LETTERA PER IL FIDANZAMENTO per divenire sposi scritta da Fra’ Gino Beccerica

PENSA ALLA VOCAZIONE MATRIMONIALE (Fra’ Gino Beccerica conventuale)
Sia chiara la libertà sessuale
L’amore rivendica il corpo e l’anima. Un amore che cerchi esclusivamente il corpo non è altro, che un istinto scatenato. Sotto questa forma è alla portata di qualunque animale. Ma l’uomo è infinitamente superiore alla bestia e ne differisce sostanzialmente. Per questo la sensualità bruta, priva di anima non è degna della persona umana. Attraverso il dono delle anime, l’amore fisico acquista il suo significato, la sua consacrazione, la sua trasfigurazione. Chiunque, voglia e possa amare solo col corpo, mantenendo assolutamente estranea l’anima, non è adatto alla comunità fisica del matrimonio, o addirittura la distrugge prima ancora che abbia avuto inizio.
L’amore è la cosa più difficile! affermazione, questa, per cui non occorrono lunghe dimostrazioni! Per convincersene, basta osservare tante coppie prima e dopo il matrimonio! “Per mare veramente» ci vuole più ingegno e più carattere che per comandare un intero corpo d’armata” diceva alla corte di Luigi XVI, una donna avveduta. Perché dunque questa difficoltà? Perché amare è donarsi, è sacrificarsi fino al più intimo dell’essere. C’è di che esserne spaventati, non c’è dubbio.
Ma c’è anche di che sentirci più forti e rallegrarci, perché questo significa che quando si ama si attinge all’amore stesso la disponibilità, la forza e la volontà necessarie per superare il misero “io” e a tendere verso l’altra persona: non si affronta più “l’altro” con mentalità commerciale come a chiedere: “ E tu che cosa mi dai?” quali soddisfazioni carnali saresti in grado di procurarmi?“ al contrario si rivolge la sola domanda, da cui è bandito ogni egoismo, eccola: “ Che cosa posso fare per te, io che ti offro il corpo e l’anima, tutto ciò che sono e tutto ciò che ho?“
Senza la volontà di sacrificarsi, l’amore è come albero senza radici o un fiume senz’acqua: nient’altro che fuoco di paglia che si disperderà senza lasciar traccia al primo urto, con tran-tran quotidiano, come l’avena selvatica che il vento d’autunno trascina via.
La salvezza è solo nel sacrificio. Felice colui che in fondo al mare della vita avrà scoperto questa parola: il sacrificio. Perché la felicità dell’uomo non si identifica con la realizzazione dei suoi desideri e con la soddisfazione del suo istinto sessuale, ma consiste nel dono spontaneo di sé ad un ideale altissimo, a un’opera santa, a un essere amato. Senza sacrificio non c’è vero valore autentico, non c’è vera vita.
Se il chicco di grano non muore nel solco, non diventerà mai stelo, né spiga. La madre partorisce il suo piccolo a prezzo di strazianti sofferenze, e l’opera d’arte viene estratta dal materiale grezzo solo in seguito ad uno sforzo accanito tra l’ispirazione e la tecnica.
Un po’ più di coraggio! La persona umana fatica come protagonista nello scontro duro tra lo spirito e la carne, e soffre nell’ascoltare la voce della coscienza e della ragione, perché in questo campo le sue difficoltà sono molto più serie di quelle della donna.
Tuttavia il suo compito non è disperato al punto che egli debba rinunciare. È proporzionato a lui, e le sue forze sarebbero ancora maggiori se egli avesse fiducia nelle sue possibilità.
In ogni unione, di fatto, si presentano periodi più o meno lunghi, in cui la donna – malata, incinta o comunque indisposta – ha bisogno di essere lasciata in pace. E l’uomo deve necessariamente accettarlo e sopportarlo. Quella libertà che molti stimano necessario prendersi, non esiste.
L’uomo deve una buona volta “persuadersi” che non troverà mai in questo campo la pienezza costante ed assoluta; ci sarà sempre, ad un dato momento, una imperfezione, una punta inevitabile di insoddisfazione.
Inevitabile e tragica, non c’è dubbio, ma bisogna saperla accettare e sopportare! Lo stesso avviene, del resto, per tutto ciò che è grande e importante dell’esistenza: per la vita politica, per la creazione artistica, per la salute, per le aspirazioni morali o spirituali, la perfezione è impossibile. Non c’è mèta che venga raggiunta nella sua totalità.
Si trova sempre sul proprio cammino un ostacolo a cui ci si deve arrestare, allo stremo delle forze! E’ l’aspetto tragico della nostra condizione umana, e non ci resta altro da fare che prenderne atto con più o meno filosofia. Piaccia o non piaccia.
Quando però si tratta di un settore così delicato, e così essenziale, della sessualità, noi facciamo assegnamento sull’assoluta realizzazione dei nostri desideri e sulla eliminazione di tutti gli ostacoli. Ma questo non è possibile, ed è stupido, quanto inutile, prendersela con se stessi, con Dio e con il mondo intero.
Tutto ciò che è terreno è limitato, e nel campo della passione carnale, come in altri, siamo tributari della nostra umana fragilità. Eppure questa accettazione, posta sotto il segno della prudenza e del coraggio, può risvegliare nel nostro intimo, le forze sopite che, potenti quanto gli istinti che ci assalgono, sono in grado di fare più bella la vita, a dispetto delle sue gravi imperfezioni.
I sentieri che conducono all’alba di Pasqua passano tutti attraverso il Calvario. Come potrebbe essere diverso in amore? “L’essenziale nella vita è sapersi mettere al secondo posto “ ha detto Turghenev. Occorre domandarsi: “ Ho l’intenzione, la forza e la volontà di sollevarmi per l’amore al di sopra di me stesso e di tendere verso l’altra persona, chiedendole: ”Che cosa posso fare per la tua felicità? “
Se, dominati dall’egoismo e dall’individualismo non si può, né si vuole, rivolgersi questa domanda e rispondervi con un “SI’”, significa che non si ha la vocazione al matrimonio, e ostinarsi in questa via significherebbe votarsi alle peggiori delusioni, compreso il divorzio. Per convincersene basta osservare tante coppie prima e dopo il matrimonio. La salvezza dal divorzio è solo nel sacrificio. Senza sacrificio non c’è valore autentico, non c’è vera vita. Senza sacrificio il divorzio è in agguato. Più che temere il divorzio occorre tenere il padre del divorzio: l’egoismo e l’individualismo.
Padre Gino

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