DON MARCELLO MANFRONI (1889- 1985)raccontato da mons. Vincenzo Vagnoni nel 1984
Mi provo a mettere in luce il bene che ha potuto realizzare il santo sacerdote Marcello Monfroni, nato il 26 settembre 1889 a Petriolo, paese molto vivace e intraprendente, da Filippo e Filomena Luciani, una famiglia di artigiani, e veniva battezzato il 30 settembre dello stesso anno.
Si trasferì a Fermo per proseguire gli studi e a 12 anni lo troviamo nel piccolo collegio retto dal canonico Alessandro Valentini ed era ormai maturo per scegliere la vita ecclesiastica. Durante il terzo o quarto anno di ginnasio passava al seminario arcivescovile, quando ferveva una sete di studi teologici, tendenti al movimento modernista e di aggiornamenti letterari inneggianti al Risorgimento italiano, con tendenza anticlericale.
Nel 1910 anche il teologo Marcello doveva sottoscrivere la dichiarazione della sua estraneità alla adesione di un gruppo di seminaristi alla elezione a deputato di Don Romolo Murri, davanti al notaio nello studio del rettore del seminario mons. Bazzani. In quella circostanza furono espulsi dal seminario, se ben ricordo 10 o 12 tra teologi e dei diaconi.
Nel 1912, quando questo seminario divenne interdiocesano, ci trovammo insieme nel monastero delle suore del Bambin Gesù per frequentare il liceo. In quel nuovo ambiente ci sentivamo quasi rinati: tanta luce, tanto splendore, con la vista del mare da un lato e dall’altro il giardino Trevisani, acquistato dall’arcivescovo Castelli.
Vi si poteva giocare a volte e partecipare alla vita giovanile del ricreatorio San Carlo, diretto in quel tempo da Don Biagio Cipriani che, per le rappresaglie fasciste, doveva poi rifugiarsi a Roma presso la Congregazione Concistoriale. Nel nostro liceo non mancavano iniziative culturali e studi di problemi educativi, soprattutto sotto la direzione di Don Francesco Maranesi.
Più anziano di me di tre anni, Marcello si distingueva per la sua serietà e riservatezza, mentre io manifestavo una certa esuberanza e vivacità di temperamento. Dopo che Ludovico Cassiani passava al seminario interdiocesano, Marcello veniva eletto prefetto della nostra ‘camerata’ di liceali. Non occorre dire che con lui non si parlava mai di punizioni, bastava un “per favore”.
Ricordo che in quel periodo, tanto al ginnasio come al liceo, avevamo degli insegnanti illustri. Ricordo don Silvio Basili per latino e greco, don Gustavo Corradi per la filosofia, don Luigi Scoccia per matematica e fisica, monsignor Giovanni Cicconi e don Gino Alessandrini per le materie letterarie. Avevamo poi il buon don Guerriero Guerrieri come padre spirituale.
Non mancavano bravi e intelligenti alunni. Ricordo alcuni: Ludovico Cassani, Luigi Petetti, Francesco Bonifazi, Alfredo Laurenti, Francesco Maranesi. Marcello si distingueva per il suo stile concettuoso e chiaro. Nel 1914 Marcello passava al seminario interdiocesano: e vi trovava una fioritura di giovani molto intelligenti sotto la guida del rettore mons. Oltolina, già parroco di Cantù dell’arcidiocesi di Milano. Tra altri vorrei ricordare Federico Sargolini divenuto poi Assistente generale dell’azione Cattolica.
In quel periodo avveniva la disapprovazione da parte della Santa sede del trust giornalistico dell’Avvenire d’Italia, sostenuto dal conte Grosoli di Ferrara. L’arcivescovo Fermano mons. Castelli, amico del conte, correva, per difenderlo, dall’arcivescovo di Torino, dal cardinal Ferrari a Milano e dal cardinale Maffi a Pisa, mentre Pio X gli scriveva disapprovandolo perché non era ricorso a lui.
In questo ambiente di cultura e di vivacità cattolica Marcello Monfroni veniva preparandosi al ministero sacerdotale. Insegnavano allora il prof. Cesare Nisi in Dommatica, il prof. Giacinto Rascioni in Morale, don Federico Barbatelli in Storia ecclesiastica, mons. Astorri e don Cesare Federici in esegesi biblica.
Nel frattempo scoppiava la guerra, mentre Benedetto XV la giudicava “inutile strage” ed era imminente il richiamo dei giovani alle armi. L’arcivescovo fermano Castelli anticipava le ordinazioni sacerdotali e il 23 maggio del 1915 il diacono don Marcello veniva ordinato sacerdote.
