La Marca di Fermo nel secolo decimo dalle carte scritte

La Marca di Fermo nel secolo decimo dalle carte scritte
FERMO e il FERMANO documentati dal 900 al 999

Doc. I

Anni 899-900

 

L’abate farfense Pietro nella Marca Fermana

(Chronicon Farfense I, pp. 18;31-32; 151; 153; 301; Liber Largitorius I pp.68-69)

 

I Saraceni devastarono e occuparono tutti i luoghi attorno al monastero di Farfa. L’abate Pietro, dopo lunga resistenza , vedendo che Dio lasciava il popolo, per le sue colpe, nelle mani dei pagani, decise insieme con i monaci, di non ritardare la partenza e lasciarono il monastero. Si divisero in tre gruppi: una schiera per Roma; una schiera per Rieti; una schiera per Fermo; nessuno restava più a Farfa, per l’infestazione degli aggressori Agareni. L’abate Pietro aveva diviso il tesoro del monastero in tre parti: una la mandò a Roma; un’altra nella città di Rieti e la terza la portò egli stesso nel Contado Fermano. Abbandonò del tutto il monastero <di Farfa> e si rifugiò là. Gli Agareni, dopo usciti i monaci, invasero il luogo di Farfa. Questo abate Pietro, e, insieme, i confratelli condotti dalla Sabina vennero nel monastero di S. Yppolito e di S. Giovanni in Selva, nel territorio della città di Fermo, dove cominciarono a dimorare, insieme con i confratelli che aveva accompagnato venendo da Farfa ed insieme con altri confratelli che qui aveva trovato.

(Una traduzione della “Destructio” (Chronicon Farf. I 25-51) di MICHETTI, G. Fermo 1980, citata in seguito:Michetti ‘Traduzione’)

Doc.II

Anni 901-912 circa

Costruzione del castello e del monastero dei farfensi sul Monte Matenano nella Marca Fermana

(Chronicon Farfense. I, pp.32 e 301)

 

Quando Pietro abate era nel monastero di S. Ippolito e di S. Giovanni in Selva, ebbe notizia che i Saraceni erano venuti a depredare nel territorio del Contado Fermano, allora riunì il suoi monaci e i militari e costruì un castello sul monte Matenano, dove poi fu collocato il corpo di S. Vittoria. Qui restarono fino a quando non si fu placata questa persecuzione che, secondo un’antica opinione, in Italia durò quarantotto anni. Durante questo miserevole periodo fu costituito il regno d’Italia.

(Chronicon Farfense I, p. 32) Dopo avvenute queste cose , i predetti Saraceni cominciarono ad entrare nei confini e territori del Contado Fermano al fine di saccheggiare. Per questa causa l’abate Pietro prese da nuovo timore, riunì i monaci ed i militari e fecero il castello sul Monte Matenano.

(Nota: L’anno 900 per gli assalti saraceni nel Fermano è in DE ALEXANDRIS, Chronicon sacri et regalis monasterii Farfensis.Mss del sec. XVII alla Biblit. Apost. Vaticana: Cod. Vat. Barb. Lat. 2350 f. 16.r. Per il monastero di Sant’Yppolito Chronicon Farfense I, p. 8 anno 760. Il nuovo monastero sul Matenano prese poi nome dalla venuta (a. 934) dalla Sabina, delle reliquie di Santa Vittoria: “Santa Vittoria in Matenano”.

Doc.III

Anno 919 circa

Elezione di Rimone, abate farfense e morte di Pietro.

(Destructio Chronicon Farfense, I p. 32)

Prima che (l’abate Pietro) morisse i monaci ed i laici del suo monastero gli consigliarono di eleggere per loro abate il chierico Rimone; egli lo fece, anche per consiglio degli stessi soldati.  Pietro, abate di vita lodevole, terminò i suoi giorni in questo castello <sul Matenano> e fu sepolto nell’oratorio di Santa Maria dello stesso castello che aveva costruito. Dopo la morte di lui, il predetto Rimone prese il governo del monastero e, benché fosse dell’ordine dei Canonici, quando si stabilì qua, nell’anno <?negli anni> che sopravvisse, diede buon esempio.

Doc. IV

Anno 920 giugno 30

Berengario imperatore richiesto dai monaci farfensi Giovanni e Campo conferma i privilegi e alcuni beni monastici.

(Regesto di Farfa III, pp. 77-79 doc. 371 e Chronicon Farfense I pp.310-312)

Nel nome del Signore Dio eterno. Berengario imperatore augusto per favore della divina clemenza. Elargiamo opportuni benefici alle giuste e ragionevoli richieste dei servi di Dio per amore del culto divino, non dubitando che saremo ricompensati con il premio della nostra eterna remunerazione. I monaci Giovanni e Campo venuti alla nostra presenza dal monastero della santa Madre di Dio sempre vergine Maria, sito in Italia in località Acutiano, ci hanno presentato il precetti degli imperatori, del proavo Carlo imperatore serenissimo, inoltre del genitore Ludovico piissimo augusto e di suo fratello Lotario ; inoltre di Ludovico nipote di Carlo, nei quali contiene che essi, e i loro antecessori Liutprando, Ratgisio, Astolfo e Desiderio, re dei Longobardi, avevano sempre tenuto sotto la loro tutelare difesa questo monastero a motivo dell’amore divino e della riverenza verso la santa Madre di Dio Maria. Con motivazione della stabilità della cosa, i predetti religiosi monaci, per mezzo dell’intervento e della supplica del nostro fedele carissimo reverendo vescovo Ardengo, richiesero che noi confermassimo di nostra autorità i precetti di quegli imperatori e disponessimo di concedere un precetto di immunità per il predetto monastero, e noi, favorevoli alla loro richiesta per la supplice raccomandazione del predetto venerabile presule Ardengo, volentieri, per amore di Dio, consentimmo a quanto ci era stato richiesto e abbiamo decretato che tutto debba essere concesso e confermato. Per cui comandiamo con precetto che nessuno dei nostri fedeli, chi viaggia come nunzio, chi ha autorità giudiziaria sulle chiese, celle, luoghi, ville “curtes” <=agglomerati aziendali fondiari>, terreni, campi o altri possedimenti che il venerato monastero possiede al presente, o possederà e acquisirà in seguito per dono di qualsiasi fedele nella Langobardia, nella Romania, nella Tuscia e nel Ducato di Spoleto, presuma in alcun modo imporre tributi o riscossioni per udire le cause, neppure per fare viaggi o parate, o togliere fideiussioni, o tenere occupati gli uomini del monastero “ingenui”, servi, livellari, uomini o donne con “aldio” <=libertà>, o chierici o ‘cartulati’ <=contratto scritto> o “offerti”, dimoranti nelle terre monastiche; neppure costringerli a fare da guardie pubbliche, né requisire le rendite per qualsiasi occasione, mai si presuma fare le cose predette. Confermiamo allo stesso monastero i beni dati da Lupo e Giovanni suo nipote, posti in luogo detto “Ad Cupencum” sotto le mura della città di Rieti, presso il fiume Mellino, ed i beni siti nel Contado Ascolano con la “curte” chiamata Offida che il chierico Giovanni, figlio di Garitrude offrì al predetto monastero per la salvezza della sua anima, e inoltre ogni cosa che Geroardo e Deodato e il marchese Alberico donarono insieme al detto monastero nel Comitato Fermano, con atto scritto. Tutti i privilegi dei pontefici con tutti i beni dati  da uomini diversi, permute, donazioni, offerte ed i beni tutti con pertinenze loro che sono pervenuti al monastero per mezzo di scritti su carte. Chi temerariamente  presumesse agirere contro, decretiamo che venga sottomesso in qualsiasi modo per la colpa di infedeltà. Ammoniamo pertanto la fedeltà vostra che quando nei “ministeri” l’abate o monaci o il loro avvocato verranno ad esigere giustizia, nel ducato o nel contado in cui viene riconosciuto il bene posseduto dal monastero, il duca o il conte del momento, i difensori e uditori intervengano pienamente a che non sia permessa a nessuna persona d’autorità la violenza o l’invasione nei beni spettanti al monastero. E se dal monastero fosse intentata una causa qualsiasi, si inquisisca la verità della cosa o per mezzo di persone di medio ceto o per mezzo di uomini più nobili e veraci, come da parte nostra. All’avvocato del monastero non sia chiesta alcuna “mallatura”, né si esiga in alcun modo il nostro “bando” per qualsivoglia causa del monastero. Agli abati nel tempo del monastero sia lecito possedere i beni e i possedimenti monastici con quieto ordine sotto la difesa della nostra immunità. Se qualcuno osasse temerariamente intervenire contro questo comando della nostra autorità e tentasse fare qualcosa di quello che proibimmo contro questo monastero, sappia che, secondo la costituzione nostra e dei nostri predecessori, dovrà esser multato di seicento soldi a favore del monastero. Stabiliamo così riguardo alle famiglie e per ogni luogo o bene spettante al monastero. Comandiamo che siano date alla porta del monastero le decime e le riscossioni “teloni” dei mercati e dei ponti. Vogliamo che siano annullate le ‘prestarie’ <=concessioni> e le permute fatte ingiustamente senza pena di soluzione correlata. L’abate nel tempo ed i monaci abbiano licenza di richiamare dentro al monastero le persone “offerte” ad esso, dovunque siano, senza che queste possano andare girovagando. All’occorrenza, il duca, o il conte  del tempo, le faccia tornare al monastero. Tutto ciò che il nostro fisco potrà acquisire dai possessi di detto monastero, noi lo concediamo ad esso monastero, per l’eterna ricompensa, affinché sia a vantaggio nell’alimentare i poveri e nel migliorare la vita dei monaci, ivi, nella familiarità con Dio e nell’avvantaggiare il nostro futuro, in quanto ciò persuade più volentieri i predetti servi di Dio a invocare la clemenza <divina> per noi e per la stabilità del nostro impero. E quando l’abate migrerà da questo mondo, essi eleggano <abate> tra loro monaci di questo monastero, colui che troveranno più utile. E affinché quanto di sopra abbia più ferma autorità e sia meglio conservato in futuro, firmiamo di nostra mano, con apposizione del nostro sigillo, segno di Berengario Firma di Berengario imperatore. <Scrive il> Cancelliere Giovanni vescovo, nelle veci dell’arcicancelliere Ardengo vescovo. Dato il giorno prima delle calende di luglio anno DCCCCXX del regno di Berengario anno XXVIII, del suo impero V. Indizione ottava. Nella “curte Olonna”.

Doc. V

AnnI 925-926

Ratfredo, abate farfense imposto dal re Ugo.

( Chronicon Farfense, Destructio, I, pp. 33-34.36 e 303)

Il re Ugo, uscito dalla Borgogna cominciò a regnare e dare disposizioni di governo.<Dopo preso il Regno d’Italia si recò a Mantova, dove si incontrò con il papa Giovanni ravennate e con lui fece un accordo>. Si recò nella Marca Fermana e scacciò Rimone <abate> e i suoi parenti. Re Ugo, dopo aver scacciato, dalla propria “Provincia” Rimone (e quelli insieme col lui) stabilì per abate Ratfredo che era suo nipote (p.303). Costui cominciò ad agire fortemente per ogni cosa utile al monastero.

(Rimone, esautorato nel Fermano, si recò  a Roma dove morì avvelenato). 

Doc.VI

Anno 926

L’abate Ratfredo, nel Fermano,  concede un affitto vitalizio a Oderigo.

(Liber Largitorius vel notarius monasterii Pharfensis, I, p. 73 n. 80 ( ed. 1913) e Chronicon Farfense I p. 304)

L’abate Ratfredo accoglie la richiesta di concessione usufruttuaria del ‘diacono’ Oderigo Franco, cui concede per la durata della sua vita, trecentosessantasei (366) moggi di terra nel “fundo”Blatenano (Blotenano): a confine, da capo con la strada; da piedi con il fossato; ai due lati con terre di proprietà farfense;  concede inoltre tredici moggi nel “fundo” Casario, a confine con le proprietà farfensi e con le terre di Sant’Angelo e di Gaido. Ciò al prezzo di centocinquanta (150) soldi pagati in oro, argento e cavalli e con l’bbligo di un canone annuale <non quantificato> nel castello del “fundo” Matenano.

(Beni usurpati da Chronicon Farfense  II pp. 7; 177; 283: <tra altri> il fondo e la” curte” di Blotenano (Blatenano)moggi trecentosessantasei e nel fondo Casario moggi tredici al prezzo di centocinquanta soldi e un “censo” (canone) da pagare nel castello (farfense) del fondo Matenano.

Doc. VII

Anno 928-933 circa

L’abate farfense Raffredo provvede per i beni recuperabili

 (Destructio Chronicon Farfense I  p.35-36 e 303)

(Ratfredo) cercò di radunare i fratelli ed i beni del monastero che erano dispersi. Ma quella parte dei monaci e del tesoro che il detto abate Pietro aveva lasciato nella città di Rieti andò perduta, perché i Saraceni, dopo occupata la città, uccisero i monaci e portarono via il loro tesoro. Però (Raffredo) recuperò le altre due parti che stavano a Roma e nel Fermano; e per quanto poté, restaurò i luoghi vicini e lontani appartenenti al monastero.  Riunì, pertanto, cento ‘famigli’ <persone sue ausiliarie> di uomini liberi e di servi e li portò con sé dal Contado Fermano in Sabina, nel luogo rimasto abbandonato per quarantotto anni, secondo un’opinione tramandata e fece i restauri (p. 303: con loro cominciò a ricostruire qui il ‘capo’ di questo monastero <Farfa>) . Acquistò di nuovo la “curte” di Monte Falcone, nel Contado Fermano, sborsando moneta sonante.  E questa ha recato grande utilità al monastero.

