ALESSANDRO MANZONI (Milano 1785-1873)
Alessandro Manzoni potrebbe essere definito un “illuminista cristiano”; ed è considerato concordemente il massimo rappresentante del Romanticismo “moderato” italiano, cioè di quel romanticismo che si propone di dare all’Italia una letteratura naturale, popolare, moderna e nazionale, senza sacrificare la cultura della spontaneità e la semplicità dignitosa al popolaresco; il patrimonio dei classici alle manie esterofile; il patriottismo al nazionalismo violento.
PENSIERO
Nel pensiero del Manzoni confluiscono cinque componenti: l’illuminismo; il giacobinismo; il classicismo; il romanticismo; il cattolicesimo. Dalle prime quattro correnti culturali il Manzoni accoglie i principi e le proposte più ragionevoli; e con le verità della fede cristiana dà a quei principi e a quelle proposte una base soprannaturale, per sottrarla ad impostazioni devianti, ispirate agli egoismi degli individui, delle classi sociali e dei nazionalismi.
A = Il Manzoni e l’illuminismo. Il Manzoni era nipote di Cesare Beccaria, autore del trattato “Dei delitti e delle pene” (1764) per cui si può dire che l’Illuminismo fosse di casa nella famiglia Manzoni. Da giovane lesse e assimilò le opere di scrittori illuministi italiani e francesi; e dal 1805 al 1810 visse a Parigi dove frequentò il salotto di madame Condorcet di ispirazione illuministica.
Il Manzoni del l’Illuminismo accolse:
1: il metodo del ragionamento basato su idee chiare e distinte
2: La preferenza per gli studi concreti e utili
3: l’intento di scrivere per rendersi utile al maggior numero possibile di lettori
4: lo stile spigliato e l’uso frequente dell’umorismo
5: il principio dell’uguaglianza di tutti gli uomini in forza degli stessi diritti naturali
6: il principio dell’eguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge
7: l’avversione ad ogni forma di tirannide privata e pubblica
8: la critica alle irrazionalità della vita individuale e collettiva, sia familiare e sia civile
9: il principio che il governo deve governare e che il governare significa promuovere il bene pubblico con . il difendere la vita e della dignità dei cittadini dalle soperchierie del prepotente;
. combattere le carestie e le epidemie
. tenere lontane le guerre
. favorire l’istruzione del popolo.
Nei Promessi Sposi il Manzoni mette in luce questi compiti del governo attraverso la critica della politica adottata dal governo spagnolo nel ducato di Milano, ove esso favorisce subdolamente la tirannide dei signorotti locali per tenere la popolazione sotto la pressione della paura, inoltre adotta provvedimenti insulsi per contrastare la carestia e la peste, e non fa nulla per sollevare il popolo dall’ignoranza e dalla miseria.
Dell’illuminismo il Manzoni non accetta: _ l’antistoricismo; _ la svalutazione della fantasia e del sentimento; _ l’esclusione dell’intervento divino provvidenziale nella storia umana; _ il cosmopolitismo spinto fino alla negazione della nazionalità.
B = Il Manzoni e il giacobinismo. Il Manzoni giovane, come quasi tutti gli scrittori della fine del settecento e dell’prime 800, professò con entusiasmo gli ideali che furono considerati alla base della rivoluzione francese: libertà, uguaglianza, fraternità. Lo dimostra nel poemetto “Il trionfo della libertà” che egli scrisse nel 1800 e di cui più tardi sconfessò le intemperanze polemiche contro la Chiesa, ma riconobbe come suoi i sentimenti, cioè l’amore per quegli ideali per i quali erano morti i grandi uomini del passato e che allora erano profanati dai giacobini lombardi e francesi
C = Il Manzoni e il classicismo. Il Manzoni giovane studiò con passione i classici, fu ammiratore del Monti e scrisse opere di stile neoclassico: “Il trionfo della libertà”; – “Adda”; – “Sermoni”; – “In morte di Carlo Imbonati”; – “Urania”.
Del classicismo egli adottò: _/ il senso della misura e dell’equilibrio; _/ il procedimento organico logico e chiaro nello sviluppo dei temi; _/ la proprietà, la precisione e il decoro sia delle immagini che dell’espressione linguistica.
Del classicismo egli rifiutò: _/ l’uso della mitologia; _/ l’imitazione servile dei classici; _/ le regole arbitrarie dei retori; _/ il linguaggio troppo erudito ed elevato non accessibile al pubblico dei lettori popolari.
D = Manzoni e il romanticismo. Il Manzoni, dopo la conversione religiosa, sentì sempre un’antipatia vivissima per la figura del “letterato puro”, cioè del letterato che inventa giochi poetici per divertire gli oziosi. Perciò aderì pienamente al programma romantico, perché questo corrispondeva al suo proposito di scrivere cose utili al maggior numero possibile di lettori. Per illustrare il programma romantico egli scrisse la “Lettera sul romanticismo, al marchese Cesare d’Azeglio”.
Del programma romantico il Manzoni accolse le seguenti proposte:
1: una letteratura che formi l’animo dei lettori ai più nobili ideali della vita: libertà, giustizia, onestà, patria, religione
2: una letteratura che attragga i lettori non con il “meraviglioso” dei classicisti, ma con l’interesse; interesse da suscitare con temi e immagini che abbiano rapporto con la vita dei lettori e con i problemi della società in cui essi vivono.
3: una letteratura che riesca accessibile al popolo, cioè una letteratura, (come diceva il Berchet) “naturale, popolare, moderna, nazionale”.
4: una letteratura che preferisca i termini storici perché la storia è maestra della vita dei popoli.
5: una letteratura che aderisca alla verità dei fatti, dei costumi, della psicologia degli individui e delle masse.
Il Manzoni rifiuta il romanticismo inteso come un “guazzabuglio di streghe, di spettri, un disordine sistematico, una ricerca stravagante, una abiura in termini del senso comune; un romanticismo che si sarebbe avuta molta ragione di rifiutare e di dimenticare, se fosse stato proposto da alcuno” (Lettera sul romanticismo”).
E = Manzoni e il cattolicesimo. Fino al 1810 (anno della sua conversione) il Manzoni fu indifferente dal punto di vista religioso. Credeva in Dio al modo dei ‘teisti’. Ammetteva, cioè, l’esistenza di un Ente Supremo per spiegare il passaggio del mondo dallo stato di ‘quiete’ allo stato di ‘moto’, ma rifiutava ogni religione positiva o storica e negava ogni rapporto dell’Ente Supremo con la storia umana.
