DON BOSCO A FERMO IL GIOVEDI’ GRASSO 1867 E IL CARD. FILIPPO DE ANGELIS- Desunto da un articolo di Gabriele Nepi

DON BOSCO A FERMO e si intrattiene con il cardinal Filippo De Angelis. Notizie da un articolo di NEPI Gabriele
Nei giorni 27 e 28 febbraio 1867, si preparava e festeggiava il “giovedì grasso”, si era in pieno tempo di carnevale e a sera da Roma, dopo un faticoso viaggio, giungeva a Fermo l’ormai famoso Don Bosco, accompagnato dal suo fedele segretario Don Francesia.
Don Bosco veniva a salutare e a rivedere il suo amico, l’arcivescovo Cardinale Filippo de Angelis, che aveva conosciuto a Torino dove, dal 1860 al 1866, era stato mandato in esilio dal governo piemontese.
Dopo la battaglia di Castelfidardo (18 settembre 1860), i Piemontesi avevano invaso le Marche, avevano innanzitutto soppresso ordini e congregazioni religiose confiscandone i beni, abbattuto gli stemmi pontifici e mandato in esilio il De Angelis, perché vedevano in lui il fiero oppositore del nuovo governo e il punto di riferimento dei “nostalgici” pontifici.
Il Card. De Angelis fu tenuto in esilio per sei anni, ospitato a Torino nella casa dei padri Lazzaristi e sorvegliato a distanza dalla polizia di Cavour. Don Bosco lo andò a visitare per la prima volta nell’aprile del 1861. Conosceva di fama il card. De Angelis (si occupò di lui anche il regio commissario per le Marche Lorenzo Valerio) e il De Angelis conosceva anch’egli di fama il sacerdote Giovanni Bosco, che due anni prima aveva fondato i Salesiani.
Tra i due, nacque una nobile amicizia sostanziata da reciproca stima e ammirazione. De Angelis era molto quotato in Vaticano. Gli incontri fra Don Bosco e il Cardinale furono frequenti. Don Bosco andava spesso a trovare il porporato. L’esilio è sempre triste ed essere confinati, non è certo “idilliaco” tanto più che nel 1849 De Angelis aveva subito un altro esilio in Ancona, durato cento giorni.
Nel 1866, una disposizione del ministro Bettino Ricasoli permise ai Vescovi e prelati esiliati in Piemonte o rifugiatisi a Roma, di poter tornare alle loro sedi. De Angelis era libero. La notizia non gli fu notificata personalmente, ma venne data al superiore delle Case dei Lazzaristi dove era ospitato. Tuttavia poté tornare a Fermo nel novembre 1866.
Intanto Don Bosco che, come detto, aveva fondato i Salesiani, non riusciva dopo quasi otto anni ad avere l’approvazione pontificia. Da Torino si era recato a Roma, accompagnato dal suo segretario don Francesia. Nella città eterna aveva contattato vari prelati e cardinali, ma invano.
L’approvazione della Santa Sede non arrivava. Pensò allora al suo amico Card. De Angelis e da Roma venne direttamente a Fermo a trovarlo. Inutile dire che fu accolto con la più festosa cordialità. Dopo qualche mese i due si ritrovavano non più nell’esilio di Torino, ma nella sede arcivescovile del cardinale, a Fermo.
Nel frattempo De Angelis era stato nominato camerlengo di Santa Romana Chiesa; il suo “peso” e la sua influenza erano aumentati. Era inoltre stimato moltissimo da Pio IX. Chi meglio di lui poteva aiutare Don Bosco per ottenere l’approvazione pontificia della Società Salesiana? Il Card. De Angelis prese a cuore la cosa e la sospirata approvazione venne.
Nel suo soggiorno a Fermo, Don Bosco visitò la città, il seminario e parlò ai chierici. Uno di essi, Domenico Svampa, che sarà poi Arcivescovo e Cardinale a Bologna, gli lesse una poesia da lui composta che Don Bosco gradì moltissimo. E così i Salesiani, ora sparsi in tutto il mondo (sono 18.000) con scuole, istituti di educazione, ospedali, missioni e università, furono approvati grazie all’interessamento del Card. De Angelis, amico ed estimatore di Don Bosco.

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