Doc. VIII

Anno 933 settembre 1

L’abate Ratfredo permuta terre con  Sicolfo di Sassone.

(Regesto Farfense III p.49 doc.347; cfr. Chronicon Farfense I p.304)

Nel nome del Signore Gesù Cristo, Dio, Salvatore nostro. Durante il regno in Italia dei signori nostri Ugo e Lotario suo figlio, anni settimo e terzo, al tempo del duca Tebaldo, anno quinto del suo ducato, calende di settembre. Indizione settima. (Sintesi) Sicolfo figlio del fu Saxone chiede all’abate Farfense, Ratfredo, la permuta alcune terre. Consegna al monastero Farfense  un terreno di cinque moggi con frutteto e alberi nel fondo Apriano, confinante da capo e da piedi con la strada, da un lato con la propria terra che Maurissio <=Maurizio> tiene in “prestarla” e fino al fossato; dall’altro lato fino a “rigagine”. E nel soprascritto casale quattro moggi di terra con frutteto e alberi a confine da capo con la terra di Guinigiso e dei suo ‘consorti’; da piedi la strada; da un lato la terra di Formoso e dall’altro lato quella dei suoi ‘consorti’. I Farfensi gli consegnano in permuta sette moggi di terra con frutteto e alberi in località Interragia a confine con altri beni del monastero che Sicario con i suoi ‘consorti’ tengono in “prestarla”; da piedi fino al fiume Tenna in “prestaria”; da un lato la terra del vostro monastero e la strada; dall’altro lato fino al fiume Tenna. Sono intervenuti i giudici regi Guido, Rodulfo; e Grauso ed i buonuomini dell’abate farfense: Gregorio preposto, Maio prete e Giovanni diacono che stimarono la permuta vantaggiosa per il monastero. Secondo la legge dell’editto, per chi la violasse, penalità di cento soldi “francisci” ferma restando la validità <di questo atto>. Scrive il notario Rodulfo. Firmano: il richiedente Sicolfo, inoltre Gaido, e Trasberto ed Hermisindo. 

Doc. IX

anno 934 circa

Le reliquie del corpo di Santa Vittoria traslate  da Farfa sul Monte Matenano nella Marca Fermana.

(Destructio Chronicon Farfense I p.36 e 303)

 

Fu Ratfredo a trasportare il corpo di santa Vittoria, dalla Sabina al luogo ora abitato, cioè sul Monte Matenano. Conferì a questo molti altri benefici e fu Ratfredo che fece di nuovo fabbricare e consacrare la  chiesa e il monastero (…). Recuperati e restituiti al monastero questi e molti altri luoghi antichi, incominciò a imporsi per la sua grande potenza ed arricchì il monastero; soprattutto perché nipote del re e dotato di intelligenza e di prudenza negli affari secolari; non altrettanto erudito nella scienza di Dio, poiché lo studio della dottrina dell’Ordine Regolare, come lo studio della Religione in genere e di ogni altro ramo della scienza, era venuto meno nel regno Italico, per le devastazioni dei pagani. Però, secondo l’istruzione che aveva, fu molto buono e molto utile ai suoi fratelli.

(Chronicon Farfense I p. 303) Il corpo di Santa Vittoria portato via dalla Sabina dall’ahate Rafferdo è venerato nel luogo dov’è oggi e qui <nella Marca, sul monte Matenano> ha portato molti benefici.

Doc. X

Anni 937-938

 

Ildeprando porta a Campone la nomina regia di abate 

(Destructio in Chronicon Farfense I, pp. 38-39)

Dopo che morì Ratfredo, Ildeprando si recò dalla Marca <Fermana> a Pavia presso il re Ugo e con molto denaro acquistò la nomina per l’Abbazia Farfense a favore di Campone e, ricevutala, tornò nella Marca dove Campone gli andò incontro per prendere questo dono del governo del monastero, trasmessogli dal re. Prese il comando dei soldati Marchigiani, sottomise tutti i monasteri appartenenti <a Farfa>, minori e maggiori. Diede compimento all’accordo con Ildebrando a cui consegnò due “celle” <romitori e depositi> nella stessa Marca: S. Maria presso il fiume Chienti e S.Maria in Solestano fuori dalla città di Ascoli ed anche due altre nel Contado Reatino: Sant’Angelo presso la città di Rieti e Santa Maria in Loriano. Poi <Campone e Ildeprando> se ne tornarono in Sabina (…).

Doc.XI

Anni 938-939 circa.

 

Lotte tra Ildeprando e Campone  e dissipazione dei beni.

(Cronicon Farfense I p. 38-40;306-307)

 

Dopo un anno, Ildeprando e Campone iniziarono a combattersi l’un l’altro. Infatti Ildebrando dando molto denaro ai Marchigiani si alleò con loro e tolse a Campone tutta l’eredità del monastero (Farfa) che era nella Marca <Fermana> e se ne appropriò con i monaci ed i soldati. (Pag. 307: Ildeprando rivendicò per sé tutta l’eredità <Farfense> e la tolse ivi <nella Sabina> a Campone).

Campone corse là e adunati amici ed alleati cacciò Ildebrando da castello di Santa Vittoria e da tutto il territorio del monastero e ridusse tutti i luoghi sotto il suo dominio. Ritornò in Sabina con trionfo  dove cominicò a distribuire tranquillamente i beni monastici ai figli e alle figlie. (…) Campone aveva dato agli stessi <Marchigiani> una somma maggiore di denaro, e diede una sua sorella sposa ad un uomo di nome Transberto; le donò una grossa dote con i beni mobili ed immobili del monastero <Farfa>. Permutò anche la “curte” di Marate (S. Maroto) tanto grande e spaziosa da contenere  sedicimila moggi, come molti affermano, dandola a questo suo cognato <Transberto> e ricevette nella permuta le terre a Propezzano, luogo squallido e incolto, come dicono. Vi aggiunse in più le due “curtes” di S. Maria in Strada e di S. Maria in Mura vicino Stania.

<p.307> dissipò le proprietà farfensi a favore dei dieci figli e dei parenti “nei comitati Reatino,  Amiternino , Furconio e Balbiense, oltre che nel Marchigiano, distribuì loro quasi tutto, a possedere in perpetuo.” (Sintesi) In seguito Ildebrando riprese il castello di Santa Vittoria sul Matenano. Furono entrambi grandi dissipatori dei beni farfensi.

(pp.306s) Campone fu a capo del cenobio (farfense) e fu la causa di tutti i mali che, dopo i pagani, hanno devastato questo monastero. Diede una sua figlia in moglie ad un uomo e gli donò molto denaro. Il suo cattivo comportamento durò fino a quando Alberico divenne principe di Roma.

Doc. XII

Anno 939

Campone agevola Azzo venuto dalla Campania

(Liber Largitorius I p. 96 n.125. Cfr Chronicon Farfense I p. 316)

Campone concede ad Azzo di Idelberto nato in Campania alcuni terreni in località di Montefalcone a confine con il fiume Aso.

Doc. XIII

Anni 940-947 circa

L’abate Campone e Ildeprando, dissipatori di proprietà farfensi.

(Chronicon Farfense I pp. 313- 326)

Campone venne <a Farfa> dal territorio Fermano a far querele per le proprietà, insieme con il suo avvocato Rodaldo figlio di Guido(ne). (p.316) Campone cedette per sessanta soldi le proprietà a Monte Falcone in territorio Fermano; (p.319) cedette altri beni nell’Ascolano (p.321-323) a Force fino al fiume Aso, vendette duecento moggi della “curte” di Mogliano; (p.325) altre sedici “curtes” <=aziende fondiare> 1. a Blotenano, 2. a Morta, 3. a Sant’Angelo tra le due Tenna; 4. a Monte Falcone; 5. nel monastero <Santa Maria> presso il fiume Chienti; 6. a S. Martino di Aquatine; 7. a S. Desiderio; 8. a S. Salvatore in Offida; 9. a S. Angelo in valle Veneria; 10. a S. Angelo in Villamagna; 11. a S. Sigismondo; 12. a S. Maria Mater Domini; 13. a S.Maroto; 14. a S. Marina di Ortezzano; 15. a S. Salvatore in “Nemore”; 16.  a S. Martino. Tra i tesori portati via dal Castello di Santa Vittoria da Ildeprando: tre tovaglie, due calici maggiori e dodici minori; due corone, tre croci, altro. (vedi anno 948)

Doc. XIV

Anni tra 939-970 circa

Ildeprando e Campone abati dissipatori nella Marca Fermana.

(Regesto Farfa III  p.84 doc. 379 senza data:Chronicon Farfense I pp. 324-325)

Nel governo del monastero  presso la Marca <Fermana> vi era un altro (=oltre a quello di Farfa) abate, Ildeprando, tiranno scellerato e dissipatore dei beni del cenobio, separatosi dall’altro <abate> malevolo Campone che aveva sottratto moltissime cose al monastero, aveva fatto inique permute, aveva pigramente acquisito pochi beni, molti ne aveva elargiti anche ai suoi consanguinei. Costui alienò otto “curtes” <=agglomerati aziendali fondiari> ed un monastero: (curtes) 1. de Blotenano; 2. de Morra; 3. di S. Angelo fra le due Tenna; 4. di Montefalcone; il ‘monastero’ di Santa Maria presso il fiume Chienti; 5. di S. Martino di Aquatine; 6. di S. Martino che diede a suo figlio Alberto in dote ed alle sue nuore, 7. di Mogliano, 8. di Fassenaria.

( Chronicon Farfense I p. 325) “Curtes”  : 1.Blotenano; 2. Montefalcone; 3. San Maroto; 4. Sant’Angelo tra le due Tenna; 5. Santa Maria Madre del Signore (Mater Domini); 6. San Salvatore in Nemore.

<Regesto Farfa III p. 84 anno 939 doc 379> “curtes”: 1- di S. Desiderio. 2- di S. Maria de Cuperseto. 3- di S. Maria del Columnelle. 4- di S. Salvatore in Offida. 5- di S. Angelo in Valle Veneria. 6- di S. Angelo in Villamagna. 6- di S. Sigismondo. 8- di S. Maria Mater Domini. 9- di S. Maroto. 10- di S. Maria de Ortezzano. 11- di S. Salvatore in Vemori (=<N>emori). 12-di S. Benedetto.

(Nota: Beni usurpati in Chronicon Farfense. II pp. 7; 177; 283. San Salvatore in: Vemori, Uemori, Nemori, Memori sono vocaboli riferiti alla stessa chiesa di S. Salvatore nel bosco= in Nemore che poteva essere quella di Collina, attuale Montevidon Combatte)

 

Doc. XV

Anno 940 aprile

Sentenza con cui l’abate Campone recupera proprietà con l’avvocato fermano Rodaldo,presente il vescovo fermano.

(Regesto farfense III p. 80 doc. 373. Cfr.Chronicon Farfense I p. 313)

Nel nome di Dio. Notizia del giudicato. Noi Roccio “locoposto” <messo nelle veci del> marchese e rettore del comitato della Sabina sedevamo <in tribunale> insieme con il franco Huberto viscont(e), e Ascerisio e Sergio giudici ed Amico vescovo della santa Chiesa Fermana, e Roccio figlio del fu M(en)nai e Giovanni figlio del fu Rodolfo, entrambi di Rieti, Ansefredo ed altro Giovanni, Bernardo, Benedetto ed altri molti residenti comunitariamente nel placito, in territorio Sabino, entro il castello di Tofila, vicino alla chiesa di S. Lorenzo, fuori del casale Curiano. Si presentò Campone abate del monastero di S. Maria del fondo Acutiano del territorio Sabino, insieme con il suo avvocato Rodoaldo figlio del fu Guidone del territorio Fermano e fece querela contro Leone figlio del fu Aceprando. (Sintesi) Leone riconobbe i diritti monastici su metà di ciascuno del quattro casali sabini in questione, mentre la chiesa di San Lorenzo era data in ‘collazione’ al prete Giovanni suo figlio.

 A tempo del papa Stefano, nel mese di aprile, indizione tredicesima. Firme: Roccio locoposto; Huberto visconte, Ascerio giudice; Sergio giudice; Toto, Suavo, Bernardo, Amico vescovo, Benedetto.

Doc. XVI

Anni 941-947 circa

Doppio governo farfense di Ildeprando e Campone, entrambi dissipatori.

(Regesto Farfa III p. 84 n. 380)

Un tempo, nel governo di questo monastero <farfense> presso la Marca <Fermana> c’era un altro abate, Ildeprando dissipatore disastroso e tirannico dei beni del cenobio, separato dal malvagio Campone che ha rubato molte cose del monastero e le ha permutate iniquamente, e pigro acquisitore di pochi beni, largitore di molti beni ai consanguinei. Campone diede le “curtes” <agglomerati aziendali fondiari; otto ed un monastero>:  1. Blotenano; 2. Morra; 3. Sant’Angelo fra le due Tenna; 4. Montefalcone; il monastero di Santa Maria; 5. San Martino di Aquatine; 6. San Martino che Campone donò a suo figlio Alberto in dote ed alle nuore; 7. Moliano; 8. Fassenaria.