Nel 1810, quando la moglie, calvinista, incominciò a studiare la religione cattolica, per decidere quale delle due professioni scegliere, anch’egli si interessò insieme del cattolicesimo. Riflessivo e sensibile com’era, insoddisfatto della filosofia illuministica ferma sulle posizioni del sensismo, egli avvertì quasi subito la verità e la bellezza del cattolicesimo. Maestro di lui e della moglie in tale circostanza era l’abate Dégola, sacerdote di tendenze giansenisti. (Il giansenismo, partendo dal presupposto, come i calvinisti, che Dio, a suo arbitrio e quindi senza tener conto della corrispondenza dell’uomo, ad alcuni dà la grazia che salva e ad altri non la dà, proponeva una religiosità tutta interiore, senza riti esterni, sostanziata di timore, di austerità e di rigida moralità).
Questo particolare ha indotto qualcuno a pensare che il Manzoni fosse giansenista e non cattolico; una tesi questa che è confutata da tutte le opere del Manzoni dalle “Osservazioni sulla morale cattolica” a I promessi sposi” opere in cui la religione è intesa come fede e amore ed è vissuta dai personaggi che la professano, con stile sereno e fiducioso.
Del cattolicesimo il Manzoni accolse i principi per cui Dio è padre di tutti gli uomini, e Cristo ha redento tutta l’umanità senza distinzione di razza, di nazione, di classe sociale; perciò gli uomini sono tra loro fratelli:” tutti fatti a sembianza di un solo – figli tutti di un solo scatto, – in quale ora, in quale parte del suolo, – trascorriamo quest’aura vitale, – siamo fratelli!” (coro “Il conte di Carmagnola”).
La rivoluzione francese che si ispirava all’illuminismo, si era valsa proprio degli ideali di libertà, uguaglianza e fraternità, per assoggettare tutta l’Europa alla tirannide della Francia; e ciò era accaduto perché la rivoluzione era atea, e quindi, non ispirandosi al progetto dell’amore di Dio e del prossimo, fatalmente era diventata nazionalistica e imperialistica.
Il liberalismo che si propone di rivendicare i diritti e la dignità dell’uomo e per il quale il Manzoni simpatizza apertamente, ha possibilità di successo, soltanto, se pone, a fondamento della sua dottrina e della sua prassi, il principio che ogni uomo (non soltanto la borghesia) deve essere rispettato e aiutato nella sua ascesa verso forme di vita sempre più elevate, non solo perché ha una natura razionale, anche perché è figlio di Dio e i suoi diritti sono difesi da Dio stesso, specie se si tratta dei diritti e della dignità degli umili.
Anche la libertà e la dignità delle nazionalità (cfr. “Marzo 1821”) rivendicate dai liberali, trovano un fondamento sicuro solo nella religione cristiana che riconosce una personalità alle nazioni come agli individui: una personalità sacra come quella degli individui e perciò difesa da Dio. Il vero liberalismo perciò, secondo il Manzoni, ha fondamento religioso; diversamente può anch’esso prestarsi a favorire la tirannide che una classe sociale (ad esempio: della borghesia) impone sull’altra (sul proletariato) e imperialismo di una nazione a danno delle altre. Il Manzoni perciò riabilita tutti i grandi ideali con la fede.
dando loro un più sicuro fondamento. Egli, perciò può essere considerato liberale cattolico, in quanto accetta il programma riformistico liberale e lo riallaccia alla religione, per dare ad esso maggiore solidità ed efficacia. Il liberalismo cattolico del Manzoni non ha nulla a che fare con il clericalismo (difesa dei privilegi clericali) né con il guelfismo del Gioberti che proponeva il papa a capo di una confederazione italiana). Il Manzoni in politica fu indipendente da qualsiasi partito, anche se appoggiò con gli scritti ogni iniziativa che promuovesse l’unità e l’indipendenza dell’Italia, da qualunque forza fosse presa.
x – la verità è unica: due affermazioni opposte non possono essere vere ambedue. Perciò, se sono veri i principi del Cristianesimo, non possono essere veri i principi che ad essi si oppongono. “Badò a quelle parole, a quelle massime (del Vangelo), le prese sul serio e le trovò vere; vide che non potevano dunque esser vere altre parole ed altre massime opposte” (Promessi Sposi, cap. XXII).
Quindi, il Manzoni, pur essendo tollerante verso ideologie e programmi avversi al Cristianesimo, pur accogliendo con mentalità liberale tutto ciò che di giusto e di vero c’è nelle zone di pensiero anticattoliche, tuttavia era convinto che la verità è unica ed oggettiva, essendo essa creata da Dio e non dalla mente umana, a cui spetta solo il compito di scoprirla (Osservazioni sulla Morale Cattolica, cap. I°- Dialogo dell’Invenzione).
x = La storia è fatta dagli uomini che operano liberamente sia il bene che il male. E le azioni libere degli uomini sono utilizzate dalla Provvidenza per la realizzazione dei suoi piani di giustizia e di misericordia. Questa concezione provvidenziale della storia è simile a quella di Dante e di S. Agostino.
Gli Illuministi avevano ammesso l’esistenza di un Ente Supremo, ma avevano negato che Esso si occupasse degli uomini: la loro storia era senza Provvidenza. Per il Manzoni una tale posizione è assurda: se Dio è Dio, come muove l’universo fisico, così muove anche la storia umana, lasciando agli uomini la libertà di dare a questo moto la direzione verso il bene o il male e valendosi delle loro azioni per condurre verso i fini da Lui stabiliti, sia la vita degli individui che quella dei popoli.
La visuale della storia umana degli individui e dei popoli, dunque, non è completa, se non viene rapportata al piano provvidenziale che in essa si manifesta più o meno chiaramente e che solo alla luce del cristianesimo può essere individuato nei suoi aspetti materiali, temporali ed eterni.
x = Il dolore non è fine a se stesso, ma è mezzo di purificazione e di prova per l’accrescimento del merito. Nella conclusione dei “Promessi sposi” il Manzoni afferma che i guai vengono, sì, perché talvolta ce li procuriamo con le nostre imprudenze e con le nostre colpe; però la condotta più cauta e più onesta spesso non vale a tenerli lontani. Ad ogni modo, vengano essi per nostra colpa o senza nostra colpa, la fiducia in Dio li raddolcisce e li rende utili per una vita migliore. La fiducia in Dio per il Manzoni non è la rassegnazione passiva; ma è la certezza che nella lotta tra il bene e il male, la vittoria finale spetterà al bene. Così nel romanzo, Lucia nel castello dell’Innominato è nell’impossibilità assoluta di salvarsi con le proprie forze; però ha la certezza che Dio la salverà; e così può addormentarsi serena nel castello più orrido e nella situazione più disperata.