Poi partiva per la visita militare e veniva arruolato nel corpo della sanità e destinato ad Ancona, sotto il comando del tenente don Mario Formigoni che, come si diceva allora, non mancava di far sentire con la disciplina militare l’umiliazione del prete soldato.
A documentare lo stato d’animo di Don Marcello, trascrivo la lettera che conservo e merita di essere riportata per intero.
Carissimo Vincenzo,
comprendo benissimo le ragioni della mancata visita, quindi nessuna scusa e nessun rimorso. Avrei avuto certamente un gran piacere nel rivederti, ma quando la comunione schietta e continua dei nostri animi può avere sempre luogo non dobbiamo rammaricarci troppo della lontananza corporale. Del resto, per brevissimi istanti io avrei potuto stare con te. I lavori di ufficio mi assorbono talmente, che non mi resta il tempo per le mie pratiche di pietà. È avvenuto un cambiamento, che mi ha un po’ disorientato. Ci sono stati dei giorni nei quali abbiamo lavorato dalle 7 del mattino, fino alle 9 della sera. Non c’era tempo neppure per mangiare. Mi sono un po’ avvilito perché, lontano dalla Chiesa, privo dei grandi aiuti che vengono dalle pratiche di pietà, pensavo malinconicamente al mio avvenire.
Quanti sacrifici impone la guerra anche a coloro che sono lontani dalle trincee! Se ne incontrano dovunque, ad ogni momento e, beato colui che poggiato in Dio, può farci tesoro. Sentirsi servo, nel vero senso della parola, dover tacere quando tutto ti persuaderebbe a parlare ed agire in senso contrario, quella continua spogliazione della grande dignità di cui Dio stesso ti ha rivestito e che nessuno vuole riconoscerti e molti, anzi, disprezzano, è un dolore acuto per l’anima che sente.
Sono momenti pieni di mestizia profonda, quando vi penso. Agli occhi degli uomini, però, questo martirio intimo non apparisce e, se anche apparisse, chi saprebbe tenerne conto? Ecco allora che sorge potente il bisogno di elevarsi a Dio, di riposarsi in Lui come nel cuore del più buono degli amici, della mamma più affettuosa. Credimi, è l’unico conforto che è dato di godere in questa vita, nella quale i nostri simili sembrano solo intenti ad amareggiarti.
Una frase, l’ultima della tua lettera, mi ha svelato un fenomeno che si è compiuto nella tua anima, che già si è compiuto in me. Solo dopo aver salito l’altare, si comprenda l’altezza vertiginosa alla quale siamo stati innalzati. E’ quello che avviene nell’ordine materiale, è quello che appunto prova l’alpinista, giunto nell’ultimo picco della montagna; volgendo lo sguardo nel basso, la mente è colta da vertigini. Chi darà la forza ai nervi per tendersi ancora in uno sforzo supremo e non far perdere l’equilibrio? “Petra autem erat Christus”: ecco la rupe alla quale possiamo aggrapparci per non cadere; se non vagliamo cadere, nessuna violenza di elementi potrà precipitarci, perché saremo forti della stessa forza di Dio.
Pregami spesso il Signore perché io possa rimanere fedele alla Sua Grazia, prega perché il germe che è messo nel mio cuore cresca e maturi in frutti di santità, che si trasfonda nei miei fratelli, che Dio un giorno vorrà forse affidarmi.
Io sospiro quel giorno come uno dei più belli della mia vita. Preghiamo perché spunti questa alba, che ponga fine alla notte troppo lunga che incombe sulla terra ed opprime il cuore degli uomini. Possa l’umanità uscire purificata da questo battesimo di sangue; possa il Signore far sorgere l’apostolo della nuova era, che, traendo insegnamenti dai fatti di questi giorni, possa additare la via della salvezza.
Salutami gli amici rimasti. Tu accetta i migliori auguri e saluti
dal tuo aff.mo Marcello
Ancona, 20. 8. 1916″.
Non occorrono commenti.
Dopo un periodo di lavoro all’ospedale militare di Ancona, don Marcello veniva inviato in un ospedale militare a Verona. Là aveva occasione di conoscere don Giovanni Calabria, modello di santo; fondatore di opere di carità e di educazione, scrittore efficace di diversi libri di formazione sacerdotale, tra cui il volume “Apostolica vivendi forma”. Don Marcello ne diveniva fervido ammiratore. Quel che abbia potuto fare dì bene spirituale e caritativo con il suo fervore apostolico, solo Dio lo sa!
Tornato in diocesi nel 1919, con l’esperienza di una vita pericolosa e con il ricordo di dolori, di stragi e di morte, don Marcello viene destinato a Corridonia come aiuto al saggio e prudente proposto Miti. Lì si dedicava più che altro alla formazione religiosa della gioventù. Rimase a Corridonia fino al 1923.
