SANTARELLI Giuseppe: LE CHIESE NEL TERRITORIO DI MONTE GIBERTO NEI SECOLI XIII-XVIII dagli Inventari e altri documenti
— DOCUMENTI E STUDI CHE SONO SEGNALATI NELLE CITAZIONI da G. Santarelli
Adami = ADAMI, F. De rebus in civitate Firmana gestis fragmentorum libri duo. Roma 1591
*A.S.A.F. = Archivio storico arcivescovile di Fermo
*Bonvicini = BONVICINI, P. La centuriazione augustea della Vallata del Tenna. Fermo 1978
*Conlationes registro = A.S.A.F.: registri mss. Armadio .I. palchetto B.
*Crocetti, Scoccia = CROCETTI, G. – SCOCCIA, F. Ponzano di Fermo. Storia ed arte. Fermo 1982
*Cronache Fermane = Cronache della città di Fermo; a cura di DE MINICIS, G. Firenze 1870
*Fabiani = FABIANI, G. Ascoli nel Quattrocento. Ascoli Piceno 1975 pag. 276
*Leopardi = LEOPARDI, M. Vita di Nicolò Bonafede vescovo di Chiusi. Pesaro 1832
*Liber = Edizione del Liber 1029; del Liber 1030, e del Liber 1031 (elenco numerico dell’Hubart): tre registri membranacei dei secc. XIII-XIV rilegati insieme nell’Archivio Storico comunale di Fermo secondo numerazione e titoli di M. Hubart: n. 1029 = Copia bullarum, privilegiorum et instrumentorum pertinent. ad civitatem et episcopatum Firmi facta in pergameno per ser Bartolomeum Petri notarium de anno Domini 1266 tempore et de mandato domini Lorentii Tepuli Firmi potestatis “; n. 1030 = “ Liber diversarum copiarum bullarum, privilegiorum et intrumentorum civitatis et episcopatus Firmi; n. 1031 = “Liber diversarum copiarum bullarum, privilegiorum et intrumentorum civitatis et episcopatus Firmi “. Sono editi con titolo “Liber Iurium dell’episcopato e della città di Fermo”; a cura di PACINI, D. vol 1° – AVARUCCI, G. vol 2° – PAOLI, U. vol. 3° con impaginazione sequenziale. Ancona 1996
*Mangani, Mariano = MANGANI, G. – MARIANO, F. il disegno del territorio. Storia della cartografia delle Marche. Ancona 1998
*Michetti = MICHETTI, G. S. Vittoria in Matenano. Fermo 1969
*Pacini Origini = PACINI, D. Sulle origini dei signori di Mogliano e di altre famiglie signorili marchigiane; in “ Studi Maceratesi” n. 22 Macerata 1989
*Pacini Pievi = PACINI, D. Le pievi dell’antica diocesi di Fermo; in: “Le pievi delle Marche” Studia Picena. Fano 1978
*Piergallina = PIERGALLINA, G. A. Storia di Grottazzolina. Assisi 1989
*Plebanato 1450 Inv. = A.S.A.F. Inventari del secolo XV. Cartella O, n. 1-5. Fascicolo Ponzano – S. Maria Mater Domini, inventario redatto da Bonanni nel 1450; edito in CROCETTI, SCOCCIA (vedi sopra) pp. 396ss
*Rationes Decimarum = Rationes Decimarum Italiae secc. XIII- XIV. Marchia; a cura di SELLA, P. Città del Vaticano 1950 con carta geografica annessa
*S. Antonio da Padova 1771 = A.S.A.F. Inventari del secolo XV: armadio .II. cartella O, n. 1-5 Montegiberto
*S. Giberto 1450 altare Inv. = A.S.A.F. Inventari del secolo XV: armadio .II. cartella O, n. 1-5 Montegiberto
*S. Giovanni di Casale 1450 = Inventari del secolo XV: armadio .II. cartella O, n. 1-5 Montegiberto
*S. Maria delle Grazie1765 = Inventari: secoli XVIIIs; cartella 28 Monte Giberto
*S. Michele 1450 Inv. = A.S.A.F. Inventari del secolo XV: armadio .II. cartella O, n. 1-5 Montegiberto
*S. Nicolò 1450 = A.S.A.F. Inventari del secolo XV: armadio .II. cartella O, n. 1-5 Montegiberto
*S. Nicolò 1727\1763\1771 = A.S.A.F. Inventari: secoli XVIIIs; cartella 28 Monte Giberto
*S. Pietro 1450 Inv. A.S.A.F. Inventari del secolo XV: armadio .II. cartella O, n. 1-5 Montegiberto
*Santarelli S. Casa = SANTARELLI, G. La santa Casa di Loreto. Ancona 1996 pp. 305s
*SS. Vergine di Loreto Inv. = A.S.A.F. Inventari: secc. XVIIIs; cartella 28
*Statuta Firmanorum = Statuta Firmanorum. Firmi 1507 ed altre edizioni successive
…
Alla fine del secolo XIII sono segnalate nel territorio di Monte Giberto un numero considerevole di chiese che, proporzionato alla sua estensione (kmq. 12,53), costituisce un fenomeno degno di attenzione. Essi sono utili anche a meglio definire i confini e i toponimi dello stesso territorio in quell’arco di tempo fino al sec. XVIII. I documenti principali per una ricognizione storico-toponomastica e topo-agiografica del genere sono:
1- Rationes Decimarum per le decime straordinarie degli anni 1290-1292, imposte da Nicolò IV, e dell’anno 1299, da Bonifacio VIII. Sia chiaro che l’elenco di queste decime non si può considerare completo perché non vi sono né chiese esenti, quelle povere quelle che rientravano nell’ambito dei monasteri immuni da esse. Si consideri inoltre che alcune chiese cambiarono la dedicazione.
2- Inventario con l’elenco delle chiese di pertinenza della pieve di S. Maria Mater Domini di Ponzano, compilato dal pievano Bonanni nel 1450 (= Plebanato).
3- Cinque inventari di altrettante chiese di proprietà diocesana nel Castello del territorio di Monte Giberto, redatti nel 1450 su ordine del vescovo card. Domenico Capranica: S. Pietro di Fano; S. Giberto; S. Michele; S. Giovanni di Casale; S. Nicolò e della pievania ponzanese S. Maria Mater Domini
4- Inventari degli anni 1728 (arciv. Alessandro Borgia), 1765 e 1771 (arciv. Urbano Paracciani).
5- Inventario della sacra immagine di s. Maria detta delle Grazie. 1765 ca.
Elenchiamo le chiese in ordine alfabetico: S. Andrea; S. Giovanni Battista; S. Giovanni di Casale; S. Giovanni di Faveto; S. Lucia; S. Margherita (divenuta poi Maria ss.ma); S. Martino di Lauriano; S. Martino di Poggio; S. Michele; S. Pietro di Fano; San Pietro di Valerano; S. Sepolcro (detta poi San Nicolò.
1- S. Andrea
Nel 1290-1292, secondo le Rationes Decimarum, la chiesa era retta dal cappellano, Fruttazio di Pietro, che versò la decima di 33 soldi (n. 7009).
Questa chiesa è menzionata tra i benefici diocesani spettanti alla pievania vescovile di S. Maria Mater Domini, alla quale, nel 1450, doveva versare 6 libbre, e si collocava così in una posizione di reddito medio-basso tra quelle di pertinenza della stessa pieve ponzanese, reddito compreso tra le 3 libbre di S. Prospero di Petritoli e le 16 libbre di S. Martino in Lauriano di Monte Giberto (Plebanato).
La titolazione di Sant’Andrea è nel contesto dell’influenza esercitata dal culto molto vivo verso il santo apostolo a Ravenna fin dal periodo di re Teodorico (454c-526) .
Non si hanno notizie esplicite sull’ubicazione di questa chiesa. Nell’inventario del 1771 si nomina una chiesa senza titolazione, detta semplicemente “della Pescara”, posta a nord-est – rispetto all’attuale chiesa della Madonna delle Grazie – in direzione del territorio di Ponzano. Ma l’agionimo compare in un inventario del 1450, relativo alla chiesa di San Pietro di Fano – situata nel territorio di Castellare, ossia dell’antico e distrutto Castello di S. Maria Mater Domini, presso l’omonima chiesa, ai confini con il territorio di Monte Giberto – compare anche un possedimento “posto nel detto territorio [del Castellare] nel vico di S. Andrea”. Vico è un insieme di case o borgo. È quanto mai verosimile che questo agionimo dell’intitolazione derivi da una non lontana chiesa di S. Andrea, la quale, nell’ipotesi, si deve identificare con quella in esame (Crocetti, Scoccia, 142s).
