SANTARELLI GIUSEPPE: ORIGINE DEL CENTRO DEMICO DI MONTE GIBERTO E DEL TOPONIMO
— DOCUMENTI E STUDI CHE SONO SEGNALATI NELLE CITAZIONI di G. Santarelli.
Adami = ADAMI, F. De rebus in civitate Firmana gestis fragmentorum libri duo. Roma 1591
*A.S.A.F. = Archivio storico arcivescovile di Fermo
*Bonvicini = BONVICINI, P. La centuriazione augustea della Vallata del Tenna. Fermo 1978
*Conlationes registro = A.S.A.F.: registri mss. Armadio .I. palchetto B.
*Crocetti, Scoccia = CROCETTI, G. – SCOCCIA, F. Ponzano di Fermo. Storia ed arte. Fermo 1982
*Cronache Fermane = Cronache della città di Fermo; a cura di DE MINICIS, G. Firenze 1870
*Fabiani = FABIANI, G. Ascoli nel Quattrocento. Ascoli Piceno 1975 pag. 276
*Leopardi = LEOPARDI, M. Vita di Nicolò Bonafede vescovo di Chiusi. Pesaro 1832
*Liber = Edizione del Liber 1029; del Liber 1030, e del Liber 1031: tre codici o registri membranacei dei secc. XIII-XIV rilegati insieme nell’Archivio Storico comunale di Fermo secondo numerazione e titoli di M. Hubart: n. 1029 = Copia bullarum, privilegiorum et instrumentorum pertinent. ad civitatem et episcopatum Firmi facta in pergameno per ser Bartolomeum Petri notarium de anno Domini 1266 tempore et de mandato domini Lorentii Tepuli Firmi potestatis “; n. 1030 = “ Liber diversarum copiarum bullarum, privilegiorum et intrumentorum civitatis et episcopatus Firmi; n. 1031 = “Liber diversarum copiarum bullarum, privilegiorum et intrumentorum civitatis et episcopatus Firmi “. Sono editi con titolo Liber Iurium dell’episcopato e della città di Fermo; a cura di PACINI, D. vol 1° – AVARUCCI, G. vol 2° – PAOLI, U. vol. 3° con impaginazione sequenziale. Ancona 1996
*Mangani, Mariano = MANGANI, G. – MARIANO, F. il disegno del territorio. Storia della cartografia delle Marche. Ancona 1998
*Michetti = MICHETTI, G. S. Vittoria in Matenano. Fermo 1969
*Pacini Origini = PACINI, D. Sulle origini dei signori di Mogliano e di altre famiglie signorili marchigiane; in “ Studi Maceratesi” n. 22 Macerata 1989
*Pacini Pievi = PACINI, D. Le pievi dell’antica diocesi di Fermo; in: “Le pievi delle Marche” Studia Picena Fano 1978
*Piergallina = PIERGALLINA, G. A. Storia di Grottazzolina. Assisi 1989
*Plebanato 1450 Inv. = A.S.A.F. Inventari del secolo XV. Cartella O, n. 1-5. Fascicolo Ponzano – S. Maria Mater Domini, inventario redatto da Bonanni nel 1450; edito in CROCETTI, SCOCCIA (vedi sopra) pp. 396ss
*Rationes Decimarum = Rationes Decimarum Italia e Saecc. XIII- XIV. Marchia; a cura di SELLA, P. Città del Vaticano 1950 con carta geografica annessa
*S. Antonio da Padova 1771 = A.S.A.F. Inventari del secolo XV: armadio .II. cartella O, n. 1-5 Montegiberto
*S. Giberto 1450 Inv. = A.S.A.F. Inventari del secolo XV: armadio .II. cartella O, n. 1-5 Montegiberto
*S. Giovanni di Casale 1450 = Inventari del secolo XV: armadio .II. cartella O, n. 1-5 Montegiberto
*S. Maria delle Grazie1765 = Inventari: secoli XVIIIs; cartella 28 Monte Giberto
*S. Michele 1450 Inv. = A.S.A.F. Inventari del secolo XV: armadio .II. cartella O, n. 1-5 Montegiberto
*S. Nicolò 1450 = A.S.A.F. Inventari del secolo XV: armadio .II. cartella O, n. 1-5 Montegiberto
*S. Nicolò 1727\1763\1771 = A.S.A.F. Inventari: secoli XVIIIs; cartella 28 Monte Giberto
*S. Pietro 1450 Inv. A.S.A.F. Inventari del secolo XV: armadio .II. cartella O, n. 1-5 Montegiberto
*Santarelli S. Casa = SANTARELLI, G. La santa Casa di Loreto. Ancona 1996 pp. 305s
*SS. Vergine di Loreto Inv. = A.S.A.F. Inventari: secc.XVIIIs; cartella 28
*Statuta Firmanorum = Statuta Firmanorum. Firmi 1507 ed altre edizioni successive
Stando ai documenti finora noti, sembrerebbe che l’attuale centro di Monte Giberto sia successivo ai due castelli di Casale e del Podio esistiti nelle sue campagne.
