MONTE GIBERTO NEI SECOLI XIV – XVI studi di Giuseppe Santarelli

MONTE GIBERTO – Notizie storiche e sviluppo secc. XIV – XVI – Studi di SANTARELLI Giuseppe
NOTA DI DOCUMENTI E STUDI CHE SONO SEGNALATI NELLE CITAZIONI
*Adami = ADAMI, F. “De rebus in civitate Firmana gestis fragmentorum libri duo”. Roma 1591
*A.S.A.F. = Archivio storico arcivescovile di Fermo
*Bonvicini = BONVICINI, P. La centuriazione augustea della Vallata del Tenna. Fermo 1978
*Conlationes registro = A.S.A.F.: registri mss. Armadio .I. palchetto B.
*Crocetti, Scoccia = CROCETTI, G. – SCOCCIA, F. Ponzano di Fermo. Storia ed arte. Fermo 1982
*Cronache Fermane = Cronache della città di Fermo; a cura di DE MINICIS, G. Firenze 1870
*Fabiani = FABIANI, G. Ascoli nel Quattrocento. Ascoli Piceno 1975 pag. 276
*Leopardi = LEOPARDI, M. Vita di Nicolò Bonafede vescovo di Chiusi. Pesaro 1832
*Liber = Edizione del Liber 1029; del Liber 1030, e del Liber 1031: tre codici o registri membranacei dei secc. XIII-XIV rilegati insieme nell’Archivio Storico comunale di Fermo secondo numerazione e titoli di M. Hubart: n. 1029 = Copia bullarum, privilegiorum et instrumentorum pertinent. ad civitatem et episcopatum Firmi facta in pergameno per ser Bartolomeum Petri notarium de anno Domini 1266 tempore et de mandato domini Lorentii Tepuli Firmi potestatis “; n. 1030 = “ Liber diversarum copiarum bullarum, privilegiorum et intrumentorum civitatis et episcopatus Firmi; n. 1031 = “Liber diversarum copiarum bullarum, privilegiorum et intrumentorum civitatis et episcopatus Firmi “. Sono editi con titolo Liber Iurium dell’episcopato e della città di Fermo; a cura di PACINI, D. vol 1° – AVARUCCI, G. vol 2° – PAOLI, U. vol. 3° con impaginazione sequenziale. Ancona 1996
*Mangani, Mariano = MANGANI, G. – MARIANO, F. il disegno del territorio. Storia della cartografia delle Marche. Ancona 1998
*Marini = MARINI, A. “Rubrica eorum omnium quae continentur in libris Conciliorum et Cernitarum ill.me Communitatis Civitatis Firmane ab anno 1380 usque ad annum 1599.” ms. presso archivio di Stato di Fermo e copia nella biblioteca fermana.
*Michetti = MICHETTI, G. S. Vittoria in Matenano. Fermo 1969
*Pacini Origini = PACINI, D. Sulle origini dei signori di Mogliano e di altre famiglie signorilimarchigiane; in “ Studi Maceratesi” n. 22 Macerata 1989
*Pacini Pievi = PACINI, D. Le pievi dell’antica diocesi di Fermo; in: “Le pievi delle Marche” Studia Picena Fano 1978
*Piergallina = PIERGALLINA, G. A. Storia di Grottazzolina. Assisi 1989
*Plebanato 1450 Inv. = A.S.A.F. Inventari del secolo XV. Cartella O, n. 1-5. Fascicolo Ponzano – S. Maria Mater Domini, inventario redatto da Bonanni nel 1450; edito in CROCETTI, SCOCCIA (vedi sopra) pp. 396ss
*Rationes Decimarum = Rationes Decimarum Italia e Saecc. XIII- XIV. Marchia; a cura di SELLA, P. Città del Vaticano 1950 con carta geografica annessa
*S. Antonio da Padova 1771 = A.S.A.F. Inventari del secolo XV: armadio .II. cartella O, n. 1-5 Montegiberto
*S. Giberto 1450 Inv. = A.S.A.F. Inventari del secolo XV: armadio .II. cartella O, n. 1-5 Montegiberto
*S. Giovanni = Inventari 1727 \ 1765 \ 1771 = A.S.A.F. Inventari: sec. XVIIIs; cartella 28 Montegiberto
*S. Giovanni di Casale 1450 = Inventari del secolo XV: armadio .II. cartella O, n. 1-5 Montegiberto
*S. Maria delle Grazie1765 = Inventari: secoli XVIIIs; cartella 28 Monte Giberto
*S. Michele 1450 Inv. = A.S.A.F. Inventari del secolo XV: armadio .II. cartella O, n. 1-5 Montegiberto
*S. Nicolò 1450 = A.S.A.F. Inventari del secolo XV: armadio .II. cartella O, n. 1-5 Montegiberto
*S. Nicolò 1727\1763\1771 = A.S.A.F. Inventari: secoli XVIIIs; cartella 28 Monte Giberto; anni 1727; 1765; 1771
*S. Pietro 1450 Inv. A.S.A.F. Inventari del secolo XV: armadio .II. cartella O, n. 1-5 Montegiberto
*Santarelli S. Casa = SANTARELLI, G. La santa Casa di Loreto. Ancona 1996 pp. 305s
*SS. Vergine di Loreto Inv. = A.S.A.F. Inventari: secc.XVIIIs; cartella 28
*Statuta Firmanorum = Statuta Firmanorum. Firmi 1507 ed altre edizioni successive

NOTIZIE DI SANTARELLI GIUSEPPE SUL CASTELLO DI MONTE GIBERTO: secoli XIV-XVI
Le prime esplicite indicazioni del toponimo ‘Monte Giberto’, castello d’amministrazione pubblica, in base ai documenti finora esplorati, risalgono alla fine del secolo XIII. La data 1090, relativa ad alcuni edifici, rinvenuta nel 1953, e la segnalazione toponimica del 1166 di Arnaldo di Monte Giberto possono far pensare ragionevolmente all’esistenza di un centro demico, ma non autorizzano a concludere che si trattasse di un Castello nel senso proprio del termine (Liber 428).
