GIULIO CESARE, NAPOLEONE, IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA …
Con i bambini ci sapeva proprio fare, ma a modo suo li sapeva anche correggere, come quella volta che sotto al camino, nel cestino della Befana, appeso alla catena, fece porre per un “vivace Pierino” le “cacarozze” del somaro. Era solito dire che quel birbantello era venuto dal cielo, ma in un giorno di forte temporale.
Insegnava il gioco delle noci, o quello dei bottoni, che spesso furtivamente venivano staccati dalle federe messe ad asciugare dalle mamme. Anche i siluri, le fionde andavano alla grande e spesso gli obiettivi malcapitati erano, talora, sì uccelli, ma più spesso donne intente a lavare i panni o curve per tagliare erba per mucche e conigli.
La metodologia pedagogica del buon parroco creava in me, fresco di studi classici, (ma non ancora di pedagogia), curiosità, stima e anche un po’ di imitazione. Imparai subito le ragioni del bambino che frequenta la scuola, la necessità di coinvolgere le famiglie per ottenere risultati positivi; imparai soprattutto la vera finalità dell’educazione: garantire ai fanciulli di diventare adulti, di crescere nell’ampiezza della loro umanità, sostanziando la loro libertà, tutelando la creatività, potenziando la responsabilità e la partecipazione alla vita sociale e quindi alla storia del proprio paese, attivando ed organizzando il pensiero e l’azione intelligente, interrogando criticamente la realtà.
Incominciai ad essere entusiasta del progetto educativo: ogni giornata scolastica si apriva con impegno e laboriosità.
Don Costanzo mi osservava con occhi e cuore, seguiva con simpatia il mio lavoro e qualche volta addirittura era un secondo insegnante di sostegno, promuovendo un’eccellente apertura mentale e favorendo l’acquisizione di quadri concettuali fondamentali.
Quante volte, in sacrestia, mentre indossava i paramenti sacri, coinvolgeva i chierichetti nel ripasso delle tabelline; quant’altre volte dal ritorno d’un funerale, lungo il percorso cimitero-paese, affrontava il concetto di estensione, di lunghezza, larghezza, valore o peso!
Per non dire poi tutte le volte che fermava sul palmo della mano maggiolini, farfalle, formiche, ragni e con la competenza di uno scienziato rispondeva ai “come” ai “perché” ai “quando” dei fanciulli, che gli stavano intorno come moscerini intorno al grappolo d’uva.
Era anche il mio difensore; qualche volta infatti c’era un compito di troppo e gli alunni si lamentavano del lavoro e del sacrificio richiesto; mi difese con vigore anche quella volta che due contadini volevano il “risarcimento danni”, perché alcuni alunni avevano rovinato le loro botti. Le cose andarono così: in classe si parlò con fervore di Attilio Regolo, ucciso dai Cartaginesi nella famosa botte irta di chiodi e fatta rotolare.
Nelle campagne si stava preparando per la vendemmia: le botti messe al sole tentarono alcuni bambini che, imbottitile di sacchi di canapa, in due di esse, infilarono due volontari e giù… per la piccola discesa… gridando: “Viva Attilio Regolo! Viva i Romani!”.
La cosa più buffa però si ebbe, quando per far ricordare agli alunni la morte di Giulio Cesare, pensai ad uno stratagemma. Mi recai in tipografia e comprai manifesti listati a lutto; poi a caratteri cubitali scrissi:
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|” Oggi, 15 marzo CAIO GIULIO CESARE il conquistatore della Gallia |rendeva l’anima ai numi, trafitto da 22 pugnalate. |Ne danno il triste annuncio i suoi legionari e i Veterani delle guerre combattute sotto il suo comando |Roma, 15 marzo \ 44 avanti Cristo|” |_________________
|Colpito dal sicario Bruto è spirato oggi trafitto da pugnale CAIO GIULIO CESARE ||Ne danno il triste annunzio la moglie Calpurnia e i famigliari |Roma, idi di marzo \ 44 avanti Cristo\ |_______________
|Il grande condottiero GIULIO CESARE non è più coòito da pugnale traditore, il vincitore dei Galli, |il dittatore romano, è ora con gli dei. Lo piangono i suoi legionari, |i Romani e tutta la popolazione dell’Impero di Roma. Idi di marzo \44 a. C.\ |______________________________________________________________________________
Furono appesi lungo la scalinata che conduceva all’aula e lungo l’atrio, cioè la piazzetta.