La fiducia in Dio non è un atteggiamento passivo, ma è la virtù di chi combatte con la certezza della vittoria perché sa che la sua causa è giusta e quindi è difesa da Dio e perciò trionferà.
x = Rapporto tra Fede e Ragione.
La Ragione prepara il campo alla fede; questa completa il dettato della ragione. Gli Illuministi avevano affermato che fra ragione e fede c’era un contrasto insanabile; Manzoni, invece, ritorna alla posizione di san Tommaso e di Dante e sostiene che la ragione prepara il campo ala Fede, e questa conferma e completa le conquiste della ragione. Infatti la verità, che è unica, deriva da una unica fonte, da Dio; e deriva alla mente umana attraverso due canali: la ragione e la rivelazione; e perciò verità di fede e verità di ragione non possono essere in contrasto fra di loro.
PENSIERO MORALE.
A= Non esistono due morali: quella del pulpito (cioè quella teorica che i vieni: predicata in chiesa e quella laicistica del mondo, basata sulle esigenze pratiche dell’egoismo. Nel cap. V dei Promessi Sposi padre Cristoforo, interpellato sulla famosa questione di cavalleria, afferma che sarebbe meglio che non ci fossero né sfide né portatori né bastonate né bastonator; e l’avvocato Azzeccagarbugli, invitato a dare un giudizio sull’affermazione del padre, dice: “La sentenza del padre, ottima e di giusto peso sul pulpito, non ha nessun valore nella pratica della vita”. Il Manzoni è evidentemente convinto del contrario: ciò che è valido in teoria è valido anche in pratica. In tal modo il Manzoni rifiuta la posizione del Machiavelli, che riconosceva il valore della morale cristiana in teoria, ma la considerava impossibile ad attuarsi o addirittura dannosa nella vita pratica
B= Pur essendo un dovere l’intransigenza nella distinzione dei valori f morali (il bane è bene, il male è male, tanto in teoria quanto in pratica), tuttavia bisogna giudicare con comprensione gli uomini che errano; e nella stessa applicazione dei principi morali, non bisogna esigere da tutti l’eroismo. Anzi la pretesa di applicare la stessa norma morale a tutti i casi della vita senza distinzione di circostanze e con intransigenza rischia talvolta di favorire il male e di rendere impossibile la pratica del bene. Così l’origliare alle porte di una stanza, dove due persone sono a colloquio, di per sé è un’azione scorretta; però il vecchio servitore di Don Rodrigo origliando alla porta del suo padrone in colloquio con Padre Cristoforo, non solo non compie una azione riprovevole, ma onesta e intelligente. Sarebbe strano che si usassero riguardi di buona creanza verso un criminale I che sta per compiere un delitto.
Il matrimonio di sorpresa è una cosa che non “istà bene” secondo la coscienza morale delicatissima di Lucia; ma, non essendo di per sé un’azione disonesta, anzi permessa dalla legge, Agnese (espressione della coscienza pratica) lo ritiene necessario nelle condizioni in cui si è venuta a trovare la figlia.
C = Chi più ha ricevuto, più deve dare. Pare il bene è un dovere religioso e sociale nello stesso tempo. Esso vale soprattutto per coloro che hanno ricevuto beni di fortuna od hanno ricevuto l’ingegno quindi sono deplorevoli i ricchi che sciupano i beni, nei vizi (come il conte Attilio e Don Rodrigo), oppure le persone intelligenti che attraverso gli scritti mirano non ad educare i lettori, ma a divertire gli oziosi e a procurare guadagno e fama a se stessi.
D = La carità è la virtù più simpatica e più feconda di bene.
F = “Gli uomini più che a star bene, dovrebbero pensare a far bene, e così finirebbero a star meglio”: è un principio (enunciato nella parte conclusiva dei Promessi Sposi) che rivela la tendenza del Manzoni a risolvere i problemi della vita in modo radicale sulla base di una saggezza razionale e religiosa, che fa a meno della demagogia rivoluzionaria e pone ogni uomo di fronte a ciò che è più necessario: il compimento del dovere.
G = “La vita non e già un peso per molti ed una festa per alcuni, ma un impiego utile per tutti”. (Promessi Sposi cap. XXII ) .
PENSIERO POLITICO
Lo distinguiamo in pensiero politico generale; e pensiero politico risorgimentale.
a) Pensiero politico generale.
La fonte da cui il Manzoni desume i principi generali della politica è il pensiero illuministico, completato dal pensiero religioso cristiano.
1 == Governare significa servire il popolo. Il governo, perciò non è il padrone dei cittadini, ma il promotore del loro benessere materiale e spirituale.
I governanti che pensano solo a soddisfare le loro ambizioni e i loro interessi sono ridicoli e spregevoli nello stesso tempo.
Il Manzoni ci offre nei Promessi Sposi un esempio tipico di tal genere di governo nei comportamenti di quello spagnolo. Le condizioni deplorevoli in cui vive ‘la popolazione della Lombardia vessata dai signorotti, misera, affamata, analfabeta, igienicamente arretrata, sono il più terribile documento di accusa contro un governo insipiente, tanto insipiente che si è indotti a pensare non che non sapesse governare ma che non volesse governare sul serio.
Del resto quello spagnolo è un governo straniero, e agli stranieri interessa solo tenere il popolo soggetto; e per tenerlo soggetto, gli è necessario tenerlo nell’insicurezza, nella miseria, nell’ignoranza.
Non è possibile che il governo spagnolo non sapesse che le ‘gride’ non avevano alcuna efficacia se venivano fatte contro i mandatari dei delitti (i bravi) e non contro i mandanti (i signorotti).
Vuol dire, allora, che ad esso faceva comodo assicurarsi la servile collaborazione dei signorotti locali, permettendo loro di spadroneggiare sugli umili. Il fatto che all’Innominato è possibile tenere in scacco la polizia spagnola e umiliarla vergognosamente con un piccolo gruppo di bravi, sta a significare che il governo straniero aveva tutto l’interesse a favorire il brigantaggio, per tenere il popolo nella paura e alimentare nei signorotti stessi la diffidenza e l’odio reciproco.
