DINO AGOSTINI 1916 – 1989 sacerdote missionario della Consolata Ricordo
Attraverso le persone si compie l’opera del Signore
AGOSTINI DINO SACERDOTE MISSIONARIO
Dino Agostini è nato a Monteleone di Fermo il 15 aprile 1916, figlio dei coniugi Antonio e Agostina De Santis. Entrato nel collegio dei padri missionari della Consolata nel 1928 a Santa Maria a Mare di Fermo, fa parte del primo gruppo degli apostolini, dei quali tre arrivano al sacerdozio.
Prosegue il ginnasio a Gambottola e Favria Canavese. Il liceo a Torino. Il noviziato a Uviglie, Rosignone Monferrato ove il giorno 2 ottobre 1936 professa i primi voti insieme con Fra’ Aldo e a p. Constancio Dalbésio. La professione definitiva il 2 ottobre 1939 nell’Istituto Missioni della Consolata. Poi a Roma.
Frequenta la Pontificia Università di Propaganda Fide ove consegue la licenza in Teologia. Durante il terzo anno di Teologia frequenta il corso di Medicina Missionaria, conseguendo lo specifico Diploma. Tornato a Torino, è ordinato Sacerdote il 23 giugno 1940. Per sei anni in tempi e luoghi diversi espleta varie mansioni: insegnante a Varallo, cappellano dell’ospedale alla Certosa, addetto alla stampa e propaganda a Revigliasco, bibliotecario a Camerletto, assistente infermiere e insegnante a Varallo. A Torino, professore di latino, greco e italiano. Durante la guerra si occupa di 450 vecchietti dell’Asilo di Torino e qui si potenzia la sua vocazione di prendersi cura dei bambini e delle persone anziane.
Parte nel 1946 per il Brasile. Durante il mese e più di navigazione tocca vari porti e si ferma per alcuni giorni in Portogallo. Visita Fatima e conosce i genitori di Giacinta e Francesco, due dei veggenti. Durante il viaggio fa amicizia con missionari di altre congregazioni e sperimenta l’accoglienza cristiana offertagli in varie case religiose situate nei porti intermedi dove si fermava la nave mercantile. E arriva in Brasile a metà dicembre; a San Manuel il 17 dicembre 1946, a 300 km da San Paolo dove è aiutante parroco nel 1948, poi torna a San Manuel.
Qui i missionari della Consolata lavoravano sin dal 1937. Egli vi rimane 16 anni, con incarico, prima di assistente del nuovo Seminario appena costruito, poi come economo e alla domenica attende le numerose comunità, circa 30, insieme con altri padri missionari arrivati anch’essi dall’Italia, dopo la guerra. A quei tempi c’erano ancora molti italiani e figli di italiani in queste comunità rurali.
Trasferito nel 1963 in una cittadina al sud del Brasile, Tres de Maio, nello Stato del Rio Grande do Sul (circa 1700 km da San Manuel) dove era aperto un seminario per vocazioni missionarie, trova anche qui l’ambiente europeo, con italiani, veneti e trentini, tedeschi e polacchi. Per tre anni vi dirige il seminario.
Il p. Generale nel 1966 lo trasferisce in Argentina come superiore provinciale. Qui ha l’opportunità di accompagnare il lavoro dei missionari nostri venuti nel 1947. Vero lavoro missionario alla periferia delle grandi città: Buenos Aires, Rosario, San Francisco di Cordova, Mendoza, e soprattutto al Nord, tra le popolazioni del Chaco e di Formosa, quasi tutte di origine india del vicino Paraguay. Dopo cinque anni <1971> è trasferito a Madrid per tre anni, come direttore del Seminario teologico della Consolata intitolato a Giovanni XXIII.
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Ecco i suoi sentimenti in una lettera che p. Dino inviava al Vice superiore generale in data 20 febbraio 1974: “ Rev.mo e carissimo Padre … Ho ricevuto la sua lettera dove mi dice che penserebbero di destinarmi di nuovo in Brasile e dove anche mi chiede il mio parere. Prima di tutto, ringrazio il pensiero che ha avuto. In secondo luogo, ripeto oggi quello che sempre dissi a tutti i superiori: sto sempre a disposizione per quello che giudicano posso fare. Se un desiderio mi è permesso di esprimere, sarebbe questo: lavorare come semplice confratello senza incarichi di direzione. Credo che a questa età convenga lasciare quei posti a gente più giovane. Ad ogni modo non ho fatto i voti per scegliere i posti di lavoro: tutto è servizio…”
Ritornato in Brasile, alla fine del 1974, esercita l’incarico di coadiutore parrocchiale a Rio de Janeiro, poi di parroco nella parrocchia di Erexim (Rio Grande do Sul) nel seminario liceale e a Rio do Oeste. Svolge l’apostolato tra i lavoratori dell’industria e in otto comunità rurali quasi tutte di origine veneta.