1 – Il centro demico
il primo documento noto che attesta l’esistenza del toponimo Monte Giberto, risale al gennaio del 1166. È un atto notarile con cui il vescovo di Fermo Baligano concede in enfiteusi a Montanello e a Tebaldo di Montecosaro le decime delle chiese site nel “privilegio” di S. Lorenzo e 91 moggi di terra in diversi luoghi del “ministero” di Valle, dietro giuramento di fedeltà e con l’obbligo di pagare quattro libbre di lucchesi e di versare il censo annuo di quattro danari. Tra i testimoni dell’atto figura anche un certo Arnaldus Montis Giberti, Arnaldo di Monte Giberto (Liber, p. 428).
Ciò attesta l’esistenza di un luogo chiamato Monte Giberto: esso costituisce un primo punto di riferimento: nel 1166 Monte Giberto già esisteva.
Una prima indagine, per maggiori accertamenti in materia, potrebbe rivolgersi ai domini o feudatari con il nome di Giberto, presenti nel territorio montegibertese o nelle sue vicinanze, anche se Giberto è un nome molto diffuso entro i confini dell’antico episcopato fermano e non solo. Nel dettagliatissimo indice delle Liber, tale nome è segnalato una trentina di volte. I Giberti costituivano una delle famiglie più potenti del Piceno medievale. Resta pertanto arduo individuare il Giberto legato al luogo in esame.
Sembrerebbe, comunque, che un caso vada subito preso in particolare considerazione. Nel Liber (p. 566) si legge un documento del 27 luglio 1181, secondo il quale i fratelli Gentile e Trasmondo, figli di Ugone, unitamente ad Ascaro di Gualfredo, a titolo di risarcimento di danni, cedono a Trasmondo di Giberto la terza parte nel castello di Petritoli e gli restituiscono parte dei beni di Berardo di Longino e il Castello di Cecilia che era già appartenuto a Giberto, padre dello stesso Trasmondo. Ecco il testo che qui ci interessa:” inoltre ti restituiamo il Castello di Cecilia, con tutte le sue proprietà e tutta la sua sinaita e nel modo migliore in cui tuo padre [Giberto] e voi integralmente lo possedeste”.
Da altri documenti del Liber (p. 515) viene a sapere che il castello prendeva nome da una certa Cecilia, e che costei era moglie di Giberto e madre di Trasmondo. Infatti, in un atto del 1191 risulta che Transarico, abate del monastero di S. Pietro di Ferentillo, concede a Trasmondo di Cecilia e alla sua moglie Dinambra in usufrutto la terza parte dei beni dello stesso monastero in località Petritoli, e cioè la terza parte del castello che vi sorge con le relative pertinenze, per un prezzo specificatamente pattuito.
In un altro atto, datato al luglio 1207, si legge che Adenolfo, vescovo di Fermo, concesse a Gentile de Turre e alla moglie Diambra il castello e la torre di Cecilia con i possessi, gli uomini e i servizi compresi tra i fiumi Aso e Ete Vivo, e, insieme, tutti i beni che Trasmondo di Cecilia possedeva nel castello di Petritoli e che lui stesso, bone memorie, aveva donato al vescovo di Fermo. Vi si parla di dominus Trasmundus Cecilie – il signor Trasmondo (figlio) di Cecilia – il quale nel luglio 1207 risultava già morto. (Liber p.148).
Che il castello fosse di una donna chiamata Cecilia risulta ancor più chiaro da un successivo atto datato 28 febbraio 1208, relativo a un contenzioso tra il vescovo di Fermo Adenolfo e i conti di Aspramonte e di Montefiore (Liber p.147).