Doc. XVII

Anno 942 dicembre

Concessione di Ildeprando al presbitero Teodorico e altri.

(Liber Largitorius I p. 149 n. 234)

Ildeprando concede al presbitero Teodorico come vitalizio ed a terza generazione a Giovanni, Ardone e Orso, fratelli, figli di Teudeperga, quindici moggi di terre e sei sestari nella “curte de Moliano”  e quattro moggi e sei sestari nello stesso casale <di San Benedetto> al prezzo di soldi quaranta con l’obbligo del canone annuale di denari cinque da pagarsi <ivi> nella “cella” di Santa Vittoria.

Doc. XVIII

Anno 947 settembre

Concessione <considerata poi  abusiva>  di Campo(ne) ai figli di Giovanni

(Liber Largitorius I p. 144 n. 223: Chronicon Farfense I p. 323)

Campone concesse <illegalmente> a tre fratelli, figli di Giovanni moggi duecento (200) di terre e selva nella “curte de Moliano”  a confine da capo con la strada che passa attraverso il Monte di Agello e da piedi con il fiume Gremore, al prezzo di soldi cento con un canone annuale di sei denari da pagarsi nella predetta “curte de Moliano”.

Doc. XIX

Anno 947 novembre

Rodaldo visconte fermano e sua moglie come  libellari farfensi.

(Regesto Farfa III pp. 56-58 doc. 354; Cfr. Chronicon Farfense I p. 308)

 

Anno 947  anno diciassettesimo del regno di Lotario; al tempo del ducato di Bonifacio e di Tebaldo suo figlio anno terzo. Mese di novembre. Indizione sesta. <Sintesi> I coniugi Rodaldo visconte e Rotruda figlia di Gripaldo ottengono a libello usufruttuario, vita natural durante, con divieto di alienazione, da Campone abate Farfense, vari beni: l’Isola presso il fiume Trontise con la chiesa di S: Maria, il castello, le case, la “curte” e beni annessi ai casali in Acquaviva;  inoltre la chiesa di S. Martino nel piano del Chienti in località Aquatine con tutti i beni nel fondo Aquatine, e in Furconiano e in Rote, eccettuati i beni dati in livello a Longino figlio del fu Longino il quale deve dare il censo alla predetta chiesa di S. Maria nell’Isola. Eccettuato anche tutto quanto appartiene a questa chiesa. Ricevono altre terre nel fondo Speneto, e in Cambuse e in Pretorio, e in Pratello, e in Esclare, e in Bimbiano, e dentro il ministero Tenaldi e nella pievania di S. Lorenzo e nella pievania di San Giusto e nella pievania di S. Stefano di Montesanto. Rodaldo e Rotruda danno ai Farfensi i censi, i <lavoratori> “cartulati”, i prestandari della chiesa e del castello sopradetti, terre, vigne e selve di duemila moggi che sono a confine con le strade, con i limiti, con i fossati, e con il fiume Trontise e con il fiume Chienti e con terreni di singoli uomini. Inoltre in questo atto di “convenienza” i predetti coniugi versano beni in oro, in argento o altro per un valore di  trecento soldi. Si obbligano a dare altri beni mobili, bestie, giumenti, buoi, vacche, pecore nelle stesse chiese  nell’Isola. I coniugi si impegnano a versare ogni anno cinque soldi di moneta d’argento, pagandoli nel castello farfense del Matenano al ministeriale. Alla morte dei predetti coniugi i beni predetti <ottenuti da loro> tornano a Farfensi. Fermamente, con penalità, per inadempienze, di cinquecento soldi. Notaio scrivente Lupino. Firme di Rodaldo visconte; di Adam; di Traseperto; di Giso.

Usurpazioni in Chronic. Farf. I p. 308 . Al visconte Rodaldo diede l’Isola presso il fiume Trontise con chiesa S. Maria e con castello dentro Acquaviva e la chiesa S. Martino nella pianura del Chienti dove si dice Aquatine e in Furceliano e in Rote e nel fundo Speneto e in Cambuse e in Pretorio e in Pratello e in Esclare e in Bimbiano e nel ministero Tevaldi e nelle pieve di S. Lorenzo e nella pieve di S. Giusto e nella pieve di S. Stefano di Monte Santo, duemila moggi tra il fiume Trontise e il Chienti al prezzo di trecento soldi in oro o argento o beni mobili ed il censo annuo di cinque soldi <da pagarsi> nel castello Matenano.

Doc. XX

Anni 947-952 circa

 

Il principe romano Alberico stabilisce nuovo abate Dagiberto

(Chronicon Farfense I pp. 39-43 e 333)

 

(p. 39) Il principe di Roma, Alberico, intervenne a cacciare Campone e stabilì come abate Dagiberto, nativo della città di Cuma. Campone fuggì verso la città di Rieti dove cominciò ad abitare, sostenuto dall’aiuito dei parenti …( p. 41) Visto ciò Ildeprando che era restato nella Marca <Fermana> occupò di nuovo il castello di Santa Vittoria <in Matenano> con tutti i suoi possedimenti, e incominciò a distribuire tutto, anche le cose del monastero ai figli e alle figlie che erano parecchi. Diede pure la curte di Mogliano grande e splendida; la curte di San Benedetto e di F(r)assenaria e altri castelli e tenute. Con la dissipazione di questi due <abati Ildeprando e Campone> andò perduto tutte quello che aveva riunito l’abate Ratfredo.(…) Passati cinque anni di governo, alcuni pessimi monaci avvelenarono Dagiberto. Morì il principe Alberico e suo figlio Giovanni, che era stato eletto papa vivente il padre, ebbe avversione , come lui, per Campone …(p.. 42) A reggere le sorti del monastero <Farfa> elesse un abate di nome Adam, oriundo di una città della Lucania. Ma l’eletto rimase regolare per poco tempo e non seguì il buon esempio di Ratfredo e di Dagiberto, ma il cattivo operato di Campone e di Ildebrando, menando cioè vita scandalosa e sperperando quei beni che Dagiberto aveva recuperati nel Contado della Sabina. (Traduzione Michetti p.45)

(Chronicon Farfense I p. 327) Quando il principe Alberico ebbe cacciato il malvagio Campone (…) lo seppe Ildeprando, insediato nella ‘Marchia’  <Fermana> invase di nuovo il castello di Santa Vittoria <in Matenano> e cominciò con più accanimento a disperdere tutte le cose.

Doc. XXI

anno 948 luglio

Concessione<poi considerata illegale> a Raimperto.

(Liber Largitorius I p. 149 n. 235 e Chronicon Farfense I p. 327)

 

Campone concede a Raimperto figlio di Alberigo moggi duecento (200) di terre e di selva nel “fundo de Moliano”, vocabolo Poppiano a confine da piedi con il torrente Cremore e con altri confini, ed altri cinquanta moggi, al prezzo di soldi cento e l’obbligo di un canone annuale da pagarsi nella “cella” di San Benedetto di Statiano

(Chronicon Farfense I p. 327) Nel “fundo Moliano” vocabolo Loppiano diede moggi duecento (200) di terre e selva , e nel fondo Falti  moggi cinquanta sopra  al prezzo di soldi cento.

Doc. XXII

Anni 948-968 circa

Oggetti usurpati da Ildeprando a Santa Vittoria in Matenano.

(Regesto Farfa III p. 84 doc. 379; Chronicon Farfense I p. 325)

“Breve” <relazione> del tesoro di questo monastero di S. Maria  che il presbitero Ildeprando ha portato via e rubato dal castello Matenano che è nella Marca, nel comitato di Fermo. Due vesti di altare (=tovaglie) di oro “brusto” con gemme: una per Natale, Risurrezione, Ascensione del Signore e un’altra del giorno del giudizio (?=funerale) con gemme mirabili. Altra vesta bianca (=tovaglia) con intorno ornamenti di oro “brusto” e nel mezzo una croce di oro “brusto” con gemme e perle. Un calice più grande di argento; ed uno indorato contenente un “sestario” con sua patena. Dodici calici più piccoli con patene. Una corona d’oro e una d’argento con otto “dalfini<perle> . Una croce di purissimo oro lunga più di un braccio, circondata da mirabili gemme dall’una e dall’altra parte. Due altre croci d’oro con <reliquia del> legno del Signore. Un’altra in argento. Quattro libri con copertine in argento ed indorati. Cassa di purissimo oro con gemme che il re Carlo diede al monastero, per <il bene de>l’anima sua. Due altre cassette d’argento. Due sigilli d’oro che furono mandati in un precetto <diploma> da Carlo e dal figlio Pipino. Altri due sigilli d’oro che Guido e Lamberto mandarono in altro precetto fatto da loro. Due ottime dalmatiche. Due turiboli d’argento. Una paramento abbaziale da Messa cantata. Tre tuniche di seta. Un piviale. Due libri sul ‘Genesi’. Uno “scintillario” <di Sermoni>. San Luca. San Giovanni. La Storia dei Langobardi. Un libro: “la Cena” <ecucaristica> di Cipriano. De Civitate Dei <di S. Agostino>. Un libro delle Storie. Un antifonario. I Detti dei Padri. “Curtes” <= dodici agglomerati aziendali fondiari: vedi qui doc. XV>.

XXIIbis
Anno 951

Il vescovo Fermano Gaidulfo in un giudicato.
Chronicon Casauriense in MURATORI R.I.S II,2 pp. 827 ss
 L’abate Ilderico rivendica l’autonomia del suo monastero casauriense dall’ingerenza del vescovo di Penne, è presente al giudicato, Gaidulfo vescovo Fermano.

Doc. XXIII
Anno 951 giugno 3

Donazione del fermano Gualdo a Farfa.

(Regesto Farfense V. pp. 217-218 n. 1230 e ivi III p. 88 n. 385; Chronicon Farfense I p. 282)

 

Nel nome del Signore Gesù Cristo, Dio Salvatore nostro. Ai tempi del papa Agapito coangelico, (…) del vescovo Giovanni e del duca e rettore della Sabina, Teuzo. Giorno 3 del mese di giugno, indizione nona. Consta che Gualdo, chiamato Amico, figlio del fu Gualderamo <venuto> dal territorio Fermano, ora abitante in territorio Sabino (…) e  a letto per malattia, dona al monastero di Farfa per il bene dell’anima (…) beni mobili ed immobili, e la porzione dellla chiesa di S. Adriano in Casale, in territorio Sabino in località detta Tribulicia. (sintesi) Contro i trasgressori, anatema. Scritto dal notaio Franco, in territorio della Sabina. Firme di Gualdo (donatore), e del teste Benedetto, e del teste Adenolfo e di Guandelperto.

Doc. XXIV

Anni 951-962 circa

Sarilo nuovo abate farfense,  contrastato da Ildeprando.

(Chronicon  Farfense. I .pp.42-44 e. 333).

Fu accesa in quel periodo una grande guerra tra Sarilo(ne) <marchese> ed Ascherio i quali si contendevano il dominio della Marca Fermana. Prevalse Sarilo(ne)  che uccise Ascherio e molti dei suoi <soldati> e si impadronì della Marca <Fermana>. Il re Ugo, saputa questa cosa, si infuriò contro di lui per l’uccisione di Ascherio suo fratello germano. (p.43) Allora Sarilo(ne) vedendo che non poteva sfuggire in alcun modo al re, si chiuse in un piccolo castello toscano: Indossò una veste di monaco e legatosi una fune al collo, una mattina si presentò a lui e si arrese senza condizioni. Il re, mosso a pietà, lo perdonò di quel delitto e lo mise a capo di tutti i monasteri di investitura reale che erano nei territori della Tuscia  e della Marca Fermana. Tutti gli abati di quei monasteri si sottomisero, eccettuato Ildeprando che gli resistette. Ma Sarilo(ne) per allora prevalse e lo cacciò dal castello di Santa Vittoria. Poi di nuovo tornò Ildebrando e cacciò Sarilo(ne), in modo vergognoso. Ma per la seconda volta Sarilo(ne) riuscì di nuovo e scacciò Ildebrando.e tenne sotto il suo potere tutti quei beni (Farfensi) che erano nella Marca <Fermana>, (poi) Sarilone visse poco tempo e là morì e fu sepolto. Alla fine fu Ildeprando a riprendere il dominio di questo luogo <Fermano> (p.333) Così reintegrato in pieno l’infausto possesso di Ildebrando su Santa Vittoria <in Matenano> egli, tutto trionfante, un giorno, fece preparare un grande festino per la concubina, per i figli e per le figlie e per i soldati; e di questi ne aveva molti e grossi; poiché sebbene non fosse riuscito mai a comandare nella Sabina, tuttavia, tutto quello che costituiva il patrimonio del monastero <Farfa> nella Marca <Fermana> lo governò come sua proprietà, fino al tempo dell’imperatore Ottone I… Ma nel giorno in cui fu celebrato questo festino, dopo la cena e sul far della notte, essendo tutti intontiti dal vino e dal mangiare, nessuno di loro poté sentire quando il fuoco cominciò a bruciare. In quell’incendio anche tutta la suppellettile portata colà dalla Sabina andò perduta, bruciata dal fuoco. (Michetti ‘Ttraduzione’i pp. 47-48)

Doc. XXV

951 – 971 circa

Tre abati dissipatori

(Chronicon Farf. I p. 42 e 289-290, 316 e 325;  Regesto Farfa V p. 284 n. 1295)

 

In questo monastero <Farfa> ci furono purtroppo tre abati contemporaneamente. Uno di nome Adam era a capo del monastero a Farfa e distribuiva ogni cosa nelle Sabina. Campone era <abate> nel territorio Reatino.  Nella Marca Fermana c’era <abate> Ildeprando e disperdeva iniquamente i beni di questo monastero <=Farfa>. Infatti donò la “curte” di S. Ippolito ed il campo Massimino <Massimo> ad Inga sua moglie. Donò inoltre ai suoi figli la “curte” di S. Bendetto e  di Mogliano e Frassenaria ed altri beni, molti, nel Contado Fermano. Erano tre nello stesso tempo a rapinare e dissipare ogni cosa.