1- Da Villa a Castello. Monte Giberto poteva essere, come altrove, una semplice villa, fino al secolo XIII. E’ noto che nel 1229, dopo che il luogotenente dell’imperatore Federico II, Rinaldo, duca di Spoleto, aveva cominciato a occupare città e castelli della Marca, il Comune di Fermo organizzò un’alleanza con i castelli del proprio contado. Nei relativi documenti risultano i nomi dei liberi comuni e dei feudatari, detti “signori contadini” (=del contado), i quali parteciparono all’assemblea Generale tenutasi a Fermo. Monte Giberto non compare tra i 208 membri del Gran Consiglio, ove sono menzionati anche i rappresentanti di alcuni castelli minori, non c’è il rappresentante di Monte Giberto: segno, forse, che il rispettivo quest centro demico non era ancora bene organizzato e non era assurto al rango politico amministrativo di Castello. Era forse ancora solo una villa collegata alla territorialità di altro Comune (Fermo?).
Alla fine del secolo XIII, nelle Rationes Decimarum, il toponimo “De Monte Giberto” appare ormai affermato, come riferimento topografico nel circostante territorio per varie chiese. Nel 1329 inoltre Monte Giberto figura in una lista di paesi soggetti a Fermo e tenuti a contribuire il ‘fumante’ (tassa di focatico famigliare) per pagare lo stipendio del podestà della città dominante. Intorno alla metà del secolo XIV, poi, Monte Giberto figura come Castello fra quelli dipendenti dal Comune di Fermo.
Tre importanti documenti lo attestano: del 1356, del 1355 e degli statuti. Nella “Descriptio Marchiae Anconitanae”, redatta al tempo del cardinale Egidio Albornoz verso il 1356, si legge: “La città di Fermo ha i sottoelencati castelli e ville”. I castelli (castra) sono divisi in tre zone: “al di là del Tenna”; “verso i monti”; e i “marittimi” . Tra i castelli “verso i monti” è elencato Castello di Montes Giberto, dopo Moregnano e prima di Petritoli (Statuta Firmanorum).
Il 22 febbraio 1355 il cardinale Albornoz ordinò ai comuni delle terre e dei castelli, specificatamente nominati, di inviare i propri procuratori (sindaci) a Fermo per prestare il giuramento di fedeltà nelle sue mani e per promettere l’osservanza di specifici obblighi verso la città di Fermo. Vi risulta il Castello di Monte Giberto, dopo il Castello di S. Maria presso la pievania di Ponzano (oggi detta San Marco) e prima di Petritoli.
Negli Statuti dei castelli Fermani (ed. 1507), per ‘castra’ si intendono i nuclei fortificati che hanno propri amministratori. Il Castello aveva una duplice dimensione: quella di insediamento rurale cinto di mura, e quella di unità giuridica territoriale e sociale ad un tempo. Monte Giberto rientrava probabilmente nella fattispecie di questi ‘castra’.
2- Gli Statuti di Fermo. Gli Statuti dei castelli Fermani, Statuta Firmanorum, sostanzialmente avevano il testo di quelli compilati e ordinati in forma organica nel 1381, ma risalenti, nel nucleo originario, al secolo XIII. Successive revisioni introdussero modifiche notevoli in questi Statuti. Nella rubrica 27 del libro 2° sono elencati i castelli, così come erano nel 1380 e anche prima, e l’elenco stampato non fu corretto perché non si fece la depennazione di quelli che gli inizi del secolo XVI non esistevano più in quanto scomparsi o assorbiti dai comuni o dai castelli viciniori. Permaneva per tutti la cittadinanza Fermana, secondo le leggi statutarie. Negli Statuti, i castelli fermani erano divisi in tre categorie: maggiori, medi e minori. Monte Giberto è elencato tra i castelli medi; mentre Ponzano e Grottazzolina sono compresi tra i castelli minori, come quello ponzanese di S. Maria Mater Domini, in territorio adiacente.
Dagli Statuti si apprende la cittadinanza fermana (libro 2°, rubrica 91). In base alla rubrica 25 dello stesso libro 2°, gli 80 castelli, divisi nelle tre suddette categorie, costituivano la giurisdizione di tutti gli abitanti dei castelli in quanto essi godevano la cittadinanza fermana. I deputati dei castelli maggiori venivano estratti a sorte tra i più ragguardevoli cittadini fermani, mentre i deputati dei castelli medi e minori potevano essere scelti tra i cittadini di altri comuni del contado. Tutti gli eletti duravano nella carica solo sei mesi, senza possibilità di rielezione. Ogni castello aveva un proprio castellano o difensore della rocca, che veniva scelto a sorte tra i cittadini di Fermo (libro 2° rubriche 16ss). I deputati dei singoli castelli partecipavano al Consiglio Generale del governo del contado, quando venivano trattati argomenti inerenti alle tasse, alle collette, all’annona e alle contribuzioni (libro 2° rubriche n° 12, 13,15, 16,20). I deputati dei castelli avevano il diritto e il dovere di denunciare alla magistratura di Fermo “tutti e singoli gli atti illeciti e i delitti commessi nel proprio territorio entro 10 giorni” (libro 4° rubrica 2).
Negli Statuti erano stabilite anche le misure ufficiali di lunghezza, di capacità e di peso valevoli per tutti i castelli. Le misure di lunghezza erano la buzetta (buzzetta), la canna e il braccio; la misura di capacità erano il vino e il barile; le misure di peso erano lo statere, il peso, il marco e la libbra. Il marco equivaleva 12 once e 12 once formavano una libbra. (libro 5° rubrica 116).