Vi si parla anche della restituzione della quarta parte del castello della defunta Cecilia (quondam Cecilie). Da questi riscontri si può dedurre che Trasmondo, marito di Diambra, era figlio di Giberto e di Cecilia e che, quindi, Giberto e Cecilia erano coniugi.
Questi personaggi avevano possedimenti che interessavano quasi sicuramente anche l’attuale territorio di Monte Giberto, come si può evincere da un documento dell’11 luglio 1181 e da quello citato del luglio del 1207 (Liber p. 148).
Infatti, i loro possedimenti in gran parte erano compresi tra i fiumi Aso ed Ete Vivo. Pertanto, la presenza di un dominus Gibertus, genitore di dominus Trasmundus (signore Trasmondo) e sposo di domina Cecilia, la proprietaria è forse la donatrice dell’omonimo Castello, suggerisce l’ipotesi che questo signore Giberto potesse avere possedimenti nella zona e fosse proprietario e signore del monte o colle su cui ora sorge Monte Giberto. Insomma, un “monte”, proprietà di un dominus Gibertus (signore Giberto), sarebbe diventato Mons Giberti: Monte di Giberto.
Nel 1181 dal documento del 27 luglio risulta evidente che in precedenza Giberto (marito di Cecilia) aveva posseduto il Castello di Cecilia. E se veramente, come è possibile, Giberto era il signore (dominus) del colle omonimo, egli lo era almeno fino dal 1166, quando un tal Arnaldo, si qualifica con il toponimo: Montis Giberti (Liber p.428).
A questo punto sorge una domanda: dove si trovava il Castello di Cecilia? Esso estendeva i suoi possedimenti tra i fiumi Aso e Ete Vivo, come recita il documento del luglio 1207, dove si legge che Adenolfo, vescovo di Fermo, con il consenso dei canonici, dispone quanto segue: “Per diritto enfiteutico o per iscritto trasmettiamo concediamo a te, Gentile de Turre e alla tua sposa signora Diambra e ai vostri eredi maschi il Castello di Cecilia, fortilizio con torre (Casero et turre) con gli uomini, le loro proprietà, possessi e servizi di uso e di debito, nonché con le terre, le vigne, le selve, i prati, le acque, i mulini, i corsi d’acqua e, infine, con tutte le cose utili che per diritto appartengono al detto castello o sembra che gli appartengano, tra il fiume Aso da una parte e il fiume Ete dall’altra (Liber p. 148).
Tutte queste proprietà dall’Aso all’Ete Vivo, sulla direttrice di Petritoli, toccavano quasi sicuramente l’odierno territorio montegibertese, almeno in una parte.
In conclusione, si può supporre con un certo fondamento che Monte G. sia stato un possedimento del signore Giberto, padre di Trasmondo e sposo di Cecilia, che il toponimo Mons Giberti derivi da lui e che risalga, al più tardi, al 1166, quando esplicitamente viene documentato con la segnalazione del citato Arnaldus Montis Giberti.
E’ da tener presente però che sul colle di Monte Giberto, presso l’attuale chiesa di S. Nicolò, esistevano già edifici fin dal 1090. E’ documentato infatti che il 16 giugno 1953, a causa di piogge copiose insistenti, crollò la casa di Erasmo Paletti, costituita da “un torrione e locali un po’ rovinati”, e furono lesi alcuni edifici contigui compresi i locali della Confraternita del SS. Sacramento, addossati alla chiesa di S. Nicolò sul lato ovest. Nello sgombero del materiale furono rinvenuti dei mattoni con la data 1090, “data della costruzione primitiva”.
Il dominus Giberto pertanto, nell’ipotesi qui proposta, sarebbe diventato signore di un colle già abitato al quale avrebbe dato il suo nome.
2 – Il conte Giberto, figlio di Ismidone? Il Giuspatronato degli Euffreducci, sulla chiesa di S. Nicolò, o S. Sepolcro.
Esistono alcuni documenti relativi al giuspatronato della potente famiglia Uffreducci o Euffreducci di Fermo sulle chiese montegibertesi di S. Nicolò e di S. Giovanni di Casale, i quali possono suggerire una diversa ipotesi sul personaggio di nome Giberto, che potrebbe aver fondato il castello di Monte Giberto, generandone il toponimo. E’ utile anzitutto studiarli singolarmente, illustrando i personaggi. Il giuspatronato ha documenti del secolo XV.