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Nella lettera al cugino Nello del 12 dicembre 1981, scrive: “ Sto in questa città, detta San Manuel, con 30.000 abitanti, dove ho già lavorato 16 anni dal 1947 al 1963 dove conosco il 70% della gente adulta e dove tutti mi ricordano, quelli che hanno più di trent’anni. Il lavoro non manca, ma siamo in due e alla domenica ci aiuta anche un padre del Seminario. Quest’anno è un anno di osservazione e osservando vidi la chiesa in cattivo stato e presi la risoluzione di restaurarla. Spero di terminarla alla fine di gennaio, così per marzo comincerò un vero lavoro di pastorale. Qui l’hanno con tutte le attività comincia a marzo e non ad ottobre. Di salute, grazie al buon Dio, sto bene e finché avremo le forze, le spenderemo per la gloria del Signore e il bene delle anime. In questa parrocchia il lavoro pastorale è come in Italia, non è propriamente “terra di missione”. Qui si formano missionari come in Italia, per l’interno del Brasile e per l’Africa. Le estensioni sono immense: la mia parrocchia si estenderebbe da Belmonte a Porto San Giorgio e da Belmonte a Macerata; quindi ci vuole forza e salute. Gli abitanti sono più del 60% di origine italiana ma per lo più veneti. Marchigiani non ne ho incontrati, quasi tutti hanno preferito l’Argentina. In questa città è diventata famosa la processione del Corpus Domini. Quasi tutta la città si mobilita. E gli abitanti, lungo le vie per un chilometro, hanno fatto tappeti di vari colori e vari disegni. Il materiale è polvere di caffè, farina, calce, canna da zucchero macinata, segatura e conforme ai gusti e tutto è tinto con anilina.
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TESTIMONIANZA di Anercio Marco Grava
Dicembre 1985. Il nostro ospedale prende fuoco. Grande confusione. Gli ammalati vengono tirati fuori, posti sul marciapiede e nell’edificio della camera municipale. I mobili sono buttati dalle finestre. Gente da tutte le parti che vuole aiutare, autobotti che lanciano acqua, una lotta enorme a cui tutti noi prendiamo parte. La disperazione generale, lacrime, pianti e il correre agitato dei medici e di tutti quelli che fanno parte della famiglia ospedaliera, per salvare alcune cose che il fuoco non ha ancora bruciato. San Manuel diventa triste. Chiunque passi per strada si trova davanti agli occhi una triste visione. Non vede più quel maestoso edificio che, con la sua imponenza, dava alla nostra città un rilievo tutto particolare.
Gennaio 1986. Era necessario ricostruire tutto di nuovo. Io, come presidente, avevo l’obbligo morale di devolvere alla popolazione di San Manuel tutto quello che il fuoco aveva distrutto, ma per far ciò avevo bisogno di cercare un aiuto e quest’aiuto doveva avere un polso ben saldo. Sebbene non fossi cattolico, e appartenessi ad un’altra ideologia, vidi in padre Dino la persona più indicata per aiutarmi. Mi recai alla casa parrocchiale per invitarlo, nella certezza di trovare l’aiuto di cui avevo bisogno.
Padre Dino, colla maggior buona volontà del mondo e lasciando trapelare la sua contentezza per l’invito, disse, sorridente “Andiamo a combattere”. In quell’epoca io, lui e il prefetto Miltinho ci rimbocchiamo le maniche e demmo inizio all’opera. La mia stima per padre Dino crebbe per il suo coraggio e dinamismo. Era forte nei suoi ideali e risoluto nelle sue decisioni, un grande compagno, senza limiti di orari. Viaggiammo molto insieme, ci scambiavamo idee, diventammo buoni amici. Padre Dino rimase al mio fianco fino alla fine della ricostruzione.
E’ stato un uomo che ha saputo conquistare la gente con la sua dinamica, con il suo spirito di fratellanza. Possedeva tutto quello che una persona umana può possedere di buono. Ha sempre amato i suoi simili, era progressista e le sue opere stanno qui, per chi avrà gli occhi per vedere.