Era proibito e punito con pesante multa pecuniaria l’abbandonare la residenza di castello “exstracastellare” fuoriuscire per avere residenza stabile in un altro castello dello Stato fermano (libro 5° rubrica 19). Ogni castello era tenuto a pagare l’assetto ed altre tasse alla curia del Rettore della Marca che governava la regione a nome di Roma. In caso di rifiuto, poteva essere applicata addirittura la scomunica. I singoli castelli, infine, dovevano, quando richiesti, provvedere le milizie al Rettore su una base stabilita. Entro questo regime giuridico statutario rientrava anche Monte Giberto, castello “medio” dello Stato di Fermo.
3- Il Castello di Monte Giberto e quelli di Casale e del Podio. Stando alle esigue ma sicure indicazioni documentali, sembrerebbe di poter concludere che i più antichi castelli di Casale del Podio, segnalati a metà del secolo XI nel territorio divenuto montegibertese, abbiano perso poco a poco, dal secolo XIII al XIV la loro importanza di autonomia amministrativa, o persino scomparsi, siano stati assorbiti nel vicino castello di Monte Giberto. Potrebbe esserne una conferma il fatto che nella citata Descriptio Marchiae Anconitanae non figurano né Castello di Casale, né Castello del Podio. Il castello di Monte Giberto, sempre più emergente, ebbe ad assorbire l’amministrazione di questi due castelli, situati tra l’Ete Vivo e il Rio.
L’antica chiesa di S. Giovanni del Castello di Casale, nel relativo inventario del 1450 risulta ricostruita con lo stesso santo titolare all’interno del castello urbano di Monte Giberto. Si è creato uno stretto legame tra l’antico Castello di Casale e il nuovo centro urbano di Monte Giberto, nel contesto di quel noto e non raro fenomeno di incastellamento della popolazione sparsa nel territorio, per cui, al decadimento di un centro demico rurale, si usava ricostruire dentro un più sicuro Castello l’antica chiesa con la stessa precedente dedicazione.
Anche tra il Castello del Podio e quello di Monte Giberto sembra che esista un legame, per quanto ancora poco definibile, perché, non è escluso che la chiesa di S. Nicolò di Monte Giberto abbia assunto questo nuovo titolo, aggiunta a quello originario di S. Sepolcro, da un’antica chiesa esistente un tempo nel Castello del Podio e dedicata, appunto, a S. Nicolò.
Forse lo stesso stemma del Comune, costituito da un trimonte con una G [=G(iberto)] sopra al monte mediano più alto, sta a significare la fusione dei tre castelli di Casale, del Podio e di Monte Giberto in un unico castello, avvenuta probabilmente agli inizi del secolo XIV, forse attorno al 1329 come risulta dalla tassazione imposta da Fermo. Uno stemma municipale del 1681 è nei locali della chiesina San Nicolò. La gente del luogo spiega i tre monti: -1- il colle detto anticamente Monte di S. Margherita, (dove ora si trova il deposito dell’acquedotto), -2- il centro urbano; -3- quello sovrastante la chiesina rurale di S. Lucia.
Si sarebbe verificato quel fenomeno caratteristico che era la nascita del cosiddetto “comune di castello”, nell’ambito dell’evoluzione sociale e politica dei castelli, riscontrabile nei secoli XII-XIV. Probabilmente si è realizzata la supposta fusione dei tre centri demici in uno, mentre l’incastellamento della popolazione dentro le mura di Monte Giberto poteva essere un fenomeno in atto già da tempo. Ciò avveniva spesso con la concessione da parte dei “signori” ai loro soggetti dei primi atti di autonomia, fondendo due o più comunità in una, come, ad esempio, in Montefiore dell’Aso negli anni 1223-1231, furono unite le due comunità di Montefiore e di Aspramonte, tramite determinati patti o ‘concordie’.
Nel secolo XIV il centro di Monte Giberto fu dotato di una cinta muraria e assunse l’aspetto di un Castello munito di altre difese, quasi sicuramente con l’autorizzazione del governo di Fermo, cui apparteneva. L’autorizzazione specifica, proveniva sempre dal centro e l’iniziativa non veniva assunta autonomamente dai castelli sottomessi.
Monte Giberto mostra tuttora una sezione delle sue antiche mura di fortificazione, soprattutto nella parte meridionale. Le altre sezioni – escluso qualche piccolo residuo – sono scomparse poco a poco nel secolo XIX e agli inizi del XX e una parte, nel 1953, per una frana, causata dalle piogge, che hanno gravemente danneggiato il settore nord del Castello con crolli devastanti che hanno interessato marginalmente anche la chiesa di S. Nicolò.
Lungo i secoli, alcune superfetazioni edilizie hanno deturpato la superstite cinta muraria, soprattutto dal lato sud del Castello, in prossimità della chiesa di S. Giovanni Battista. Nel 1936, nell’Elenco degli edifici monumentali della provincia di Ascoli Piceno, fatta dal Ministero dell’Educazione Nazionale, venivano descritte le fortificazioni di Monte Giberto: “Mura Castellane frammentarie con arco acuto trecentesco e torrioni cubici coevi” (Elenco … 135).
Purtroppo, dei quattro torrioni praticamente uno solo ancora si conserva abbastanza bene, con i segni di vari ripristini; è situato a sud-ovest e si eleva a ridosso della strada che introduce alla Porta da Sole, la quale è stata gravemente manomessa e privata dell’antico arco acuto. Fino a oltre la metà degli anni quaranta del secolo XX si conservavano ancora le due rispettivi imposte di legno massiccio, che in tempi remoti venivano chiuse al calar del sole, insieme a quelle di “Porta da Bora”, la quale assunse questa denominazione almeno fin dal secolo XV. Infatti, nell’inventario dei beni immobili della chiesa ponzanese di S. Maria Mater Domini, stilato nel 1450 dal Bonanni, viene menzionata a Monte Giberto “La porta da Bora”, nome che si incontra anche nell’inventario del 1450 della chiesa di S. Giovanni di Casale (Crocetti, Scoccia, 390).