Per queste ragioni, sarei propenso a identificare la chiesa “della Pescara” dell’inventario del 1771 con l’antica chiesa medievale di S. Andrea e di ubicarla a nord-est dell’attuale santuario montegibertese della Madonna delle Grazie.
Nel 1450 la chiesa di S. Andrea era ancora officiata (Plebanato). Non conosciamo né la data della sua fondazione, né quella della sua scomparsa.
2- S. Giovanni Battista
Nel territorio di Monte Giberto, nel secolo XIII sono segnalate tre chiese con il titolo di S. Giovanni, ciascuna con un toponimo che la distingue dalle altre: S. Giovanni di Casale, S. Giovanni di Fageto (o Faveto) e S. Giovanni di Monte Giberto. Dato che la prima sorgeva nella Contrada, ancora esistente, di Campo Casale, ai confini con collina, e l’altra quasi sicuramente nell’esistente Colle San Giovanni, se ne deduce che la terza si deve identificare con l’attuale chiesa di San Giovanni Battista, costruita dentro il Castello. Le Rationes Decimarum danno alcuni documenti (nn. 6111; 6885; 7316; 6166; 7041).
La dedicazione al santo, precursore del Cristo, fu apprezzata dai Longobardi, i quali ne hanno promosso il culto. Si pensi a Teodolinda, regina dei Longobardi (+ 625) che nella diocesi di Milano volle due chiese dedicate a San Giovanni Battista.
La prima notizia di questa chiesa montegibertese sta nelle Rationes Decimarum, dove si legge che il cappellano don Guglielmo paga una prima volta 27 soldi e 6 denari, una seconda volta 18 soldi e 9 denari, e una terza volta 30 soldi (nn. 6111; 7316; 6168).
Nell’inventario di questa chiesa urbana di San Giovanni Battista, redatto nel 1728, prima della sua demolizione avvenuta intorno al 1770, si legge:” è volgare credenza che dalla demolizione di un’altra antica chiesa di campagna dedicata pure a San Giovanni Battista, ne sortisse il suo principio la presente”. La notizia di questa antica demolizione viene ripetuta nell’inventario successivo della stessa. Tuttavia, nel sec. XIII le Rationes Decimarum segnano come esistenti contemporaneamente le antiche chiese montegibertesi di San Giovanni.
È verosimile, come scrisse il Franchellucci nell’inventario del 1771, che le due chiese rurali di San Giovanni, come altre dello stesso territorio, alla loro scomparsa venissero aggregate e unite a questa chiesa parrocchiale di San Giovanni Battista, situata dentro il Castello. Lo stesso Franchellucci considera questa chiesa “la più antica nell’essere parrocchiale” a Monte Giberto. Ciò può essere avvalorato dal fatto che, secondo lo stesso inventario, nell’archivio della sagrestia, tra gli altri, figurava “un libro lungo dei battesimi principiato circa il 1370 è terminato nel 1628”.
La data del 1370 – se non si tratta di un errore di trascrizione da parte delle Franchellucci, come viene da sospettare (1570?) – starebbe a confermare una rimarchevole antichità della sede parrocchiale della chiesa di San Giovanni Battista. Il Franchellucci, poi, si prova a individuare alcuni indizi dell’antichità di questa chiesa e cioè: il numero di alcuni ‘curati’ della stessa, precedenti al 1572; l’originaria struttura dell’edificio che appariva “con poca uniformità ed affatto senz’ordine”; la data 1443 relativa alla fusione della campana; la tavola di Carlo Crivelli, eseguita, secondo le fonti, nel 1478; e le “pareti della chiesa dipinte sotto l’incrostatura […] ad uso antico”.
Per tutto questo, si può concludere che non si andrà lontano dal vero se si pensa questa chiesa coetanea al medesimo Castello.
Fin dal 1408 è segnalato in questa chiesa urbana un altare dedicato a Santo Giberto. Infatti, il 6 giugno di quell’anno, il giusperito Arcangelo di Foligno, vicario del vescovo di Fermo, Leonardo, dispensò il Pievano di Servigliano don Marino dal cumulo dei benefici, tra i quali compariva anche l’altare di “San Giberto nella chiesa di S. Giovanni a Monte Giberto” (Conlationes, 2,94). Dagli atti vescovili si ha che nel 1431 il rettore beneficiato di questa chiesa di S. Giovanni Battista era il canonico fermano don Cicco, figlio del signore Antonio (Conlationes, 3,67).
Dall’inventario del 1450 del Bonanni risultano due altari esistenti in questa chiesa e di pertinenza della pievania vescovile di S. Maria Mater Domini di Ponzano: quello menzionato di S. Giberto e quello di S. Antonio (Crocetti, Scoccia, p. 387). Un inventario specifico fu redatto in quel 1450 fu compilato per l’altare di San Giberto. Vi si legge, tra l’altro: “questo è l’inventario di tutte le cose mobili e stabili dell’altare di San Giberto posto nella chiesa di San Giovanni del castello di Monte Giberto”. Questo inventario segnala diversi beni in dotazione dell’altare di San Giberto, come alcune case nel Castello, orti e numerosi appezzamenti di terra lavorativa nel territorio montegibertese. Ciò sta a indicare l’importanza dell’altare dedicato a questo santo protettore, chiamato per il nome, ‘Pater patriae’, come si leggeva sotto la sua immagine dipinta nell’antica e distrutta chiesa (S. Giberto).
In un documento del 1573 si legge che il vicario del vescovo di Fermo (che era Felice Peretti, il futuro Papa Sisto V), provvede alla nomina del rettore dell’altare di S. Giberto, perché, nonostante che la collazione dell’altare spettasse al pievano di S. Maria Mater Domini, questi ne aveva perso il diritto per aver fatto trascorrere il tempo utile (Crocetti, Scoccia p. 63).
La chiesa di S. Giovanni Battista non dipendeva più dalla pievania ponzanese, segno che aveva una sua autonomia, la quale poteva derivargli forse anche dal fatto di essere un’antica parrocchia delle diocesi Fermana.
Si è detto che altre chiese rurali, alla loro scomparsa, mentennero il culto nella chiesa urbana dove furono dedicati altari e immagini ai loro antichi titolari, e in questo modo furono aggregate alla chiesa di San Giovanni Battista (S. Giovanni anno 1771).
E ciò rende particolarmente importante questa chiesa che ebbe nei secoli anche cospicui beni, come risulta dagli inventari delle proprietà del 1728, del 1765 e del 1771. Intorno al 1770 l’antico edificio urbano della chiesa di S. Giovanni Battista fu abbattuto e vi è stata costruito il nuovo, di elegante stile settecentesco con residui elementi barocchi. Ne offre una particolareggiata descrizione il citato inventario del 1771 che menziona l’altare maggiore e quattro altari laterali, due per lato: del Crocifisso o di S. Giberto, del Carmine, di S. Martino e dei Ss. Margherita e Antonio.
In questo inventario del 1771 tra l’altro si elencano le decime dovute alla parrocchia di San Giovanni Battista dai proprietari e agricoltori di vari poderi nel territorio montegibertese, da nord-est, a nord-ovest. L’elenco è utile per conoscere la toponomastica montegibertese quale risultava nella seconda metà del secolo XVIII e per l’individuazione degli antichi siti. Le decime di grano, mosto, lino si pagano alla ragione di uno su quaranta, per il grano un rubbio su quaranta; una soma di mosto su quaranta, e parimenti per il lino, in base ad un’antica consuetudine. I poderi coltivati che pagano le decime a questa parrocchia sono quelli del versante del fiume Ete, circoscritto dai seguenti confini: cominciando “ dalla Porta di Bora del castello si
Inoltre in questo inventario si legge: “La suddetta chiesa parrocchiale di S. Giovanni Battista possiede le infrascritte pezze di terra nelle contrade e pertinenze seguenti: una pezza di terra in Contrada di Rivo di Valle detta colle S. Giovanni, di moggi 29, stari 7 e canne 7, arata e alberata, cerquata e sodiva, cannettata; presso: da capo la strada pubblica, da un lato la via pubblica ed in parte gli eredi del signor Benedetto Benedetti, dall’altro lato in parte la via vicinale, in parte i beni della ‘cura’ <=parrocchia> di S. Nicolò; da piedi i beni del signor Saverio Morici con casa parte antica della cura. Item, altra pezza di terra in Contrada di fiume l’Ete senza casa. Item, altra pezza di terra in Contrada delle Palombare, presso: da un lato il beneficio di S. Lucia, dall’altro lato il signor Domenico Luciani […]. Item, altra pezza di terra in Contrada Calenechia, presso i beni, da tre lati del signor Valerio Franchelucci, da piedi il fosso;
. . .
