NEPI Gabriele Direttore didattico presenta Monterubbiano agli scolari. Sciò la pica 1965 <=scaccio la pica>

MONTERUBBIANO negli scritti di NEPI Gabriele “Monterubbiano. Sagra dei Piceni” 1965
Il paese di Monterubbiano è situato fra i fiumi Aso ed Ete Vivo, sulla vetta d’una collina pliocenica, costituita da grossi strati di conglomerati e ghiaie e di sabbie gialle, sovrapposti a potenti assise di marne turchine ricche di conchiglie fossili.
La collina di Monterubbiano è la più alta delle colline litoranee di tutte le Marche, tanto da apparire inaccessibile da ogni lato.
Il clima è mite, come dimostra la diffusa coltura della vite e dell’olivo fino alla vetta.
La flora è assai varia e va dagli esemplari preappenninici, che si riscontrano nella zona montana, a qualche ardito pioniere delle specie marittime che risale la vallata dell’Aso.
Quanto alla fauna si nota qualche rarissimo esemplare di tasso, specie nei residui di selve che ricoprono il dirupato crinale settentrionale dei monti; sui versanti esposti a mezzogiorno abbondano volpi e lepri; ambite dai cacciatori della regione.
L’origine del paese è antichissima e si perde tra le leggende dei primi abitatori Siculi ed Umbri del Piceno.
Dalla Grecia approdarono le immigrazioni micenee, risalirono le colline dell’Agro Palmense, raggiunsero la vetta del monte e vi si stabilirono, allettate dalla salubrità del clima e dalla posizione dominante, adatta alla difesa.
Ne fa fede la frequenza delle tombe sparse e delle piccole necropoli che spesso ancora affiorano nei dintorni del paese con relativi torques, braccialetti, fibule, collane, ornamenti, pendagli, elmi, pugnali, lance, tutti dell’alba dell’età del ferro, per lo più andati dispersi, ma in piccola parte conservati nel Museo di Ancona e nel Municipio.
La più comune tradizione, quella che fa derivare i Piceni da una Primavera sacra di Sabini, guidati da una pica o da un picchio nelle nostre terre, se per tutti è la leggenda che giustifica le oscurità della storia autentica, a Monterubbiano è certezza tradizionale che ha la sua riprova nel celebrare appunto la Sagra dei Piceni, costumanza nella quale gli etnologi vedono le ultime vestigia delle feste di maggio che si tributavano da tutti i Piceni in onore dell’uccello sacro, il quale primo, secondo la leggenda, li aveva guidati in queste contrade e ad esse ha dato il nome.
Altri meno numerosi ma pur importanti oggetti di scavo pavimenti a mosaico, figurine impresse, urne cinerarie, fregi marmorei, monete, bronzi provengono dell’epoca Romana.
Quando Roma (269 a.C.) s’impadronì del Piceno e mandò ad occuparne i più importanti centri, il paese non tardò ad essere prescelto dai nuovi coloni, che gli imposero il più romano dei nomi: Urbs Urbana od Urbana Civitas, cioè Città Romana. Il Laurenzi, nel 1619, riferisce che nella selva estendentesi lungo la cresta dei monti fino all’Adriatico, sorgeva un tempio dove i Piceni prestavano culto al dio Nettuno, mentre il dio Giove si aveva entro la Città Urbana are e solenni onori e che Monterubbiano «fu Colonia dei Romani, come si legge in S. Francesco, nella lapide vicino alla Porta maggiore del Convento».
Dopo la caduta dell’Impero, Monterubbiano soggiacque alle devastazioni delle innumerevoli irruzioni barbariche. Più disastrosa di tutte fu quella dei Goti nel sec. V: essi, dopo aver saccheggiato il paese, ne diedero in preda alle fiamme tutta la parte situata verso la Villa Còccaro con la maggiore fortezza, sicché coll’avanzo delle rovine i superstiti costruirono il piccolo Castello di Moresco, quasi ad avanguardia di difesa contro nuove invasioni.
