalì verso la porta dove l’Angelo lo stava aspettando e subito gli domandò: “Cosa porti questa volta?” Mostrò il calice ed esclamò: “Le lacrime del dolore”.
Allora l’Angelo spalancò la porta, chinò il capo in segno di riverenza e disse: “Entra, al dolore Dio apre sempre la porta del Paradiso”. \
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Don Costanzo soffriva, ma non piegava mai la testa; così come non voleva né accortezze ingannevoli né falsità. Se qualcuno del luogo si faceva onore era felicissimo, ma ripeteva al fortunato: “Quando sali tutti spingono su, ma se scendi tutti spingono in giù e ti fanno precipitare sempre più in basso…”
Anticipando i tempi, commentando qualche articolo di giornale soleva ripetere “Il consumismo a forza di consumare consumerà pure le idee e ci ritroveremo tra tanti pappagalli o tra tante pecore…”
La presentazione però, che non dimenticherò mai, fu quella di un vedovo. Guardandomi al di sopra degli occhiali ed ammiccando un po’ disse: “Vedi, quello è un condannato, che inaspettatamente ha ricevuto la grazia”. In una frase sintetizzava la storia di una vita.
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Don Costanzo aveva occhio di lince e non sbagliava quasi mai sull’identità della persona.
Torchiaro, o meglio la sua chiesa, qualche volta, veniva scelta da coppie riparatrici per celebrare il matrimonio.
Raccontava spesso, con risate capaci di rimettere a nuovo una persona, il seguente avvenimento.
Dopo la cerimonia, un giovane sposo gli chiede: ”Padre, quanto debbo per la benedizione delle nozze?”.
“Ragazzo mio, non c’è tariffa, mi dia un’offerta in rapporto alla bellezza della sposa!”.
Senza pensarci due volte, quel giovane diede a Don Costanzo mille lire.
Il parroco guardò attentamente lo sposo poi frugando in tasca, tirò fuori cinquecento lire di resto. Ogni commento a questo punto è inutile.
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Non sopportava la preghiera a “spizzichi” o “interessata”, fatta cioè di tante candele accese.
Accusava allora la superstizione, la paura, la necessità. Diceva che era una preghiera troppo facile, comoda… ma scomoda per lui, che doveva provvedere all’acquisto continuo di candele, soprattutto in periodi di scrutini e di esami. Molte mamme del luogo infatti, accendevano candele davanti alla Madonna, o Santi particolari, perché l’anno scolastico si concludesse nel migliore dei modi. Quel gesto le rassicurava, forse le faceva sentire meno sole nell’attesa.