Con la rifondazione poi della chiesa di S. Giovanni Battista, iniziata nel 1770 circa, che nelle pareti, “sotto l’incrostatura”, conservava alcuni dipinti eseguiti “ad uso antico”, andò in rovina un altro patrimonio pittorico tre-quattrocentesco. Più tardi è scomparso anche il trittico dipinto su tavola nel 1478 per la stessa chiesa da Carlo Crivelli.
Infine, si è smarrita ogni traccia di due tele segnalate nella chiesa di S. Giovanni di Casale dal rispettivo inventario del 1450. Una raffigurava la Madonna della Misericordia il Ss.mo Redentore. Con ogni probabilità si trattava di un dipinto della fattispecie di quelli dello stesso soggetto conservati in altre chiese delle Marche. [Ben noto il dipinto del santuario della Madonna della Misericordia presso il Duomo di Macerata].
Il perduto esemplare di Monte Giberto si caratterizzava per essere un dipinto su tela e non su tavola o su un muro a fresco, come era, nelle Marche, la grandissima parte delle raffigurazioni sacre del secolo XV di qualsiasi soggetto. L’altro dipinto disperso, su tela, raffigurava S. Giovanni, che dovrebbe identificarsi con il Battista, dato che la chiesa che lo costruiva era dedicata al santo precursore.
Questa arte figurativa meriterebbe sicuro interesse in ogni luogo
3- S. Giovanni di Casale
Questa chiesa è menzionata dalle Rationes Decimarum che ricordano anche il suo cappellano, don Andrea, il quale, per l’anno 1290, versò 20 soldi (n. 6166).
Dei registri delle Conlationes (Conl. 3,180) si apprende inoltre che le chiese rurali montegibertesi di S. Margherita e di S.Martino di Lauriano vengono incorporate alla chiesa di S. Giovanni di Casale, che a quel tempo era parrocchia. Il testo, redatto a Fermo, il 22 giugno 1445 nelle case della chiesa di San Bartolomeo, riferisce che il vicario generale della diocesi, su richiesta di don Marino di Cola da Montemonaco, rettore della chiesa curata di S. Giovanni di Casale, e di don Marino Rigutiis, pievano di S. Maria Mater Domini di Ponzano, esamina la proposta di unire e incorporare alla parrocchia di S. Giovanni le chiese rurali di S. Margherita e di S. Martino di Lauriano, site nel territorio comunale di Monte Giberto.
Queste due chiese rurali risultano vacanti dei rispettivi rettori e sono di collazione spettante al pievano di S. Maria Mater Domini, che ha competenza anche sulla chiesa di San Giovanni di Casale. Il capitolo dei canonici della cattedrale, in base alle norme, dà il suo consenso all’unione e incorporazione delle due chiese tramite don Stefano Petri e Antonio Marino, con specifico documento scritto da don Ludovico Vici, notaio capitolare. L’unione è destinata a migliorare il sostentamento del sacerdote e la cura delle anime, compreso uno “scolaro”. Il vicario generale fa redigere l’atto di consenso alla unione delle due chiese e vi fa porre il sigillo del cardinale fermano. Sono presenti, come testimoni, Nicola di Ser Antonio Giacobutio e don Lucarino d’Antonio, ambedue di Fermo.
La chiesa di San Giovanni di Casale è elencata al secondo posto tra quelle comprese nell’inventario del plebanato e soggette, per alcuni benefici ecclesiastici, alla pievania di S. Maria Mater Domini di Ponzano (Crocetti, Scoccia p.387).
Nel 1450 fu redatto un inventario proprio per essa, a cui era unita la chiesa di S. Margherita, sotto lo stesso rettore don Marino di Cola. E’ da ritenere che l’antica chiesa di S. Giovanni del castello di Casale sia stata ricostruita, dopo la sua scomparsa, dentro il Castello di Monte Giberto, e aggregata alla parrocchia ereditaria di S. Giovanni Battista secondo gli inventari del 1728 e del 1771. Il toponimo Campo Casale è tuttora individuabile in zona rurale.
Questa chiesa ha una notevole importanza storica perché configurata nell’insediamento curtense di Castello di Casale fin dal 1059, come luogo di culto pubblico ed era corredata di libri, di arredi sacri, di campana e disponeva di oratori sparsi nel territorio circostante. In base poi al suo inventario del 1450, aveva considerevoli beni mobili e immobili, ereditati sicuramente dal precedente plesso del Castello di Casale. Ci sono dei richiami: i due messali, uno piccolo e uno grande, i due antifonari (uno dei morti) e il breviario, inventariati nel 1450, potrebbero provenire dall’antica chiesa, dove il citato documento del 1059 segnala alcuni libri. Così pure, una delle due campane grandi (duas nolas magnas) censite dall’inventario del 1450 richiama quella ricordata dallo stesso documento del 1059.
4. S. Giovanni di Faveto (o Fageto)
Questa chiesa è nominata dalle Rationes Decimarum con il toponimo di Faveto, il riferimento, forse, a un luogo coltivato a fave. Nell’inventario del plebanato, si legge “Fageto”, che farebbe pensare piuttosto una piantagione di faggi. Non è escluso che si tratti di una trascrizione confusa (Crocetti Scoccia 387).
Nelle Rationes decimarum, il cappellano di questa chiesa nel 1290 si chiamava Landrisio e deve versare una decima di 6 soldi e 5 denari. La somma indica che trattarsi quindi di una chiesa povera, con un reddito assai modesto (n. 5726).
Anch’essa era di pertinenza, quanto ai beni ecclesiastici, della chiesa S. Maria Mater Domini di Ponzano, alla quale, secondo il rispettivo inventario del 1450, doveva versare 4 libbre. Anche in questo caso si trattava di un esiguo tributo, che conferma quanto detto sopra (Crocetti, Scoccia p. 387).
L’inventario del 1771 fa sapere anche che questa chiesa che si trovava in Contrada colle S. Giovanni, dopo la sua scomparsa, fu aggregata a quella urbana di S. Giovanni Battista di Monte Giberto.
I documenti citati non specificano se la titolazione della chiesa di Faveto faceva riferimento a San Giovanni Battista o a San Giovanni Evangelista. Comunque sia, risulta che entrambi avevano un culto vivo anche presso i Longobardi. Ci si trova di fronte a un culto che può risentire di molteplici influssi nell’area in esame: Romano, bizantino, ravennate, longobardo, franco e, più tardi, anche svevo.
5 – S. Lucia
Questa chiesa è segnalata, come le altre, dalle Rationes Decimarum, e, negli anni 1290-1292, era retta da un certo Don Bartolomeo, che non aveva la qualifica di cappellano. Versa la decima, in un’unica rata di 10 soldi, somma modestissima che fa pensare a un beneficio di esigua rendita (n. 7043).
Anche questa chiesa di S. Lucia figura anche tra quelle di pertinenza della pieve di S. Maria Mater Domini, alla quale nel 1450 doveva versare, secondo l’inventario del Bonanni, 5 libbre, 7 soldi e 6 denari(Crocetti, Scoccia 386 cfr Conlationes 3, 196).
Una chiesa rurale dedicata a S. Lucia esiste tuttora nel territorio di Monte Giberto e, con ogni probabilità, si tratta di un edificio ricostruito nella stessa contrada che conserva il nome di Contrada S. Lucia, a sud-ovest del centro, da cui dista poco più di un km.
Risulta che in seguito la chiesa fu annessa alla parrocchia di San Nicolò, come si evince dal relativo inventario del 1763. Vi si dice, fra l’altro, che nel 1728 questa chiesetta rurale fu rialzata e risanata nel tetto ad opera del Pievano di San Nicolò Pier Antonio Orsini, il quale la fece ornare con un nuovo quadro dipinto su tela raffigurante la Madonna con il bambino, Santa Lucia, San Michele Arcangelo e San Francesco di Paola (S. Nicolò 1763).