Non è possibile che il governo spagnolo non sapesse che per rimediare alla carestia non si abbassa il prezzo del pane (come fa Ferrer), ma si razionano le scorte disponibili (come suggerisce Ambrogio Fusella, ossia il bargello travestito che accompagna Renzo all’Osteria della Luna piena), e intanto si fa venire grano dall’estero (come fa la Repubblica Veneta che lo importa perfino dalla Turchia, sua eterna nemica).
Pertanto bisogna ammettere che il governo spagnolo si valesse della fame, come delle violenze dei signorotti, dei Lanzichenecchi, della peste, dell’analfabetismo, per tener più facilmente sotto il giogo la popolazione lombarda.
La responsabilità delle insensatezze a cui si abbandona il popolo (basta ricordare la distruzione dei forni e lo spreco della farina e del pane durante la sommossa per la carestia a Milano; o la caccia spietata e balorda che durante la peste veniva data ai disgraziati che fossero sospettati di unzioni benefiche), ricade sui governanti, che non sanno o non vogliono provvedere, quando i tre flagelli dell’umanità (peste fame e guerra) si abbattono sulle moltitudini.
Un esempio. Il popolo affamato tumultua dinanzi al “Forno delle cruccie”; il capitano degli alabardieri, accorso per ristabilire l’ordine, tenta di imbonire la folla con esortazioni paterne alla speranza e alla calma. Ma chi ha lo stomaco vuoto non può accontentarsi di prediche e belle parole; e uno di quei “buoni figliuoli” gli tira una sassata, che va a colpirlo nella “profondità metafisica del cervello”; e giustamente, sembra dire il Manzoni, perché a chi ha lo stomaco vuoto non si fanno bei ragionamenti, ma si procura anzitutto il pane.
Ma nello stesso tempo il poeta, messo da parte ogni falso rispetto o demagogica adulazione, verso il popolo, non manca di mettere in evidenza gli stupidi vandalismi a cui si abbandona la folla; né risparmia la sferzata (anche se data con il solito tono umoristico) contro l’arroganza e l’intolleranza del popolo, che, quando è sotto l’impulso di una passione, non vuole sentire richiami alla ragionevolezza. Un esempio: a Renzo, che a Milano vede bruciare, i forni, le madie e i frulloni, il buon senso fa dire: ”Se conciano così tutti i forni, dove faranno il pane? Nei pozzi?”
Se di fronte a quei vandalismi o ad altre scempiaggini della folla, uno avesse osato protestare, sarebbe stato linciato; per cui nessuno si azzardava a dissentire apertamente: ”Il buon senso se ne stava nascosto per paura del senso comune”, commenta il Manzoni. Il buon senso è il dettato elementare della ragione; il senso comune è un modo di pensare e di agire, anche sbagliato, che in certi momenti diventa generale a causa di una forte passione che investe tutto un gruppo, e di cui in genere si fanno interpreti gli scalmanati e i facinorosi.
2 == Poco interessa la forma istituzionale (Monarchia o Repubblica), purché chi governa sia intelligente e faccia gli interessi del popolo.
3 ==Il popolo di per sé è una massa informe e rozza, una specie di bestione che è buono fino a quando il vento delle passioni non lo eccita; irrefrenabile e rovinoso quando s’infuria; spetta ai governi il dirozzarlo e civilizzarlo. E’ un ipocrita pericoloso e spregevole chi finge di adorare il popolo o giustifica tutte le nefandezze che esso commette nella sua stoltezza.
4 == Certi difetti delle masse e dei governanti rimangono purtroppo eterni, essendo troppo radicati nella natura umana perché possano essere totalmente eliminati (concezione pessimistica; l’unico pessimismo del Manzoni; vedi la conclusione della tragedia “Adelchi”).
Pensiero politico risorgimentale.
Dio, come ha creato gli individui, con una loro fisionomia particolare, con particolari capacità, con particolari inclinazioni ed una particolare missione da svolgere nella vita, così ha creato le nazioni, ciascuna con una particolare fisionomia etnica, con una particolare missione da svolgere nella storia umana, con un territorio e relativi beni dai quali trarre i mezzi per vivere ed operare. Come è delittuoso il tentativo di interferire nella vita degli individui, così è criminale la pretesa di un popolo di interferire nella vita di un altro popolo.
La causa dei popoli oppressi è sacra, e quindi è difesa da Dio. Gli Italiani devono tener presente questo, affinché abbiano fiducia nella vittoria finale della loro causa (Marzo 1821).
Gli Italiani debbono sperare soltanto nelle loro forze. Se lo straniero dà un aiuto, non lo dà mai disinteressatamente; la libertà per ciascun popolo è una conquista personale. Il Manzoni teneva presenti soprattutto le delusioni a cui erano andati incontro gli Italiani che avevano sperato la libertà e l’unità da Napoleone; e nel 1° coro dell1Adelchi, le avvicinava ad altre delusioni che gli Italiani avevano subito in altri tempi pure ad opera di Francesi liberatori).
Gli Italiani hanno risorse sufficienti per reagire all’oppressione straniera; ma tali risorse saranno inefficienti, finché essi saranno disuniti. La discordia fra gli Italiani giova solo allo straniero (coro del Conte di Carmagnola). Poco interessa se l’Italia sarà una repubblica od una monarchia: l’essenziale è che si unisca e che incominci ad operare nella storia.
PENSIERO LETTERARIO
Il genio, avendo ricevuto di più da Dio, deve dare di più. Egli ha il dovere di mettere in evidenza i significati profondi ed eterni della vita, affinché gli uomini imparino a vivere. Lo scrittore non deve scrivere per sé o per un piccolo gruppo di iniziati, ma per tutti. Il diletto nell’arte è necessario, ma esso non è il fine dell’arte stessa, bensì un mezzo per rendere più accettabili le idee e i sentimenti che vengono espressi, lo scrittore è, dunque, un maestro su cui gravano doveri e responsabilità importanti. Questa concezione dello scrittore maestro il Manzoni l’ha desunta dall’illuminismo, dal romanticismo, dal classicismo di Parini e di Alfieri. Il Cristianesimo la conferma e le dà un fondamento sicuro. Lo scrittore deve esercitare il suo magistero per dovere religioso e se la vita dev’essere un impegno utile per tutti, questo dovere è più grave per chi ha ricevuto di più da Dio, cioè per la persona dotata di genio.
