La fede di Antonio Grassi di Fermo. Antonio cercava unicamente e in tutto di rendere gloria a Dio, a cui rimaneva intimamente unito, nascondendosi allo sguardo ammirato degli uomini. «A Lui la gloria – diceva – a me il perdono per i miei grandi difetti.» In tutte le sue azioni, il beato Antonio era illuminato dalla sua grande fede, da cui scaturivano tutte le altre virtù. Le verità contenute nella Sacra Scrittura, l’insegnamento della Chiesa e l’esempio dei santi costituivano il fondamento della sua fede. Era solito dire che «chi vuole essere vero cristiano, prima deve portare l’intelletto all’ossequio della fede, perché se vuol dare la briglia ad investigare le cose sopra la sua capacità e fidarsi del proprio giudizio, aberra dalla fede, deve adunque credere con umiltà la verità propostaci da Dio e mortificare il proprio giudizio». L’umiltà spinge l’uomo a informarsi sulle verità della fede e a cercare solo di approfondirle con l’intelletto.
Antonio esortava gli altri alla fede attraverso le sue prediche e i frequenti contatti personali nella direzione delle anime che si rivolgevano a lui, e nelle private conversazioni. Camminando entro Fermo o nelle strade di campagna, si fermava a parlare con le persone che incontrava e, dopo i soliti convenevoli sulla salute personale e dei familiari, orientava il discorso su argomenti di fede con opportune domande, fatte con tanta delicatezza e carità. Se dalle risposte arguiva che le conoscenze e la vita di fede erano scarse, cercava di riempire le lacune con appropriate delucidazioni. Invitava le persone a partecipare alla s. Messa per ascoltare le omelie del celebrante, dicendo che la fede è un dono di Dio da invocare con filiali invocazioni, soprattutto rivolgendosi alla Madonna, la Vergine Fedele, con la recita del rosario. Aveva in tasca le corone per farne dono a tutti gli interlocutori. Con questo suo catechismo itinerante cercava di obbedire al precetto evangelico di predicare a ogni creatura.
Il beato Antonio viveva veramente di fede. La sua preghiera mattutina era, prima di tutto, un atto di ringraziamento a Dio di averlo fatto nascere in una famiglia cristiana praticante, di avergli dato la vocazione a essere tra i figli di san Filippo, di averlo chiamato al sacerdozio per cui poteva stringere tra le mani l’Ostia consacrata. Al momento della elevazione nella s. Messa, la sua professione di fede lo portava a inginocchiarsi in una lunga pausa dopo avere innalzato e mostrato l’Ostia ai fedeli. Adorava, propiziava, implorava, ringraziava, offriva.
La fede lo portava a stimare i predicatori che la propagandavano con le loro prediche, specie nel periodo quaresimale. Quando venivano a Fermo, andava a incontrarli, mettendosi a disposizione per ogni necessità, fino a invitarli nel convento della sua congregazione nel caso cercassero un adeguato alloggio. Per valorizzare la fede faceva fraterne osservazioni per correggere quei predicatori che non presentavano le verità di fede con precisione di parole e con chiarezza di esposizione.
Nelle sue preghiere invocava dal Signore la crescita della fede negli uomini. Era solito ripetere: «Per la tua fede, o Signore, sono pronto a morire». Con san Paolo condivideva il desiderio di essere disciolto dal corpo per essere con Cristo, ma come l’apostolo si sottometteva alla volontà di Dio.
La fede regolava tutti i suoi comportamenti. Mirando la fugacità del tempo e delle cose, si rafforzava sempre più nella fede che come lampada illuminava spiritualmente la sua vita. A quelli che gli confidavano di soffrire per le insorgenti tentazioni sulla fede, egli soleva dire: «Ai pensieri contro la fede, rispondete: piuttosto voglio perdere il sangue e la vita, non la fede. Per raggiungere la santità non si devono cercare miracoli, ma la fede che ci arma contro la presunzione… poiché Dio accetta solo il cuore contrito ed umiliato. Con la fede si sopportano con pazienza i dolori… insegnandoci che con le pene patite in grazia di Dio e con pazienza si soddisfa per i peccati e si acquista la gloria».
La fede portava Antonio ad accostarsi ai sacramenti con grande devozione. Egli diceva ai fedeli: «Dal confessore bisogna andare come se si andasse a Cristo per essere partecipi al suo sacratissimo sangue per mezzo dell’assoluzione». Spesso andava a trovare gli ammalati, ai quali egli consigliava di affrontare con fede le tentazioni che in tale periodo diventano numerose e forti; il demonio sferra le sue azioni con ira poiché sa che gli resta poco tempo per fare degli uomini le sue vittime. L’invito alla preghiera diventava allora più insistente, poiché in quel periodo è necessaria tutta la forza che può venire solo da Dio.
Quello che raccomandava agli ammalati, egli cercava di metterlo in pratica. Quando fu colpito dalla grave malattia che lo portò alla morte, spinto dalla fede, pregava e faceva pregare. La corona del rosario non era un oggetto di compagnia, ma uno stimolo a rivolgersi con fiducia alla Madonna perché rafforzasse la sua fede tanto da renderlo capace di prepararsi all’incontro eterno con Dio.
Non potendo più celebrare la S. Messa, partecipava a quella celebrata da altri nella sua camera, rendendo grazie a Dio che era venuto a fargli visita.
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