Per il culto entro il Castello è menzionato un altare di Santa Lucia nel sec. XV, il 1 luglio 1408 nella chiesa di San Nicolò. Il vicario generale Arcangelo, essendo vacante il beneficio di due altari di S. Antonio e di S. Lucia, conferma a don Pietro di Antonio la rettoria degli stessi altari per il potere che ne hanno la curia vescovile e il vescovo di Fermo. Il documento è datato dal Palazzo vescovile, vicino alla chiesa di S. Martino, al tempo del pontificato di Gregorio XII (Conlationes 2,97).
L’inventario ponzanese del Bonanni ricorda nel 1450, in Contrada “Lu Piano de medio” beni di proprietà dell’altare di S. Antonio e S. Lucia, che dovrebbe identificarsi con quelli esistenti nella chiesa di San Nicolò, sopra ricordati.
La chiesa è menzionata anche negli inventari delle chiese montegibertesi del 1450 quando vengono elencati i rispettivi possedimenti, e in quello del 1771 nel riferimento ai terreni appartenenti alla chiesa di S. Giovanni Battista di Monte Giberto, risulta che alcuni confinavano con il beneficio di S. Lucia.
L’edificio attuale, di piccole dimensioni e di umile struttura, è tuttora aperto al culto.
Si può notare, a conclusione, che la dedicazione delle chiese a S. Lucia nel medioevo può considerarsi di influenza prevalentemente romana.
6- S. Margherita
E’ elencata nelle Rationes Decimarum, le quali però non dicono se essa si trovasse o no nel territorio di Monte Giberto, giacché si limitano a segnalare solo il chierico don Guglielmo, che versa un’unica rata di 12 denari. Si tratta comunque, senza alcun dubbio, della chiesa omonima situata un tempo nel territorio montegibertese (n. 6278). Infatti, da un documento del 3 agosto 1406, redatto Fermo, si apprende che don Matteo Vannitti era titolare di tre chiese senza cura d’anime, tra le quali figura questa di S. Margherita in Monte Giberto (Conlationes 2, 13).
In un altro documento dell’11 febbraio 1434 dello stesso Archivio arcivescovile di Fermo si fa menzione della “chiesa di Santa Margherita di Monte Giberto”, dipendente dalla pievania di S. Maria Mater Domini di Ponzano. Vi si legge che l’amministratore apostolico della diocesi di Fermo, don Bartolomeo, concedere al rettore la chiesa di S. Margherita di Monte Giberto, senza cura d’anime, e lo dispensa dal cumulo dei benefici per reddito esiguo. Gli conferma altresì la rettoria o cappellania, conferitagli dal pievano ponzanese (Conlationes 1, 322).
Santa Margherita di Monte Giberto viene segnalata anche dall’inventario del 1450, relativo alla pievania di S. Maria Mater Domini da cui dipendeva, a cui versava 4 libbre e 5 soldi (Crocetti, Scoccia 387).
Topograficamente più puntuale è l’inventario del 1450 specifico della chiesa di S. Giovanni di Casale, ricostruita dentro le mura di Monte Giberto, alla quale la chiesa di S. Margherita era unita fin dal 22 giugno 1445 nello stesso rettore don Marino di Cola. Vi si legge che la chiesa in esame si trovava “all’esterno del castello” cioè fuori del castello di Monte Giberto.
L’inventario del 1771 ci fa sapere che la titolare si deve identificare con S. Margherita vergine martire di Antiochia, morta probabilmente nell’ultimo venticinquennio del III secolo e oggetto di diffusissimo culto in Oriente e in Occidente fin dal secolo VII (20 luglio).
Considerando l’esiguità della decima versata dal chierico don Guglielmo nel 1290-1292 e la dispensa, concessa nel 1434 al rettore da parte dell’amministratore apostolico per reddito ridotto, si deve dedurre che la Chiesa doveva essere di modeste dimensioni. Nel 1290-1292 il custode non era neppure sacerdote e non aveva quindi il titolo di cappellano. Non molto diversa deve essere la sua situazione 1450, stando all’esiguo tributo versato al pievano di Ponzano.
Eppure questa chiesina ebbe in seguito una notevole importanza perché il suo luogo servì al culto locale della Madonna delle Grazie. Era situata dove sorge ora il noto santuario mariano, a est del Castello, dalla cui piazza dista circa 200 metri. Lo veniamo a sapere in modo esplicito dall’inventario del 1771, il quale dice anche che essa fu aggregata, in data imprecisata, alla chiesa di S. Giovanni Battista. Vi si legge infatti: “certo altresì è della chiesa di S. Margherita situata alle falde del monte così denominato, e precisamente nel sito ove oggi si trova fabbricata la chiesa di S. Maria Santissima delle Grazie, di che altra testimonianza ne facevano le pitture istesse che nella parte posteriore nel maggiore altare si vedevano prima che detta chiesa fosse in questi ultimi anni riformata”.
Questa nota archivistica fa intendere che l’antica chiesa di S. Margherita fu praticamente trasformata in santuario mariano. Lo attesta anche un manoscritto dell’archivio storico arcivescovile di Fermo, intitolato: “Della sacra immagine di S. Maria delle Grazie, compilato nella seconda metà del secolo XVIII” (S. Maria).
L’anonimo autore della memoria riferisce che, secondo “una continua non intermessa tradizione”, un pastore avrebbe trovato nella Contrada, “volgarmente allora chiamata La Marzese”, una statua della Madonna, scolpita su marmo bianco, tuttora esistente giudicata, da alcuni esperti, come opera di arte pisana del secolo XIV. Il simulacro, alto solo cm 54, fu posto “in una piccola icone
L’autore avanza un’ipotesi: “non doveva essere di più di un cappelloncino lavorato alla gotica et ornato di pitture varie dei santi ed altri rabeschi al gusto di quelli secoli e soltanto capace di un altare mediocre e difeso innanzi con soli cancelli di legno”. Scrive anche che la costruzione era “posta in pertinenza del Rev.mo Capitolo di S. Giovanni Laterano di Roma”. Questa precisazione ci suggerisce un richiamo a S. Maria della Petrella, in comune di Ripatransone, anch’essa costruita a mo’ di “cappelloncino lavorato alla gotica et ornato di pitture” e anch’esso di “pertinenza” del Capitolo di S. Giovanni in Laterano. Lo stemma lateranense fu messo sopra al portale del santuario mariano.
7 – S. Martino di Monte Giberto o di “Lauriano”
Questa chiesa è menzionata con l’appellativo di “S. Martino” di Monte Giberto nelle Rationes Decimarum, le quali informano che il suo proposto don Simone nel 1290-1292 paga in una prima rata 20 soldi e, in una seconda rata, tramite un certo Saladino, suo “nunzio”, 22 soldi e 9 denari (n. 6115).
Nell’inventario della pieve di Ponzano questa chiesa figura, nel 1450, con il toponimo diverso: chiesa di San Martino de Lauriano. Doveva pagare al pievano di S. Maria Mater Domini 16 libbre e 15 soldi (Plebanato). La chiesa è menzionata con lo stesso appellativo di Lauriano anche nell’inventario del 1450 relativo alla chiesa di S. Giovanni di Casale, alla quale era unita per privilegio fin dal 22 giugno 1445, secondo il Registro delle Conlationes (3, 180).
Era nel territorio di Monte Giberto. Infatti, in tutte le pertinenze della stessa pievania ponzanese esistevano due sole chiese dedicate a San Martino e tutt’e due nell’attuale comune di Monte Giberto: questa in parola, esplicitamente detta de Montegiberto dalla Rationes Decimarum, e quella del Castello del Podio.