Il gruppo classe fu entusiasta della cosa; addirittura si drammatizzò la scena con Bruto e Cesare e fu spettatore anche Don Costanzo, che pieno di gioia lodò gli alunni per l’interpretazione e si congratulò molto con me; apprezzava il coinvolgimento emotivo, la riflessione critica, le modalità finalizzate all’acquisizione di contenuti storici, nonché il tirocinio dell’azione. Apprezzò di meno, in verità, il disturbo che i manifesti gli avevano arrecato perché, in un battibaleno l’affissione aveva richiamato l’occhio di qualcuno, che, sapendo poco o niente della storia, voleva spiegazione, da parte del curato, sul morto, sulle pugnalate, sul luogo, sulla data del funerale…
Ed il curato, alzando le braccia in alto commentava “Beata inventiva del maestro”, ma rideva sotto i baffi, perché sapeva che quelle piccole, innocue, semplici trovate donavano sapere, voglia di conoscere, capacità di ricordare con interesse.
La vita scolastica, praticamente, attirava lo sguardo di tutto il paesino; era un po’ come l’odierna televisione, ma mentre questa spesso aumenta la solitudine delle persone, la nostra avventura scolastica le toccava dentro, anche se in modo semplice, curioso.
Giustamente è stato scritto “La pianta uomo si nutre anche attraverso quelle radici che hanno il nome di scuola”.
In realtà le memorie, soprattutto quelle storiche sono strettamente connesse col futuro, con l’avvenire.
Il 21 aprile fu caratterizzato da un bel fiocco rosa appeso sulla porta della scuola. Ohh?! “Il maestro aveva avuto una bambina, una figlia? Ma non era scapolo”? – “Aveva combinato in fretta e fuga un matrimonio?” “Con chi?”.
Questi ed altri interrogativi passarono di bocca in bocca, di finestra in finestra… ma all’uscita di scuola furono gli stessi alunni a svelare il mistero. Quel fiocco ricordava la nascita di Roma; il maestro l’aveva appeso proprio perché qualche bambino l’aveva dimenticata e durante la verifica di storia quella data importante era stata tralasciata.
Lo stesso fiocco servì, dopo pochi giorni, ad annunciare la nascita di una bambina, sorella di una alunna ed a creare questa graziosa abitudine in paese.
Il 5 maggio, furono gli stessi fanciulli ad ideare qualcosa per Napoleone e poiché i manifesti funebri di Giulio Cesare avevano creato tanto scalpore, vollero ripetere la cosa per divertirsi un po’ alle spalle degli ignari paesani.
Scrivemmo nei manifesti funebri la data 5 maggio 1821 — Napoleone Buonaparte si spegneva nell’isola di Sant’Elena in pieno oceano Atlantico.\ In un manifesto scrivemmo che davano il triste annunzio i suoi soldati combattenti dal Manzanarre al Reno. \ In altro manifesto erano i francesi costernati per l’annuncio perché l’Uomo fatale rendeva l’anima al Dio che atterra e suscita. \ In un terzo annuncio erano gli abitanti dell’isola di sant’Elena che annunciavano questa morte.\
Dopo pochi giorni dalla “morte” di Napoleone, venne in visita alle scuole, il Direttore Didattico.
I manifesti erano ancora affissi alle mura del paesello. Sulle prime, non qualificandosi domandò a dei passanti chi fosse quel Napoleone dei manifesti.
Il primo incontrato era un forestiero e non seppe dare informa zioni sufficienti. Ma intervennero subito Righetto, Pilluccu e Quarantò, che illustrarono con dovizia di particolari: vita, morte e miracoli di Napoleone, e poi nella foga della narrazione parlarono anche di Giulio Cesare, di Calpurnia, di Bruto e di… 20 pugnalate. Ma Pilluccu aveva sbagliato: non 20 ma 22. Glielo fece osservare Righetto, davanti al Direttore stupito per tali conoscenze storiche. Pilluccu però sempre pronto: “20 più IGE fa 22”. L’IVA non era ancora di moda! Tutti risero di cuore.
Il Direttore chiese dove fosse l’edificio scolastico, dicendo di essere un conoscente del maestro; subito scortato dal trio Pilluccu-Righetto-Quarantò, raggiunse la scuola.
Era un direttore di poche parole, ma appena mi vide, “Caro Maestro – disse – ho visto, ho letto, ho ammirato. Bravo! Ora si può dire che a Torchiaro si conosce Giulio Cesare ed il De Bello Gallico meglio che in qualche liceo di città. Ne sono lieto per lei perché…”.
Ma non potè finire, perché il quel preciso momento, panciuto e raggiante entrò Don Costanzo.
Le iniziative del maestro trovarono ampi consensi; il direttore didattico e Don Costanzo approvarono pienamente quell’originale modo di insegnare.
Anzi, il parroco, per dare più forza al suo pensiero, esclamò una frase latina di Orazio (C. III. 30 “Sume superbiam quaesitam meritis”) esaltando il meritato orgoglio per il successo cercato.