Il Manzoni nutrì una particolare antipatia per la figura del letterato, cioè dello scrittore che coltiva le lettere per le lettere, con l’intento di divertire i signori, di acquistare fama presso i dotti e con la preoccupazione di distinguersi il più possibile da popolo, che egli considera e chiama ‘volgo’; “Se le lettere dovessero aver per fine quello di divertire quella classe d’uomini che non fa quasi altro che divertirsi, sarebbero la più frivola, la più servile, l’ultima delle perfezioni”.(Gli Sposi Promessi). Le stravaganze di immagini e di parole di cui abusano troppi letterati, fanno s^ che il popolo consideri il poeta come un cervello bizzarro e un po’ balzano e chiama poeta chi nei discorsi e nei fatti abbia più dell’arguto e del singolare che del ragionevole (cfr. I Promessi Sposi cap. XIV).
IL CONCETTO DI VERITA’ NELL’ARTE.
Se la letteratura è servizio della vita, se lo scrittore è maestro, il fondamento della letteratura è la verità. Infatti a nessun maestro è permesso dire il falso. Il Manzoni parla di una \ verità di soggetto; verità di interpretazione; \ verità di espressione.
Verità di soggetto.
Lo scrittore può trattare argomenti storici o argomenti inventati.
E’ preferibile l’argomento storico, perché i fatti veri persuadono; ma se uno sceglie un argomento storico, deve rispettare la verità storica, e ciò per tre motivi: anzitutto perché nessun maestro è permesso dire il falso; in secondo luogo perché ogni falsificazione è un atto immorale. Nella conclusione della “storia della colonna infame” il Manzoni critica il pregiudizio che il poeta abbia il privilegio di profittare anche del falso, purché con questo riesca a produrre un’impressione o forte o piacevole. Qual privilegio? Il mantenere gli uomini nell’errore è privilegio? In terzo luogo perché lo scrittore, falsificando i fatti, toglierebbe a se stesso la possibilità di interpretarli: infatti non è possibile capire il significato di ciò che non si conosce nella sua realtà.
Ma se lo scrittore sceglie un argomento storico, la sua fantasia, la sua personalità non sono forse mortificate? Il Manzoni risponde a questa obiezione, dicendo che allo scrittore, il quale tratti un argomento storico, resta sempre il compito di completare con la sua fantasia i vuoti lasciati dalla storia, di interpretare la psicologia dei personaggi, di riprodurre e far rivivere ambienti e uomini, o soprattutto di interpretare il significato più profondo dell’argomento.
Verità di interpretazione.
Né un argomento storico, né un argomento inventato è di per sé è poetico; è soltanto poetabile. Un soggetto diventa poetico quando lo scrittore sa interpretare il. significato più profondo di esso.
Il significato più profondo di un soggetto è quell’aspetto che raccoglie in sintesi piena tutta la vita, del soggetto stesso.
Ad esempio, Napoleone presenta svariati aspetti: quello politico, quello militare, quello morale, quello religioso, quello di uomo privato: trattare uno solo di questi aspetti, significa interpretare superficialmente Napoleone. Pertanto il Manzoni nel “5 Maggio” <1821> si preoccupa di individuare un aspetto che trascenda tutti gli altri o li sintetizzi. Napoleone è l’azione, l’azione ridotta all’inerzia, l’azione redenta dalla sofferenza dell’inerzia aggravata dal ricordo. Questo è il significato più profondo del soggetto “Napoleone Bonaparte “.
Uno scrittore, affinché sia capace di intuire i significati più vasti o più profondi di un soggetto, deve avere una visione ampia e profonda della vita. Siccome a tale visione si giunge con la indagine filosofica e religiosa. Solo i grandi pensatori abituati alla meditazione possono cogliere aspetti mirabili nei soggetti che trattano. Nell’ode “In morte di Carlo Imbonati” (1805) al Manzoni che gli ha chiesto di indicargli la via più sicura per ascendere ai più alti gradi della poesia, l’Imbonati dà questo consiglio “sentire e meditar … il sacro ver mai non tradir; né proferir mai verbo che plauda al vizio e la virtù derida”. Meditare sul bene, sentirlo, riviverlo, sempre più sul piano della verità e del decoro. A questo programma il Manzoni resterà sempre fedele.
Così il Manzoni esclude che per essere poeta basti saper maneggiare la lingua o saper descrivere.
Verità’ di rappresentazione
Una volta intuito il significato, più profondo e universale di un personaggio storico o inventato, lo scrittore deve dargli una vita, deve cioè farlo pensare, sentire, parlare, agire. Non basta ad esempio intuire nel Bonaparte l’uomo d’azione; bisogna far vivere l’uomo d’azione di fronte alla fantasia dei lettori.
La filosofia ragiona intorno alla vita per coglierne i significati e gli aspetti universali ed eterni; l’arte rappresenta la vita nei suoi significati scoperti dalla filosofia e dalla religione. Affinché lo scrittore riesca a comunicare al soggetto i pensieri, i sentimenti, le parole, le azioni più adatte a rappresentare la sua vita vera, è necessario che egli conosca bene gli uomini, le situazioni umane, i misteri del cuore, le espressioni più, varie e più significative del sentimento. A tale scopo, lo scrittore deve uscire dal chiuso del suo studio, e più che dai libri, deve imparare a conoscere la vita attraverso l’esperienza diretta.
Ad un giovane (Marco Coen) che gli chiedeva consiglio se dedicarsi al commercio, come voleva il padre, o alla letteratura, come desiderava lui, il Manzoni rispondeva che le due attività, non erano incompatibili e che l’attività del commerciante avrebbe offerto numerose esperienze, come si legge nella sua lettera sul Romanticismo.
In conclusione il Manzoni, come si legge nella sua lettera allo scrittore a Cesare D’Azeglio, propugnò una letteratura che avesse il vero per oggetto, l’utile per scopo e l’interessante per mezzo.
La letteratura dei letterati, dice il Manzoni, deve ricorrere al mito, alla frase dotta, all’immagine raffinata; la letteratura dei veri scrittori, invece si ispira costantemente alla vita, por interpretarne i significati più profondi e presentarla alla riflessione, dei lettori. Molto significativa è l’insistenza del Manzoni sul concetto di interessante sostituito a quello del meraviglioso; essa rivela la preoccupazione dell’autore di sostituire al diletto, inteso come fine dell’arte, la riflessione profonda, che arricchisce la mente dei lettori di alti ideali ed il cuore di nobili sentimenti.
L’elemento che dà valore universale a un’opera d’arte non è più il meraviglioso (come sostenevano i classicisti), ma l’interessante cioè il complesso dei significati umani e divini in essa contenuti; significati che rivelano i destini eterni dell’uomo. Spetta, perciò, al Manzoni il merito di aver ridato alla letteratura una sostanza vitale, e capace di soddisfare le esigenze più intime e più profonde dei lettori di tutti i tempi e dì tutti i luoghi.
