Nel 1417 il vescovo di Fermo fa conoscere al mondo il libro di Dante Alighieri
Notizie desunte dagli studi di Gabriele Nepi, “Curiosità Storiche su Fermo e il Fermano” (Fermo 1996)
Giovanni De’ Bertoldi, il Vescovo di Fermo che tradusse in latino la “Divina Commedia” per i padri del Concilio di Costanza (1414/1418 nell’attuale Romania sul Mar Nero) era cittadino della Repubblica di S. Marino, o “di Romagna solatìa”. Giovanni nacque nel 1350 a Serravalle, allora nell’agro di Rimini, ma nel 1461, dopo circa un secolo dalla nascita del De’ Bertoldi, con altri tre castelli (Fiorentino, Montegiardino e Faete) passò alla Repubblica di S. Marino. In precedenza, i nobili De’ Bertoldi avevano ricoperto importanti cariche nella repubblica del Titano.
Entrato tra i Frati Minori, Giovanni frequentò l’Università di Pavia dove si laureò; quindi in quella di Bologna, dove seguì le lezioni di Fra’ Benvenuto da Imola su Dante. Stimato dal pontefice Bonifacio IX, fu lettore di Teologia in Santa Croce a Firenze; indi nello Studium Fiorentino, lodato da Coluccio Salutati, cancelliere della Signoria Fiorentina, nel 1410 fu nominato da Gregorio XII, Vescovo di Fermo.
Suo alto merito è quello di aver tradotto in latino la Divina Commedia a richiesta del Cardinale Amedeo di Saluzzo e dei vescovi inglesi Nicola Bubwych e Roberto Halam che, con altri ed alti prelati, partecipavano al Concilio di Costanza. Nel 1416 si ebbero soltanto sei sessioni; e i Padri Conciliari chiesero al Vescovo di Fermo, De’ Bertoldi, di tradurre per loro, in latino, la Divina Commedia di cui conoscevano, per fama, la grandezza, ma non conoscevano l’italiano. De’ Bertoldi, si accinse all’impresa. Nel gennaio 1417 iniziò la traduzione, e già nel maggio dello stesso anno l’aveva terminata.
Oltre alla traduzione, compilò anche il commento. Così il mondo dotto di allora, grazie alla traduzione del De Bertoldis, poté conoscere la “Divina Commedia”. E Fermo ha un altro merito “dantesco”. Il primo manoscritto completo della Divina Commedia, fu eseguito da Antonio da Fermo. L’originale è ora conservato a Piacenza (codice landiano). Possiamo immaginare che su questa copia unitaria del libro di Dante (di cui si hanno circa 900 frammenti di trascrizione) fu fatta la traduzione latina del De Bertoldis. Il fermano Anton di Nicolò era pubblico notaio, “nobile operario” della cattedrale e cronista del governo Fermano. Pure il Francescano riformatore Fra’ Giacomo della Marca, oggi santo, vissuto a Fermo, fu uno studioso attento di Dante. Nelle sue prediche e sermoni, rincorrono spesso citazioni dantesche e ciò in un periodo in cui ci voleva audacia e grinta a citarle, dato che la lingua dei dotti era il latino. Anton di Nicolò e Giacomo della Marca erano contemporanei di Giovanni da Serravalle nella prima metà del secolo XV.
A Fermo nel 1922 in onore del De’ Bertoldi, fu scoperta nel tempio di S. Francesco la seguente lapide: “A Giovanni Bertoldi da Serravalle / dell’Ordine Francescano / vescovo e principe di Fermo / che nell’anno MCDXVII nel Concilio di Costanza / a preghiera dei Padri coadunati / la Divina Commedia / nella lingua del Lazio tradusse e commentò dottamente / il Comitato del Secentenario dantesco / questa memoria riparatrice del lungo oblio pose\.
Di questa opera di traduzione e di commento al libro di Dante Alighieri si sono esplorati in tutto il mondo quattro codici: uno, il migliore, alla Biblioteca Vaticana. Un altro, nella Library del British Museum di Londra; uno all’arcivescovado di Egger in Ungheria, ed uno, incompleto, nella biblioteca del defunto arcivescovo di Fermo, Carlo Castelli. L’edizione vaticana ribadisce la “fermanità” del nostro De’ Bertoldi. Dopo il concilio di Costanza, il De’ Bertoldi fu trasferito alla sede vescovile di Fano. Particolare curioso: due Vescovi di Fermo commentarono la Divina Commedia: il De Firmonibus celebre anche per il Messale (fatto miniare, nel 1436, dal contemporaneo vescovo fermano, Domenico da Capranica) ed il De Bertoldi, traduttore del libro di Dante. Quest’ultimo diffusore “sopra gli altri come aquila vola” per dirla con Dante stesso (Inf. IV, 96).
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