Il primo documento conosciuto in materia riguardante la chiesa di S. Nicolò risale al 1476. Esso si riferisce al passaggio della rettoria della parrocchia dal frate conventuale Marino Preti di Monte San Pietrangeli a don Antonio Antonelli di Ascoli. Ivi si esplicita che l’elezione del rettore della chiesa di San Nicolò spettava al signore Lodovico Uffreducci (o Euffreducci) di Fermo (Conlationes 1,199).
Si tratta di Ludovico che – sembra – ebbe il titolo di Montechiaro e fu cavaliere. Niccolò V nel 1452 lo nominò senatore di Roma e lo confermò tale nel 1453-1454. A nome del Comune di Fermo prestò obbedienza prima Pio II, appena eletto Papa, e poi, nel 1464, in analoga circostanza, a Paolo II, che in quello stesso anno lo nominò ancora una volta senatore di Roma. Ricoprì vari incarichi nel governo della sua città ed espletò con plauso varie ambascerie. Governò anche alcune città delle Marche. Morì nel 1490.
Un altro documento risale al 31 marzo 1500. Si tratta di una comunicazione emessa dal palazzo vescovile di Fermo da Antonio de Retrinis di S. Elpidio, giurista, vicario sostituto di Francesco Piccolomini dell’Aquila, rettore della chiesa di S. Maria mater Domini di Ponzano, dalla quale dipendeva giuridicamente la chiesa di S. Nicolò in Monte Giberto.
Nel documento viene reso noto che, davanti alla curia vescovile di Fermo, si erano presentati Marino di Nicola da Collina, procuratore del signore Battista Uffreducci di Fermo, e Domenico Boffi di Montappone, procuratore di Lorenzo e di Giovanni Uffreducci e di Ludovico di Tommaso Uffreducci, i quali erano patroni della chiesa di S. Nicolò. Questa parrocchia era vacante per la rinuncia di Giovanni Marini di Ascoli ed essi elessero e presentarono quale successore Marino di Domenico da Monte Giberto, chiedendo che fosse confermata la nomina a rettore della chiesa. Nel documento sono nominati, come si vede, alcuni illustri personaggi della famiglia Uffreducci o Euffreducci.
1. Il primo è Battista, figlio di Giovanni. Egli fu un personaggio di spicco nella città di Fermo. Nel 1496 fu podestà di Milano e nel 1498 fu inviato ambasciatore a Federico d’Aragona, re di Napoli, per concludere un trattato di alleanza con la città di Fermo. Sostenne la tirannia del suo fratello Oliverotto, per cui Giulio II, con breve del 14 agosto 1504, lo dichiarò ribelle e gli confiscò i beni, dandoli ad Antonio della Rovere. Tentò di rientrare in patria con l’aiuto degli altri fuoriusciti, soprattutto con quello di Carlo Baroncelli di Offida, ma sempre inutilmente. Morì in esilio.
2. Non sono riuscito a trovare notizie particolari sul Lorenzo Euffreducci.
3. Quanto a Giovanni Euffreducci, per ragioni cronologiche non penso che si possa identificare con il padre di Oliverotto, di Tommaso e di Battista. Giovanni, che nel 1476 fece parte della Cernita del Comune di Fermo e nel 1478 fu priore, non poteva essere in vita nell’anno 1500 perché il suo figlio Oliverotto, che in quell’anno già militava con Vitellozzo Vitelli, restò orfano di padre in tenera età e per questo fu affidato alle cure dello zio paterno Giovanni Fogliani.