Il Manzoni ha militato nel Romanticismo, ma sempre con l’intento di frenarne le intemperanze e di metterne in luce i principi più veri e più validi. Egli appartiene al cosiddetto Romanticismo moderato, che propugna una letteratura naturale intesa non come creazione anarchica e rozza, ma come creazione spontanea, ricca di sostanza e decorosa nell’espressione, ad un tempo; una letteratura popolare ma non popolaresca, una letteratura moderna, ma non sprezzante degli insegnamenti degli antichi; una letteratura nazionale, ma non nazionalistica.
PENSIERO CRITICO
Criticare un’opera letteraria vuol dire definire il valore estetico di essa. Secondo il Manzoni per poter giungere a formulare il giudizio estetico sono necessarie tre cose:
a- leggere e capire l’opera nel suo senso letterale
b- avere la capacità di ripercorrere spiritualmente lo stesso cammino spirituale percorso dal poeta durante la composizione
c- individuare l’intenzione dello scrittore e vedere fino a che punto egli l’ha realizzata.
Evidentemente quando si giudica bisogna avere un metro o criterio a cui rapportare l’opera sottoposta a giudizio: per questo motivo il critico ha il dovere di dire quale, secondo lui, avrebbe dovuto essere lo svolgimento perfetto del tema, qualora trovasse l’opera malfatta.
Manzoni, per conto suo, adotta il criterio estetico della verità quale è stato già esposto. Non tutti sono capaci di gustare e di capire un’opera d’arte. A questo proposito il Manzoni distingue una capacità artistica attiva e una passiva: la prima consiste nel saper creare la poesia; la seconda nel saper rivivere il processo creativo seguito dal poeta con tutto il complesso delle sensazioni che lo hanno accompagnato nel suo lavoro. Alcune persone posseggono l’una e l’altra capacità; altre posseggono o l’una o l’altra: in questo secondo caso i bravi poeti non sono bravi critici e i bravi critici non sono affatto bravi poeti.
La morale e il vero, nella valutazione di un’opera d’arte.
Il problema si pone in questi termini: può essere poetica un’opera ispirata al l’immoralità e al falso? Ecco come il Manzoni risolve questo problema:
1- Anzitutto fa una distinzione fra osceno e immorale; fra azione immorale e giudizio immorale.
–Osceno è ciò che la natura ci insegna a non esporre alla vista altrui o perché suscita moti passionali o perché desta schifo, o per l’urto e per l’altro motivo insieme.
–Immorale è ciò che contrasta con la legge morale e può essere o una azione compiuta da un personaggio o un giudizio espresso dall’autore.
2- Fatte queste distinzioni il Manzoni passa alle applicazioni.
\—Riguardo all’osceno. L’osceno è una realtà e può essere oggetto di poesia, perché nessuna realtà è impoetica, qualora venga ben interpretata e bene rappresentata. Tuttavia, per senso di responsabilità e di correttezza, di cui dovrebbero essere forniti tutti, ma specialmente gli educatori, il poeta deve astenersi dal trattare argomenti osceni o almeno dovrebbe impegnarsi a non oltrepassare i limiti della decenza nel trattarli. La trattazione dell’osceno, quindi, è una questione dì correttezza: solo uno scrittore volgare e cafone, che non ha rispetto per il pubblico, si permette alcune libertà.
\—Riguardo all’immorale:
a)- Se si tratta di un’azione contro la legge morale (omicidio, adulterio ecc.) siccome azioni di questo genere fanno parte della realtà, neanch’essa è esclusa dal mondo della poesia. Si può dunque, rappresentare un’azione immorale, salvi, sempre i limiti della decenza, come, si è detto parlando dell’osceno. Ad esempio nei “Promessi Sposi”, le iniziative di don Rodrigo e della Monaca di Monza, non sono morali: chiaramente sono presentati con decenza e interpretate nel loro vero significato, sono opportune e poetiche.
b)- Se invece si tratta di un giudizio immorale, cioè se lo scrittore pretende di rappresentare il male come bene o il bene come male, la poesia viene a perderci, perché tale giudizio è falso; e il falso per quanto sia ben rappresentato, è sempre falso. Ad esempio affermare in bel modo che 3 + 3 = 4 è una sciocchezza detta in bel modo: lo diremo un bel modo, ma rideremo della sciocchezza. La poesia è contenuto e forma: un contenuto miserabile scema il valore della poesia. Da qui la distinzione tra poesia piena e poesia minorata. La prima è contenuto vero + beIla forma. La seconda è contenuto falso + bella forma.
Così il Manzoni rivendica l’alta dignità della vera poesia e smaschera lo scrittore che con la scusa che sa parlare bene, dice tutte le scempiaggini che gli vengono in testa e pretende scandalizzare le persone di buon senso.
Il concetto di interesse nella letteratura secondo il Manzoni.
In base al concetto che lo scrittore è un educatore, il Manzoni insiste sul concetto che Io scrittore deve interessare i lettori. Infatti educa bene chi sa interessare i suoi educandi. Interessante è ciò che rientra nell’ambito delle conoscenze, delle simpatie, dei problemi, delle aspirazioni, degli affetti di coloro che leggono. Riguardo ai temi e ai motivi l’interesse si può distinguere in tre categorie: interesse locale, interesse storico, interesse umano ed universale. Un esempio: il racconto dei Promessi sposi ha un interesse locale, perché rievoca i luoghi e personaggi della regione lombarda. Ha un interesse storico perché rievoca la situazione di un piccolo settore dell’umanità, cioè della popolazione lombarda, in un preciso momento della sua storia, che costituisce una specie di documentario della vita lombarda nel secolo XVII. Ha un interesse umano e universale, perché l’interpretazione dei fatti e dei personaggi è condotta in modo da cogliere in essa i significati più profondi e più universali, che valgono per tutti i tempi e per tutti i luoghi, e la psicologia umana è colta e rappresentata in forme che sono eternamente uguali a sé stesse.