Che Dio, nella sua infinita misericordia lo protegga con la sua mano onnipotente. La sua immagine rimarrà sempre viva nelle nostre menti. <1989>
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In una sua lettera al cugino Gaetano, da San Paulo il 20 gennaio 1986 leggiamo: “ Qui ho voluto assistere all’elezione del nuovo presidente del Brasile. Fu una vera rivoluzione bianca e alla brasiliana dove le rivoluzioni si compiono senza uno sparo. Sembra incredibile. Dopo 20 anni di dittatura militare, preoccupata più di proteggere un gruppo di famiglie che di aiutare il popolo; dopo tanti tentativi di legge e sopra le leggi per far trionfare il potere del gruppo, con apparenza di democrazia, il popolo riuscì a fare tanta pressione sui deputati con comizi di 300-500, 1 milione di persone con discorsi di dirigenti e canti, suoni e balli del popolo. Questo popolo riuscì a piegare la volontà di 480 rappresentanti del popolo su 686, riuscendo a sconfiggere il partito potentissimo del governo e questo senza un colpo di fucile.
Fu uno spettacolo che solo il pacifico e ottimista, paziente e temporeggiatore popolo brasiliano sa fare. Fu certamente un esempio per tutte le nazioni del mondo. Ci fu un tempo, verso settembre, che si pensava scoppiasse qualche rivoluzione, invece nulla. Pensare che l’inflazione qui era del 223% quest’anno. Il salario minimo qui non arriva a lire 100.000 ed il costo della vita è alto. Si spera qualcosa dal futuro governo, ma incontrerà grandi difficoltà, perché il sistema che viene da 400 anni non si sradica tanto in fretta. Non c’è dubbio che col nuovo governo e con il nuovo presidente eletto, nonostante i suoi 74 anni, incomincia una era nuova per il Brasile. Bisogna riconoscere che non è facile dirigere un Brasile con 180 milioni di abitanti, con 8 milioni e mezzo di chilometri quadri, dove sono riunite tutte le razze che esistono sulla faccia della terra, dove esistono, allo stile nordamericano, città come San Paolo, Rio de Janeiro, Brasilia; dove c’è la città più moderna del mondo, Brasilia e dove ci sono tribù di Indios che ancora non arrivano all’età della pietra, che non sanno cosa sia un vestito o una casa, anche la più povera.
Da qui si comprende che cosa è il Brasile e che lavoro immenso c’è da realizzare. Senza dubbio è uno dei paesi più ricchi del mondo per le ricchezze delle sue terre e per le ricchezze del sottosuolo, e, diciamolo pure, per la ricchezza delle qualità morali. Ha tanti difetti, ma anche tante bellissime qualità che il cristianesimo ha fermentato e sta facendo sforzi per conservarle, nonostante l’onda materialistica che va invadendo il mondo.”
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Dopo una visita in Italia per una vacanza, nel 1987 ritorna a San Manuel in qualità di parroco. Scrive che la città era cambiata, triplicata in estensione, le grandi fazendas di caffè erano sostituite dalla canna da zucchero. La popolazione si era spostata tutta in città. Le comunità rurali di piccoli proprietari erano diminuite per più di due terzi perché erano immigrate in città, vendendo tutto e lasciando solo i vecchi. I giovani hanno preso altre vie, come San Paolo capitale o si sono avventurati in camion per le strade dell’immenso Brasile in cerca di lavori più redditizi, ma anche pericolosi.
Le terre vendute sono state comprate da ricchissimi professionisti di San Paolo e i lavoratori sostituiti da gente emigrata da altre località, più povera e di poca capacità di lavoro, per lo più venute dal Nord Brasile. Fenomeno questo comune a tutte le grandi metropoli dello Stato di San Paolo. La popolazione si può dividere in tre categorie: gli abitanti che hanno costruito la loro casa vendendo la proprietà rurale; quei giovani che svolgono altre professioni, come camionisti, muratori, commercianti; quelli che lavorano nelle fazendas affittando qualunque casa, anche scantinati e vanno a lavorare nelle piantagioni di canna o di caffè, che certi proprietari ancora persistono a tenere nonostante la cattiva amministrazione del governo, le gelate o forti brinate.