Risorse lentamente ed intorno al mille compare col nome più modesto di Urbiano od Ornano, donde parrebbe derivata l’attuale denominazione, incerta ancora sull’assonanza della robbia. Nell’XI secolo vi ebbero vasti possedimenti i Benedettini di Monte Cassino, sostituiti più tardi dai Monaci di Farfa.
Nel 1175 fu saccheggiato da Cristiano, Vescovo di Magonza, Cancelliere di Federico Barbarossa. In lotta continua di prestigio coi Fermani, questi, nel 1182, costrinsero 50 primari cittadini a stabilirsi a Fermo, e nella festa dell’Assunta portavano alla Cattedrale Fermana il pallio segno di alleanza e di sottomissione alla giurisdizione dei Fermani nel rispetto della sua libertà.
Nel 1237, prevalendo la fazione Ghibellina, riconobbe Federico II. Poi nel 1244 tornò sotto il dominio della Chiesa. Di nuovo dal 1258 al 1266 soggiacque a re svevo Manfredi.
Nel 1309, Clemente V il Papa che trasferì la sede papale da Roma in Avignone, inflisse l’interdetto a Monterubbaino, per aver preso parte alla lega Ghibellina di molti Comuni marchigiani.
Ben presto nei sec. XIII e XIV raggiunse la sua maggior floridezza. Vi si contavano in quel periodo una ventina di chiese, tre conventi e dodici parrocchie, oltre al Ghetto degli Ebrei, di cui si serba tuttora l’incasato e il nome.
A somiglianza delle maggiori città, fu diviso in rioni o quartieri che erano sei: le contrade di Monte Rubbiano (o centro), di S. Nicolò, di S. Basso, di Torno, di Coccaro e di San Giovanni. Nel 1357 è registrata nelle Costituzioni Egidiane per le Marche, emanate dal Card. Albornoz, annoverata tra le cittadine medie delle Marche, a livello di Osimo, Cingoli, Tolentino. Poi le guerre, le pestilenze, le lotte civili recarono povertà e lutti.
Monterubbiano nel 1334 fu assalito e saccheggiato da Mercenario da Monteverde, tiranno di Fermo, e nuovamente fu devastato nel 1360 dai Fermani capitanati da Giovanni Visconti da Oleggio. Nel 1380 si sollevò contro Brancuccio che si era fatto tiranno della sua Patria.
Sul principio del sec. XV fu oggetto di continue incursioni a motivo delle contese fra il re Ladislao di Napoli, e i signori Carlo Malatesta e Lodovico Migliorati, signore di Fermo: Carlo Malatesta, guerreggiando contro il Migliorati, lo vinse ed il 9 gennaio 1413 entrò in Monterubbiano; ma già l’anno appresso il paese ricadeva nella soggezione di Ladislao; se non che, morto questi improvvisamente ai primi di agosto, il Migliorati tornò subito ad impadronirsene e ne mantenne il possesso. Come per rinsaldare tale dominio il 27 gennaio 1426 diede in sposa una sua figlia ad un erede della potente famiglia Brancuccio.
Monterubbiano, che si era costituito in Comune fin dal sec. XII, fu poi sempre gelosissimo della sua autonomia e non tollerò mai d’esser tenuto a feudo. Nemmeno le disastrose guerre con Fermo del ‘300 e del ‘400 riuscirono a fiaccarlo, e risollevò sempre subito il capo. All’interno dell’ordinamento politico del governo Romano, le sue franchigie municipali furono ininterrottamente piene, salvo l’annuo tributo da pagare alla Camera Apostolica.
