1328 maggio 9 – Il Papa Giovanni XXII riconcilia la Marca di Ancona con un suo condono.
. Giovanni vescovo servo dei servi di Dio al venerabile Francesco, vescovo fiorentino e al diletto figlio Fulcone da Pavia, tesoriere della Chiesa Andegavense, vice rettore della Marca Anconetana, salute ed apostolica benedizione. Il dovere dell’ufficio pastorale con cui è data a noi la cura del gregge del Signore in generale, ci sospinge con incalzante sollecitudine affinché noi ci affatichiamo, per quanto possiamo, a ricondurre all’ovile del Signore coloro che per errore deviano. Ora alcuni sia chierici che laici, anche comunità e intere popolazioni della Marca Anconetana e di altre terre usate governarsi tramite il rettore di questa Marca, per un’audacia rivoltosa da condannare, commettendo vari orrendi reati, hanno offeso gravemente noi, la Chiesa Romana e il rettore ed gli altri nostri ufficiali di questa Marca; ora però alcuni di essi, usando più saggi consigli, sono tornati alla vera devozione, alla fedeltà e all’obbedienza verso noi e verso questa Chiesa. Altri ancora, come veniamo informati, sono disposti a tornare, con la dovuta riparazione. Noi desideriamo che essi si sollevino e risorgano dai loro peccati ed errori e benignamente porgiamo la mano ad alzarli e ci serviamo del vostro impegno di circospezione per farvi agire plenariamente di nostra autorità e nel Signore a favore di loro tutti e singoli chierici e laici della Marca e delle dette terre, di qualsiasi condizione e stato, anche comunità e popolazioni intere, nel loro ritorno alla devozione, all’obbedienza e alla fedeltà predette, veracemente, senza finzione, dopo che avranno adempiuto a quanto voi deciderete di comandare, tenendo, osservando e mandando ad effettiva esecuzione le vostre decisioni su ciò, e dopo che avranno eseguito le cose prestabilite da voi con cui vorrete provvedere in questa parte, con le soddisfacenti cautele, li assolverete secondo le modalità della Chiesa da tutte singole le sentenze di scomunica, di interdetto ed altro, dalle pene spirituali in cui sono incorsi tramite i nostri processi generali e speciali o quindi del detto rettore o di altri qualsiasi officiali e commissari nostri o inquisitori per eretica deformità o per la giuridica occasione della ribellione e dei predetti eccessi contro gli officiali, fino ad oggi. Condonateli anche per gli interdetti cui le terre, le città e i luoghi loro forse soggiacciono, fate sospensione, riabilitateli, se sono stati resi indegni e incapaci da parte nostra, restituite integralmente loro la fama, lo stato, la dignità e gli onori ecclesiastici e mondani, abolite ogni macchia di infamia o note derivate dalle cose predette; dispensateli dalle irregolarità di cui si macchiarono quei chierici, le persone ecclesiastiche quando erano legati dalle dette sentenze ed hanno celebrato i divini misteri compresi coloro che si unirono a questi. Avete il potere di avvalervi della nostra autorità con il consiglio, con la deliberazione dei fedeli di quelle zone, come deciderete di provvedere, nonostante il fatto che, su queste cose, diciamo di aver fatto diversamente con altro incarico, dato a te fratello vescovo e ad alcuni tuoi colleghi. Per vigore della presente, vi concediamo libera facoltà. Abbiate attenzione tuttavia in modo speciale ed espressamente che quelli che con una sentenza fossero stati condannati per eresia o per fama di eretici diano idonee cauzioni di abiurare di fronte a voi l’eresia. Su questo sarà vostra opportuna considerazione che essi per il resto non agiranno a favore degli eretici e dei ribelli e che non presteranno consiglio o favore di costoro da sé, o mediante altri. Essi siano tenuti a prestare giuramento corporale su ciò; che se tentassero di fare il contrario o loro stessi o altri, dopo che già avrete provveduto per loro con la grazia del proscioglimento, della sospensione, del rilascio, della restituzione, della riabilitazione e dell’abolizione; se avvenisse che in seguito vogliano ribellarsi, cosa che non avvenga, contro noi e la Chiesa, quelli che in tale modo si ribellano persistendo con pertinacia, per questo fatto stesso, tornano alle predette pene e sentenze. Data ad Avignone giorno settimo alle idi di maggio, nell’anno dodicesimo del nostro pontificato. <9 maggio 1328>.
Redatto davanti alla casa di Carciola del beato Antonio, presso il campo un tempo di Tarabotto presso Recanati nella pubblica via tra la casa e il campo predetto, alla presenza di una grande moltitudine di testimoni, e ai venerabili padri, frate don Pietro vescovo di Macerata, il vescovo di Senigallia don Federico, il frate Servideo dell’ordine dei Minori inquisitore delle malvagità eretiche in detta Marca, don Arnaldo di Guglielmo rettore della chiesa di Rasaliaco della diocesi Eduense, tesoriere di questa Marca, frate don Matteo abate del monastero di San Lorenzo, don Aldovranno abate del monastero di San Mariano da San Severino, don Bernardo da Barbarano maresciallo di questa provincia, don Boccio da Montelupone arcidiacono camerinese, don Leopardo da Foligno arciprete beneventano, don Andrea da Fermo milite, don Nuzio da Matelica giurisperito, Puzio del signor Gualterio da Mogliano, Fredo di Mulucci da Macerata e Matteo di Compagnitto da Cingoli, domicello del predetto vescovo fiorentino.
Ed io Guglielmo notaio pubblico imperiale, figlio del defunto Guglielmo da Offida ecc. con i maestri: Giovanni da Lodi notaio del sopradetto vescovo e Giovanni Girelli da Tolosa vice rettore ecc.
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