Questi lavoratori vengono chiamati “boia fria” cioè mangiare freddo. Si alzano al mattino presto, anche alle 4, preparano il pranzo di riso e fagioli, prendono un mezzo di trasporto collettivo in genere un camion chiuso con panche. Con un grosso roncone o con zappa vanno al lavoro dalle sette del mattino alle cinque di sera per tornare poi a casa, (si immagini in che stato) verso le 18,30. Alle 20,30 sono già tutti a letto. Da due anni in qua c’è un ritorno alla zona rurale nei luoghi dove i padroni della canna non hanno distrutto le abitazioni delle antiche fazendas. Il motivo è l’affitto costoso nella città anche negli scantinati. Il governo ha costruito nella nostra città a tre km dal centro, 1450 case, ma le richieste erano più di 3000. La città conta oggi 30.000 abitanti, con circa 2000 nella zona rurale. Il municipio è più grande della parrocchia.
In questo ambiente abbastanza complesso si svolge l’apostolato di padre Dino, insieme con quattro sacerdoti: due in parrocchia e due in Seminario e un religioso laico. Officiano la liturgia in quattro chiese e al sabato sera vanno nel rione nuovo ove si sta costruendo una chiesa. Ci sono buoni movimenti cristiani: una sessantina di Catechisti; 18 Ministri straordinari dell’Eucaristia che attendono a più di 100 tra malati e vecchi. La Legione di Maria lavora bene. Ci sono 35 gruppi di persone che si riuniscono quattro o cinque volte all’anno per pregare per la novena di Natale, Quaresima, nel mese di maggio, mese di ottobre. Alcuni di questi gruppi si riuniscono tutte le settimane. Ci sono otto Circoli biblici con riunioni settimanali. C’è anche un buon gruppo di Giovani (alcuni ancora lontani dalla pratica della fede cristiana). È bello il Movimento di Coppia, detto Maranatà: aiutano nella catechesi dei sacramenti, come dirigenti di circoli biblici o ministri dell’eucaristia. È sentita l’iniziativa brasiliana delle Cappelline, cioè piccole nicchie trasportabili con l’immagine della Madonna che circolano di casa in casa nel giro di un mese; sono più di 70 assistite ognuna da una zelatrice e in ogni rione c’è un coordinatore di settore. Servono per mantenere accesa la fiaccola della fede. Un lavoro di apostolato umile e prezioso, per più di 23 anni è realizzato da un fratello laico religioso (missionario della Consolata) Fratel Aldo Marini con 73 anni di età: dal lunedì al giovedì, alla sera, con un furgone cappella visita le 17 cappelle rurali, distanti anche 30 km. Riunisce il popolo, fa cantare, fa catechismo con diapositive, spiega la liturgia della domenica, riunisce i bambini. La gente è umile e molto affezionata a lui. I sacerdoti ci vanno ogni due o tre mesi per la Santa Messa e per le Confessioni.
Altre attività sono: un Ospedale, un Asilo di vecchi e handicappati, le Conferenze di San Vincenzo de’ Paoli che provvedono ai poveri, un Asilo nido per 250 bambini e un Seminario con 20 alunni liceali, aspiranti missionari. Si comprendono le difficoltà per il numero esiguo di sacerdoti, con l’impossibilità di avere un contatto frequente con i vari gruppi. L’apostolato in genere si deve svolgere alla sera tardi quando quei lavoratori sono troppo stanchi. C’è inoltre l’invasione di molte sette protestanti, della massoneria dei “Rotariani Leoni”, degli spiritisti. La televisione, con le sue interminabili novelle, tiene legata la gente e la avvelena distogliendola dalle varie attività pastorali; c’è anche il problema della droga.
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Alcune lettere scritte nel 1988 fanno conoscere i momenti di salute precaria. Al cugino Nello, da San Manuel 11 settembre 1988: “Nel mese di aprile fui operato di stomaco. Accusavo qualcosa negli ultimi incontri, qui in Brasile. In un primo tempo migliorò, poi apparve di nuovo il malessere finché andai dal medico. Visitò e disse che bisognava operare: un’ulcera nella bocca del piloro. Fui operato e oggi è tutto normale. Ne sia ringraziato il Signore e quanti pregarono per la mia salute.”
E il 16 ottobre 1988 gli scrive che gode di buona salute: “ Non sembra neanche che fui operato di stomaco. Già ho iniziato l’opera per cui chiesi collaborazione; come primo passo, l’asilo nido di 384 metri quadri; poi la chiesa. È un’impresa difficile, ma confidando nella Provvidenza la lanciai.”