In conclusione, Monte Giberto, fin dal secoli XIII può considerarsi un Comune strettamente dipendente dal governo statutario del libero Comune di Fermo, al quale, anche nei secoli successivi, ha legato la sua storia, che spesso fa tutt’uno con quella della “madre patria”. Anche per questo è necessario rintracciare testimonianze del precedente legame territoriale fermano, almeno dal secolo XI. Molte altre ricerche storiografiche restano inesplorate.
NOTIZIE DEL SECOLO XV SUL CASTELLO DI MONTE GIBERTO
Nel secolo XV Monte Giberto subisce le inquiete vicende dei castelli dello Stato fermano, caratterizzate, nei primi decenni, dalle lotte di predominio da parte dei vari signorotti e capitani di ventura, anche dai contrasti tra la città di Fermo e i suoi castelli e tra gli stessi castelli fermani.
1- L’assedio del 1407. Nel 1407 Monte Giberto fu coinvolto nella guerra mossa contro Ludovico Migliorati, signore di Fermo, dal nuovo rettore della Marca, Benedetto vescovo di Montefeltro, e dai suoi alleati. Gli avvenimenti ebbero questo svolgimento. Nel 1404, alla morte di Bonifacio IX, fu eletto Papa Cosimo Migliorati, arcivescovo di Bologna, che assunse il nome di Innocenzo VII, il quale nominò rettore della Marca e signore di Fermo, suo nipote Ludovico Migliorati, giudicato dal Muratori e da altri storici, “uomo bestiale” per le crudeli uccisioni perpetrate a Roma.
Nel 1406, morto Innocenzo VII, fu eletto Papa Gregorio XII, il quale tolse al Migliorati sia il governo della Marca e sia l’investitura del Fermano, nominando rettore della Marca il vescovo di Montefeltro. Il Migliorati però non volle abbandonare il dominio della città di Fermo e del Girfalco, tenendo occupate anche la rocca di Ascoli e altre terre della Marca. Il vescovo di Montefeltro, allora, per combattere il suo rivale, chiamò in aiuto il famoso capitano di ventura Braccio da Montone e alcuni signori della Marca. In una delle fasi belliche fu coinvolto anche il Castello di Monte Giberto. Ecco il racconto che ne fa il cronista fermano, Anton di Nicolò: “5 agosto 1407: il Vicerettore della Marca, che era il vescovo di Sarzana, detto volgarmente il vescovo di Montefeltro, frate Pietro, assieme con Berardo, figlio di Rodolfo da Camerino, con Chiavelli da Fabriano e con Braccio e le sue genti, tutti concordi, che erano circa 1500 cavalieri e 1000 fanti, posero il campo sopra Servigliano, castello del contado di Fermo. Il Castello e gli uomini si arresero al Vicerettore. Nei tre giorni successivi, 6, 7, 8, essi occuparono Belmonte, Monsampietro Morico, S. Elpidio Morico, Monte Leone, Monte Giberto e Montottone. E gli uomini di Montottone distrussero il cassero dello stesso loro Castello, che era stato costruito dai Fermani a difesa del Comune di Fermo. Nello stesso anno, il 18 agosto, il Vicerettore con le dette genti posero il campo sopra il Castello di Grottazzolina. La presero con la forza, fecero prigionieri tutti i maschi, e poi appiccarono fuoco al Castello e lo bruciarono tutto”.
Le fortificazioni del castello di Monte Giberto dovettero essere messe a dura prova da un esercito così numeroso e agguerrito. Nonostante questi successi, il vescovo di Montefeltro ebbe poi la peggio, perché il Migliorati, alleato con Ladislao re di Napoli, da costui ottenne consistenti aiuti militari, consolidò il suo potere nel territorio fermano, in tempo di scisma, soprattutto dopo che l’antipapa Alessandro V, nel 1409, gli confermò la signoria nominandolo vicario di Fermo, e il suo successore, pure antipapa, Giovanni XXIII riconobbe la sua autorità, eleggendolo rettore della Marca e capitano delle sue armi.
Il Migliorati ebbe seri fastidi nel 1414 dai Malatesta di Rimini, i quali non tollerarono che egli, signore di Fermo, avesse sottratto loro Monterubbiano. Per questo, con un buon esercito i Malatesta si accamparono a Montolmo (oggi Corridonia) e a Montegiorgio. Nella primavera del 1415 essi cominciarono a occupare i castelli oltre il Tenna. Nel del 1416 i Fermani riuscirono ad allontanare il Migliorati e a riconquistare tutti i castelli minori della zona (Crocetti, Scoccia 139ss ).
2- L’eresia dei “fraticelli” a Monte Giberto. E’ noto che a partire dall’inizio del secolo XIV fino alla metà del secolo XV si diffuse in Italia e in alcuni paesi europei, la setta eretica detta dei “Fraticelli”. Erano chiamati così quei francescani della corrente degli “spirituali” che entrarono in lotta contro il Papa Giovanni XXII, il quale li condannò con bolla del 30 dicembre 1317. Questo Papa, contro l’orientamento di alcuni francescani, con una bolla del 12 novembre 1323, tra l’altro condannò come eretica l’opinione secondo cui Cristo e gli apostoli non avevano alcuna proprietà, né in comune, né in privato, ma avevano solo l’uso dei beni. I “Fraticelli” contestavano questa dottrina del pontefice e, per questo, lo consideravano eretico. Sostenevano anche che i papi e i vescovi successori, che accettavano tale dottrina, perdevano ogni giurisdizione e autorità. Cose queste, che dicevano risiedere solo in loro, frati poveri, che formavano la vera Chiesa.