Poco importa se il tema e i motivi non abbiano interesse locale, o interesse storico. L’essenziale è che abbiano interesse umano e questo interesse lo conferisce salo la verità d’interpretazione del soggetto
Quale delle facoltà del lettore dev’essere -interessata dal poeta? Il lettore è una persona. Lo spirito umano è unitario; perciò tutte le facoltà del lettore debbono essere ugualmente interessate: l’intelletto, il sentimento, la fantasia, la sua vita vissuta, cioè la sua esperienza. Lo scrittore che interessi solo la fantasia è uno scrittore ozioso che compone per oziosi; in genere le sue opere sono basate sul romanzesco, ossia su procedimenti fantastici, innaturali, adatti a tener desta la curiosità della fantasia dei lettori, ad emozionarli, cioè a spaventarli o a farli sciogliere in lacrime, o a provocare la sensualità, ma niente affatto adatti a suscitare in essi riflessioni profonde. Dice in un passo della lettera allo Chauvet: “La vera arte non sconvolge, ma fa pensare, non suscita turbamenti forti, ma induce a riflettere e a scendere nel profondo dello spirito”.
Il concetto di utile.
Secondo il Manzoni, come si è già considerato, il poeta è maestro perciò il suo compito è quello di rendersi utile ai lettori. In che cosa consiste questa utilità? Consiste nel potenziare lo spirito del lettore attraverso la verità comunicata all’intelletto, attraversi il senso della bontà umana comunicato al cuore, attraverso il senso del dovere comunicato alla volontà.
Dovrà il poeta predicare di continuo? No assolutamente. Dovrà interpretare e rappresentare la vita nei suoi significati e nei suoi aspetti più veri. La visione della vita interpretata e rappresentata così, è piacevole, perciò inutile nell’arte non esclude mai il piacevole.
Esclude soltanto il piacevole del romanzesco che può dilettare solo gli sciocchi i quali leggono per non imparare ‘nulla.
Il piacere, nell’arte è un mezzo, non un fine: è un mezzo per raggiungere l’utile e deve consistere in quel diletto che si prova quando si è dinanzi a visioni vere, complesse, intelligenti, interessanti della vita umana.
LA QUESTIONE DELLA LINGUA IN MAZONI
Dante aveva individuato la lingua nazionale da usarsi per le composizioni elevate o tragiche, nella lingua che veniva parlata dalle persone colte italiane nei vari ambienti colti (scuole e corti) della penisola. Agli inizi del ’500 il Bembo individua la lingua nazionale nella lingua dei tre grandi toscani del Trecento; la lingua italiana è quella usata da Dante, Petrarca e Boccaccio, soprattutto dagli ultimi due autori. Il Trissino contro il Bembo sostiene la teoria di Dante: la lingua italiana è quella parlata dalle persone colte nette varie regioni della penisola.
La soluzione del Bembo ha il pregio di proporre una lingua ben definita, ha il difetto di proporre una lingua addietrata e, quindi, morta, evoluzione; del Trissino ha il pregio di proporre una 1ingua viva, ma t il proporre una lingua non ben definita (infatti le persone colte d’Italia non parlavano una lingua propriamente uguale, perché risentivano dell’influsso dei dialetti ideali). Vinse la teoria del Bembo e alla fine del ’500 venne compilato il vocabolario della Crusca in qui era raccolta la lingua dei grandi trecentisti toscani. Il vocabolario della; Crusca regna incontrastato fino all’illuminismo.
Alla metà del secolo XVIII gli illuministi, gettano a mare il vocabolario della Crusca perché antiquato; essi svecchiatori e modernisti, propugnano una lingua moderna e viva. La lingua degli scrittori, secondo essi, è quella delle persone colte di tutta la penisola (la teoria di Dante e di Trissino) con l’aggiunta di forme tratte dalle lingue straniere o create ex novo quando il bisogno lo richieda. Per reazione contro la lingua tradizionale, gli illuministi si dimostrano un po’ anarchici e creano un linguaggio abbastanza sregolato. I Granelleschi di Venezia (Carlo Gozzi) sostengono l’integrità assoluta del vocabolario della Crusca. I Trasformati di Milano (Carlo Imbonati) propugnano l’aggiornamento di esso, cioè l’aggiunta di vocaboli desunti dalle opere degli scrittori toscani del ’500.
Il Romanticismo, nel secolo XIX, propugna una lingua viva e popolare; ma nessuno sa dire quale essa sia; per cui forme e vocaboli eruditi si mescolano spesso molto male con vocaboli e forme della lingua famigliare, influenzata dal dialetto. Il Berchet -presenta appunto questo ibridismo linguistico di dotto e di popolare. Il Manzoni stesso pel suo romanzo pubblicato ne 1827, pubblica una pubblica una lingua che è mezzo italiana e mezzo lombarda. Appena fatta la prima edizione nel 1827, il Manzoni si preoccupa di purificare la lingua del suo romanzo. Il criterio che egli adotta è questo:
1)=== deve essere universale, cioè parlata in tutta la nazione
2)=== deve essere viva, cioè parlata dalla generazione a cui appartiene. Ed allora il Manzoni si domanda: c’è in Italia una lingua che è parlata presso a poco da tutte l persone colte? Sì, è la lingua toscana che è appresa da tutti gli italiani perché questi, nel passato hanno imparato la lingua o dalle opere dei tre grandi trecentisti o dal vocabolario della Crusca. L’universalità del toscano, dovuta alla superiorità culturale della Toscana nei primi tempi della nostra letteratura, è un fatto indiscusso. E quale è la lingua toscana viva, dato che non si può accettare una lingua toscana invecchiata? E’ la lingua parlata dalle persone toscane di oggi, le quali accolgono nel loro linguaggio le forme tradizionali E quelle nuove, create dall’evoluzione dello spirito.
Perciò la lingua italiana per il Manzoni è quella delle persone colte fiorentine di oggi. Dicendo colte egli esclude le particolarità dialettali che sono proprie del popolino torcano. La revisiono del romanzo, venne fatta appunto con questo criterio e il Manzoni si valse della collaborazione di persone colte toscane, come il Giusti, il Capponi, la signora Suti ed egli stesso dimorò spesso e a lungo in Firenze per rendersi conto della lingua nazionale sul posto.
Nel 1871 fu proclamato il Regno Unitario d’Italia e si pensò allora anche all’unificazione linguistica della nazione e quindi si ripresentò il problema della lingua nazionale. II Manzoni fu invitato ad esporre la tua tesi. Egli illustrò la sua tesi nel 1827 in svariati studi “Relazione al ministro Broglio sull’unità della lingua nazionale “- “Lettera al Longhi sul vocabolario della Crusca” – “Intorno al De Volgari Eloquentia di Dante” – “Sentir messa”.