Nel 1433 giunse il capitano milanese Francesco Sforza. Egli intuitane l’importanza strategica, trasformò Monterubbiano in fortezza imprendibile, circondandolo di baluardi e delle mura castellane di cui tuttora si ammirano i magnifici ruderi per quasi due chilometri: infatti l’esercito di suo fratello Alessandro, scacciato dalla Puglia dalle truppe di Alfonso di Aragona nel 1441, si ritirò nelle Marche e pose il campo a Monterubbiano, dove s’intrattenne per 4 mesi, recando gravi molestie al paese ed ai luoghi circonvicini. Pochi anni dopo, nel 1450, Carlo degli Oddi di Perugia, Capitano di Santa Chiesa, campeggiò anch’egli con l’esercito a Monterubbiano.
Il comune di Monterubbiano ebbe proprie leggi e propri Statuti, scelse da sé Consoli e Potestà, si difese dalle incursioni. E Fermo, che pure se lo vedeva vicino davanti agli occhi nel panorama, non riuscì a togliergli la propria giurisdizione statutaria. Cavallerescamente trattandolo da pari a pari, in un’ordinanza dell’8 dicembre 1458 diretta a tutti i castelli del suo Comitato, statuì che i Monterubbianesi venissero considerati in tutto e per tutto uguali ai cittadini fermani.
Un’altra prova della stima nella quale i monterubbianesi erano tenuti dai fermani si deduce dal posto onorifico assegnato loro nella famosa Cavalcata, dove primo sfilava il valletto di Monterubbiano, recante in mano in un drappo verde il gonfalone, in mezzo a due valletti del Comune di Fermo:
Nel 1466 accolse una numerosa colonia di Albanesi, profughi della loro Patria, dopo la morte del grande condottiero Giorgio Skanderbegh, per non soffrire il giogo mussulmano di Maometto II, e man mano li assimilò. Risale appunto a questa immigrazione albanese la famiglia Mircoli (da Mirko) ammessa alla cittadinanza, poi moltiplicatasi in numerosissimi rami.
Finalmente, dopo tante calamità e depredazioni, tacciono le vicende guerresche e succede un periodo di relativa quiete. Nel 1586 Monterubbiano fu da Sisto V tolto al Governo Generale della Marca e posto alle dipendenze del Presidiato di Montalto, fissandolo però quale centro di mobilitazione per tutte le truppe del Presidiato stesso.
Per altri gli ulteriori tre secoli soggiacque pacificamente al Governo papale fino all’epoca della occupazione francese del 1797. In questo breve periodo del Governo francese repubblicano venne assegnato, per ragioni politiche, al Cantone di Petritoli; ma subito dopo, sotto il primo Regno Italico (1808), divenne uno dei centri amministrativi pel Dipartimento del Tronto, con giurisdizione su vari paesi finitimi ed ebbe aggregati i paeselli di Moresco e di Torchiaro.
Ripristinato nel 1816 il Governo Pontificio, Monterubbiano fu da Pio VII dichiarato sede del Governo Distrettuale di 2° Ordine con Giurisdizione sugli stessi paesi che poi fecero parte del suo Mandamento.
I moti del 1831 e del 1848 registrano parecchi cittadini cospiratori e volontari nelle guerre d’indipendenza. Definitivamente, nel 1860, coll’annessione delle Marche, venne unito al Regno d’Italia ed elevato a capoluogo di Mandamento.
Nella grande guerra 1915-1918 immolò 62 dei suoi migliori figli; e 27 nell’ultimo conflitto mondiale 1939-1945.
La popolazione di Monterubbiano nella nuova epoca della Repubblica Italiana è variata da abitanti 4123 nell’anno 1951 a 2387 abb. cinquant’anni dopo, nel 2001. Oggi Monterubbiano è notevole centro agricolo in cui sono presenti esportatori ed operatori interessati alla produzione di frutta e di ortofrutticoli. Vi sono attivi l’artigianato e il commercio. Sono favorevoli le prospettive turistiche assicurate dall’amenità del sito, dalla ricchezza delle tracce storiche e dalla intensa cordialità di accoglienza da parte dei suoi figli.

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