La loro visione radicale, inficiata da errori, contrapponeva a una Chiesa ufficiale – che dicevano ricca e carnale e, per questo, svuotata di autorità – una chiesa povera e autorevole, quella (presunta) autentica, dei “fraticelli”. Sostenevano anche che ogni giuramento è illecito; che i sacerdoti in peccato non hanno più alcuna autorità né ministero né facoltà. Predicavano errori anche sul matrimonio, sull’Anticristo e sulla fine del mondo.
I “Fraticelli” erano piuttosto numerosi nello Stato Pontificio, comprese le Marche. Essi vivevano in luoghi appartati, presso cappelle rurali e nei boschi. Pur mancando nel complesso di un’organizzazione unitaria, si strutturarono tuttavia come ‘Ordine Francescano’ con province e con ministro generale proprio. Vivevano di elemosina. Predicavano i loro errori agli ospiti che visitavano segretamente e con cui celebravano i loro riti nottetempo, in nascondigli. Molti laici, incontrati da loro, seguirono l’eresia loro, tanto uomini che donne. Nel 1426 S. Giacomo della Marca, insieme con S. Giovanni da Capistrano, ebbe della Santa Sede l’incarico di inquisitore dei “Fraticelli”.
Questo movimento ereticale interessò anche Monte Giberto, come si evince da un documento del 22 ottobre 1412 dell’archivio storico arcivescovile di Fermo. Vi si legge che Giovanni de Firmonibus, vescovo di Fermo, dovette intervenire contro fra Antonio da Caserta, “fraticello di poverissima vita e di mala vita”, il quale era solito abitare nel luogo (o convento) di Monte Giberto e sosteneva la setta eretica e, per questo, era già incorso nella sentenza di scomunica. Il vescovo dispose che si desse pubblica comunicazione ai fedeli per informarli che ogni seguace di fra Antonio era sotto pena di scomunica e doveva chiedere, convertendosi, l’assoluzione al vescovo stesso, il quale se la “riservava” per quanti avevano ascoltato e seguito il fraticello eretico (Conlationes, 1, 116).
L’importante documento attesta, tra l’altro, che a Monte Giberto esisteva agli inizi del secolo XV un luogo o convento dei fraticelli. Esso forse si trovava nella Contrada di San Michele o nelle sue vicinanze, perché una tradizione, per quanto tardiva, contenuta nella relazione settecentesca sul santuario della Madonna delle Grazie, accenna a una comunità di frati eremiti in quella zona (S. Maria 1765).
3- La contesa con Ponzano per “Castellare”. Durante le invasioni compiute nel territorio fermano da parte dei soldati degli Sforza e dei Malatesta, a cominciare dal secondo decennio del secolo XV, furono distrutti e incendiati alcuni castelli minori, come quelli di Torchiaro, di Longiano, di Montone e di S. Maria Mater Domini. Nell’inventario di quest’ultima, redatto nel 1450, si usa il toponimo, a suo riguardo, di Castellare, e così pure nel coevo inventario della chiesa di S. Pietro di Fano. Il termine indica un castello andato già in rovina.
Dopo la distruzione del Castello di S. Maria Mater Domini, i rispettivi abitanti si rifugiarono parte a Ponzano e parte a Monte Giberto. Dopo questo abbattimento, il relativo territorio risultava indiviso tra Monte Giberto e Ponzano, per cui sorsero disordini e depredazioni. Si legge, infatti, in un documento del Parlamento Generale di Ponzano, datato 17 aprile 1449: ”Molti, enormi e grandissimi danni vengono fatti nei nostri territori e nel territorio di Castellare, il quale è indiviso con il Castello di Monte Giberto, tanto dagli uomini, quanto dalle bestie di detto castello [di Ponzano] e tanto dagli uomini e dalle bestie di Monte Giberto, di Grottazzolina e degli altri Castelli circostanti (Crocetti, Scoccia 383ss).
Per evitare tale disordini Antonetto di Filippo di Ponzano propose al Parlamento di quel Castello di istituire l’arca, vale a dire una cassa di contravvenzioni, e di concedere al ‘vicario’ pro tempore piena potestà di fare indagini e multare i colpevoli, a norma degli Statuti del Comune di Fermo, aggiungendo che, se tale proposta fosse passata, la si sarebbe dovuta rendere pubblica e inviare ai Magnifici Priori di Fermo. La proposta fu approvata all’unanimità (Crocetti, Scoccia 142s).
A Monte Giberto in quell’anno 1449 era Vicario inviato dal podestà di Fermo, Ser Angelo di Pocuzio da Monte Vidon Combatte, il quale si sarà dovuto certamente occupare della questione, come l’anno successivo, in qualità di notaio, si occupò del citato inventario dei beni mobili e immobili della chiesa di S. Giovanni di Casale.
A proposito degli inviati a Monte Giberto da parte del Comune di Fermo, per alcuni pochi anni del secolo XV abbiamo i nomi, nei libri dei Consigli e delle Cernite della città di Fermo. Si offre quindi l’elenco dei nobili uomini incaricati come ‘vicari’:
1447: Domenico Mattei da Massa;
1448: Giovanni Antonio da Monte Urano;
1449: Angelo di Pocuzio di Monte Vidon Combatte;
1450: Domenico Vanni da Fermo;
1452: Domenico Nicolai da Ortezzano;
1454: Marino d’Antonio da Massignano;
1455: Giovanni Puzi da Falerone.
La maggiore attenzione degli abitanti ai problemi del castello di Monte Giberto era esercitata dai rispettivi Massari.