4. Ludovico figlio di Tommaso Euffreducci, invece, si deve identificare con il famoso personaggio coinvolto in note vicende storiche. Nell’anno 1500, al tempo del documento in esame, egli era ancora in tenera età. Nel 1513 durante la sede vacante per la morte di Giulio II, tentò, a mano armata, di impossessarsi dell’avito castello di Falerone con l’intenzione di riprendere anche il dominio di Fermo. Il temerario gesto gli fu perdonato dal Leone X, di cui era stato paggio da giovanetto. Il Papa gli concesse di riavere anche i beni perduti e di rientrare a Fermo, nonostante l’opposizione di alcuni nobili. Si mise poi al soldo delle truppe della Chiesa combattendo in diverse circostanze. Nel 1520 fece uccidere Bartolomeo Brancadoro, che concorreva con lui alla signoria di Fermo. Per questo il Consiglio generale della città lo dichiarò nemico pubblico e ribelle della città e della chiesa. Leone X allora gli inviò contro Nicola Bonafede di Monte San Giusto, vescovo di Chiusi, che lo sconfisse nella famosa battaglia nelle Piane di Grottazzolina (o di Falerone) dove, dopo aver combattuto strenuamente, fu ferito a morte da un fendente sul capo. Il vescovo Bonafede lo assistette in punto di morte, dandogli l’assoluzione sacramentale. La madre Celenzia Oddi nel 1527 gli fece erigere un monumento funebre nella cappella del SS. Sacramento nella chiesa di S. Francesco a Fermo, affidandone l’esecuzione al celebre scultore Andrea Sansovino, impegnato fino a quell’anno nella direzione dei lavori ornamentali del rivestimento marmoreo della Santa Casa di Loreto. Sul sarcofago si vede la statua giacente di Ludovico, dalle vigorose forme giovanili, vegliato dalla Madonna (Leopardi 152s).
5. Il terzo documento riferisce che il 12 aprile 1552 il signor Bartolomeo Rainaldi fece rogito di un istrumento, dal quale risulta che Giovanna Maria Euffreducci coniugata Orsini era patrona ed esercitava il giuspatronato sulla chiesa di S. Nicolò in Monte Giberto e che concedeva alla confraternita del SS. Sacramento di erigere nella stessa chiesa un altare dedicato al Ss. Sacramento (S. Nicolò 1765). Giovanna Maria Euffreducci è la sorella di Ludovico, figlia di Tommaso, andata sposa nel 1521 a Valerio Orsini di Monterotondo. Ebbe sue sorelle: Caterina, sposa di Alfonso Paccaroni, e Zenobia, moglie di Vincenzo Adami.
Un secondo giuspatronato riguarda la chiesa di San Giovanni che, dalla contrada Casale, era ricostruita dentro il centro urbano di Monte Giberto ed era parrocchiale. Da un atto di collazione del 1° ottobre 1501 si apprende che anch’essa era di giuspatronato degli Euffreducci. Vi si legge infatti che Paolo de Rubeis da Viterbo, vicario generale del vescovo di Fermo e vicario del cardinale commendatario di S. Maria Mater Domini di Ponzano, dopo la morte di don Battista Bassi da Monte Giberto, concedeva al presbitero don Giovanni di Antonio di Giovanni, pure da Monte Giberto, la parrocchia di S. Giovanni di Casale, la quale è giuspatronato dei signori (domini) Battista, Liberotto, (cioè Liverotto o Oliverotto) e Ludovico de Ufreductiis di Fermo. A questo atto rilasciato a Fermo erano presenti i testimoni Giovan Battista Saturno, canonico fermano, e don Barano Fiorentino, residente a Fermo (Conlationes 11,157).
6. Oltre a Battista e Ludovico, gin considerati, il documento menziona il più famoso degli Euffreducci: Oliverotto da Fermo, immortalato dal Machiavelli nel capitolo VIII de Il Principe, per cui sono note le sue vicende. Figlio di Giovanni e di Caterina di Nicola Fogliani, restò orfano in tenera età e fu educato dallo zio paterno Giovanni Fogliani e da Paolo Vitelli, che gli fu maestro in armi e lo prese con sé nelle varie imprese belliche. Successivamente combatte a fianco di Vitellozzo Vitelli e poi di Cesare Borgia, seguendolo in varie campagne militari che condusse poi in Toscana, nelle Marche, nella Campania e nell’Umbria. Nel gennaio 1502 entrò affermò con una baldanzosa schiera di soldati con l’intento di farsene signore. Compì l’esecrando massacro dei sette notabili fermani, tra i quali lo zio Giovanni Fogliani. Dopo aver commesso altri atroci delitti a Fermo e dopo aver combattuto contro il Borgia, insieme con gli alleati convocati a Magione dal cardinale Battista Orsini, cadde nel tranello tesogli dallo stesso Borgia e fu vittima nel famoso eccidio di Senigallia del 1503.