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In tutti i rimpatri in Italia, dopo l’incontro con i Superiori e confratelli andava a salutare i fratelli e i parenti: a Belmonte la zia Giustina e i figli. Nelle lettere poi ricordava, con gratitudine le cortesie che gli erano state usate. Scriveva alla famiglia di Nello: “Tutte le gentilezze ricevute, i viaggi che abbiamo fatto, la benzina che si è consumata, le delicatezze in casa, tutte le giornate che Gigetto ha speso per me e altro: tutto fatto con quell’affetto puro e genuino, non può bastare un semplice grazie; sento questo bisogno che è un dovere di scrivervi in una lettera il mio ricordo. Gigetto sempre disposto: non dimentico il gesto generoso di accompagnarmi dappertutto, come se fossi un monsignore della Curia romana. Il Signore lo benedica.”
Al cugino Gaetano che scriveva poesie da agricoltore appassionato della natura, Dino assicurava un continuo ringiovanimento, dicendo (20.01.1986) “Si vede che, nonostante gli anni, lo spirito è giovane. Il rinnovarsi continuo della natura aiuta l’uomo a ringiovanire il suo spirito”.
Quando gli parlavano di una persona che aveva sbagliato un comportamento, p. Dino diceva: “Per la legge della carità mi sento in dovere di comprenderlo e dargli anche un appoggio morale; e credo che anche il buon Dio lo giudica in maniera differente da quella di tante persone. La legge della carità è ancora la legge suprema del Vangelo.”
P. Dino Agostini Vicario a San Manuel è morto in Brasile, stroncato da un tumore, a 73 anni, l’11. 09. 1989 nell’ospedale san Camillo della città di San Paolo.
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Un pensiero rivolto a lui da p. Josè Olivero.
“ Caro amico p. Dino … Ti ricordo sorridente, spigliato e amabile. Ascoltavi con interesse tutto quanto ti si diceva. Questa caratteristica te l’ho riscontrata sempre. Hai iniziato una nuova pastorale che io chiamo “di marciapiede”. A San Manuel (Stato di San Paolo) la chiesa non dista molto dalla casa parrocchiale, ma, per recarti in chiesa, sceglievi gli itinerari più lunghi per poter incontrare più gente possibile e così dialogare con loro. Avevi sempre il sorriso sulle labbra e nel tuo cuore c’era posto per tutti … Adesso che sei trapiantato in Cielo, sono sicuro che il tuo dialogo ha ancora di più sapore celeste …”
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RICORDO
SCRITTO DA P. CELIO PEDROMANUEL SALDANHA DERNELLE
A San Manuel, 11.09.1989, P. Célio Pedro Manuel Saldanha Dernelles diceva di lui:
.1. Personalità molto ricca, carattere allegro, socievole e dinamico, aveva una certa inclinazione per la poesia, che egli stesso componeva quando era ancora studente a Roma. Forse questo lato umano di padre Dino è sconosciuto a molti. Padre Dino, conciliatore, amico di tutti senza eccezioni, guardava all’essere umano, alla persona umana nella sua totalità, nella sua integrità, senza fare distinzione alcuna. Persona colta, preparata, aperta al dialogo, di ampie vedute, detestava i punti di vista retrogradi e obsoleti.
Padre Dino era grande, non si perdeva, non si confondeva, non annegava in un bicchiere d’acqua. Spirito pratico, risolveva tutto immediatamente. Uomo dalle ampie vedute e con una grande esperienza della vita, con un elevato grado di psicologia nell’affrontare la gente, era psicologo, formatore, orientatore, educatore, in tutti i sensi e per tutte le necessità delle persone.
Sin dal tempo in cui era assistente e direttore dei futuri sacerdoti, sia a San Manuel, sia in Argentina come provinciale, sia a Madrid in Spagna come direttore di Seminari, o a Tres de Maio, nello Stato di Rio Grande do Sul, o ancora in Erechim (sempre in Rio Grande do Sul) in qualità di economo e parroco, e di nuovo a San Manuel, si dimostra sempre un esimio orientatore ed educatore, fermo, sicuro, una guida illuminata e sempre attuale. A seconda della gravità del problema, è in grado di indicare la retta via da seguire, in modo sicuro e soddisfacente, in tutti i sensi.
Padre Dino era dotato di un enorme capacità di ascolto. Carattere versatile e polivalente, poteva far fronte a molti impegni contemporaneamente, e allo stesso tempo poteva concedere la sua attenzione a tutti, riuscendo a seguire tutti. Nessuno usciva dal suo studio, nella casa parrocchiale, senza essere stato accolto da padre Dino. Egli, infatti, metteva tutti al primo posto. Ognuno, per padre Dino, era un essere particolare, che meritava di essere ascoltato secondo il suo problema. Per tutti padre Dino aveva una parola speciale e un tempo tutto speciale, dedicato ad ogni persona in particolare.