Dopo questo tempo, eletto mons. Domenico Argnani vescovo di Conversano, mons. Castelli lo chiamava in seminario come Padre spirituale per la sua saggezza e prudenza, e più che altro per la sua profonda spiritualità e bontà. Vi rimaneva per 61 anni, per l’alta stima che ebbero di lui gli arcivescovi monss. Attuoni, Perini e Bellucci.
Quanti sacerdoti ha formato con la sua direzione spirituale, con il dettare al mattino le sue meditazioni, con la edificante celebrazione della Messa e specialmente con le sue preghiere. Era geloso dei suoi chierici, soffriva quando qualche volta c’era qualcosa, che turbava il loro animo.
Nel suo ricordino per il 50° di sacerdozio scriveva:
“Signore, Sacerdote e Vittima, per i miei figli spirituali una preghiera, una grazia: mentre nella gioventù sembra spegnersi ogni luce ideale, sentano essi irresistibile la divina bellezza della immolazione che chiedi a coloro che Tu vuoi partecipi del tuo Sacerdozio per la salvezza del mondo”.
Molti sacerdoti lo hanno conservato come padre spirituale e lo ricercavano in seminario o in Curia. E la sua direzione spirituale si estendeva a diverse Comunità religiose e qualche suora può testimoniare ancora oggi quanto sia stata efficace la sua opera di sacerdote.
Cancelliere di Curia per le pratiche matrimoniali, cercava di accostare le molte coppie di sposi per suggerire loro qualche buon pensiero spirituale; la sua non era una semplice attività burocratica, ma un’occasione di apostolato e lo confessava egli stesso: “in un momento così importante della vita, una buona parola viene ascoltata e tenuta cara”; dispensava anche opuscoli utili per indirizzare gli sposi a formare una buona famiglia.
Non contento di questo, voleva arrivare alle singole anime ed iniziava, per aiutare i parroci, la pubblicazione di foglietti con la spiegazione del Vangelo domenicale.
Amante com’era della gioventù, accettò di essere direttore spirituale del Convitto Nazionale. Questo nuovo campo gli permetteva di seguire i giovani anche dopo il periodo della permanenza in Convitto e di avere relazioni con le loro famiglie.
Canonico della Chiesa Metropolitana dal 1933 e Decano dal 1934, non mancava di attendere alla predicazione domenicale in Duomo. Si riferiva all’amore di Cristo, all’esigenza di condurre una vita virtuosa, al dovere di salvare la propria anima.
Ma la sua caratteristica, la sua finissima arte spirituale era quella della ricerca delle anime lontane, specialmente se ammalate e moribonde. Molti, per la sua amicizia discreta ed amorosa, ritornarono a Cristo e ricevettero i Sacramenti.
Questa molteplice sua attività pastorale e il suo zelo non passarono inosservati alle autorità ecclesiastiche e il giorno 18 dicembre 1963 il Santo Padre lo nominò Prelato Domestico.
LA SUA VOCAZIONE ARTISTICA.
Sin da giovanetto mostrava la sua inclinazione al disegno e alla pittura e, durante la sua vita di seminario, aveva ottenuto il permesso di ricevere lezioni dall’artista Ciarpella, che aveva il suo Studio alla svolta di viale Vittorio Veneto dove, in una grande sala teneva esposte le sue opere.
E’ bene ricordare che questo pittore ha eseguito il ritratto di mons. Castelli, il quale appare così espressivo, che lo si vede quasi vivente; il quadro è conservato in una sala del Seminario.
Don Marcello intanto diveniva un valente allievo e non mancava di affermarsi in una molteplicità di opere che esprimevano le sue alte doti.
Fu segretario della Commissione diocesana di Arte Sacra, il cui Presidente era il prof. Luigi Dania, insigne cultore di storia dell’arte con particolare competenza per quella della regione Picena.
Non si contano gli interventi di don Marcello nel campo artistico -religioso; non vi era alcun monumento di arte sacra in cui non si vedesse l’intervento della sua mano delicata e sicura. Quanti progetti di chiese, quanti disegni di altari, di porte di tabernacoli, di tovaglie per l’altare e di altre suppellettili sacre non ha eseguito! Ricordo la decorazione della chiesa di San Pietro in Fermo, in stile prevalente romanico e la Cappella del vecchio Seminario, decorata con stile quasi gotico, così come la decorazione dello studio del Rettore Bazzani reso quasi un ambiente sacro, devoto e raccolto.
Negli ultimi anni della sua vita si esercitava a riprodurre a matita paesaggi e, più che altro, il volto di Gesù, disegni che mostrava agli amici con tanta soddisfazione. Un giorno, io, il prof. Dania e la signorina Del Bello andammo a trovarlo in seminario, nella sua cameretta, dove trascorreva in riposo i suoi ultimi giorni; ci mostrò contento, con la semplicità di un bambino, i suoi ultimi lavori.