(Chronicon Farfense I p. 316) Campone concede terre presso Monte Falcone in territorio Fermano a soldi sessanta <Vedi qui doc. XV>.

Doc. XXVI

Anno 954 settembre

Ildeprando fa concessione <poi dichiarata illegale> ai figli di Orso.

(Liber Largiotius I p. 145 n. 225 e Chronicon Farfense I p. 326)

Ildeprando concede a terza generazione ai fratelli Lupo(ne) e Giovanni figli di Orso moggi ventidue di terra nel “fundo Moliano” dove di dice <=vocabolo> Fossatelle, al prezzo di soldi venti con l’obbligo del canone annuale di quattro denari da pagarsi nella “curte de Moliano”

(Chroncon Farfense I p. 326) Per soldi venti diede nel “fundo Moliano” dove si dice <vocabolo> Fossatelle della nostra “curte Moliano” nel fondo Monte Agelli,moggi…

Doc. XXVII

Anno 957 gennaio (a)

Ildeprando fa concessione a Lupo.

(Liber Largitorius I p. 146 n. 226)

Ildeprando concede a Lupo(ne) di Albeno sette moggi di terra nella “curte de Moliano” a confine, da piedi con il fossato Lucilliano, al prezzo di soldi sei e con l’obbligo del canone annuale da pagarsi nella stessa “curte de Moliano”.

Doc. XXVIII

Anno 957 gennaio (b)

Enfiteusi <considerata poi illegale> ad Ansone

(Liber Largitorius  I p. 147 n. 231 e Chronicon Farfense I p. 326)

Ildeprando concede ad Anso(ne) di Rado, a terza generazione, moggi nove e sestari sei di terra nella “curte de Moliano” nel “fundo” del Monte di Agello al prezzo di soldi dieci, con l’obbligo del canone annuale di due denari da pagarsi nella stessa “curte de Moliano”.

(Chronicon Farfense I p. 326 senza anno) Ildeprando diede nella “curte” Moliano moggi quindici e sestari sei e nello stesso ‘casale’ moggi quattro e sestari sei al prezzo di soldi quaranta.

Doc. XXIX

Anno 957 maggio

Rainerio di Adelberto fa permute con i monaci Farfensi

(Regesto Farfense III pp. 66-69 doc 362).

Nel nome del Signore Gesù Cristo, Dio, Salvatore nostro Gesù Cristo. Anno 757 dall’incarnazione del Signore nostro Gesù Cristo, durante il regno di Berengario assieme con suo figlio Adelberto, anno settimo, mese di maggio, indizione dodicesima. Risulta che Rainerio figlio di Odelberto del territorio ascolano, ha fatto oggi una permuta con Campone  abate del monastero Farfense. Rainerio  riceve trecento moggi  in territorio Fermano in località Fecline a confine: da capo con la via pubblica e con la terra di S. Angelo e di singoli uomini; da piedi fino al fiume Aso con le sedi dei molini; da un lato fino alla “curte” <azienda fondiaria> de Rocbiano che è terra di S. Angelo; nell’altro lato fino allo stesso fiume <Aso>. Riceve inoltre la selva di Casule con ivi l’Isola visibile. Altri beni permutati nello stesso Fermo <= Territorio Fermano> in località Empiano terre e vigne unite di cento moggi, beni che rettamente sono per Angelo del fu Liutprando e parenti suoi. Confini: da capo fino alla terra di S. Angelo e Trasberto e Adamo; da piedi fino alla terra di S. Angelo, alla terra di Trasberto e di Adamo ed al limite; nell’altro lato la terra di S. Angelo. Inoltre <riceve> terra e vigna di trenta moggi che è retta per mezzo di Angelo chiamato Zufelone. (Confini): da capo la via pubblica; da piedi fino al torrente; da un lato fino alla terra di S. Angelo; dall’altro lato fino alla terra del vostro monastero tenuta da Goduldo per voi e fino alla terra di Lupone. Altri dodici moggi di terra in Casario dove sono i rettori. Confini: da capo fino alla terra di S. Maria e di singoli uomini; da piedi fino alla terra di S. Maria del vostro monastero e alla terra di Trasberto; nell’altro lato la strada pubblica. Inoltre le terre in località Collicello trenta moggi in retta a Lupone. (Confini) Da capo fino alla via pubblica; da piedi fino al torrente; da un lato fino alla terra che vi riservate e la terra di Trasberto; dall’altro lato la terra di S. Angelo e di singoli uomini. E’ dato ad appartenere tutto quanto è dentro i predetti confini: case, terre, vigne, selve, saliceti, campi, prati,pascoli, frutta, piante infruttifere e fruttifere, ripe, rive, acqua; corsi d’acqua, terreno colto e incolto.  <Sintesi> I Farfensi ricevono 500 moggi di terreni presso il fiume Aso, a Force e presso il torrente Cenante, a confine con Ingelramo. Inoltre ricevono beni del valore di duecento soldi. L’estimo da parte regia con buonuomini, giudici, Amico scabino e da parte monastica, Stefano prete e monaco, Alberico diacono, stimarono la permuta vantaggiosa  per il monastero. Scritto ad Amiterno, notaio Rainerio. Firme:  Giso; Transarico; Jose.

Per Furcie, Furce v.  conferme imperiali. Da Chronicon Farfense I p. 321) Per soldi cinquecento <500> diede in territorio Ascolano dove di dice <vocaboli> Force e Verano moggi cinquecento <500> <Confini> Da capo la strada e l’acqua di Force; da piedi il fiume Aso; da un lato i beni di Ingelramo; dall’altro il fosso Cenante.

 

Permute. (Chronicon Frafense I p. 309) <Permutati> in territorio Fermano in località Fecline trecento moggi e in Empiano cento moggi e in Casario trenta moggi e altrove dodici moggi e a Collicello moggi trenta. <Farfa> ricevette terre a Force e a Verano in territorio Ascolano ( moggi duecento)

Doc. XXX

Anno 957 ante luglio

Campone permuta<considerata poi illegale> dei beni farfensi con Rainerio di Adelberto.

(Liber Largitorius I p. 127 n. 184)

Campone fa una permuta <considerata in seguito illegale> con cui concede in territorio Fermano, trecento (300) moggi di terre a Fecline presso il fiume Aso, altro cento moggi di terre a Empiano, inoltre quaranta moggi a Casario e altri trenta moggi di terre a Collicello, a confine don la “curte de Rocbiano” e con le terre di Trasberto e con le proprietà di Sant’Angelo. In cambio di questi beni farfensi riceve cinquecento (500) moggi di terre in territorio Ascolano dove si dice (=vocabolo) Furce e il altro luogo detto Verano a confine, da piedi con il fiume Aso, da un lato con le terre di Ingelramo e dall’altro lato con il fossato Cenante.

Doc. XXXI

Anno 957 luglio (a)

Concessione <poi dichiarata illegale> a Totone.

(Liber Largitorius I p. 146 n. 228; Chronicon Farfense I p. 326)

Ildeprando concede a Totone di Adalberto moggi dodici di terra nel “fundo” Monte di Agello, in vocabolo Turrita ed inoltre sestari due nel “fundo” Peturiolo in vocabolo Barbaneto, al prezzo di soldi dodici con l’obbligo del canone annuale di denari due da pagarsi nella “carte de Moliano”.

Doc. XXXII

Anno 957 luglio (b)

Campone restituisce in affitto a Rainerio di Adelberto alcuni beni avuti in permuta.

(Liber Largitorius I p. 127 n. 184 e Chronicon Farfense I p. 321)

Le terre che Campone ricevette in una permuta dello stesso anno 957 <vedi sopra ante luglio 957> li concede a Rainerio ed a sua moglie Guiburda per ventinove anni dietro pagamento di soldi cinquecento e con l’obbligo dell’annuo canone di denari sei.

Doc. XXXIII

Anno 957 luglio (c)

Ildeprando fa concessione  a Giovanni <considerata poi illegale>.

(Liber Largitorius I p. 147 n. 229; Chronicon Farfense I pp.326- 327)

Ildeprando concede a Giovanni di Giovanni in vitalizio ed ai Fratelli Transarico, Giovanni e Pietro, figli di Adelberga, sedici moggi di terre, nel “fundo” Monte dei Agello, vocabolo Valle de Saxa, a confine nel piano con i beni concessi a Raimperto; al prezzo di soldi venti e con l’obbligo del canone annuale di denari tre da pagarsi nelle “curte de Moliano”.

(Chronicon Farfense I p. 326) Nel “fundo” Monte Agello (…) vocabolo Valle de Saxa moggi sedici.

(Chronicon Farfense I p. 327) Nel “fundo” Valle Saxa e Monte Agello moggi otto per soldi venti.

Doc. XXXIV

Anno 958

Presenza di un vescovo “Firmensis” (Fermano).

(MANSI, J.D. Sacrorum Conciliorum (…)Collectio: XVIII; Venetiis 1773 col. 464 4; e XIX ;a. 1774 col. 226)

Tra le firme che segnano le presenze al Concilio Romano dell’anno 958 è presente il vescovo “Firmensis” (=Fermano). Unico documento che ne dà testimonianza.

Doc. XXXV

Anno 959 luglio

Ildebrando concede enfiteusi <dichiarata poi illegale> a Lupo(ne).

(Liber Largitorius I p. 147 n. 230)

Ildeprando concede a Lupo(ne), a terza generazione, sei moggi di terra e di vigna, nel “fundo de Moliano”, al prezzo di soldi dodici e con l’obbligo del canone annuale di denari due, da pagarsi nella stessa “curte de Moliano”.

Doc. XXXVI

Anno 960 maggio

Giovanni di Iselberto riceve in permuta terra a Solestano d’Ascoli.

(Regesto di Farfa III p. 72 n.367)

 

Al tempo del regno in Italia di Berengario e di suo figlio Adelberto, anno decimo, mese di maggio, indizione terza. Giovanni di Iselberto fa permuta con l’abate di Farfa, Campone, a cui consegna dei suoi beni in territorio Ascolano trenta moggi in località Materno in Valle Mainula . Riceve da Farfa, in totale, venticinque moggi già tenuti in prestarla: sei moggi e sestari sei, in località Solestano, inoltre quindici moggi a Establo e moggi due a Moisea, altri otto moggi e una vigna di un moggio e sestari quattro. Intervengono a giudicare i ‘buoni uomini’. Il notaio Andrea redige in Ascoli. Oltre a Giovanni formano Adelperto, e <altro> Giovanni, e Franco e Ardo e Rodolfo.

Doc. XXXVII

Anno 960 maggio 27

Presenza del vescovo Fermano, Gaidulfo, ad un placito.

(Chronicon Casauriense edl MURATORI, Rerum Italicarum Scriptores II Milano 1726 col. 825)

Nella vertenza giudiziaria tra l’abate di Casauria ed il vescovo di Penne, Giovanni, risulta la presenza del Vescovo Fermano, Gaidulfo.

Doc. XXXVIII

Anno 960 luglio

Concessione <in seguito considerata illegale> fatta da Ildeprando a Trasberto.

(Liber Largitorius p. 148 n. 232; cfr. Chroncon Farfense I p.326))

Ildeprando concede a Trasberto figlio di Ingelberto la chiesa di San Maroto nel “fundo” Decimiano; e le terre nel “fundo” Banolo; e a Casaleto; e a Ripule; e a Gattaria; e a Valle; e a Casario; e a Collicello; e a casa Sorabaria; e a Morretiano; e a Valle Scrira; e a Corneliano; e a Fratio; e a Valle Veneria; e a Criceniano; e a Petritoli; re a Papiniano; e a Mantua; e a Ponticello; e a … nel “fundo” Colle Saxule e a Talieto.

(Chronicon Farfense I p. 326) Ildeprando diede per ottocento (800) soldi nel “fundo Deceniano la chiesa di San Maroto con tre moggi di terra intorno alla chiesa stessa e nel “fundo” Baniolo e in Casaleto e a Ripule e a Gattaria e a Valle e a Casario e a Collicello e a Masseniano e a Caselle e nel piano di Ilici e in Petroliano e a casa Sorabaria e a Morretiano e a Valle Scrira e a Corneciano e a Fratio e a Valle Vneria e a Circeniano e a Petritulo e a Papeniano e a Mantua e a Marciano e a San Proculo e a Ponticello duemila (2000) moggi di terre. Fce permute nel “fundo” Tuliano, vocabolo Collina dando moggi sedici e ricevette nel “fundo” Virgiliano moggi venti uniti.

Doc. XXXIX

Anni 962-971 (?)

Gemma principessa dona a  Montecassino  beni, tra l’altro, nella Marca Fermana.

