BRACCI Virgilio Relazione sul diruto castello di Servigliano 23 novembre 1769
<< Relazione della visita fatta dall’architetto Virginio Bracci per commissione della S. Congregazione del Buon Governo al castello di Servigliano.
“ Occupa Servigliano la sommità di un monte di terreno molto labile, saponaceo, o cretoso e disposto tutto all’intorno ed in specie presso del fabbricato, in modo certissimo. Dalla parte di tramontana la sua ripa, quantunque la più acclive, non si prolunga moltissimo, ma ha prossimo un altro monte, al quale si unisce, per mezzo di una valle. Nasce da questa il fosso di Valentella che si scarica, in distanza di circa un miglio (ma fuori della direzione di Servigliano) nel fiume Tenna.
Dalla parte di levante, poi, si formano dagli scoli di diverse colline due grossi e rapidi fossi denominati S. Pietro e di Maggioreto, che, dopo di essersi uniti insieme, si scaricano, in distanza di circa un miglio e mezzo, nel fiume Ete. Formano questi nel loro andamento irregolato diverse escavazioni voraginose e tagliate quasi a perpendicolo, tanto che il terreno, di già di sua natura intenace, non potendo conservare quella disposizione troppo erta, si stacca in grosse falde e forma larghe slamature delle quali visibilmente se ne osservano i distacchi. Con il distaccamento di tali tratti di terreno, restando senza appoggio l’altro terreno superiore, che da quello lamato era sostenuto, viene a formare dell’altre slamature, e così di mano in mano sino alla sommità del monte.
Dato questo primo moto al terreno, il male che è stato trascurato, è cresciuto sempre a moltiplo, e si è reso sensibilmente più visibile, perché nel formarsi queste tali slamature, si vengono a formare dei seni dove le acque piovane restano stagnanti e gravitano maggiormente il terreno e ne accelerano i distacchi. Le aperture che da tali lame si formano, trasmettono dentro di loro, e nelle viscere del terreno le piogge immediate, e lo scolo superiore che oltre allo spingere maggiormente il terreno inferiore con il proprio peso, ne distacca anche e separa (trapelando per li suoi meati) le parti.
Ne derivano degli scavamenti, dove precipitandosi li scoli delle piene, formano nuove voragini e queste nuove lame; tantoché il male sempre si è andato accrescendo, finché è giunto a devastare il fabbricato.
Gli effetti capricciosi da me diligentemente osservati, anche nelle campagne adiacenti, che per la estensione di un miglio e più, furono da me minutamente esaminate, combinano a meraviglia con l’idea da me, sin da principio formata, circa l’origine di tali rovine, perché il cedimento e distacco delle fabbriche, o nel mezzo, o nella parte anteriore, o posteriore, si vede sempre accompagnata, nello stesso sito, dal distacco del terreno, e dalla continuazione della lama, e nella possessione ritenuta di un certo Morega, si vede un casale che ha camminato per l’estensione di due o tre passi, senza
risentirne alcuna minima lesione, e osservando solo in qualche distacco della lama nel terreno; e ciò che ho detto delle fabbriche, si osserva ancora nelle piante.
Accertati in questa maniera dell’origine delle rovine di Servigliano, proveniente dall’incuria delle acque, passerò a descrivere gli effetti prodotti nel fabbricato, ma siccome la sola descrizione non è sufficiente a mettere in chiarezza sotto gli occhi la disposizione, così annetto alla presente una pianta da me fedelmente estratta sulla faccia del luogo, nella quale si trovano distinte con vario colore, e le fabbriche già rovinate, e le fabbriche ancora esistenti, delle quali per altro una porzione è rovinosa, l’altra danneggiata, ma nessuna illesa.
L’indice spiega la pertinenza e le adiacenze dei terreni. La Chiesa parrocchiale, ancorché offesa, non è ancora in stato rovinoso; si conosce essere stata fabbricata in diversi tempi: una porzione ha solo due palmi di fondamento; l’altra, fabbricata posteriormente, ne ha palmi sette e mezzo. Strapiomba il cantone della lama, un palmo e mezzo per parte, ed una fila di sepolture ha la volta dissestata, e ceduta nel mezzo; tantoché il pavimento della Chiesa, in quella parte, fa seno; la rovina del tetto fu cagionata dal difetto di una incavalcatura, la cui corda non prendendo bene nei muri con le testate, cadde allo scuotimento della caduta del cupolino o finimento del campanile e portò seco il tetto che gli stava sopra; anche il suddetto cupolino cadde per altre cause, cioè fulmini, venti, ecc. La torre, o campanile, è illeso, ed è di mirabile struttura, tanto per la mole che per la forma.