Non possiamo passare sotto silenzio il fatto che, in occasione di una festa mariana, seppe meravigliosamente organizzare la mostra di tutte le migliori opere d’arte dell’Arcidiocesi; fu una vera rivelazione di tanti tesori che arricchiscono di bellezza tante nostre chiese; basti ricordare le opere conservate a Montefortino, a Corridonia e a Monte San Martino.
Come amante e ultore dell’arte, tenne nel seminario la cattedra di Arte Sacra, succedendo a mons. Giovanni Cicconi.
IL SUO TESTAMENTO
Il 29 maggio 1975 celebrava il su 60° anno di sacerdozio; quanto egli scrisse nel ricordino si può dire che sia il suo testamento. Lo trascrivo integralmente perché rivela pienamente la sua profonda spiritualità.
Non si può, non si deve sciupare una pagina che rivela un’anima profondamente sacerdotale.
Nel Nome del Padre, del figlio e dello Spirito Santo chiudo la mia giornata terrena con un sentimento di immensa gratitudine a Dio che mi ha voluto suo Sacerdote.
Ho creduto all’Amore, ho sperato nell’Amore, mi affido all’Amore infinito.
Miei cari Confratelli: ripeto per voi la preghiera che Gesù innalzò nell’ultima sera al Padre suo: “ut unum sint”. Amatevi! Amatevi! Sarete apostoli.
Miei carissimi parenti: ricordo i grandi sacrifici che avete fatto perché io fossi Sacerdote. Il Signore vi ricompensi. Non vi lascio denaro né beni materiali. Dio mi ha fatto la grazia di essere povero.
Al Seminario lascio i miei libri, piccolo segno di gratitudine per il bene che mi ha fatto. Pregherò perché il nostro Seminario torni ad essere – per numero e virtù – formatore di santi sacerdoti.
Cari Petriolesi: la Madonna sia sempre la Madre, la Regina di Petriolo. Amate, amate la Madonna.
Ci ritroveremo in cielo per la Messa eterna concelebrata con Gesù Sacerdote.
(Don Marcello, nel 60 di Sacerdozio).
I suoi lo rispettavano, lo amavano, lo veneravano. Ricordo che nei giorni di Natale e di Pasqua la famiglia di un nipote residente ad Ascoli Piceno veniva al Duomo per portarlo, dopo la celebrazione del Pontificale, nella loro casa per fargli godere un po’ di tepore della famiglia; egli accettava l’invito e si rinvigoriva a causa di questo bagno di affetto.
Per quanto svolgesse una vita molto riservata, era conosciuto e stimato da professori e professionisti che non Io hanno mai dimenticato durante la sua infermità.
Si può però dire che non abbia avuto alcuna relazione con le Autorità civili e politiche; anzi desiderava che non si esagerasse nel richiedere da loro favori, anche se per le opere di apostolato.
LA SUA LENTA AGONIA.
Dalla celebrazione del 60° di Sacerdozio, la sua vita si è protratta per altri otto anni e sono stati anni di malattia e di sofferenza. Delicato di salute, consumato dal suo febbrile lavoro di apostolato, inoltrato negli anni, più di una volta veniva ricoverato all’Ospedale civile. Ormai non si reggeva più sulle gambe, spesso perdeva la conoscenza. Negli intervalli di lucidità mentale non faceva altro che elevare mente e cuore al Signore.
Mi si riferisce che don Marcello abbia confidato ad un sacerdote che il Signore gli avesse fatto la grazia di pregare senza alcuna distrazione.
Negli ultimi tempi veniva assistito dal chierico Rocco Elia, che di lui ammirava l’elevazione spirituale, il modo di santificare la sofferenza, l’abbandono completo alla volontà di Dio.
Il primo settembre 1983, all’età di 95 anni, si addormentava placidamente nel Signore, quale offerta gradita per il bene del Seminario e dell’Arcidiocesi.
I funerali, svoltisi nella Cappella maggiore del Seminario, alla presenza dell’Arcivescovo e con la partecipazione di oltre cento sacerdoti, furono l’esaltazione del Sacerdote santo.
A Petriolo, sua patria, la salma fu portata in trionfo, come giustamente meritava.
Mi si riferisce che presso la sua nipote esistono due quaderni di diario; credo che da essi si potrà rivelare più fulgida la figura di questo santo sacerdote.
Voleva che nella sua tomba si scrivesse: “Sono nato povero, sono vissuto povero, muoio povero”.
Ringrazio Dio di averlo avuto come amico: Sac. VINCENZO VAGNONI