(LEO, Chronica monasterii Casinensis c. 61. MGH Scr 34;GATTULA, Historia, Accessiones I. 80, senza anno)

A Gemma appartengono i beni provenienti dal (marito) Gisolfo,  nei <territori> Marsicano e Balbense e nel Contado di Furcone e nel Contado di Amiterno ed ai confini (pro finibus) della Marca di Fermo e Marca di Spoleto (Marcha de Firmo et Marca de Spoliti) e le spettano quelli da parte di Ytta mia nonna principessa. Furono ricevuti per “morgencaft” <dono mattutinale alla sposa> del gloriosissimo Gisolfo, principe  <di Salerno> mio marito: ad ambedue noi (e a me) è congruo fare offerta per la salvezza della nostra anima al monastero di San Benedetto che è sito a Monte Cassino.

(Nota: Anno incerto se 971 oppure 962)

Doc. XL

Anno 964

Ottone I Conferma i privilegi al monastero di S.Croce all’Ete.

(Arch. S. Elpidio a Mare. ACCARDO; M.G.H Diplomata I, 2 p. 377 n. 264))

Privilegio dell’imperatore Ottone <I> che conferma al monastero della Santa Croce i beni e le potestà (o proprietà) spettanti in modo legittimo e giusto a questo, cioè l’agglomerato fondiario curtense (=curte)  della Santa Resurrezione con pertinenze e castello, inoltre l’agglomerato curtense di Sant’Ilario con pertinenze e  i <beni> suburbani, le chiese, le cappelle, i territori loro, le serve, i coloni e le colone, gli aldi (=liberi) e le alde, i cartulati con censo, le vigne, i campi, i prati, i pascoli, le selve, i saliceti, le acque, i corsi d’acqua, i molini, le pescagioni, i beni mobili ed immobili con ogni loro pertinenza e soggiacenza giustamente e legittimamente ad esso pertinenti. Nell’anno del Signore 964 anno terzo dell’impero di Ottone grande imperatore, a Villa Faveri nel contado Camerinese.

Doc. XLI

Anno 964 ottobre 2 giovedì

<Documento spurio o manipolato pur con dati verosimili>

Il papa Callisto concede indulgenze per i pellegrini alla chiesa di S. Maria a pié di Chienti.

(Archivio di Camerino: Cfr. KEHR, Italia Pontificia IV p.. 144-145)

Il papa Callisto per ultima volontà e ricordo della sua sepoltura, dispone la remissione della colpa nell’assoluzione della colpa e della pena, per i fedeli che visitano la chiesa di Santa Maria a pié di Chienti e danno un aiuto ad essa. Dato presso la chiesa di Santa Maria a pié di Chenti, alla presenza di sei cardinali che danno il loro consenso. Nell’anno secondo del pontificato

Doc. XLII

Anno 965

Il papa Giovanni (965-972) sceglie per abate Leone e dopo tre anni Giovanni.

(Destructio, Chronicon Farfense I p.45

L’abbazia <Farfa> per tre anni restò senza il proprio abate <dopo cacciato Umberto fratello del marchese Tebaldo). Però l’abate di nome Leone <scelto dal papa Giovanni> finché la tenne in consegna, la trattò bene, anzi, compassionando la sua desolazione, recuperò parte dei suoi beni, dei libri e di altre cose e, per quanto gli fu possibile, riparò qualche rovina. (…) Il predetto papa Giovanni tra tutta quella misera  consacrò qui abate Giovanni (…) mentre viveva nella Marca <Fermana> il miserabile Ildeprando. In questo tempo venne per la seconda volta in Italia l’imperatore Ottone I, il quale nella sua prima venuta era stato coronato dal papa Giovanni figlio del predetto principe Alberico. In questa seconda venuta fece coronare imperatore suo figlio Ottone II dal predetto papa Giovanni (…) e questo imperatore fece osservare con fermezza la legge e la giustizia in tutta Italia.

Doc. XLIII

Anno 966 novembre

Concessione<considerata in seguito illegale> di Ildeprando a Giovanni di Giovanni.

(Liber largitorius I p. 150; n. 236; Chronicon Farfense I p. 327)

Ildeprando concede <in seguito si dirà illegalmente> a Giovanni di Giovanni, a terza generazione, venti moggi uniti di terre e “spissie” nel “fundo” Tariano, vocabolo ai Collicelli, al prezzo di soldi sessanta, con l’obbligo del canone annuale di denari due da pagarsi nella “cella” di San Benedetto di Statino.

Dpc. XLIV

Anno 967 gennaio 13

Ottone I  conferma i privilegi farfensi, tra cui  in territorio fermano.

(Regesto Farfense III pp. 108-114 doc. 404; cfr. Chronicon Farfense I pp.335s. 339)

<Su richiesta dell’abate sono confermati i vari beni a Farfa. Qui elenco solo per il Fermano:>Monastero detto di S. Silvestro e S. Maria Interamente. <Elenco di 33  agglomerati fondiari aziendali detti> “curtes” : 1. di S. Salvatore sotto il muro della città di Fermo; 2. di S. Gervasio interamente; 3. di S. Sigismondo con tutte le sue cose; e la terra de Paratinis; 4. di S. Angelo di Villamagna; 5. di S. Desiderio; 6. di Capresseto; 7. di S. Angelo in Niviano; 8. di S. Venanzo: 9. di Colonnella; 10. di S. Felicita con tutte le sue pertinenze, interamente. Terre nelle località di Raviliano e di Solario. 11. di S. Maria in Motiano; 12. de Caminatis in località della Murro; 13. di Bressiano e cella <romitorio e deposito> del figlio di Guazone, 14. di S. Maria Mater Domini; 15. di S. Maroto; 16. de Valle; 17. di S. Maria de Ortezzano; 18. di S. Salvatore in <N>emoriis; 19. de Blotenano; 20. di S. Antimo; 21. di Monte Falcone; 22. S. Maria Interamne; parimenti di contro al fiume Chienti, 23. di S. Silvestro dentro la città di Fermo; altrove 24. di San Savino; 25. in Pretorio con tutte le pertinenze interamente. Monastero S. Maria in Insula con “curte” 26. di S. Maria in Aquatine; altra 27 di S. Martino sita nel monte sopra l’Asola; 28 di Rotella; e terra de Maceriatine con le loro appendici interamente; 29. di Mogliano in cui è la chiesa di S. Vittoria; 30. di San Benedetto; e 31. S. Maria posta in Muris; 32. S. Angelo fra le due Tenna; altra 33. di S. Angelo in Murgiano. (…). I monaci farfensi, secondo al regola di San Bendetto, hanno potere di eleggersi l’abate. Scrisse il cancelliere Ambrosio nelle veci dell’arcicancelliere Huberto vescovo. Data terzo giorno alle idi di gennaio, nell’anno quinto dell’impero di Ottone, indizione decima. Fatto a Roma. Nel nome di Dio. Felicemente.

Doc.XLV

Anno 967

Presenza del vescovo Fermano Gaidulfo.

(Maranesi, I Placiti del ‘Regnum Italiae’ vol. II Roma 1957 p. 48 n. 154)

Il placito del 967 si svolge con la presenza del Vescovo Fermano, Gaidulfo.

Doc. XLVI

Anno 967 novembre

Concessione <considerata in seguito illegale> fatta da Ildeprando a Firmano.

(Liber Largitorius I p. 150 n. 237)

Ildeprando concede a Firmano, figlio di Giovanni, a terza generazione, otto moggi di terra nel “fundo” Valle de Saxa, vocabolo Monte di Agello, al prezzo di soldi venti, con l’obbligo del canone annuale di denari due da pagarsi nella “cella” di San Benedetto in Statiano.

Doc. XLVII

Anno 968

Donazione di Longino a Farfa.

(Regesto di Farfa III p. 96 n. 394; Chronicon Farfense I p. 347)

Longino di Longino donna a Giovanni abate di Farfa, moggi centoventi (120) di terra e di vigna nel “fundo de Moliano”, vocabolo Beccari.

(Chronicon Farfense I p. 347) Longino figlio di Giovanni fece riconsegna e diede <ai Farfensi> alcune cose che aveva per prestarla nel “fundo Moliano” e vocabolo Vaccarico, moggi centoventi (120) di terra e vigna.

Doc. XLVIII

Anno 968 marzo-maggio

Placito con presente il vescovo Fermano Gaidulfo

(Maranesi, I Placiti …vol. II cit p. 83 n. 160.

Il placito del maggio 968 vede presente il vescovo Fermano, Gaidulfo.

Doc. XLIX

Anno 968 novembre 2

Ottone  sentenzia a favore del monastero di Santa Croce all’Ete.

(Archivio di Sant’Elpidio a Mare. M.G.H. Diplomata t. I; 1  pp. 503-505 n. 367; MARANESI, I Placiti …II, p.67 doc. 26)

Nel nome della santa ed individua Trinità. Ottone, augusto imperatore per divino favore: se restauriamo i luoghi votivi sacri e venerabili, rovinati dalle superstizioni, non dubitiamo di partecipare della mercede di coloro che sono votati a Dio. Vogliamo che sia noto a tutti i fedeli della santa Chiesa di Dio, che mentre compivamo una spedizione nella Puglia, per reintegrarla nel nostro Regno Italico, ritogliendola ai Greci, nella santa e divina Chiesa Fermana, per richiesta, sedevamo in giudizio <=placito> per attuare sufficientemente la legge e stabilirla per quelli che la  reclamavano. Ecco Giovanni, abate del monastero, edificato per testamento dal vescovo Teodicio, in onore della santa Croce dalla quale siamo stati redenti, presentò gli editti emanati a loro favore dai nostri predecessori, facendo querela al presente vescovo della Chiesa Fermana, Gaidulfo, riguardo a due agglomerati fondiari curtensi (curtes) di Sant’Ilario e inoltre della Santa Resurrezione e altri beni presi per suo uso. Subito chiedemmo al vescovo perché presumesse ciò. Rispose di essere corroborato da un editto dell’imperatore Berengario. Decidemmo che si leggessero gli atti dell’uno e dell’altro e furono letti. Per ordine del predetto beato vescovo Teodicio che per primo aveva costruito questo monastero con il consenso dell’imperatore Carlo, e per ordine dell’imperatore Berengario confermato dallo stesso imperatore Carlo, nostro antecessore, si dovevano soltanto pagare dieci soldi, ogni anno, alla Chiesa Fermana. Così chiarito a noi, risultava a tutti ingiusto e contro le leggi che gli scritti concessi in epoca posteriore eccedessero quelli precedenti nel dare alla santa Chiesa Fermana ogni diritto e dominio su questo monastero di Santa Croce. Pertanto, per giudizio dei vescovi, dei conti o giudici tutti, fu distrutto il sigillo e furono strappata la pergamena <di Berengario> per mano del nostro arcicancelliere, vescovo Uberto, e di nostra autorità precettiva, abbiamo confermato e corroborato inviolabilmente quanto stabilito dal beato vescovo Teodicio e dal nostro antecessore Carlo imperatore e ciò per sempre rimanga inviolabile in perpetuo. Al predetto monastero, al suo abate e successori non sia recata alcuna iattura, né alcun servizio sia richiesto a favore della santa Chiesa Fermana, eccetto il pagamento annuale di dieci soldi e il ricevere da questa la consacrazione dell’abate dello stesso monastero e l’ordinazione dei monaci a servizio di Dio. Stabiliamo inoltre la conferma a favore di questo monastero dei beni e proprietà conferite dal vescovo Teodicio e dai nostri antecessori, cioè gli agglomerati curtensi di San Marco con metà del Porto chiamato Chienti o anche l’agglomerato curtense di San Giorgio in località detta ***** e l’agglomerato curtense di Sant’Agata di Lucilliano o il territorio di Santa Maria genitrice di Dio, in Castiglione, e l’agglomerato curtense di Santa Ilaria e quello della Santa Resurrezione con pertinenze, castelli e chiese, e la Villa chiamata Categiano e i bene mobili ed immobili  appartenenti ai predetti: ville, abitazioni, campi, castelli, torri, edifici, servi e serve, coloni e colone, ‘aldi’ <=liberi> e coloni non aldi, <lavoratori> livellari, ‘cartulati’, precari, ‘prestandari’ e famigli dell’una e dell’altro sesso, masserizie, campi, vigne, prati, pascoli, selve, acque, acque, corsi d’acqua, pescagioni, saliceti, canneti, oliveti, molini, terre coltivate e non incolte, divise o indivise. L’abate e i monaci in servizio a Dio abbiano ciò in uso per il vitto e per i vestiti, lo tengano e posseggano fermamente e ne fruiscano in perpetuo, esclusa ogni contestazione di qualsiasi uomo. Se il vescovo violasse in parte grande o piccola, o se presumesse fare pretese contro questa nostra conferma, <penalità> cinque mila mancasi di oro, di cui metà alla camera imperiale e metà al predetto monastero e <il vescovo> sia deprivato di ogni potere su abati e monaci.

Confermiamo questo nostro precetto rafforzandolo con la firma di nostra mano e comandiamo sia apposto il segno del nostro anello, sigillo di Ottone invittissimo imperatore. Scrisse e pose il sigillo il cancelliere Ambrogio nelle veci dell’arcicancelliere vescovo Uberto, il 2 novembre  dell’anno dell’incarnazione 968, anno ottavo dell’impero di Ottone <I> cesare piissimo. Indizione XII <ma?=VII> Fatto felicemente a Subporticu. Amen.