Più impegnativo deve essere stato il mandato di ‘vicario’ affidato dal Comune di Fermo a Domenico Vanni nel 1450, perché, il 28 ottobre di quell’anno fu “inflitto un interdetto anche gli uomini di Monte Giberto”, forse come conseguenza degli abusi perpetrati sull’antico territorio del distrutto e limitrofo Castello di S. Maria Mater Domini. E’ probabile che, durante questi frangenti, la parte ovest del territorio dell’antico Castello di S. Maria Mater Domini, detto allora Castellare, sia stato inglobato in quello di Monte Giberto, almeno per una parte del suo territorio. Qui si può notare che anche Monte Giberto ha dato qualche podestà o ‘vicario’ ad altri comuni. Viene menzionato nei verbali consigliari: Ser Antonio d Cristoforo da Monte Giberto, inviato nel 1450 dal Comune di Fermo a Massignano.
Nel 1450 nel pagamento della quota per il clero, Monte Giberto versa soldi 36, denari 7.
4- Il territorio di Monte Giberto a metà del secolo XV. Gli inventari di alcune chiese di Monte Giberto, redatti nel 1450 su mandato del cardinale Domenico Capranica, arcivescovo di Fermo, offrono utili indicazioni per una definizione del rispettivo territorio, limitatamente alla prima metà del secolo XV.
Nel territorio in esame sono segnalati tre “vichi” (vicus). Nell’inventario della chiesa di San Pietro di Fano, che nel 1450 apparteneva ancora al territorio ponzanese del Castellare di S. Maria Mater Domini, sono menzionati alcuni possedimenti nel “vico di San Pietro” e altri nel “vico di Sant’Andrea”. Sicuramente l’uno e l’altro “vico” facevano riferimento alle omonime chiese montegibertesi sopra illustrate. Un altro “vico” era vicino alla chiesa di S. Michele, come si deduce dal rispettivo inventario che lo nomina più di una volta.
Un “vico” comprendeva, in genere, un modesto caseggiato, intorno a una chiesa, con pochi abitanti: piccolo villaggio. E’ nota un’incisiva frase di Giosuè Carducci su “ciò che è anima e forma primordiale nel reggimento del popolo italiano: il vico e il pago, il castello e il comune”.
I tre “vichi” di Monte Giberto attestano la presenza di una popolazione sparsa nel rispettivo territorio, fuori delle mura castellane. È presumibile che anche intorno alle altre chiese, sparse nelle varie contrade montegibertesi esistessero piccoli agglomerati demici di contrada.
In base agli stessi inventari si possono individuare i nomi di diverse contrade, alcune delle quali ancora esistenti: Contrada S. Michele, Contrada La Rota (nella zona di S. Michele) Contrada Campodonico, Contrada S. Lucia, Contrada Monte Berardo (forse l’attuale Monte Bellardo), Contrada S. Giovanni, Contrada Fonte de Ecclesia, Contrada Lu Colle Stranu, Contrada Valle di Becco, Contrada Lu Rigo, (corrispondente assai probabilmente a Il Rio), Contrada Le Ripe, Contrada Lu Furame, Contrada Aiano, Contrada S. Margherita (nella zona in cui sorge l’attuale santuario della Madonna delle Grazie, compreso il colle sovrastante) Contrada Colle Colico, Contrada l’Eta, Contrada Cannapile, Contrada La Moglia de Ceresia, Contrada della Pescara, Contrada da Sole, Contrada L’Acqua d’Adami, Contrada Ceppito.
Le seguenti contrade si trovavano probabilmente ai confini tra il territorio di Castellare ponzanese e quello di Monte Giberto: La Coglina (=Collina), Pile e Bore di Fiano. Quest’ultima contrada, scendeva, fin da allora, dal confine con l’attuale territorio di Ponzano, sul lato della strada provinciale, fin quasi al Rio, come si evince dall’inventario della chiesa di S. Pietro di Fano: “… verso il fiume Eta e infine tende per le Bore de Fiano e tende poi nel Rigo de Montottone”. Negli inventari sono menzionate anche le due classiche porte del castello: Porta da Bora, e Porta da Sole.
I cinque inventari redatti in latino ci fanno conoscere i nomi di alcuni possidenti montegibertesi nel 1450, nomi che, in traduzione italiana, suonano così: Giacomo e Andrea Colucci, Antonio di Pasquale, Antonio di Menicuccio, Giovanni di Menicuccio, Massucci, Andreuccio Bertini, don Marino di Cola (rettore della chiesa di S. Giovanni di Casale, personaggio di spicco nel tempo nel Castello di Monte Giberto), Benedetto di Puzio Vagnozzi, Antonio di Tommaso Nucci, Antonio di Giovanni, Giovanni Ferri, Giacomo di Giorgio, Pietro di Giovanni, Ciccarrello di Antonio, Luca di Puzio, Giovanni Luce, Paganello di Benedetto, Pietro Domenico di Giovanni Giudici, Domenico Bartonuzzi, Antonio di Giovanni Venuzzi, Domenico Massi, Ranaldi, Carassai, Andrea di Tommaso, Morbida di ser Paluzio, Vanni di Matteo, Vico di Puzio, Vico di Antonio, Bartolomeo Simonetti, Tommaso di Giovanni Cataluzie (proprietario di una casa nel Castello), Mite Berti, Antonio Cisco di Marco, Pietro Cisco, Amico di Giovanni, Pietro Cisco e Neri.
Nel clero, insieme con don Marino di Cola, emergeva a Monte Giberto anche don Tommaso Cischi o Cicchi, nativo del luogo, il quale nel 1450 era rettore dell’altare di San Giberto, posto nella chiesa di S. Giovanni Battista. I registri delle Conlationes (1, 147) segnalano che don Tommaso Cicchi da Monte Giberto, il 2 novembre 1455, viene presentato alla curia vescovile di Fermo, quale rettore dell’altare di S. Stefano nella chiesa di S. Angelo in Pila di Fermo.