Padre Dino non aveva mai fretta quando si trattava di occuparsi di qualcuno, sia nelle innumerevoli visite che faceva alle famiglie, sia nei contatti personali, nella stanza di studio, sia per telefono. Padre Dino non aveva mai fretta, non faceva mai le cose in fretta, sacrificando persino gli orari personali e comunitari a favore del prossimo. Per lui l’altro, il fratello bisognoso, si trovava sempre al primo posto. La persona umana, per padre Dino, era più importante di tutto il resto. Per questo era tanto stimato da tutti, dalle autorità, dai poveri, dai mendicanti, dai bianchi e dalle persone di altro colore, dai fratelli di altre confessioni religiose, dai politici e da tutti i possibili settori della società, e tutti lo amavano.
Non poneva mai i propri interessi al di sopra degli interessi e delle necessità altrui. Uomo aperto, spirito pratico, dinamico, socievole, dotato di un’alta dose di diplomazia – vera diplomazia all’interno dello spirito cristiano – sapeva essere energico e forte quando il momento e la situazione lo esigevano. Dotato di molta prudenza e discrezione, di molta pazienza e di una grande capacità di ascolto e di dialogo, sapeva e poteva dire le cose senza offendere nessuno, anche perché aveva sufficiente autorità morale per farlo: autorità morale proveniente dalla sua personalità completamente rivolta e indirizzata a Dio, alla Chiesa e al prossimo.
Autentico e fermo, energico e forte, aperto e disciplinato, uomo dell’ascolto e del dialogo, socievole e amico, buono e ricettivo, prudente e audace, dinamico, versatile e polivalente, poteva anche intenerirsi, molte volte fino alle lacrime, alla vista della miseria umana e del sorriso innocente di un bambino. Questa è un’altra qualità di padre Dino che a molti potrà persino essere sconosciuta: il suo sentimento di tenerezza.
Dava un grande valore all’amicizia, che era la radice e il movente di tutta la dinamica della sua laboriosa attività umana. Dotato di un grande potere di consolazione, come nessun altro, sapeva consolare e alleviare i conflitti e le angustie delle persone. In tutta la sua esuberante personalità, fu primo in tutto, un uomo autentico, sincero e onesto nei confronti del suo Dio, della Chiesa che amava tanto e del prossimo, suo fratello.
Aveva difetti, così come noi tutti li abbiamo, “come tutti noi figli di Adamo sopportiamo le nostre mutilazioni e lealtà”, ma resta sempre il suo ricordo. Padre Dino, a capo di tutti gli impegni sociali e religiosi della sua comunità, della sua parrocchia, della sua città di San Manuel, mano nella mano con tutti, per il bene di tutti. Tutta la sua vita è stata amore e amicizia, abnegazione e dedizione, lavoro e generosità verso tutti.
.2. SACERDOTE. “ Il nostro cuore si è dilatato”. Ciò che produce calore è solito dilatarsi. Così, è proprio della carità dilatarsi: è virtù calda e fervente. Essa apriva anche la bocca di Paolo e gli dilatava il cuore. “Non amo soltanto a parole – egli dice – il mio cuore, in verità, armonizza con l’amore; per questo parlo, senz’ombra, con la bocca e con tutta la mente”. Niente di più aperto che il cuore di Paolo, che come un innamorato abbracciava tutti i santi con immenso amore, senza dividere né indebolire l’amicizia, ma serbandola indivisa. C’è da meravigliarsi che si comportasse così con gli uomini pii, se il suo cuore accoglieva anche i ‘non fedeli’ di tutta la terra?
Sulla seconda lettera
Padre Dino ama il suo sacerdozio completamente, con pienezza. Figura sacerdotale salda, gioiosa, ampiamente realizzata. Ama la Chiesa e le cose della Chiesa, a livello molto elevato. Aveva sempre un momentino da dedicare a tutto ciò che si riferiva alle cose ecclesiastiche e pastorali. Ha vissuto l’ordinazione sacerdotale e il carisma del sacerdozio senza mezze misure, al massimo. A suo modo – che a volte poteva sembrare o essere un tanto duro, energico – padre Dino nel profondo, era un’anima sacerdotale che amava all’estremo i suoi parrocchiani. Per la parrocchia, per la gente, egli andava fino in fondo, se necessario anche fino a notte fonda, disprezzando la stanchezza, con una dedizione ed abnegazione invidiabili.