In base alla teoria del Manzoni, che fu accettata dal governo furono compilati i nuovi vocabolari dell’Italia unita. Oggi che gli Italiani parlano ormai da svariati decenni la lingua fiorentina viva non c’è più bisogno di modellare la lingua su quella fiorentina, perché essa è diventata ormai nazionale e come tale ha incominciato una vita nuova arricchendosi di svariati vocaboli e forme sintattiche e frasi. La lingua di oggi è fiorentina di origine, ma è italiana di fatto e chi scrive, oggi, non osserva più se una voce è in uso in Toscana, ma se è in uso nel linguaggio comune delle persone colte italiane (nei libri, nei giornali, nelle riviste, nelle scuole ecc.).
Che significa stile medio del Manzoni?
Lo stile del Manzoni è stato definito medio. Medio significa che è tra eccessi opposti e, quindi, è misurato, temperato e armonico. Lo stile dei Romantici è forte, ossia i Romantici amano procedere con motivi e visioni che scuotono, ma sono imprecisi abbastanza confusi. I classicisti amano procedere con motivi sereni e visioni compassate, ma sono freddi
Il Manzoni accoglie i motivi forti (nei “Promessi Sposi ce ne sono abbastanza: tentato rapimento, rapimento, castello pauroso, banditi conversioni, rivoluzioni, pesti), ma li svolge con moderazione, senza colorire eccessivamente, senza insistere troppo su di essi, temperando il turbamento da essi generato con visioni più serene 0 addirittura comiche. I classicisti danno nell’arte il predominio alla logica, i Romantici alla fantasia; il Manzoni accoglie il procedimento logico e quello fantasioso insieme, in modo che la visione fantasiosa risulta logica nella logica delia naturalezza.
I Romantici sono sfrenatamente lirici, i classicisti freddamente oggettivi pure quando idealizzano. Il Manzoni non impaccia la descrizione con lunghe osservazioni personali o affidando a qualche personaggio l’incarico di fargli da portavoce; tuttavia non rinuncia ad intervenire in modo simpatico; e piacevole nel racconto, o nell’azione (cfr. coro nelle tragedie e i commenti spassosi con i suoi 25 lettori nei “Promessi Sposi”). Alcuni scrittori, come gli illuministi, preferivamo l’opera tutta pensiero. Altri, come i Romantici preferivano l’opera tutta fantasia e sentimento.
Manzoni svolge profondi motivi di pensiero in un racconto in cui le situazioni, benché inventate, sono sempre naturali. Il suo non è un romanzò tutto fantasia, né un romanzo a tesi, è un romanzo misto di pensiero e di sentimento, come la vita.
Gli illuministi propugnavano lo stile vivace, ma peccavano di sregolatezza. I classicisti propugnavano lo stile compassato, ma peccavano di freddezza; i romantici propugnavano lo stile impetuoso, veemente. Il Manzoni è spigliato e vivace come gli illuministi, anche nitido e lucido come i classicisti; nello stesso tempo è intenso come i Romantici.
LINGUAGGIO
Per quanto riguarda il linguaggio, ossia il modo di usare la lingua, Manzoni si può dire di atteggiamento “medio” in quanto non usa né vocaboli dotti (rari) né vocaboli popolareschi, né frasi complicate, né frasario impreciso, né periodo solenne e bardato come quello modellato sul latino dai classicisti, né quello approssimato e dialettale. Preferisce il linguaggio delle persone intelligenti che si propongono di essere chiare, precise e accessibili al maggior numero di persone. Il periodare, ad esempio, ha la salda struttura logica del discorso meditato, ma sa anche assumere le movenze agili e flessibili agli stati d’animo, come nel parlare.
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DIFFERENZE TRA IL ROMANZO STORI CO DEL MANZONI E QUELLEO DELLO SCOTT
Il romanziere Scott autore, tra altre opere, di “Ivanoe”(1819) si serve dell’invenzione per illustrare i costumi di un periodo storico. Ad esempio, in “Ivanoe”, l’intreccio è un mezzo per descrivere-i costumi dell’Inghilterra medievale. Possiamo perciò definire il romanzo storico dello Scott come un “documentario storico”. In un romanzo di questo genere prevale la curiosità destata dall’intreccio e destata dalla visione di costumi caratteristici che presentano note di colore fornite di un fascino notevole.
Manca nel romanzo dello Scott l’interesse umano più interiore, essendo stato curato molto il particolare che soddisfa la curiosità storica nel l’intreccio, nei personaggi, nelle situazioni. Non è facile cogliere uno degli aspetti eterni della vita umana, perché manca l’interpretazione fatta alla luce di una visione vasta e prof onda della vita.
Il Manzoni, invece non fa della curiosità storica il fine principale del romanzo. Egli mira a. cogliere in un particolare momento storico quegli aspetti derisi vita umana che sono eterni. Perciò il suo romanzo non è un documentario storico, ma un documentario di umanità: il primo infatti è rappresentazione di una particolare vicenda umana, osservata entro alcuni dati locali e temporanei, con descrizioni piuttosto esteriori.
Il secondo rappresenta prevalentemente i sentimenti umani in un momento storico nei suoi aspetti interiori che sono comuni alle. generazioni di tutti i tempi. Tuttavia il Manzoni non ha trascurato la curiosità storica, anzi si è dedicato alle ricerche documentali ed ha scritto opere storiografiche pertinenti adatti a formare la cornice geografica e storico-culturale molto cara a lui e ai suoi amici. Egli infatti immagina che i suoi 25 lettori siano di Milano a almeno della Lombardia. Pertanto desidera suscitare il loro interesse presentando luoghi e rievocando memorie storiche, che rientrano nel cerchio delle conoscenze e delle simpatie e antipatie dei lettori stessi.
Anche qui l’interessante è, secondo lui, un mezzo per tener desta l’attenzione dei lettori. Ma se egli si fosse contentato di soddisfare soltanto la curiosità dei suoi lettori lombardi, avrebbe preferito tutta la coloritura locale del documentario di interesse e testimonianza locale, ma limitata
In realtà il Manzoni si preoccupò soprattutto di suscitare l’interesse umano, cogliendo nell’umanità della Lombardia del secolo XVII gli aspetti eternamente caratteristici degli individui di ogni persona nel tempo.
Egli si preoccupò di suscitare interesse delle persone allo scopo, voluto e programmato, di fare dell’opera un mezzo utile ed efficace all’educazione del popolo, secondo gli intenti illuministi e romantici. Il conoscere i costumi esteriori di una determinata generazione può soddisfare la curiosità, ma il conoscere l’eterno destino della persona umana contribuisce a formare l’uomo stesso. Il suo romanzo “ P. S.” come ogni opera d’arte efficacemente formativa fa parte delle creazioni eterne.