Un altro montegibertese è ricordato più di una volta nei documenti vescovili fermani. Si tratta di Don Pietro di Antonio che il 5 aprile 1431 era presente a Fermo alla redazione dell’atto di conferma vescovile della badessa del monastero di Santa Maria di Monte San Giusto. (Conlationes 3, 51). Lo stesso nome è in un documento del 3 agosto 1406, relativo al beneficio di santa Maria Mater Domini di Ponzano, concesso al canonico fermano don Matteo Vannitti, il quale doveva prendere possesso o tramite il canonico Pietro Vannis o tramite don Pietro di Antonio di Monte Giberto (Conlationes 2,13).
Una lettera menziona un certo Giovanni Cosomi di Monte Giberto, il quale, essendo diacono, nel settembre 1483 ricevette dal vicario generale della diocesi di Fermo don Antonio de Arbertis, l’autorizzazione di farsi consacrare sacerdote da un vescovo cattolico a cui si fosse presentato (Conlationes 3, 95).
Vari terreni o apprezzamenti (particelle) appartenevano a chiese e altari montegibertesi, ben specificati negli inventari. A Monte Giberto nel 1450 è segnalato un notaio: Giovanni Cristofari, che sottoscrisse l’inventario dei beni della chiesa rurale di S. Michele.
In seguito alla contesa per l’accaparramento del territorio appartenuto al Castello di S. Maria Mater Domini, denominato, dopo la sua distruzione, Castellare, i confini territoriali di Monte Giberto, nelle trattative, cominciarono ormai a ben configurarsi, anche se non ancora in maniera definitiva. Solo dopo altre controversie seguite nello stesso secolo XV il territorio montegibertese estendendosi al di là del fiume Ete, ebbe un suo preciso assetto, soprattutto nel secolo XVI con Grottazzolina, come si dirà in seguito.
5- Lotte per i confini con Grottazzolina e Ponzano. Sembrerebbe che la popolazione montegibertese, tra medioevo e rinascimento, fosse abbastanza turbolenta, come quella, d’altronde, di Ponzano e di Grottazzolina. Se ne ha una riprova nella vivace contesa sui confini territoriali dei tre castelli, mossa da Grottazzolina. Ci furono rappresaglie e uccisioni, tanto da provocare il deciso intervento del Comune di Fermo. Il 7 agosto 1463 furono inviati dal magistrato fermano uomini armati e commissari per riportare l’ordine. Essi, punirono i più colpevoli (Marini 1463).
Le sanzioni furono comminate in più tempi. A causa degli eccessi dei rispettivi abitanti, in quella infausta contesa, i priori fermani multarono le comunità (Comuni) di Monte Giberto, di Ponzano e di Grottazzolina di 300 ducati per ogni focolare, che dovevano essere sborsati dai nuclei familiari. Pertanto il Castello con il maggior numero dei focolari doveva pagare la somma maggiore. Il 17 ottobre dello stesso anno le autorità fermane decisero di infliggere agli stessi tre castelli una “pena” di 400 ducati, affinché i loro abitanti non si gloriassero degli eccessi commessi, delle incursioni e delle temerarietà osate, e affinché altri non ne traessero stimolo per azioni del genere.
E finalmente, il 27 novembre 1463 i priori ritornarono sulla multa di 400 ducati da imporre ai nuclei familiari dei tre comuni: si comportarono con umanità ed equanimità perché decisero di risparmiare dalla multa i nuclei di vedove e pupilli, non colpevoli di questi tristi fatti.
6- Aiuti in armi e in alimentari
Monte Giberto, come gli altri castelli del contado di Fermo, nel 1473 dovette fornire aiuti all’esercito pontificio, impegnato con difficoltà nella difesa di Città di Castello e di San Sepolcro. Fermo, sollecitata da Roma a procurare aiuti, mandò un’ordinanza a tutti i castelli del suo Stato per reperire 160 cavalli e uomini idonei ed equipaggiati, da mettere agli ordini di Antonello da Borgo. Monte Giberto e i comuni limitrofi contribuirono in questo modo: Petritoli con 9 cavalli, al comando di Antonio da Lodi; Monte Giberto con 4 cavalli, agli ordini di Peccatore; Ponzano con 4 cavalli, al comando di Palmesiano e Firmone; Grottazzolina con 2 cavalli; Torchiaro con 2 cavalli, al comando di Michelozzo; Moregnano con 2 cavalli.
Il contributo di ogni castello era proporzionato alla rispettiva importanza e grandezza. Se ne può dedurre che nel Quattrocento Monte Giberto risultava superiore per popolazione e consistenza a Grottazzolina, ma non a Petritoli che contribuì oltre il doppio, mentre si trovava allo stesso livello di Ponzano (Crocetti, Scoccia 145s).
Il secolo XV fu funestato più volte dalla peste e dalle carestie. Nel 1474 era colpito anche Fermo, che impose ai suoi castelli la requisizione di una determinata quantità di grano per rifornire la città. Decisero questa imposizione i Priori, con il consenso dei Regolatori e in ottemperanza a quanto stabilito dal Consiglio di Cernita. Furono inviati tre commissari, uno per i castelli marittimi, uno per i castelli d’oltre Tenna e uno per i castelli ‘di mezzo’, ai quali apparteneva Monte Giberto che, come Ponzano, Monte Urano ed altri, dovette provvedere la quantità di 20 salme di grano. Il maggior contributo fu effettuato da Mogliano con 60 salme di grano e il minore da Pedaso con 5 salme. Petritoli partecipò con 25 salme e Grottazzolina con 10. Ciò sta ad indicare la posizione di Monte Giberto in questo secolo: un castello medio, con una sua consistenza significativa.