Il Direttore con la scusa di aver dimenticato il latino si fece tradurre il passo “Sii, fiero per tali meritate realizzazioni” sentenziò Don Costanzo. La conversazione si protrasse per un bel po’ ed alla fine andammo a pranzo invitati a casa del curato, espressamente da lui.
Pranzo paesano, genuino, preparato con tanta pazienza dalle perpetue instancabili ed innaffiato con un vino, che faceva risuscitare pure i morti; un vino cotto, squisito, che il curato, senza troppi pudori espressivi definì “pisciato fresco dagli angeli”.
Durante il pranzo, il parroco non fece che tessere le mie lodi come insegnante, ritornando, (e lo faceva con tutti gli ospiti di riguardo, come suo solito), all’avvenimento straordinario del quale eravamo stati entrambi protagonisti, anche se con differenti ruoli.
Appena giunto capii che in paese, un grave problema da risolvere era la costruzione di un edificio scolastico, modesto sì, ma igienicamente idoneo ad accogliere i fanciulli del paese.
La venuta del Presidente della Repubblica a Fermo per il Centenario dell’Istituto Industriale, mi fece balenare l’idea di una “supplica” o “petizione particolare”; ma chi poteva essere il “messaggero”? La stessa idea nacque nella mente del curato; non c’erano difficoltà, egli stesso sarebbe stato latore della lettera.
Mi esortò a rispolverare la mia cultura umanistica e a preparare una lettera che arrivasse, come diceva Don Bosco “a quella corda sensibile del cuore”; stavolta del Presidente della Repubblica e la facesse vibrare in tutta la sua generosità.
Ricordo che mi rifeci alla cultura, che oggi chiameremmo di promozione umana, la cultura dei valori, per terminare con un’espressione alquanto significativa: “non si può insegnare la bellezza del Creato e delle stelle in locali che sono stalle”.
Arrivò il fatidico giorno! A Fermo: fanfare, bandiere al vento, soldati, autorità… uno splendido sole faceva da sfondo e cornice ad un fermento mai registrato. Il Presidente Gronchi, scortato oltre misura, si apprestava a salire sulla loggetta sottostante la statua di Sisto V, nel Palazzo dei Priori.
Don Costanzo intanto, riconosciuto dal primo cordone di guardie (erano locali), avanzava… Riuscì a superare altra folla accalcata; altro cordone di sicurezza; la veste talare non faceva certo il prete, ma lo indicava e, grazie ad essa, molti lo lasciavano passare … Era ai piedi della scalinata, che conduceva alla loggia dalla quale il Presidente avrebbe parlato, quando un corazziere gli intimò l’alt.
“Reverendo, mostri l’invito!” Don Costanzo che non si perdeva mai d’animo, con prontezza e scaltrezza si tolse il bianco collarino, quello che portano i preti, e sollevandolo in alto esclamo forte: “Ecco: garanzia di Santa Romana Chiesa”. Il corazziere abbozzò un sorriso e lo lasciò passare; riuscì così a consegnare personalmente a Gronchi la lettera ed a parlargli direttamente.
Naturalmente fotografi e fotoreporter ebbero la possibilità di uno scoop straordinario.
Il giorno dopo, tutti i giornali raccontavano l’accaduto; come sempre accade i commenti giornalistici erano i più vari; chi considerava l’arretratezza delle aree rurali, il degrado, l’analfabetismo, il disimpegno, la mancanza di servizi pubblici e sociali largamente insufficienti.
Don Costanzo fotografato a fianco del Presidente della Repubblica, occupava la prima pagina. Un quotidiano “strappalacrime” quasi a volere dare una lezione di vita, scrisse “Un povero prete di campagna, dalla veste stinta dal sole e dalla pioggia da chissà quanto tempo, ha consegnato a Gronchi la seguente lettera” ecc.
Fermo, il giorno successivo era inondata di foto, era il duo: Don Costanzo – Gronchi.
Non starò qui a rammentare la profonda delusione di Peppina e Pasqualina, le due perpetue che, per una settimana erano state dietro alla veste talare con edera e fondi di caffè; dirò solo che quel giornale scomparve dalla canonica e dal paese, come se fosse stato un marchio di infamia. Quel passo “Veste stinta dal sole e dalla pioggia” non lo potevano digerire …
So però che alcuni giorni dopo i tecnici del Genio Civile vennero a prendere le misure, perché si sarebbe costruito a Torchiaro l’edificio scolastico, nuovo e grande.
TITOLO ORIGINALE ” LU CURATU DE LU TROCCHIà edito Fermo Utefe 2002
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