Questo giuspatronato degli Euffreducci suggerisce un’ipotesi in merito alla fondazione anzitutto della chiesa di S. Nicolò in argomento e anche dei contigui edifici. Si sa infatti che sul piano giuridico il giuspatronato o semplicemente patronato è costituito dal complesso di privilegi e di oneri che spettano ai fondatori di una chiesa, di una cappella o di un edificio per concessione dell’autorità ecclesiastica. Esso era antichissimo e nel medioevo fu particolarmente in voga presso le popolazioni di derivazione germanica.
Ci si può domandare: a quale titolo gli Euffreducci avevano un tale giuspatronato? Viene subito da pensare che qualche lontano antenato della loro famiglia sia stato il fondatore della chiesa di S. Nicolò e forse anche del primo nucleo del centro demico di Monte Giberto.
Si è detto che la data della costruzione della chiesa di San Nicolò risale al 1090, data letta in un mattone reperito nel crollo di una sezione della chiesa, avvenuto il 16 giugno 1953. Questa data è conciliabile con la vita del conte Giberto, figlio del potente il ricco conte Ismidone, il quale ebbe quattro figli: Gentile, Giberto appunto, Trasmondo e Bernardo.
Giberto è segnalato in diversi documenti nel Liber. Nel 1097, insieme con i fratelli Trasmondo e Bernardo, donò al monastero di S. Maria in Piobbico alcune chiese nell’ambito degli insediamenti curtensi di Montechiaro e di Mogliano: nel 1101, insieme con il conte Mainardo e con il proprio fratello Trasmondo, donò al prete Alberto e ai suoi compagni duecento moggi di terra coltivabile nel luogo detto Beato Marcello in Valle Cupa; nel 1102 cedette per 500 libbre pavesi al monastero di S. Maria di Piobbico 52 mansi agricoli: nel 1121 vendette al fratello Gentile la porzione di sua proprietà del Monte Tisano; nel 1130 chiese a Liberto, vescovo di Fermo, di concedergli a terza generazione la corte di Monterone.
Il conte Giberto ebbe quattro figli: Baligano, (vescovo di Fermo dal 1145 al 1167), Ruggero detto Falerone, Rinaldo il Vecchio e Bernardo, detto Ferro. In questo discorso interessa soprattutto Ruggero, detto Falerone, il quale è documentato negli anni 1143, 1145, 1157 e risulta morto prima del 1193. È considerato il capostipite dei signori di Falerone (Pacini, Sulle origini e Liber).
I genealogisti della famiglia Euffreducci accennano, tra gli antenati della stessa, a un indefinito Giberto e affermano che solo con Falerone comincia a farsi chiaro il rispettivo albero genealogico. Penso che Giberto possa identificarsi con il conte Giberto, sopra menzionato, e Falerone con Ruggero, suo figlio detto appunto Falerone. Il conte Giberto segnalato fin dal 1097 era bene nelle condizioni, qualche anno prima, nel 1090, di poter fondare la chiesa di S. Nicolò a Monte Giberto con il contiguo primitivo nucleo abitativo.
Ruggero, detto Falerone, ebbe questi figli: Berardo, Pietro, Offreduccio, Rinaldo e Balignano. Tra i suoi discendenti, ci sono due ‘Giberto’, l’uno segnalato dal 1227 al 1274 e l’altro dal 1271 al 1290. Vi compare un altro ‘Falerone’ dal 1228 al 1265 e vi sono segnalati altri due ‘Offreduccio’ dal 1232 al 1290. È chiaro che l’importante famiglia Fermana degli Uffreducci o Euffreducci abbia derivato il nome da uno di questi Offreduccio.
In conclusione, da tali riscontri, si può legittimamente supporre che tanto la chiesa di S. Nicolò, quando i contigui edifici possano essere stati fondati nel 1090 dal conte Giberto, figlio di Ismidone, ed i suoi diritti di giuspatronato sulla chiesa di S. Nicolò sarebbero passati ai suoi discendenti, a cominciare dal suo figlio Falerone e, di generazione in generazione, fino agli Euffreducci dei secoli XV-XVI, documentati, come si è detto, come patroni della stessa di S. Nicolò.
Se così è, allora il conte Giberto può considerarsi anche il dominus e il fondatore di Monte Giberto, al quale avrebbe dato il proprio nome. E’ un’ulteriore ipotesi.