Nel 1480 fu portata nel Pubblico Parlamento di Fermo una questione riguardante Monte Giberto, di cui esiste l’istrumento. Bastiano di ser Evangelista, “vicario” del castello di Monte Giberto, con la presenza dei massari dello stesso Castello, fece alcune proposte sul modo di procedere e sulla eventuale soluzione riguardo all’accusa da sporgere per eventuali danni subiti. Fu stabilito che le accuse non potessero essere fatte da parte delle famiglie o dai capi di casa. Si ignora il merito della vertenza. Il fatto tuttavia dimostra, ancora una volta, l’attenzione degli abitanti ai problemi del castello di Monte Giberto (Fermo, pergamena 1866).
7- Un trittico di Carlo Crivelli
La storia del castello gibertese non va limitata solo sotto all’aspetto sinistro delle eresie, delle contese con i vicini e dei pagamenti. Va ricordato che la comunità (Comune) di Monte Giberto nel secolo XV espresse una particolare sensibilità religiosa e artistica, come quando il suo Comune si rivolse a Carlo Crivelli per l’esecuzione di un dipinto da esporre in una loro chiesa.
Carlo Crivelli (1430/35 – 1494/95), celebre pittore veneto attivo nelle Marche, ricevette ad Ascoli Piceno il pagamento per un dipinto, richiesto, pensiamo, per una chiesa di Monte Giberto. Ecco l’atto notarile pubblicato da G. Fabiani.
“Il 26 maggio 1478 il maestro Carlo (di Giacomo) Crivelli da Venezia, abitatore di Ascoli, spontaneamente per sé … eccetera, fece conclusione e quietanza generale, remissione … eccetera, al Comune e alla comunità universale di Monte Giberto del contado di Fermo ed a me notaio riguardo a 34 ducati e a 39 bolognini di moneta alla ragione di 40 bolognini per ogni ducato, come parte della somma, più grande, a lui stesso dovuta in vigore del contratto, come asserì, per l’opera (fattura) di una qualche tavola che sia ancora da fare ad opera dello stesso maestro Carlo … eccetera, computati già 21 ducati, come asserì risultare con atto scritto da ser Vanne di Cola Pellegrini di Ascoli e ducati 13 e bolognini 39 che ha ricevuto dalle mani di Nicola Ciccolini di Ascoli nel fondaco delle gabelle, alla presenza dei signori Gentile dei Malaspini, ser Pietro Paolo Mattucci e ser Girolamo di Giovanni Mattucci di Ascoli, testimoni”. (Atti di Gaspare n. 99 in Fabiani). Dall’atto notarile non si riesce a sapere se il dipinto fosse ancora da terminare. Il Fabiani annota che di esso “non ne è rimasto alcun ricordo”.
Sorge spontaneo l’interrogativo: che cosa rappresentava il dipinto e dove fu collocato? Una risposta viene dal citato inventario della parrocchia montegibertense di S. Giovanni del 1771. L’autore, don Filippo Franchelucci offre brevissime ma utili notizie a riguardo. Per dimostrare l’antichità della chiesa di San Giovanni battista egli cita anche “l’icona dell’altare maggiore in tavole, opera di Carlo Pittore del secolo decimoquarto” (leggi: decimo-quinto). L’autore parla di più tavole con immagini dipinte da Carlo Crivelli. Il Franchelucci mentre descrive i soggetti dei vari dipinti conservati negli altari della chiesa o negli attigui locali, nel fare l’inventario delle suppellettili della suddetta chiesa, indica “il quadro dell’altare maggiore con le immagini di Maria SS.ma, S. Giovanni a S. Nicolò”.
La laconica descrizione, confrontata con la precedente notizia, fa intendere abbastanza perspicuamente che si trattava di un trittico, su tavola, con al centro, quasi sicuramente, la figura della Madonna e, ai lati, le immagini di S. Nicolò di Bari (patrono di Monte Giberto, al quale è dedicata la vicina chiesa) e di S. Giovanni Battista (titolare dell’omonima chiesa). A questo santo e non a S. Giovanni Evangelista fa riferimento l’inventario, dato che il trittico era esposto sull’altare maggiore della chiesa dedicata al santo precursore (S. Giovanni 1771). Le tre tavole erano ancora in sede nel 1771, quando la chiesa di S. Giovanni Battista stava subendo una radicale ristrutturazione. Ripetiamo con il Fabiani che non abbiamo traccia del predetto dipinto.
È noto che le opere di Carlo Crivelli andarono disperse in gran numero durante le spoliazioni napoleoniche e, poi, durante l’assalto dei cosiddetti “primitivi” operato dai collezionisti del secolo XIX, soprattutto anglosassoni. Molti dei polittici asportati andarono smembrati e venduti separando i singoli pannelli. In seguito furono operate ricomposizioni (anche arbitrarie) di alcuni splendidi polittici crivelleschi.
Qui è interessante notare come l’intera comunità civile cristiana di Monte Giberto (communi et universitari) si sia interessata per avere un dipinto di valore da un grande maestro attivo nelle Marche, disposta a sborsare quanto necessario.
D’altro canto, i dipinti murali della chiesa di S. Giovanni Battista, menzionati dal citato inventario del 1771, e quelli esistenti nell’antica e distrutta chiesa di S. Margherita, su cui è sorto l’attuale santuario della Madonna delle Grazie, risalgono con ogni verosimiglianza alla fine del Trecento e alla prima metà del Quattrocento, secolo inquieto, ma anche artisticamente sensibile.
Monte Giberto in tal modo, nel secolo XV e in altri secoli, come tanti altri Castelli del Piceno, si era procurato un patrimonio artistico non trascurabile, anzi un prezioso documento di civiltà e di fede in ambito locale.
Conclusione. Si chiudono queste brevi notizie sulle origini e sui primi sviluppi di Monte Giberto, che va acquistando un volto storico, ancora non compiuto. Si auspica che altri amplieranno le descrizioni e le documentazioni.

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