Quello che a molti potrebbe apparire come un difetto, in padre Dino, se analizziamo bene, era virtù in alto grado: il disprezzo di tutto, anche sacrificando orari personali e comunitari per curarsi del prossimo. Era l’apostolo distaccato da tutto, che sacrifica tutto per dedicarsi il meglio possibile a chi avesse bisogno di lui, della sua parola amica di sacerdote, parroco e prete. Siamo convinti che la migliore definizione di Dino sacerdote sarebbe proprio questa: “apostolo instancabile delle visite nascoste”. Senza far chiasso, né baccano, e non per la sua propria soddisfazione, padre Dino si dedicava silenziosamente a ogni e qualsiasi famiglia.
Ovunque vi fosse qualcuno da consolare, una questione da conciliare, lì si trovava questo santo sacerdote, ascoltando, spiegando, correggendo, orientando, censurando. Alle volte si stancava, a tal punto si estenuava tanto da arrivare a dormire persino seduto ricurvo sulla sedia della famiglia che lo aveva accolto. Un’anima sacerdotale che, con tutti i suoi limiti umani, cercava di vivere il proprio sacerdozio per il fratello più bisognoso, per la gente, per la comunità. Aveva piena coscienza del fatto che era stato ordinato sacerdote per servire la comunità. Come parroco, si interessava di tutto e di tutti: ricchi, poveri, autorità sociali, avvenimenti, inaugurazioni, inviti sociali e politici, scuole, catechisti, vocazioni, tutti i movimenti parrocchiali. In tutto e per tutto visse la vita della sua città, in tutti i sensi.
Non sapremmo dire, raccontare a che cosa, quale avvenimento, di qualsiasi tipo, quest’uomo predestinato non prendesse parte, animandolo con la propria presenza, rallegrandolo con le sue battute, con la sua voce e il suo accento inconfondibili. Era presenza obbligatoria in tutto. Amato da tutti. Se il padre Dino non si fosse trovato al centro di ogni avvenimento, alla testa di tutti, ora per dirigere, ora facendo semplice atto di presenza, questi ci sarebbero sembrati senza senso. Sarebbe mancato qualcuno, sarebbe mancata una presenza. E lo confermano gli innumerevoli inviti giornalieri che arrivavano al suo studio, nella casa parrocchiale, al suo proprio nome.
Un sacerdote impavido, audace. Il suo sacerdozio era la gente, il vivere assieme con la gente, non quello di starsene rinchiuso tra quattro pareti. Intelligente, aperto, dalle ampie vedute, aveva compreso che un prete è della gente e per la gente. Anche se, per questo, dovette spesso subire critiche, attacchi e incomprensioni. Con tenacia, con chiarezza di vedute, portava sino in fondo questo suo atteggiamento umano e sacerdotale, sostenuto da un profondo, forte e metodico spirito di preghiera, di amore per Dio, per Maria santissima Consolata, per la sua Chiesa, per il Papa, per tutto il popolo santo di Dio. Egli è stato il pastore che ha dato la vita per le sue pecore: pastore che lasciava le 99 in salvo nell’ovile e andava a cercare, dovunque si trovasse e con qualsiasi tempo, la pecorella smarrita, deviata, il figliol prodigo. Dal Vangelo “Nessuno possiede un amore maggiore di colui che dà la propria vita per i suoi amici” (Giovanni 15, 13).
.3. RELIGIOSO: povertà + castità + obbedienza: tre chiodi d’oro che inchiodano alla croce di Cristo.
POVERTA’. Padre Dino era povero di una povertà totale, disinteressato. Tutto era per il suo istituto religioso, per i padri missionari di nostra Signora Consolata. Aveva nella sua vita, incise a lettere d’oro, le virtù della povertà, della castità e dell’obbedienza. Era economo. Rendeva conto di tutto ai propri superiori. Non faceva mai un qualsivoglia progetto senza che i suoi superiori maggiori fossero venuti a conoscenza e lo avessero approvato. Tutto era per le opere parrocchiali, per gli asili infantili e l’assistenza sociale. Mai qualcosa per se stesso. Tutto per gli altri. Era questo il suo modo di vivere la povertà, rendendo conto di tutto, facendo economia per guadagnare sempre più per la sua comunità.