Il discorso sul fondatore sul toponimo di Monte Giberto pertanto resta aperto ipoteticamente su due personaggi: Giberto, sposo di Cecilia, e Giberto, figlio di Ismidone. Il primo ha in suo favore la vicinanza geografica rispetto Monte Giberto, il secondo l’esplicito giuspatronato sulla chiesa di S. Nicolò e la sufficiente concordanza cronologica con l’anno di fondazione della chiesa (1090). Chi scrive è incline ad accogliere la seconda proposta.
Il giuspatronato degli Euffreducci sulla chiesa di S. Giovanni di Casale è segnalata nell’anno 1500, si può spiegare con il fatto che la rifondazione e ricostruzione della chiesa dentro il Castello di Monte Giberto sia stata opera della stessa famiglia dei citati Euffreducci, i quali per questo vi avrebbero esercitato il patronato.
Si potrebbe pensare anche, però, che egli Euffreducci abbiano acquistato la proprietà dell’antica chiesa di San Giovanni fin da quando essa era annessa ancora al Castello di Casale e che l’abbiano mantenuta dopo la sua ricostruzione. In ogni ipotesi, ad ogni modo, si riscontra un altro importante segno del legame storico del Castello di Monte Giberto con quella potente famiglia Fermana .
3 – Il toponimo
Il toponimo in esame, così come viene scritto fino dal secolo XIV e oltre, indica sempre, etimologicamente, un Monte proprietà di un Giberto. Se ne ha una conferma autorevole e antica nelle Rationes Decimarum (1290-1299), in cui per ben dieci volte si legge invariabilmente: Ecclesia de Montegiberti, dove il de regge l’ablativo di Monte, e Giberti resta al genitivo di possesso. La dizione permane immutata nei documenti dei secoli successivi.
Nei documenti antichi mai si legge Mons Sancti Giberti, ma sempre Mons Giberti. Inoltre, se S. Giberto avesse dato il nome al paese, non un semplice altare, pur riccamente dotato, ma una chiesa importante gli sarebbe stata dedicata, come è avvenuto, ad esempio, per i vicini comuni. A Monsampietro Morico, la chiesa principale è dedicata a S. Pietro Apostolo. Monte S. Martino ha la chiesa parrocchiale intitolata a S. Martino di Tours. Più probabilmente il culto di S. Giberto è stato introdotto in un secondo momento, dopo la denominazione ufficiale del Castello con l’intento di avere anche la protezione di un santo recante un tal nome. Non si dimentichi che il patrono di Monte Giberto è S. Nicolò di Bari, a cui è dedicata all’antica chiesa, e non altri.
Un’altra versione, che corre tra le persone dell’uomo, attribuisce la fondazione di Monte Giberto a due nipoti di Ugone, vescovo di Camerino (sec. XI), il quale avrebbe donato loro dei possedimenti tra le l’Ete Vivo e il Rio. I due fratelli avrebbero costruito prima un primo castello nella zona e poi quello di Monte Giberto. La versione necessiterebbe di una base documentale che allo stato delle conoscenze attuali, non esiste. Per questo viene messa ai margini.
Per completezza, si può anche accennare al racconto ripetuto tra la gente montegibertese, la quale è sempre pronta a dire che, in tempi remoti, vivevano due fratelli, l’uomo di nome Ponziano e l’altro di nome Giberto, e che il primo fondò il Castello di Ponzano e il secondo diede vita al Castello di Monte Giberto. Una cosa analoga, si racconta per S. Marino e per S. Leo, i due fondatori dei rispettivi famosi centri medievali del Montefeltro. Il racconto popolare è basato solo sui toponimi, dando “fondatori” alle preesistenti “fondazioni”: Ponziano in riferimento a Ponzano e Giberto riferimento a Monte Giberto.
4- Un equivoco cartografico sul toponimo di Monte Giberto
In merito al toponimo di Monte Giberto, si può notare che nella cartografia riguardante le Marche lungo i secoli si riscontra un singolare equivoco sul suo toponimo e sulla sua collocazione geografica. Il volume sulla storia della cartografia delle Marche, curato da G. Mangani e da F. Mariano, offre la possibilità di riscontri a riguardo numerosi e puntuali.
E’ da premettere che negli affreschi geografici delle Gallerie Vaticane Egnazio Danti, nella sezione Picenum, da lui dipinta negli anni 1580-1582, scrive con precisione Monte Giberto, collocandolo con proprietà topografica a ovest di Ponzano e a nord-ovest di Petritoli. Evidentemente le informazioni al Danti erano state fornite da persone che conoscevano bene la situazione geografica del luogo. Gli svarioni al riguardo iniziano qualche anno dopo.