Nell’inventario del 1771, tra le antiche chiese rurali scomparse e aggregate alla chiesa di S. Giovanni Battista, è citata anche la chiesa di S. Martino che, con ogni probabilità, deve identificarsi con quella in esame. Vi si legge: ”Né può dubitarsi della chiesa di S. Martino che era nella Contrada di tal denominazione” (S. Giovanni 1771). L’inventario elenca successivamente nella stessa chiesa un altare dedicato a S. Martino (vescovo di Tours) e a S. Margherita (vergine e martire) corredato di un quadro recante le loro immagini. E cita un’altra volta la Contrada S. Martino quando, elencando la serie dei terreni posseduti dalla chiesa di S. Giovanni Battista, menziona anche “una pezza di terra in Contrada S. Martino, al fosso di Rio Valle”. Ancora oggi esiste nella stessa zona una Contrada S. Martino, la quale, della strada provinciale che porta a Monte Ottone, si estende sul colle e lungo la strada provinciale che scende verso il Rio e l’Ete Vivo.
La chiesa di S. Martino di Monte Giberto, stando alle decime versate la Santa Sede nel 1290-1292, in due rate, come già detto, doveva avere maggiori consistenza rispetto alle altre chiese rurali dello stesso territorio.
Il Crocetti e lo Scoccia avanzano (p. 65) la suggestiva ipotesi secondo cui il toponimo Lauriano, presente nei due citati inventari del 1450, possa far pensare che nel territorio di Monte Giberto un tempo fosse esistita una “laura”, organizzazione monastica bizantina caratterizzata da un certo numero di stanzettine separate da anacoreti, aventi però una chiesa è in comune” Lo suggerirebbe anche il titolo di “preposito”, dato al sacerdote custode di questa Chiesa.
L’ipotesi va presa in considerazione tanto per il toponimo Lauriano, quanto per il titolo di “preposito”, il quale, di per sé, è proprio del priore claustrale di un’abbazia benedettina o, comunque, monastica, e, in senso più generico, può riferirsi anche a un superiore di una comunità conventuale, nonché, successivamente, a un sacerdote che presiede un capitolo di cattedrale o una parrocchia.
Don Simone potrebbe aver ereditato il titolo di “preposito” della chiesa montegibertese proprio da una precedente sede monastica, ivi situata, e la chiesa di San Martino potrebbe aver assunto l’appellativo di Lauriano dall’esistenza di un’antica “laura” nel luogo. Si tenga presente che fra tutti i sacerdoti menzionati dalle Rationes Decimarum, quali custodi delle chiese montegibertesi, solo don Simone ha il titolo di “preposito”.
8 – S. Martino del Podio
Questa chiesa è stata ricordata con il Castello chiamato Podio. E’ elencata nelle Rationes Decimarum, dove il cappellano don Marco nel 1290 versa in un’unica rata 21 soldi, mentre nel 1299 chiede l’esenzione, giurando di avere una rendita di sole 25 libbre e 20 soldi. Probabile indizio che già quell’antico Castello del Podio, alla fine del secolo XIII era nella fase di decadenza (n. 5849 e 7485).
La chiesa compare anche nell’inventario del 1450 quale tributaria della pievania di S. Maria Mater Domini, la quale doveva pagare 10 libbre (Plebanato).
Podio (poggio) è un toponimo che ricorre più volte nelle Rationes Decimarum: S. Nicolò del Podio (n. 7490), San Donato del Podio (n. 6048), S. Lucia del Podio (n. 6090), S. Pietro de Podio (nn. 6141, 6811, 7030, 7305). Tutte e quattro le chiese hanno il medesimo riferimento toponimico che ha la chiesa di S. Martino del Podio, esistente con certezza nell’omonimo Castello collinare, sito, come si è detto, entro i confini dell’attuale territorio comunale di Monte Giberto.
Nel Fermano, in antico, esistevano altri centri con il toponimo di Podium, sempre seguito però dal nome proprio: Podium Rainaldi, tra Monturano e Torre San Patrizio, Podium S. Juliani, l’attuale Macerata, appartenente in origine al vescovo di Fermo, e Podium S. Lucie, a Mogliano. Questo di Monte Giberto, invece, è sempre segnalato come Castrum de Podio o semplicemente de Podio, senz’altra specificazione.
Non deve sorprendere il fatto che nel piccolo territorio di Monte Giberto esistessero due chiese dedicati a San Martino, perché questo santo godeva diffusissimo culto, promosso dai Franchi e, dai Longobardi. Era considerato, infatti, il “martello degli eretici” contro l’arianesimo, al quale avevano aderito i popoli germanici prima che si convertissero al cattolicesimo.
9 – S. Michele
Anche questa chiesa rurale è censita dalle Rationes Decimarum, nei quali si legge che il cappellano don Alessandro nel 1290 versa solo 14 soldi, mentre nel 1299 chiede l’esenzione giurando di avere una rendita di sole 9 libbre (n. 6060).
Sembra che nel 1431 fosse rettore beneficiato di questa chiesa, senza cura d’anime, il fermano Don Cicco, figlio di Antonio, canonico del capitolo della cattedrale (Conlationes 3,67).
La chiesa è ricordata, con altre, dall’inventario del 1450, quale tributaria della pievania ponzanese di S. Maria Mater Domini, alla quale doveva versare in quell’anno libbre 4 e 6 soldi (Plebanato).
Il 1° marzo dello stesso anno 1450 fu compilato un inventario appositamente per questa chiesa da Andrea da Collina. Vi sono elencati i vari appezzamenti di terra appartenenti a questa chiesa (S. Michele).
Esiste ancora nel comune di Monte Giberto la Contrada S. Michele, a sud-est del paese, che attraversa una fertile collina. Sicuramente il toponimo fa riferimento all’antica chiesa di S. Michele.
Si è detto che, secondo la Memoria settecentesca del santuario montegibertese della Madonna delle Grazie, la piccola statua marmorea della Vergine con il Bambino, ivi venerata, sarebbe stata trovata da un pastore in Contrada detta “La Marzese”, che, secondo la tradizione locale, ancora viva, si dovrebbe collocare nell’ambito delle vicinanze della Contrada S. Michele.
L’anonimo autore del manoscritto intitolato “Della sacra immagine della Madonna delle Grazie” scriveva nel 1765 circa: “Può congetturarsi che questo sito, nei tempi molto addietro, fosse sacro ritiro di qualche ordine romitico, o monastico, o a qualche di essi appartenesse, giacché molti erano in queste vicinanze, come ne resta pure un popolare ditterio [?]”. Non si pensi ad un monastero.
Potrebbe trattarsi, invece, del “luogo” della setta ereticale dei “fraticelli” che a Monte Giberto sono documentati nel 1412. Essi, in effetti, abitavano in luoghi solitari e poveri, tra boschi, lontano dai centri abitati.
E’ da aggiungere che, secondo la memoria “Della Sagra Immagine di S. Maria delle Grazie”, una chiesa sorgeva nella Contrada detta “La Marzese” con una diversa titolazione rispetto a quella di S. Michele. Vi si legge: “dove di presente ancora esiste una chiesa ben antica e beneficiale del Seminario Arcivescovile sotto il titolo del patriarca “S. Giuseppe” cui è dedicata”.
Non è da escludere del tutto che si tratti della medievale chiesa di San Michele, come fanno intendere le parole “ben antica”, la quale, dopo il 1450 (S. Michele inv.) avrebbe potuto cambiare titolare e passare come “beneficiale” nelle proprietà del Seminario Arcivescovile di Fermo.
Il culto di S. Michele o S. Angelo era molto vivo tra i Longobardi, i quali lo invocavano come patrono, quindi, si può spiegare l’esistenza di chiese con questo titolare in aree di forte presenza longobarda, come il Fermano. Il santo Arcangelo era molto venerato anche dai Farfensi per cui gli furono dedicati diversi monasteri e chiese.
10- S. Pietro “de Fano”
Questa chiesa è nominata la prima volta in un documento del 3 agosto 1406, redatto a Fermo, nel quale si legge che Arcangelo, vicario del vescovo Leonardo, concede a don Matteo Vannitti il canonicato fermano, al quale è annesso il beneficio con la rispettiva chiesa di S. Maria Mater Domini di Ponzano, con dispensa dal fatto che lo stesso don Matteo è titolare di tre chiese senza cura d’anime tra cui S. Pietro de Fano (Conlationes 2, 13).
E’ menzionata anche nell’inventario del Bonanni del 1450, come tributaria della pieve di S. Maria Mater Domini di 2 libbre, 2 soldi e 6 denari (Crocetti, Scoccia p. 387), quindi la più povera chiesa di pertinenza della pievania ponzanese.