Ritrovata ora l’origine del male e descrittone li miserandi effetti, non seguiti per ragioni di grossi e perenni volumi di acque incognite e sotterraneamente vaganti, come qualcuno, male a proposito ha creduto e di che ho voluto accertarmi per mezzo di un profondissimo cavo di terra, fatto fare sotto dove mi ha indicato sentirsi il rumore di tali acque, ma seguiti per le sopraindicate cause, passerò a suggerirne le riparazioni, che, per essere efficaci, bisogna che prima si indirizzano a curarne l’origine del male.
Dovrebbe dunque in primo luogo riporsi a queste tali voragini e scavazioni de’ fossi, con farvi delle palizzate a traverso di tratto in tratto, quali siccome in tempo di piogge produrranno degli interramenti, potrebbero a poco a poco, con nuove traverse di palizzate rialzarsi, fintantoché si riduca il fondo o letto del fosso a un declive moderato; bisognerebbe regolarne anche l’andamento, che non dovrebbe essere né troppo tortuoso a ciò urtando il filone delle acque, di petto in una delle sponde, non si causi delle escavazioni; né immediatamente retto, a ciò l’acqua non acquisti troppo impeto e velocità.
Contribuirà a questo il dividere lo scolo delle piogge, in molti fossi, che ben regolati e mantenuti con discreto declive portino senza impedimento le acque al fosso maestro.
Tanto questo, quanto li fossi minori dovranno avere le sponde dolcemente acclivi, cioè con una scarpa discreta, e non ertissima, e dovrebbe essere fortificati con piantagioni di salici, albucci, o altro. Tutta poi la superficie del colle all’intorno del Castello dovrebbe ridursi ad una proporzionata ed uniforme pendenza, riempiendo con la terra delle prominenze quelle cavità, dove presentemente muore l’acqua. E facilmente dovrebbesi tralasciarne la coltura e fortificarlo con piantagioni eli quercia, olmi, o altri alberi che non richiedano lavoro, acciò le erbe intrecciando con le loro radici la superficie del terreno, vi impedisca la introduzione delle acque piovane.
In questo modo credo certamente che si verranno ad arrestare le slamature e si potrà rivolgere il pensiero alla fortificazione delle fabbriche, che ora non hanno piede stabile e fermo, per appoggiarvi li sostegni, ma se si eseguisse un tal provvedimento, è necessario non trascurare, per l’avvenire, la manutenzione.
In vista poi, e di questa manutenzione, e del dispendio di un tal riparo, e del buon poco stato delle fabbriche rimaste, e della perdita del fruttato di questo terreno, da rendersi incolto, e del timore di nuovo danno o prima, o nel tempo che si eseguisce la riparazione (il quale timore ha disanimato gli abitanti a porgere riparo alle fabbriche e li ha fissati nella idea dell’impossibilità ed inefficienza di qualunque rimedio) in vista, dissi, di tutte queste riflessioni, non sembra fosse tanto strano il pensiero di cercare altro sito più stabile, dove trasportare il Castello che non meriti almeno di esaminare il progetto.
Esibiscono quelli abitanti di fabbricare ciascuno a sue spese la propria abitazione purché gli si assegni il sito e si ripartisca il sussidio destinato per queste tali riparazioni, proporzionatamente a ciascuno di quello che intraprenderà di fabbricare.
Tutti quelli siti prossimi a Servigliano patiscono lo stesso difetto, tanto per la natura e disposizione del terreno, quanto per la direzione delle acque e dei fossi. Il solo luogo più prossimo che da me si crede a proposito è il sito denominato: «la Madonna del Piano», ove esiste presentemente un Convento di Francescani.
Egli ha molti vantaggi, cioè resistenza di una Chiesa capace di circa duemila anime. Inesistenza di una grossa, fabbrica (oltre al Convento suddetto) che potrebbe servire per Palazzo Priorale, con Archivio ed altri comodi; l’una e l’altro furono dalla Comunità di Servigliano donati ai suddetti religiosi; l’abbondanza di acque salubri, la stabilità del suolo, la proprietà del fondo su cui si vorrebbe fabbricare, che è della Comunità, e finalmente la vicinanza del fiume che presta il comodo per i trasporti, somministra abbondanza di sassi per fabbrica e calcina, e che nelle sue massime piene non giunge mai ad inondare il sito destinato.
Quando però si volesse eseguire questa idea dovrebbe formarsene una pianta regolare e di mano in mano fabbricare secondo quella, acciò con il tempo, ingrandendosi, venisse un Castello o Terra simmetrica e proporzionata. Questo è quel tanto che in adempimento dei veneratissimi comandamenti devo»
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