CASTITA’. Padre Dino fu casto, di una castità totale. Era semplice e puro. Aborriva le parole indecorose. Soffriva nel sentire un altro sacerdote parlare in modo meno delicato e riservato. Padre Dino scherzava con tutti, amico di tutti senza secondi fini, dei giovani, dei bambini, degli adulti, uomini e donne; tutti, senza eccezione, trovavano in questo santo sacerdote una spalla amica su cui piangere i propri dolori e sfogare le proprie miserie. Giudizioso, prudente. Si poteva avere fiducia di lui. Sapeva mantenere segreti e confidenza. Esperto. La sua castità e il suo celibato sacerdotale avevano le loro fondamenta in Dio, in Gesù Cristo, suo modello, in Maria nostra Signora e nel santo Vangelo.
OBBEDIENZA. Padre Dino fu obbediente, di una obbedienza totale. Era anche molto umile. Forse perché era intelligente, giacché tutta la vera intelligenza – sapere di Dio – conduce alla virtù dell’umiltà. Anche se possedeva molte doti e qualità, mai si vanagloriava per questo, attribuendo tutto a Dio, come dono proveniente dal Padre. Amava la virtù dell’obbedienza. Rendeva conto di tutto e chiedeva ai suoi superiori i dovuti permessi. Con i confratelli della congregazione sapeva essere amabile, buono e molto disinteressato.
Religioso fedele, non mancava mai di recitare la preghiera del Breviario e del sacro Rosario, accadesse quel che accadesse. Uomo di fede e di preghiera, viveva di fede, speranza e carità. Possedeva un senso profondo di fiducia per la divina Provvidenza. Non dubitava mai della provvidenza del Padre Eterno: diceva “Riceviamo gratuitamente, gratuitamente dobbiamo dare, perché Dio non ci farà mancare mai nulla”.
.4. MISSIONARIO. Venuto in Brasile, ha amato immediatamente questa terra missionaria, adottandola come seconda patria. Si è incarnato completamente nell’anima e nel cuore del popolo brasiliano senza far mai distinzioni. Non scelse mai nulla. Una volta
Quello che più richiamava alla nostra attenzione, in questo santo missionario, era il suo spirito aperto, altruista, disinteressato, tutto in funzione di Dio e del santo popolo di Dio. Amava oltremodo il venerando padre Giuseppe Allamano, fondatore dei missionari e delle missionarie di nostra Signora Consolata. Amava la Chiesa, devotamente, il santo padre il Papa, il suo istituto religioso missionario, la sua seconda amata patria, il Brasile, la sua sempre cara ricordata città di San Manuel, culla dell’Istituto in Brasile, terra che accolse il missionario padre Dino quando giunse qui, e che tanto lo ama e che fu anche tanto amata da lui.
Padre Dino Uomo – Sacerdote – Religioso – Missionario irreprensibile riposa in pace nel cuore di Dio Padre, Figlio, Spirito Santo e riceve la corona dell’apostolato missionario di Maria Santissima, la stella dell’evangelizzazione, riceve il nostro addio sentito fino alla patria definitiva dove ci incontreremo tutti, fratelli con i fratelli, nella gloria del Padre celeste.”
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Zilo Siqueira scriveva:
“ ABBIAMO PERSO IL TIMONE, CI RESTA LA FEDE”
Italiano di nascita, ma Sanmuanuelese di cuore, il nostro vicario era stimato da tutti coloro che lo conoscevano. Dotato di una spiccata personalità, padre Dino era completamente svincolato dai beni materiali, ma totalmente legato al bene dei suoi parrocchiani. A volte, se necessario, severo. Era un amico sincero e sapeva dare ottimi consigli. Le sue conversazioni erano piene di saggezza e di insegnamenti. I suoi atteggiamenti erano quelli di un vero leader. Mi ricordo bene del brutto incendio dell’ospedale. Disse: “Lo rifaremo”.
Nel piangere l’assenza del compianto Vicario, siamo certi di una cosa, che lassù, insieme con il nostro Creatore, la sua mano sarà certamente stesa sulla nostra gente e starà ancora portando avanti gli aiuti per la gente povera. L’ultima volta che l’ho visto è passato di fronte a casa mia con la Volkswagen rossa e mi ha salutato dicendo poi: “Devo andare a vedere un ammalato”. E partì quell’anima buona che si prendeva cura dei suoi parrocchiani con un affetto particolare.
Era un’anima umana, un vero sacerdote, un amico sincero.
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