Fanum era un luogo di culto romano, un’edicola, un tempietto ai limiti della centuriazione. Il toponimo de Fano può far pensare a un antico tempietto pagano (fanum), nel territorio limitrofo alla pieve di S. Maria Mater Domini, dove, sono stati individuati antichi reperti di epoca romana, che hanno un possibile riferimento con tempietti di lari protettori. I tempietti e le edicole romane furono poi trasformate e usate come chiesine cristiane.
A Montegiberto una Contrada è interessata da una lunga strada che attraversa tutta la collina del territorio di Monte Giberto, detta “La solagna”, a nord del castello, dal confine con il comune di Ponzano fino al fiume Ete Vivo, terminando sulla strada provinciale che da Monte Giberto conduce a Grottazzolina. L’intera zona reca il toponimo di “Bore di Fiano” ma ci sono diversità.
Una chiarificazione al riguardo proviene da un inventario specifico di questa chiesa, redatto il 5 febbraio 1450, nel quale non solo compare ancora una volta la denominazione di chiesa di San Pietro de Fano, e compare anche il toponimo “Le Bore di Fiano”, in riferimento ai confini di alcuni beni della stessa chiesa. Ne consegue che il toponimo della chiesa di S. Pietro de Fano non può essere una deformazione del toponimo di Fiano. Caso mai, potrebbe trattarsi di un fenomeno inverso (S. Pietro).
Lo conferma l’esistenza di un’altra chiesa, che esisteva un tempo nella stessa zona, menzionata in un documento del 14 settembre 1411 con il titolo di Santa Maria de Fiano (Conlationes 2,152). In questo caso è evidente che la Contrada de Fiano ha dato il toponimo alla chiesa di S. Maria. Al contrario, se per la chiesa di S. Pietro, nei documenti del secolo XV, non si usa il termine de Fiano, ma sempre de Fano, vuol dire che anche quest’ultima denominazione esisteva separata (Crocetti, Scoccia 387).
I beni elencati nell’inventario del 1450 di questa chiesa di S. Pietro, redatto nel 1450 sono situati nel territorio di Castellare, cioè dell’antico Castello di S. Maria Mater Domini, andato distrutto durante la signoria degli Sforza.
Questa indicazione topografica consente di poter determinare il sito della chiesa. Essa si trovava nel territorio di Monte Giberto -che ha assorbito parte dell’antico territorio di Castellare – nella zona ai confini con Ponzano.
Il sito corrispondeva probabilmente alla parte iniziale della lunga Contrada delle Bore di Fiano , a sud-est, non lontano dall’attuale strada provinciale che unisce Ponzano a Monte Giberto. Nelle Conlationes (2,94) si legge che il pievano di Servigliano don Marino il 6 giugno 1408 viene dispensato dal cumulo dei benefici, tra i quali compare anche un “altare” di S. Pietro, situato nella chiesa di S. Nicolò di Monte Giberto.
11 – S. Pietro de Valleriano
Questa chiesa compare nell’inventario del 1450 come dipendente dalla pievania ponzanese di santa Maria Mater Domini, alla quale doveva versare 10 libbre e 9 soldi (Crocetti, Scoccia p. 387). Doveva avere una certa importanza in base a questi dati, tra quelle di pertinenza della stessa pievania.
Non è facile individuare l’ubicazione di questa chiesa, anche se il toponimo Valleriano suggerisce di immaginarla in una zona valliva. Secondo l’inventario del 1771, relativo alla chiesa di S. Giovanni Battista, esisteva nel territorio montegibertese la Contrada Rivo o Rio di Valle, ed è pensabile che Valleriano (Valle di Rio: metatesi del primo toponimo), faccia riferimento al luogo dove scorre un ruscello, il quale potrebbe identificarsi con il fosso a nord del colle di S. Martino, nell’attuale Contrada Redivalle, che è un’ovvia corruzione fonetica Rio di Valle menzionato nello stesso inventario del 1771.
Nel piccolo territorio di Monte Giberto sono segnalate, come si vede, due chiese con il titolo di S. Pietro. Ciò non deve destar meraviglia, perché nell’antica diocesi di Fermo numerose sono le dedicazioni di luoghi di culto al principe degli apostoli.
Il fenomeno può spiegarsi, forse, con il vivo e remoto culto del santo presso le popolazioni germaniche, che lo veneravano come “portinaio del cielo”, anche prima della loro conversione dall’arianesimo. Numerose e importanti sono le dedicazione a S. Pietro in aree longobardiche, anche del nord Italia.
Oppure si potrebbe pensare che la chiesa sorgesse lungo la piccolissima valle del Rio, che scorre ai confini tra Monte Vidon Combatte, Monte Giberto e Montottone. In questo caso, la chiesa potrebbe identificarsi con S. Pietro de Podio.
Le Rationes Decimarum segnalano un S. Pietro de Podio (nn. 6141, 6811, 7080, 7305) che quasi sicuramente era situato nel territorio del Castello de Podio, ma non ci hanno indizi documentari per identificarlo con S. Pietro de Valleriano. Secondo il documento del 29 giugno 1421 (Conlationes 2, 257.s), il vicario capitolare Marino Rigutii di Montefiore, preposito dei canonici della Cattedrale di Fermo, fa collazione a Mattiolo Colutii di Monte Giberto della chiesa di S. Pietro de Podio, situata nella campagna di Monte Vidon Combatte. Probabilmente la chiesa rurale era posta non lontana dal Rio, presso i confini con Monte Giberto. Ciò attesta che il territorio del Castello del Podio si estendeva a sud fino al territorio di Monte di Vidon Combatte.
12 – S. Sepolcro e poi S. Nicolò
a)- S. Sepolcro.
La chiesa montegibertese del S. Sepolcro è ricordata dalle Rationes Decimarum, che riferiscono che il suo cappellano don Ventura versa, nel 1290-1292, in una prima rata, 21 soldi, in una seconda, 18 soldi e 8 denari ed in una terza, 15 soldi (nn. 5806, 6884, 7042).
La chiesa viene elencata nel 1450 tra quelle appartenenti, quanto ai benefici ecclesiastici, alla pievania di Ponzano, a cui doveva versare 14 libbre, 12 soldi e 6 denari (Crocetti, Scoccia p. 387).
Sorprende la titolazione al S. Sepolcro, l’unica in tutte la regione Marche secondo l’elenco copiosissimo delle Rationes Decimarum. Essa fa supporre una devozione in loco verso questo insigne tempio-reliquia della cristianità. La devozione potrebbe spiegarsi in due modi: o con l’iniziativa di qualche cavaliere dell’Ordine militare del S. Sepolcro, che fu fondato intorno al 1176 da Enrico II d’Inghilterra; oppure con la partecipazione di persone del luogo o dei territori circonvicini a qualche pellegrinaggio o a qualche crociata in Terra Santa.
Il pensiero corre subito ai crociati dei vicini centri di Monterubbiano e dell’antica pieve di Sant’Anatolia, in comune di Petritoli, i quali presero parte a una crociata, come documenta una pergamena dell’abbazia di Fiastra del 27 febbraio 1217. Vi si legge che Onorio III notificò all’abate di S. Croce, all’abate di S. Savino e al preposto di S. Martino in Variano della diocesi di Fermo di aver preso sotto la propria protezione le famiglie e tutti i beni dei “crucesignati” di Monterubbiano e della pieve di Sant’Anatolia, partiti per la Terrasanta (Santarelli 1996).
Non è impossibile, che qualche crocesegnato (forse anche montegibertese), di ritorno dalla Terrasanta, abbia introdotto nella zona la devozione al S. Sepolcro, promuovendo la dedicazione con tale titolo di una chiesa.
b)- S. Nicolò
Il silenzio avvolge le origini di questa chiesa, per l’agionomo documentato, a partire dagli inizi del secolo XV nell’archivio arcivescovile fermano. In un inventario del 1727, che la riguarda la definisce “parrocchia e matrice”, si legge: “Quando sia stata fabbricata o eretta in parrocchia non c’è ritrova memoria, né che sia stata consacrata” (S. Nicolò 1727).
Nella cartina geografica allegata al volume delle Rationes Decimarum figura anche il simbolo di una pieve accanto al nome di Monte Giberto. Essa può far riferimento solo a quella di S. Nicolò, l’unica conosciuta in tutto il territorio, posta dentro il Castello, il cui rettore, almeno dal secolo XVII, ha la qualifica di pievano.