Doc. L

Anni 969-970

Giovanni recupera beni farfensi usurpati.

(Chronicon Farf. I pp. 45-46)

Mentre il miserabile Ildebrando viveva nella Marca, il papa ha consacrato Giovanni, abate di Farfa (…) Costui si recò ben presto nella Marca <Fermana> e fece querele per l’intrusione di Ildebrando che vi era rimasto per tanto tempo con pertinace crudeltà. L’imperatore diede allora ordine che Ildebrando con sua moglie Inga fossero condotti alla sua presenza. Lo rimproverò fortemente e lo corresse da farlo rinunciare, come era cosa degna, alla predetta abbazia. Con ordine imperiale decretò che fossero annullati tutti gli atti che erano stati scritti riguardo ai beni del monastero, atti resi invalidi, anzitutto perché lui non fu mai abate <di Farfa> né fu eletto dai monaci, né fu confermato dall’imperatore, inoltre perché deposto legalmente d’ordine di questo imperatore.

Doc. LI

Anno 971

Ottone sentenzia dichiara abate Giovanni,  contro Ildeprando intruso.

(Regesto Farfa III p. 97 doc. 395; Chronicon Farfense I, pp.46-47 e 343-344)

Anno 971 dall’incarnazione del Signore. Ottone imperatore per la divina provvidente clemenza, mentre, nel nome di Dio, sedeva nell’aula regia, sita non lontano dalle mura di Ravenna, che lo stesso chiarissimo imperatore aveva fatto fondare in suo onore con nobili edifici, egli ordinava e disponeva molte cose del suo impero. Vennero alla su apresenza Giovanni abate del monastero di Santa Maria nel Contado Sabino, località Acutiano, ed Eldeprando, monaco di questo monastero. Con forti contese tra di loro, cominciarono essi ad altercare su chi di loro due dovesse essere legittimo abate dello stesso monastero. Eldeprando con più anni d età, era a capo della parte esistente nel Contado Fermano, dipendente dallo stesso monastero <Farfa> e pretendeva, per tale circostanza, di diventare abate con onore di tutto il monastero. Giovanni si diceva abate dello stesso monastero, avendo ricevuto l’elezione con le insegne da tutti i monaci della congregazione dell’intero collegio ed ancor più stabile per aveva avuto la benedizione del papa. Inoltre aveva la “prammatica” da parte dello stesso imperatore. Alla presenza di questo furono dichiarate vere le cose ben esposte dall’abate Giovanni, alla presenza del principe e marchese Pandolfo, del vescovo Furliense Uberto, del conte Pietro e di molti altri del clero e del laicato. Allora l’imperatore, esaminatore esperto, e santo, conoscendo la rettitudine dell’abate Giovanni e dando rimedio alle falsità ed alle ingiustizie di Eldeprando, diede ordine al principe e marchese Pandolfo, al conte Pietro ed al suo cancelliere Pietro che, tenendo alla loro presenza entrambi <i contendenti> definissero tra essi, in modo giusto, legale e definitivo, senza che ci fossero più liti, con ordine che fosse abate e pieno signore di tutto il monastero <Farfense> per tutti i giorni della sua vita, Giovanni.

<Sintesi>. In considerazione del fatto che Ildeprando era di età anziana più di Giovanni ed era a capo di una parte Farfense a lui soggetta nel Contado Fermano, mentre voleva rivendicare per sé l’onore abate, gli fu rifiutato (…) Per amore di Dio e per rimedio della sua anima, dato il fatto che Ildeprando era vecchio di età decrepita, gli concessero in usufrutto due aziende fondiarie o “curtes”, una  di Mogliano e l’altra di S. Benedetto, per il sostentamento e i vestiti insieme con i suoi subalterni, purché non facesse altre querele contro Giovanni, pena il decadere dall’onore <fattogli>.

(Chr. Farf. I, 46)A sua moglie Inga (concessero) il fruttato di tre “mansus” fuori dalla chiesa di S. Ippolito. Il miserabile Ildeprando fu sepolto nell’oratorio di S. Benedetto. Restituì all’abate Giovanni tutte le “curtes” Farfensi da lui disperse e parimenti fece anche suo figlio.

(Nota: Cfr. Liber Floriger p.215 nota 405. Per l’anno 978.  Beni a Novubiabo in Liber Largitoriua I p. 182 n.327) 

Doc. LII

Anno 973 maggio

Concessione dell’abate farfense Giovanni ad Amico

Liber Largitorius I p. 158 n. 325

L’abate farfense Giovanni concede ad Amico, figlio di Pietro, levita e monaco farfense, al prezzo di duecento soldi, diecimila (10000) moggi di terre farfensi nei tre Contadi Fermano, Ascolano e Abruzzese e in vitalizio, con facoltà di lasciare questi beni ad una persona della congregazione farfense, di sua scelta.  Ecco gli aglomerati fondiari curtensi o “curtes”: 1. Coperseta con edificata la chiesa e con il castello di Monte Tano, dentro al Contado Fermano e nel “ministero” Trontise <Trontense>; 2. Arvetiano; 3. San Desiderio; 4. Mozano in cui è la chiesa di San Giovanni; 5. Colonnelle; 6. San Venanzo; 7. San Felice; 8. Sardinaria in cui è la chiesa di San Pietro; 9. Raviliano; 10. Caprilia;  11. Solestano in cui è la chiesa di San Maro. Confini: da capo ” i piedi delle Alpi” dei Cotadi Fermano, Asolano e Abruzzese; da piedi i litorali del mare con gli stessi lidi; a un lato il fiume Tesino; dall’altro lato il fiume Tumano.  Concede inoltre i censi <da riscuotere> ed i <lavori> “cartulati” e quelli “prestandarii”dovuti al monastero farfense. Il concessionario ha l’obbligo di pagare il <censo> canone di due libre dd’olio e di due candele nel castello farfense Matenano <Santa Vittoria> con penalità <per inadempienza> di quatrolibre di oro obrizio. Scrissi io Sianolfo notaio, nel mese di maggio dell’anno sesto dell’impewro di Ottone, indizione prima. (Firme): Giovanni abate concedente; inoltre quattro presbiteri monaci: Rodulfo e Giovanni e Aimo e Pietro.

Doc. LIII

Anno 977 gennaio

Enfiteusi e permute tra il vescovo Gaidulfo e il conte Mainardo

(Arch. Fermo Liber 1030 Ed. pp. 90-99)

Nel nome di Dio. Piacque e si convenne tra noi Gaidulfo, vescovo della santa Chiesa Fermana, insieme con la volontà di consenso dei sacerdoti primari, che sono messi a capo nell’ufficio della nostra Chiesa Fermana e dall’altra parte il conte Mainardo figlio di Sifredo. Diamo a te, ai figli e ai nipoti tuoi, soltanto fino alla terza generazione in usufrutto le cose che di diritto appartengono alla nostra santa Chiesa Fermana, i possessi con le pertinenze e le soggiacienze, con completezza, cioè la ‘curte’ <= azienda fondiaria con agglomerato> del fondo Dassiano <Busseino>, inoltre la ‘curte’ del fondo Murule maggiore di Murule minore, inoltre ****, inoltre la ‘curte’ del fondo Anniano con la chiesa ivi esistente di san Bartolomeo, con i suoi romitori, con gli oratori e con i libri; inoltre i possessi di Cerole; inoltre nel fondo Cosse e a Granariolo e a Cerretana e Villa di Ramoni e **** nella Villa di Aspedo e Fageto Rotondo e a Sala Macine e a Caprafico e nella strada di Cammiano e a Castagna e nella strada di Busonico e a Tilla e a Castagna Grossa e a Colle Selvani e a Colle Alceresia e a Mura Villa e Fago Ranciata; inoltre nel fondo di Marte e nel fondo di Giuliano e a Nova e a Forca e nel campo di Viani e nel campo Mari, sino al fondo Rovetulo nelle predette ‘curti’ e luoghi o loro vocaboli, terre, vigne, frutteti, alberi, campi, selve, ripe, rive, acque, fossi, corsi e deflussi di acque, il coltivato e il non coltivato e ogni cosa con completezza. Facciamo però eccezione nel luogo **** e la selva di Misura di Moggi duecento continui che noi demmo a te conte Mainardo predetto con atto di permuta e facciamo eccezione per la chiesa e pievania di sant’Angelo con i romitori, le loro dotazioni, libri, oratori, terre. E facciamo eccezione per la nostra ‘curte’ di **** e la ‘curte’ di Forca e i luoghi Casali. E demmo a te e alla predetta tua generazione i prestandari o libellari della città <nella> sopradetta ‘curte’ **** da parte della nostra santa chiesa <con> atto di prestaria o di libello ****con il censo che dovete dare tu e la tua sopradetta generazione. Quando poi questa sarà finita dovete ridare e rimettere nella meni e riconsegnare le proprietà alla nostra santa chiesa insieme con i prestandari e i livellari sopradetti. Così ora viene dato in usufrutto ogni possesso predetto nei luoghi e pertinenze nei casali predetti, terre, vigne, selve per la misura di tredicimila moggi di terreni non contigui. <Confini> da capo fino ai piedi (Alpi) della montagna; da piedi fino al rivo Scane che va a Tenna maggiore e la terra di Adelberto e di altri uomini, a confine con la terra del monastero Sabinense che i figli del fu Lupo Adelberto tengono per atto scritto; confinante verso l’Aso, da un lato il fiume Aso, dall’altro lato il fiume Tenna maggiore e le terre di singoli uomini.
Da parte della nostra chiesa vi concediamo tutto ciò secondo quanto ricevette da noi il nonno tuo Mainardo con carta scritta. Inoltre concediamo a te la ‘curte’ di Colle nel fondo Colle e a Pinte e a Colle Urgiale e Cerretana e a Valle e ad Agello e a Betoniano e a Manucelle e a Cerindonica e a Casale, ogni cosa di Mancellanti e di Casa Regori, cose che la Chiesa Fermana ha ricevuto con atto di permuta dall’abate Ulderico del monastero di Santa Croce. Facciamo eccezione delle proprietà date alla nostra chiesa <Fermana> con atto scritto da Manifredo figlio del defunto conte Radone insieme con il fratello suo Alderado di Alberto. Facciamo eccezione per le proprietà che Ildeperto, figlio del fu Ildeperto, ha dato con atto di permuta alla nostra chiesa. Inoltre facciamo eccezione per il beni concessi a Leone da parte nostra con atto di prestaria nel rivo Caprilli. Inoltre facciamo eccezione per quello che Giso del fu Attonino ricevette da noi con atto di permuta. Beni non concessi: case, casali, terre, vigne, frutteti, alberi, salceti, pascoli, campi, selve, acque, fossati, terre coltivate e non coltivate. Inoltre facciamo eccezione e non concediamo la pievania di san Donato con le sue dotazioni tra cui un terreno di quindici moggi; inoltre venti moggi non contigui di terra lavorativa ad Alfenano. Inoltre quei prestantari sopradetti che diamo hanno un atto di prestaria con obblighi e censi verso la nostra chiesa e questi li passiamo e te conte Mainardo fino alla terza generazione; finita la quale ogni usufrutto deve tornare e ricadere nella proprietà della nostra chiesa. Da parte della Chiesa <Fermana> vengono assegnati anche i servi, figli e nipoti del fu Rampulo, nella predetta ‘curte’ di Colle, con potere di tenerli nella ‘curte’. Queste superfici misurano 700 moggi non contigui a confine da capo fino al rivo Latu che scorre da Petra Arnaldi e fino a Colle che viene da Valle Fiorita e da Sigilli predetto, da capo Agello scende verso Calluco maggiore e scorre nel Tenna maggiore, inoltre il rivo Blubaria e la terra del monastero Sabinense e scende verso il Tenna maggiore da un lato fino a Carono, dall’altro lato fino a Tenna maggiore e quant’altro esiste nel sopradetto Colle Supsi, cioè casali o loro vacaboli, quanto concesso in usufrutto con le predette eccezioni. Inoltre concediamo a te conte Mainardo e ai figli tuoi le terre della nostra chiesa nel fondo Boceniano e nel fondo Fiano, vocabolo Cortiano moggi duecentoquaranta continui con frutti e piante. Confini da capo la terra tua; da piedi fino al rivo con la tua terra; dall’altro il rivo che è detto Tassenario, e la terra tua e di altri uomini e i luoghi predetti Buceniano e Ofiano. Concediamo a usufruire e far fruttare, mai vendere ne donare, ne alienare ma da riconsegnare, finita la terza generazione. con questo atto scritto di convenienza il vescovo riceve in proprietà da parte del conte a favore della chiesa <Fermana> centoventidue moggi di terra e vigna non contigui, a confine con le terre della chiesa, di singoli uomini, la strada, i fossati, e i limiti. inoltre riceve altri cento moggi di terreni contigui nel fondo Sparagario; a confine da piedi con il rivo Tassiano, da un lato la terra del predetto monastero Sabinense; dall’altro lato il rivo di Baranio e la terra della chiesa <Fermana>. Inoltre settantotto moggi di terreni contigui nel fondo Remeliano; a confine da piedi e da un lato con il rivo; dall’altro la terra dello stesso Mainardo. Inoltre quaranta moggi di terreni non contigui nel fondo Prosciano e a Casarico e Maccula, a confine con le terre della chiesa <Fermana> e le terre di Guli e di altri uomini. Inoltre duecentosessanta moggi di terreni contigui, a confine da capo e da piedi e da un lato con la terra dello stesso Mainardo e di altri uomini e dall’altro il fiume Aso. Per maggiore fermezza di questo atto il vescovo riceve la carta che queste terre concesse da Mainardo restano in proprietà con ogni diritto della chiesa <Fermana>. In questo atto di ‘convenienza’ la chiesa <Fermana> riceve duemila soldi in oro, argento e beni mobili. Inoltre la famiglia di Mainardo dovrà versare ogni anno, antro il mese di gennaio, fino alla terza generazione, il censo di cinque soldi di denaro monetato al vescovo nell’episcopio fermano o mettendolo sopra l’altare <alla presenza> del custode della nostra chiesa, da parte vostra o dei vostri inviati. Qualora per un anno, o due, o tre, o quattro non avrete pagato, nel quinto anno dovrete pagare tutte le annualità insieme e finita la terza vostra generazione, senza alcun inganno tutto questo tornerà alla chiesa. In casi di inadempienza degli impegni predetti da parte del vescovo Gaidulfo o successori oppure da parte del conte Mainardo e sua famiglia per qualsiasi motivo, <penalità> seimila soldi francesi (Franciscos) e questo atto di ‘convenienza’ permarrà stabile secondo gli editti dei Longobardi Di questa ‘convenienza’ sono scritti due atti dal notaio Lupuino nell’anno 977 dell’Incarnazione al tempo dell’impero di Ottone, suo decimo anno e al tempo dei principi Pandolfo nell’anno undicesimo e del figlio Pandolfo nell’anno quinto; nel mese di gennaio, indizione quinta; a Fermo. in questo atto di ‘convenienza’ firmai di mia mano Gaidulfo vescovo l’atto da noi fatto. Io Anso arcidiacono feci dichiarazione. Io Alvino diacono e primicerio firmai di mia mano. Io Pietro arciprete confermai Io Giovani presbitero diedi il consenso e firmai. Io Pietro presbitero e cardinale e difensore firmai. 