Nella carta ‘Marchia Anconitana’, edita a Duisburg, nel 1589 da Gerald Kremer, detto Mercatore (1512-1594) non compare il nome di Monte Giberto ma si legge Monte Ruberto, a sud-est di Monte S. Martino e a nord-ovest di Massa Fermana. Monte Roberto esite situato molto più a nord, nei pressi di Jesi. Si tratta sicuramente di Monte Giberto non scritto nella carta.
Nei secoli XVII e XVIII compare nella cartografia il toponimo inventato Monte Liberto. Esso figura la prima volta nella carta ‘Marchia Anconitana’ elaborata ad Amsterdam da Paulus Merula nel 1605. Ivi, a nord di Santa Maria in Georgio (Monte Giorgio) si scorge infatti un Monte Giberto, contrassegnato da un tondino rosso a evidenziare una certa sua importanza. Non è mai esistito un Monte Liberto collocato in quella zona.
Qualche anno dopo, nella ‘Marca d’Ancona’, edita a Bologna da G. Antonio Magini, compare ancora un Monte Liberto. Almeno così sembra di poter leggere, quantunque la prima lettera del toponimo possa essere interpretata con una C. nel caso si leggerebbe Ciberto. Esso viene collocato questa volta tra Monte Vidon Corrado e Massa Fermana, senza che vi sia mai esistito.
La denominazione Monte Liberto, ripetitivamente, si riscontra nella stessa posizione geografica tra Monte Vidon Corrado e Massa Fermana – anche nella cartografia ‘Marca Anconitana’ di Hondius Janson, pubblicata nel 1635, nella ‘Marca d’Ancona’ di Gerald Valk e di Pieter Schenk del 1683-1694, e nella riedizione della ‘Marca d’Ancona’ fatta secondo la tradizione cartografica di Mercatore-Hondius-Janson, da Williem Jabszoon Blaeu nel 1640. I cartografi predetti non avevano cognizioni locali. Uno ripeteva l’altro.
Con la collocazione abbastanza esatta, vicino a Petritoli e a Moregnano – ma con il nome errato: Monte Liberto – figura nella carta della Provincia e Diocesi di Fermo, curata da Felice Moroni nel 1633. Questa è una chiara riprova che all’inesistente Monte Liberto corrisponde il nostro Monte Giberto.
Finalmente, Vincenzo Coronelli, tra il 1706 e il 1709, nella sezione del territorio di Fermo, inserita nel suo noto “Teatro della guerra”, segnala con esattezza di topografia e di denominazione Monte Giberto (e non Monte Liberto), tra Ponzano, Moregnano e Grottazzolina.
Ma l’errore di nome di luogo ritorna qualche anno dopo, nel 1711, nella carta ‘Marca Anconitana e Fermana’ del fabrianese Silvestro Amanzio Moroncelli, il quale ripete il fasullo toponimo Monte Liberto e l’equivoco di situarlo tra Monte Vidon Corrado e Massa Fermana, senza conoscere la denominazione: Monte Giberto.
Dopo l’evoluzione della cartografia verso una maggiore precisione topografica, prima Antonio Zatta nel suo “Atlante novissimo”, edito tra il 1779 e il 1785, poi Giovanni Maria Cassini nella sezione della Marca, elaborata nel 1791 e inserita nel “Nuovo Atlante Geografico Universale”, e infine Franz Johann Joseph von Reilly nella “Mark Ancona”, pubblicata tra il 1797 e il 1799, situano Monte Giberto a ovest e di Ponzano e a nord-ovest di Petritoli. Così è dato di riscontrare chiaramente nella cartografia marchigiana dei secoli successivi.
La denominazione di Monte Liberto al posto di Monte Giberto si può spiegare con una errata grafia dovuta a F. Adami (p. 67). Nella guerra del 1407 contro Ludovico Migliorati – si riferirà più avanti – si parla dell’assedio di alcuni Castelli tra i quali figura anche Monte Giberto, che però venne stampato nel libro dell’Adami, forse per un refuso tipografico, Monte Liberto. Di fatto, tutti i documenti dei secoli precedenti tramandano invariabilmente il toponimo Monte Giberto, che resta l’unico e il vero.