Di fatto però, nelle Rationes Decimarum non viene mai nominata questa chiesa. E ciò appare inspiegabile, perché nel crollo della casa di Erasmo Paletti (16 giugno 1953) che interessò anche l’edificio della confraternita del sacramento, addossato alla chiesa, su uno “dei mattoni” fu trovata la data 1090, riferita allora da taluno anche alla costruzione della chiesa di S. Nicolò.
La soluzione di questo enigma dell’agionomo di S. Nicolò è offerta da un’importante notizia contenuta nel registro delle Conlationes dell’Archivio arcivescovile di Fermo. Vi si legge che don Arcangelo da Foligno, vicario generale del vescovo di Fermo Leonardo, il 1° luglio 1408 scrisse una lettera a don Pietro di Antonio, che era rettore dell’altare di S. Antonio e di S. Lucia, siti nella chiesa del S. Sepolcro, detta anche di S. Nicolò, a Monte Giberto (Conlationes 2, 97).
Dunque, S. Sepolcro e S. Nicolò sono titoli dati ad una stessa chiesa. Al primo titolare è stato aggiunto un secondo, che via via ha sostituito completamente il primo, come emerge dall’inventario della chiesa di S. Nicolò del 1450, nel quale non si fa più cenno al titolare originario. E’ da precisare, tuttavia, che nell’inventario ponzanese del Bonanni, pure del 1450, relativo alla chiesa di S. Maria Mater Domini, tra le chiese beneficiarie della stessa, figura questa di Monte Giberto ancora con il nome dell’antico titolare, cioè del S. Sepolcro (Plebanato).
L’individuazione di un’unica chiesa con due titolari, nel corso del tempo, è di grande interesse sul piano storico e fa dell’attuale chiesa di Monte Giberto un luogo sacro di primaria importanza per il Castello. Sorge però una domanda sul perché e come al primo titolare, S. Sepolcro, si è aggiunto il secondo, S. Nicolò. Una risposta potrebbe essere la seguente.
Nelle Rationes Decimarum si incontra in diocesi di Fermo una chiesa denominata S. Nicola del Podio, la quale venne dispensata dal pagare la decima, perché un certo Marino, procuratore di don Puzio, dichiarò con giuramento, a nome di costui, una rendita di 15 libbre e 10 soldi, per cui, in riferimento alle decime del 1299, secondo le disposizioni di Bonifacio VIII, non era tenuto a versare alcuna quota (n. 1790).
Si potrebbe pensare a un trasferimento dei titolo dell’antica chiesa dedicata a San Nicolò, esistente un tempo nel Castello del Podio e poi scomparsa, in quella del S. Sepolcro, esistente nel centro di Monte Giberto. Si sa che traslazione di titoli, o reimpieghi di antichi toponimi costituiscono un fenomeno non raro nel basso medioevo, per cui abbiamo aperto l’ipotesi accennata.
Vari edifici sacri corrosi dal tempo, nella traslocazione, talora furono riedificati in luoghi diversi con la primaria dedicazione e denominazione, come è avvenuto anche a Monte Giberto per la chiesa di San Giovanni di Casale. Tanto più facile era la traslazione di un titolo o di una dedicazione da una chiesa all’altra.
In altre parole, la chiesa di S. Nicolò di Monte Giberto altro non è che l’antica chiesa del S. Sepolcro, che assunse anche il titolo di S. Nicolò, agionimo forse ivi traslato dall’omonima chiesa esistente, un tempo, nel Castello del Podio, andata distrutta. Ciò potrebbe essere avvenuto quando, nel secolo XIV, i castelli del Podio e di Casale probabilmente si unirono in quello di Monte Giberto. La traslazione del titolo della chiesa di S. Nicolò avrebbe costituito, così, una specie di legame con l’antico Castello del Podio, assorbito da quello di Monte Giberto.
Non si ha conoscenza se la chiesa del S. Sepolcro detta poi di S. Nicolò di Monte Giberto sia sorta come ‘pievania’ o lo sia diventata in seguito. Essa viene menzionata nel 1450 nell’inventario della pievania ponzanese, sia con il titolo del S. Sepolcro, (già beneficiaria della stessa pievania S. Maria Mater Domini) e sia con il titolo S. Nicolò, in riferimento a tre altari di pertinenza della stessa pievania ponzanese: titoli di S. Pietro, di S. Antonio e S. Lucia) (Crocetti, Scoccia p. 387).
Dallo stesso inventario si viene a sapere che la chiesa di S. Nicolò aveva di proprietà o possessioni (res) presso il fiume Ete Vivo. Ciò che fa pensare ad antichi possedimenti della chiesa di S. Nicolò del Podio -che era situata in prossimità del fiume Ete – forse ereditati, con il titolo, dalla chiesa montegibertese.
Di notevole interesse è anche un inventario non datato ma redatto quasi sicuramente nel 1450, come gli altri quattro relativi alle tre chiese di Monte Giberto. Vi si legge testualmente che “l’onesto uomo don Antonio si Altidona, del contado di Fermo, rettore della chiesa di S. Nicolò e dell’altare di S. Lucia esistente in detta chiesa di S. Nicolò del Castello di Monte Giberto, la quale chiesa è in sottomissione di S. Maria Mater Domini, redige l’inventario di tutti i beni mobili e immobili della stessa chiesa (Inventario S. Nicolò). Qui il rettore della chiesa, Don Antonio di Altidona, non ha una qualifica di Pievano. In questo documento non si nomina più il titolo del S. Sepolcro, segno che ormai esso andava scomparendo anche negli atti ufficiali.
L’incipit dell’inventario offre una notizia interessante: la chiesa di S. Nicolò era in sottomissione della chiesa di S. Maria Mater Domini, che ivi aveva anche tre altari beneficiali, quello di S. Lucia, nominato anche in questo inventario, e quelli di S. Antonio e di S. Pietro, tutti e tre menzionati nell’inventario prima citato del Bonanni. Già questi tre benefici fanno pensare a una forte dipendenza della chiesa di S. Nicolò nei riguardi della pievania vescovile di S. Maria Mater Domini. Essa proviene ovviamente da antica data, quando aveva la denominazione di S. Sepolcro nella diocesi di Fermo.
In concreto doveva trattarsi, forse, di una sottomissione o dipendenza di carattere giuridico canonico. Sembra che si trattasse di una specie di “sudditanza” di carattere spirituale e morale, che poteva comportare anche l’obbligo di versare decime o tributi vari, di carattere beneficiario.
Stando alla laconicità del testo, sembrerebbe che la chiesa del S. Sepolcro (poi S. Nicolò) dovesse considerare quella di S. Maria Mater Domini come la chiesa madre, e forse fondata da questa. Ciò potrebbe spiegare perché, in un certo tempo, non definibile, il parroco della chiesa di S. Nicolò cominciò ad assumere il titolo di pievano, mantenuto fino ai tempi nostri. Poteva verificarsi una partecipazione giuridica, da parte del rettore della chiesa di S. Nicolò, del titolo di pievano che spettava al rettore della pievania S. Maria Mater Domini. E’ un’ipotesi che potrebbe spiegare perché la chiesa di San Nicolò nel secolo XV non viene mai qualificata come pievania e perché, in seguito, i suoi parroci si denominano pievani.
Con i secoli XV e XVI di notizie su questa chiesa cominciano a essere più puntuali. Nell’aprile del 1408 il vescovo di Fermo Leonardo effettua una visita pastorale alla chiesa di S. Maria Mater Domini e agli altri edifici sacri ad essa soggetti a vario titolo, compresi gli altari. A questa visita erano interessati anche gli altari di S. Antonio e di S. Lucia, esistenti nella chiesa del S. Sepolcro (o di S. Nicolò) di Monte Giberto e aventi un proprio beneficio. Il Pievano di S. Maria Mater Domini possedeva il privilegio di confermare il rettore di due altari, che in quell’anno era don Pietro di Antonio. In seguito a una questione sorta per un difetto giuridico, imputabile ai “patroni elettori” dei due altari, il vescovo da una parte confermò il privilegio concesso al pievano, dall’altra riaffermò il diritto dell’episcopato di Fermo in merito alla provvisione del rettore o cappellano dei detti altari, confermando nel contempo la nomina di don Pietro di Antonio. Successivamente, come si è accennato, il 1° luglio dello stesso 1408, don Arcangelo, vicario generale del vescovo di Fermo, Leonardo, scrisse a don Pietro di Antonio confermandogli la rettoria dei due altari, in forza del potere che la curia vescovile e il vescovo possedevano in materia, rimuovendo qualsiasi detentore del relativo beneficio. (Conlationes 2, 97).