Doc. LIV

Anno 981 febbraio 3

Ottone II conferma i privilegi imperiali di Farfa

(Regesto Farfa  III p.116 doc. 406)

 

Nel nome della santa ed individua Trinità. Ottone imperatore augusto per disposizione superna. Se confermiamo e arricchiamo con cuore sereno le nostre chiese, siamo del tutto certi di rafforzare lo stato del nostro impero e di ricevere dal re eccelso la salvezza dell’anima. <Sintesi> L’abate di Farfa Giovanni si è presentato all’imperatore a chiedere la conferma della protezione accordata dai re e dagli imperatori predecessori per la stabilità dei domini del monastero. Vengono elencati sedici ‘contadi’ tra cui quello Fermano con i diritti concessi ai Farfensi. Viene confermata la tutela imperiale. Contro i trasgressori penalità di mille libre di oro purissimo. Segno dell’imperatore. Scrisse il cancelliere Giovanni nelle veci dell’arcicancelliere Pietro vescovo. Data  giorno 3 febbraio anno 981 dell’incarnazione del Signore, indizione nona, ventesimo anno del regno e quattordicesimo anno dell’impero. Redatto in Puglia ad Arici.

Doc. LV

Anno 981 marzo (a)

Giudicato a Monte Granaro a favore di Farfa

(Regesto Farfa III p. 100 n. 398; Chronicon Farfense I p347 )

Nel nome di Dio. Notizia del giudicato. Mentre noi Egemno alemanno, messo dell’imperatore Ottone sedevamo nel placito nel luogo di Montegranaro presso san Pietro, con noi sedevano, presenti e residenti, lo scabino Adam, lo scabino Attone e Upezone figlio del fu Arduino ed i fratelli Trasberto, Adelberto e Benzone, figli del fu Pertone, e Campone figlio del fu Ilderico e Benedetto e Lupone e Letone e Giovanni Dieto e altro Giovanni. Qui è venuto, alla nostra presenza, Giovanni abate di Santa Maria Madre di Dio, dell’Acuziano in territorio della Sabina insieme con il suo avvocato Sienulfo scabino ed ha fatto querela contro Gottifredo figlio del fu Sieredo (Sierardo) e disse a noi: “Signori, giudicate a noi la legge di questo Gottifredo. Tu tieni i beni di questo agglomerato curtense (curte)di San Pietro che appartiene al monastero di Santa Maria Sabinense di cui io sono avvocato. Voglio sapere se appartiene e te per una carta scritta o per eredità o per un qualche documento scritto o per qualsiasi ragione trovata”. Allora noi suddetti messi dell’imperatore e scabini e ‘buoni uomini’ giudicammo che dovesse rispondere. E lo stesso Gottifredo, venendo alla nostra presenza, disse: “Certamente, signori miei, vi dico la verità che di queste cose e dello stesso agglomerato curtense di San Pietro per il quale sono richiesto dall’avvocato dell’abate, a me nulla appartiene, né mai deve appartenere, né per eredità, né per carte scritte, né per altro documento né per una ragione trovata”.

Allora noi messi imperiali e scabini e ‘buoni uomini’, avendo ascoltato questa rinuncia dichiarata da Gottifredo, giudicammo che lui cessasse e tacesse, mentre il predetto monastero con il suo abate ha da tenere e avere in proprietà e possedere con sicurezza. Io Arduino notaio scrissi il presente giudicato, da quello che è stato detto, come sopra, dal messo dell’imperatore, dagli scabini e dai ‘buoni uomini’; nell’anno 981 dall’incarnazione di Nostro Signore Gesù Cristo, anno quattordicesimo dell’impero dell’augusto Ottone, mese di marzo; indizione nona.

Doc LVI

Anno 981 marzo (b)

Concessione di terre al chierico Traso(ne).

(Liber Largitorius I pp. 199-200  n. 363; Cfr Chronicon Farfense I p. 358)

I fratelli Trasone, chierico e Pietro e Atto(ne) ottengono <in enfiteusi> moggi ottanta di terra nella “curte de Moliano” dove si dice <vocabolo> Cornialeto da Sole o Coda Cavallina, nella valle del Cremore al prezzo di soldi cento con l’obbligo del canone annuale di denari sei.

Doc. LVII

Anno 981

Ottone II conferma all’abbazia di S.Croce all’Ete i suoi beni.

(Arch. S. Elpidio a M. ACCARDO Internet )

Privilegio dell’imperatore Ottone <II> che conferma al monastero di Santa Croce tutti i possessi e le proprietà a questo pertinenti in modo giusto e legittimo, confermati dagli imperatori predecessori Carlo e da Ottone <I> suo padre. Sono corroborati tutti gli averi spettanti a questo monastero, sia quanto possiede ora, sia quanto gli sarà concesso in futuro, cioè gli agglomerati fondiari curtensi (curtes), quello di San Marco con metà del Porto chiamato Chienti e con metà del Rivo Puteo <=pozzo> e con il litorale marittimo, inoltre l’agglomerato curtense di San Giorgio di Cerriolo, e l’agglomerato curtense di San Patrizio e l’agglomerato curtense in località chiamata Ulmo (=olmo)  e l’agglomerato curtense di Sant’Agata de Lucilliano o il territorio di Santa Maria, genitrice di Dio, in Castiglione, e l’agglomerato curtense della Santa Resurrezione con castelli, chiese e tutte le pertinenze, e l’agglomerato curtense di San Pietro con sue pertinenze e l’agglomerato curtense di Ponticello con sue pertinenze e soggiacenze, anche la Villa chiamata Catetiano, inoltre tutti i beni mobili ed immobili che appartengono a questi aggregati curtensi, ville o luoghi, in case, poderi, castelli, torri, edifici, servi e serve, aldi <=liberi>, coloni e colone, livellari e cartulati, prestandari, precari, famigli dell’uno e dell’altro sesso, masserizie, campi, prati, vigne, pascoli, selve, acque, corsi d’acqua, pescagioni, ‘venagioni’, saliceti, canneti, oliveti, molini, terre coltivate ed incolte, beni divisi ed indivisi. Nell’anno del Signore 981, anno ventesimo del regno di Ottone e tredicesimo del suo impero. Indizione nona. Redatto a Roma. Felicemente.

Doc. LVIII

Anno 981 maggio 5.

 

Ottone II conferma i privilegi imperiali a Farfa

(Regesto Farfa III  p. 117-118 doc. 407; Chronicon Farfense I pp.344-346)

 

<Sintesi> Ottone conferma i privilegi imperiali su richiesta dell’abate Giovanni, presentatosi all’imperatore. Si elencano chiese e località, tra cui nel Contado Fermano: S. Vittoria con sue pertinenze. Data, giorno 7 maggio, anno 981 dall’incarnazione del Signore, indizione nona, anno ventunesimo del regno e quattordicesimo dell’impero. Redatto a Roma. Nel nome di Dio. Amen.

Doc. LIX

Attorno al 982

Ottone I e Ottone II  ridiedero a Farfa i beni dissipati. (Regesto  Farfa, V, pp. 284-285  x-y; senza anno.

 

Ildebrando ‘abate’ nella Marca <Fermana> distribuiva i beni del monastero <di Farfa> Diede a sua moglie Inga l’azienda fondiaria”curte” di Sant’Ippolito e il Campo di Massimino. Anche ai suoi figli l’azienda fondiaria curtense di San Benedetto e Mogliano e Faxenaria. Pure l’abate Adamo distribuiva ogni cosa nel <luoghi> Sabini ed a capo del monastero. Pure Campone <faceva ciò> nel Contado Reatino. E Ildebrando nel Contado Fermano. Questi tre invasori insieme e nello stesso tempo rapinavano e depredavano e dissipavano. Così fu annichilito questo monastero. In seguito però i piissimi imperatori Ottone I e <Ottone> II restituirono fermamente a questo monastero tutte le cose che essi avevano dissipate. 

Doc. LX

Anno 983

Menzione della Marca Fermana.

(M.G.H. Diplomata regum ete imperatorum Germanicorum II, 1 pp. 334-335 n. 287)

Nel documento di Ottone II all’abbazia abruzzese di Casauria viene menzionata  la”Marchia Firmana”.

Doc. LXI

Anni 983-984

Il papa fa restituire a Farfa i possedimenti perduti

(Chronicon Farfense I p. 47)

Ottone II governò felicemente con giustizia. Avendo molto a cuore anche questo monastero <Farfa> diede all’abate, per riordinare i possedimenti di essa, il proprio cancelliere Pietro Diacono, che poi fu vescovo di Pavia e in ultimo fu eletto papa. Egli restituì al predetto monastero e al suo bate tutti i possedimenti perduti. Ma vivendo l’abate Giovanni disonestamente, fu accusato presso l’imperatore dal governo monastico e affidò l’incarico a un certo Adam, fino all’udienza.

Doc. LXII

Anno 985 circa

Duplicità del dominio dei farfensi

(Chronicon Farfense I pp. 47-48)

 

Prima che l’imperatore potesse venire per l’inchiesta sull’abate Giovanni da lui deposto> morì e fu sepolto a Roma. Da Adam abate Farfense> vennero grandi disordini. Gli abati fecero un accordo spartendosi i domini Farfensi per cui nella Sabina, nel ducato di Spoleto e nella Tuscia li tenne l’abate Giovanni; nella Marca li tenne Adam <vescovo ascolano>. Ecco che si cominciò di nuovo ad alienare i beni monastici (…) Ottone II tolse il gioverno monastico e lo restituì a Giovanni. Qwuesti,riunita l’Abbazia  visse un altro anno soltanto Gli successe nel governo Alberico preposito di questo monastero il quale visse solo sei mesi.

(Per MICHETTI, Traduzione p. 63 Albericoabate nel 996 era stato preposito a Santa Vittoria dove dice vissuto Adam)

Doc. LXIII

Anno 990 aprile 1

L’imperatrice Teofane conferma la tutela imperiale e l’unità dei Farfensi

(Regesto Farfa III p. 114 doc. 405)

L’imperatrice Teofanio (Teofania vedova di Ottone II e  madre dei Ottone III)  dichiara che “l’abbazia” a Santa Vittoria in Matenano, nella Marca Fermana, va considerata come figlia di quella di Farfa e dopo la richiesta di riunificazione fattane dall’abate Giovanni concede a lui l’imperiale investitura e il manduburdio <protezione> per tenerle unite in pace. Penalità contro i trasgressori di cento libre di ottimo oro. Scrisse il cancelliere Adelberto nelle veci dell’arcicancelliere Pietro vescovo. Data, giorno 1 aprile anno 990 dal’incarnazione del Signore, anno diciottesimo dell’impero di Teofani, indizione terza. Redatto a Ravenna. Felicemente.

Doc. LXIV

Anno 990-996

Il vescovo Adam fonda un monastero nel Sumatese Ascolano, dotandolo di beni.