Risulta inoltre che il 6 giugno 1408 Don Arcangelo, giurisperito di Foligno e vicario generale del vescovo di Fermo, Leonardo, su richiesta di don Marino, pievano di Servigliano, dispensò costui dal cumulo di alcuni benefici, tra i quali era compreso l’altare di San Pietro nella chiesa di San Nicolò di Monte Giberto (Conlationes 2,94).
Nel 1476 vi fu un laborioso passaggio di poteri nella rettoria della parrocchia di S. Nicolò, come attesta una triplice notizia del registro delle Conlationes (1,198) dell’archivio arcivescovile di Fermo. Fra Marino Preti di Monte San Pietrangeli, dell’Ordine dei Frati Minori, aveva ottenuto, con la dispensa apostolica, la rettoria di detta parrocchia. Decise poi di restituirla al vescovo di Fermo a favore di don Antonio Antonelli, prete ascolano, il quale si presentò a ricevere il rispettivo beneficio. Fra Marino stabilì quali suoi procuratori don Primo de Astis, arcidiacono maceratese, e don Pietro de Angelinis di Perugia, nonché il chierico don Luciano, canonico fermano, per ottenere dal Papa Sisto IV il riconoscimento di una pensione annua a proprio favore di 12 fiorini, moneta della Provincia della Marca Anconitana, ricavabili dal fruttato della parrocchia di S. Nicolò, ceduta a don Antonio, sotto pena, in caso di non assolvimento, di 100 ducati, dando nel contempo, a tutela, le più ampie facoltà ai suoi procuratori. Il documento risulta stilato a Fermo, nel Palazzo
Un altro documento del 1476, senza indicazione di giorno e di mese, specifica come fra Marino rinunciò alla rettoria della parrocchia di S. Nicolò di Monte Giberto perché era consapevole di non poter soddisfare a tale impegno a causa di altre occupazioni. Pertanto rimise il mandato nelle mani del vescovo di Fermo, cui spettava la conferma del rettore della parrocchia di S. Nicolò, passandolo a don Antonio Antonelli di Ascoli. Questi assunse gli impegni della parrocchia e si fece obbligo di dare a fra Marino 10 ducati all’anno, come pensione, per alimenti, a cominciare dal 1477, dato che il frate non poteva mendicare. Don Antonio e fra Marino elessero di comune accordo, come procuratori per la conferma da parte del Papa, don Pietro de Angelinis da Perugia, don Luciano, canonico fermano, e don Primo, arciprete maceratese. Questa notizia ripete in sostanza quanto detto sopra (Conlationes 1, 199).
Vien da notare che il francescano fra’ Marino Petri da Monte San Pietrangeli con le sue pretese, nonostante l’autorizzazione pontificia richiesta per usufruire di una pensione annua, non poteva considerarsi di per sé in sintonia spirituale con la Regola Francescana che esige un’osservanza rigorosa dell’”altissima” povertà, escludendo ogni abuso per autonomo uso personale di danaro. Nei dintorni di Monte Giberto esistevano in quel secolo tre conventi dei frati conventuali: uno a Fermo, dove i francescani ebbero una prima sede stabile dentro la città con la chiesa S. Francesco del 1240; uno a Montottone, fondato prima del 1260; e uno a Montegiorgio, dove la presenza dei frati è segnalata fin dal 1246. Probabilmente a uno di questi conventi poteva appartenere fra Marino, originario di Monte San Pietrangeli, nella Custodia Francescana di Fermo.
All’inizio della notizia del 1476 c’è un’annotazione molto interessante. Vi si dice che l’elezione del rettore della chiesa di San Nicolò di Monte Giberto spetta al signor Lodovico Uffreducci di Fermo. Non si sa quando questo diritto sia stato acquisito dalla potente famiglia Fermana Uffreducci o Euffreducci, che ebbe tra i suoi membri personaggi famosi, come Oliverotto (1475-1503) (ucciso da Cesare Borgia, nel 1503) e Ludovico (morto nel marzo del 1520 nello scontro tra le sue truppe e quelle di Nicola Bonafede, mandato dal papa).
Sarebbe interessante indagare sui rapporti tra gli Euffreducci di Fermo e il Castello di Monte Giberto. Di questa famiglia si daranno notizie nel capitolo sul secolo XVI. I loro diritto sulla chiesa di S. Nicolò durò per molto tempo, perché in un inventario del 1763, che riguarda la medesima chiesa di Monte Giberto, si legge che, in base a un istrumento rogato dal signor Bartolomeo Rainaldi il 12 aprile del 1552, la signora Giovanna Maria Euffreduccia Orsini di Fermo, moglie del signor Valerio Orsini, risulta “padrona” (patrona) che aveva il giuspatronato della chiesa di S. Nicolò. In quella circostanza la signora Orsini concesse alla Confraternita del Ss.mo Sacramento di Monte Giberto la facoltà di erigere nella chiesa di S. Nicolò un altare dedicato al Ss.mo Sacramento. È presumibile che Giovanna Maria Euffreduccia abbia ereditato tale giuspatronato dalla sua famiglia degli Euffreducci (S. Nicolò 1763).
L’inventario vescovile di S. Nicolò del 1763 descrive, fra l’altro la situazione delle cappelle a quel tempo. Quattro erano gli altari laterali:
1)- altare intitolato alla Madonna della sanità, che aveva un quadro con le seguenti figure: la Madonna, S. Giovanni Battista, S. Nicolò, S. Stefano, e S. Francesco. Nel timpano vi era raffigurata una Madonna di Loreto. Era stato eretto dal signor Bonaventura Francesco Franchelucci il 12 settembre 1633.
2)- altare dedicato a Santa Monica, con un quadro raffigurante la Madonna della Consolazione, S. Agostino, S. Eurosia, S. Francesco e S. Chiara. Vi era istituita la confraternita di S. Monica.
3)- altare dedicato alla Madonna di Loreto, fondato nel 1688.
4)- altare dedicato a S. Lucia, cui si aggiunse poi il titolo di S. Antonio Abate. Il quadro raffigurava S. Lucia vergine e martire. L’altare era “adornato di tavole dipinte”, le quali, per questo supporto in tavola, ci conducono almeno al secolo XV.
Risulta, inoltre, dall’inventario del 1763, che la chiesa di S. Nicolò “è stata […] dal rettore Pievano Antonio Orsini rifabbricata dai fondamenti interamente, e nel mese di luglio 1749 fu ribenedetta, e dall’arcivescovo fermano Alessandro Borgia li 14 del mese di settembre dell’anno 1749 fu consacrata, e dopo le necessarie facoltà vi fu appesa la Via Crucis”, in 14 dipinti di buona mano.
Lo stesso Don Antonio Orsini provvede a far scolpire la statua di S. Nicolò, che tuttora vi è custodita, dietro l’altare. Sull’altare maggiore fu posta la tela raffigurante l’Ultima Cena, proprietà della confraternita del Ss.mo Sacramento, che la aveva fatta eseguire a Firenze nel 1602 (S. Nicolò 1763).
Qui si può rilevare che il decennio 1740-1750 fu per Monte Giberto particolarmente fervido di iniziative nell’ambito dell’edilizia sacra, perché nel 1742 fu costruita la chiesa di S. Antonio di Padova. La fece edificare anche la Porti, vedova di Benedetto Benedetti, per una sua “devozione speciale a Santo di Padova”. La chiesa fu terminata nel 1742 e il 13 maggio di quell’anno, con licenza dell’arcivescovo di Fermo, fu benedetta e aperta al culto (Inventario S. Antonio di Padova).
Del culto mariano per la sacra Casa di Nazareth a Loreto, patrona della regione Marchigiana, si parla nell’apposito paragrafo in seguito, con riferimenti a questa chiesa.
Nell’inventario della chiesa di S. Nicolò, redatto nel 1450, è segnalata, fra altri oggetti, anche una “croce d’argento indorata”. E’ scomparsa, ma doveva essere una di quelle croci professionali del secolo XIV-XV, considerate in genere veri capolavori di oreficeria.
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