(Regesto Farfa V pp. 245-246 doc. 1269)

Nel nome della santa ed individua Trinità. Adamo, vescovo per divina grazia, informa la laboriosità dei fedeli cristiani e degli ordini ecclesiastici che con il consiglio di moltissimi sacerdoti e leviti e di persone laiche nobili della parrocchia sua, ha deciso di fondare una chiesa del beato Benedetto in territorio Ascolano, in località chiamata Sumati, dove si dice <vocabolo> Tra Case e Parasole, ed un monastero per uomini in familiarità con Dio in modo che effondano molta preghiera al Signore re, per l’incolumità e la pace dei viventi e per la quiete dei defunti. Vi stabilisce come abate Azone, prete umile ed onesto, con il consiglio dei sacerdoti primari della santa Chiesa e concede mille moggi di terre site in vari luoghi secondo la geometria. (Confini) Da capo Forcella detta Vetullo; da piedi il fiume Quieto; da un lato la strada che viene dal confine; dall’altro lato il fossato detto Cupo, inoltre concede due “sostanze” una vicino al fiume Quieto e l’altra a Ripa e Aqui.

<Sintesi> Si riserva la consacrazione <degli edifici>. Proibisce ogni permuta e alienazione, con la penalità di mille “aurei” di composizione <e permane la fondazione>. Stabilisce l’obbligo annuale di portare ai vescovi successori due pani e due ceri, ciascuno lungo un cubito. Gli abati nel tempo correggano i confratelli tiepidi o immorali e le eventuali colpe. Scomunica chi voglia svuotare il monastero per astuzia o avidità. Firme del vescovo Adam e dell’arcidiacono Rodelando e dell’arciprete Giovanni e dei due preti, Lupo e Giovanni e del decano primicerio Azo e del prete custode della chiesa Giovanni. Scrive l’atto Giovanni, altro prete.

 

Doc. LXV

Anno 995 febbraio

Trasone dona terreni alla Chiesa Fermana tenendone l’affitto.

(Archivio Fermo Liber 1030 ed. pp.228-231

Nel nome di Dio salvatore Gesù Cristo. Anno 995 dalla sua incarnazione, al tempo del duca e marchese Ugo, anno nono; nel mese di febbraio, indizione ottava. Io Trasone Infantulo figlio del fu Trasone, di mia spontanea buona volontà, mi presento nella fragilità e nei pericoli nostri, e dichiaro che quello che io assegnerò a vantaggio dell’anima mia e dei miei eredi, destinandolo ai luoghi sacri e al motivo della pietà, rimanga fermamente stabilito, secondo gli editti dei Longobardi. Oggi dono e consegno alla chiesa della santa Vergine Maria, Genitrice di Dio, nell’episcopio di Fermo, sito dentro la città di Fermo, in modo che stia e rimanga nei diritti e nella proprietà della Chiesa Fermana, la roba di mio diritto che ho avuto dai genitori nel mio agglomerato curtense di Posuli con il suo castello, con la chiesa con i (lavoratori) cartulati o prestandari, con i molini e in integro nella superficie di millecinquecento moggi di terre, vigne, selva, coltivato e non coltivato, contiguo e non contiguo, con gli olivi, i frutteti, gli alberi e quanto ha sopra e sotto (il suolo). Inoltre dono e consegno in proprietà alla stessa casa di Dio della santa Chiesa Fermana altri beni, il mio agglomerato curtense di Pretorio e di Torziano con suo castello, con i (lavoratori) cartulati e prestandari e con litorale marittimo e con le pescagioni, nella superficie di millecinquecento moggi di terre, vigne, canneti, saliceti e selva, frutteti e alberi. I confini e termini (limiti) della suddetto agglomerato curtense di Posuli: <da capo> fino a Campo di Meso; da piedi fino al ‘ministero’ di Valle; da un lato fino al fiume Chienti; dall’altro lato il fiume Potenza. Nulla mi riservo, tutto consegno con le pertinenze di case, casali, castelli, chiesa, colonie, terre, come sopra, pascoli, prati, rive, acque, corsi d’acqua, e (lavoratori) cartulati e prestandari e pensionari (affittuari) e dopo conclusa la generazione (predeterminata), tutto deve ricadere e tornare ai diritti e alla proprietà della santa Chiesa Fermana stabilmente. In caso di inadempienza o di lite da parte mia e degli eredi miei, la penalità è di riconsegnare il doppio con migliorie di fondi residenziali stimati simili, secondo i decreti dei Longobardi. Scrissi io notaio, su richiesta. Firmò Trasone Infantulo in questa donazione e sottoscrisse Ofredo, richiesto da Trasone.

<Nota che il nome del notaio non c’è scritto>

Doc. LXVI

Anno 996

Ottone II conferma i privilegi imperiali al monastero di S. Croce all’Ete

(Arch. di Sant’Elpidio a Mare; ACCARDO)

 

Privilegio di Ottone <III> che conferma  al monastero di Santa Croce i beni donati dai suoi predecessori, da Carlo, dal suo nonno Ottone <I> e dal padre Ottone <II> cioè gli agglomerati fondiari curtensi di san Marco con la metà del porto chiamato Chienti e con il litorale marittimo con metà del rivo Puteo (=pozzo), inoltre l’agglomerato curtense di San Giorgio di Ceriolo con le sue pertinenze, l’agglomerato curtense di San Patrizio, l’agglomerato curtense di San Giovanni del Chienti con sue pertinenze e soggiacente e l’agglomerato curtense di Santa Agata di Lucilliano con pertinenze, inoltre il territorio di Santa Maria, genitrice di Dio, in Castiglione con suo porto e litorale marittimo, inoltre l’agglomerato curtense di Santa Cecilia di Camporo con sue pertinenze e la cappella di San Giovanni con suoi territori vicino alla Villa chiamata Braneto e la villa chiamata Catecciano con sue pertinenze; inoltre l’agglomerato curtense di Sant’Ilario con suo castello e con altre pertinenze; inoltre l’agglomerato curtense di San Pietro con sue pertinenze; inoltre l’agglomerato curtense della Santa Resurrezione con castelli e chiese e ogni sua pertinenza, inoltre l’agglomerato curtense di Santa Maria di Paterno con sue pertinenze e <in generale> tutti i beni mobili ed immobili pertinenti ai predetti agglomerati curtensi, ville e luoghi, con case, poderi, castelli, torri, edifici, servi e serve, inservienti di entrambi i sessi, masserizie, campi, prati, vigne, pascoli, selve, acque, corsi d’acqua, pescagioni, venagioni, saliceti, canneti, oliveti, molini, terre coltivate ed incolte, beni divisi ed indivisi.

Nell’anno del Signore 996, indizione nona, anno terzo del regno di Ottone e primo del suo impero. Redatto a Roma. Felicemente.

Doc. LXVII

Anno 996 maggio 25

Ottone II conferma ai Farfensi la protezione imperiale.

(Regesto Farfense III pp.122-124 doc. 413; MGH. Scriptores XI, pp.538-539; Chronicon Farfense I p. 346)

 

<Sintesi> L’imperatore Ottone II, su richiesta, conferma ai monaci di Farfa i privilegi imperiali loro concessi nei vari Contadi, tra l’altro nel Contado Fermano: Santa Vittoria con tutte le sue possidenze. <Sintesi> Penalità di mille libre. Sigillo dell’imperatore. Scrisse il cancelliere Heriberto nelle veci di Pietro vescovo Cumano, arcicancelliere. Anno 996. Giorno 25 maggio (=otto alle calende di giugno). Indizione nona anno terzo del regno e primo dell’impero. Redatto nella Sabina nella corte di Getulio. Felicemente. Amen

(Nota:li Contado Fermano viene riunito a Farfa, dopo la duplicità di dirigenti)

Doc. LXVIII

Anno 996 ottobre

Enfiteusi con confusione di nome del concessionario e cessione di beni.

(Arch. Fermo Liber 1030 ed. pp. 685-688)

Nel nome di Dio. “Prestaria”. Io Uberto vescovo della Chiesa Fermana, insieme con la volontà di consenso dei sacerdoti primari messi a capo nell’ufficio della Chiesa Fermana, concediamo a te, Attone  <nel seguito è chiamato  ?Ugo, !?>  figlio di Ildeprando e ai tuoi figli e nipoti fino alla terza generazione, come prestito in usufrutto, una proprietà della nostra Chiesa Fermana, nel fondo Paperino, vocaboli Acciano, entro il ministero <amministrativo> di Forcella terre di moggi duecentocinquanta. <Confini> Da capo la terra nostra e la terra di Pertone(ne); <da piedi> fino alla metà del “rigolare” (fossato?); da un lato fino a metà rivo; dall’altro lato fino al limite (greppo) e alla terra dei singoli uomini. Inoltre cento moggi di terre in località Accullaragera, vocabolo Gleria. <Confini> Da capo fino alla strada ed alla terra tua; da piedi la terra della Chiesa Fermana; da una lato fino a metà del “rigolare”; dall’altro lato fino alla strada. Inoltre quindici moggi di terre e una ‘rota’ in località Rota di Fusioni, presso il fiume Tenna. <Confini> Da capo fino a metà del fiume Tenna; da piedi la terra tua e la terra di Perto(ne); nelle due restanti parti, la terra della Chiesa Fermana. Inoltre moggi dieci di terre e una ‘rota’ in località detta Marro Mantio, vicino al fiume Tenna. <Confini> Da capo la terra tua e quella di Perto(ne); da piedi e da un lato fino alla metà del fiume Tenna; Dall’altro lato la terra della Chiesa Fermana. Ciò soltanto fino alla terza generazione, per lavoro, fruttificazione, senza poter vendere, né donare, né permutare,, Né alienare in alcun modo, neanche a luoghi venerabili. Voi, Ugo (?!?) avete dato trecento soldi in oro, argento e beni mobili, che riceviamo per l’opera e per l’uso della Chiesa Fermana. Inoltre tu e i tuoi <eredi> fino alla terza generazione, dovete dare direttamente o tramite altri, ogni anno, nel mese di ottobre, una censo (canone) del valore di sei denari in argento o beni mobili, ponendolo sopra all’altare dell’episcopio (in chiesa) o consegnandolo al custode. Se nel primo anno non avreste pagato il censo, lo aggiungerete a quello del secondo anno. Dopo terminata la vostra terza generazione, queste cose devono essere riconsegnate alla proprietà della nostra Chiesa Fermana, senza inganno. Se tu, Ugo, o i tuoi <eredi> non pagherete <il censo> o non adempirete tutto quello che sopra è scritto, oppure se da parte nostra ci fosse mancanza nella concessione, o in caso di lite, stabiliamo una composizione.

Io notaio Adamo, scrissi su richiesta questa prestarla nell’anno 996 dell’incarnazione di Gesù Cristo, a tempo di Ottone imperatore per divina grazia, anno primo del suo impero nel nome di Cristo, nel mese di ottobre; indizione decima. In questa prestarla le firme di +Uberto vescovo di mia mano. + Io arciprete diedi consenso. + Io Giovanni presbitero e custode sottoscrissi e diedi consenso. + Io Pietro presbitero scrissi e diedi consenso. + Io Rodaldo presbitero e cantore diedi consenso e scrissi.

<Nota che alla fine non è scritto il nome dell’arciprete. Inoltre non si spiega come il concessionario sia chiamato prima Attone e alla fine Ugo.>

Doc. LXIX

Anni 996-997

La chiesa di San Giorgio presso Ferrario è concessa a tre chierici.

(Liber Largitorius I p. 212 n. 386 e Chronicon Farfense I p. 362-363)

Giovanni abate di Farfa, concede <in enfiteusi> a tre chierici locali, la diruta chiesa di San Giorgio, in località detta Cerquito, al  prezzo di soldi.<***>. <Confini> Da capo la terra di (M)ai nardo conte (Rainardo) e il fossato Macchie; da piedi l’acqua di Maivilla; e il fossato di Folle che confluisce nel fiume Aso, con i molini e i corsi d’acqua; dall’altro lato il Fosso Curvo e la strada di Tenna fino a Capo Lantiniano maggiore e <Lantiniano> minore e fino a Forca di Ferrario; eccetto quanto precedentemente concesso con atto scritto a Benedetto figlio di Lupo. Con l’obbligo di versare il canone annuale di denari dodici al monastero <di Santa Vittoria> nel Matenano

<Non è scritto il prezzo>.

Doc. LXX

Anno 997 circa

Al vescovo Adam  Ottone fec togliere le proprietà farfensi

(Chronicon Farfense I p. 48)

I beni Farfensi tenuti da Adam, vescovo Ascolano, gli furono tolti dall’imperatore Ottone che li restituì all’abate di Farfa.  Giovanni sopravvisse un anno a questa reintegrazione dell’abbazia e, morto, fu sepolto nel monastero di Santa Vittoria sul Monte Matenano.

Doc. LXXI

Anno 998 marzo 14

Ottone II conferma i privilegi imperiali a Farfa.

(Regesto Farfa  III pp. 135-137 doc 425 e Chronicon Farfense  II pp. 6-9)

Ottone augusto imperatore dei Romani per divina clemenza  <sintesi> conferma i privilegi nelle varie proprietà Farfensi, elencando quelli in territorio Sabino e nella città do Rte e a Viterbo e nel Contado di Spoleto e nel Contado di Osimo e nel Contado di Siena e in territorio Camerinese enel territorio Fermano <vedi nel seguito> e nel Contado Abruzzese e nel Contado Pennese e nel Contado Reatino e nel territorio Balbense e nel Furconense e nel territorio Marsicano e enl territorio Amiternino e nel terriorio Interocrino e nel territorio Reatino, a Tore, a Corneto, a Narni, a Roma.

Nel territorio Fermano il monastero di S. Silvestro e S. Marina interamente; <oltre  trenta> agglomerati fondiari curtensi o “curtes” 1. di s. Salvatore sotto le mura della città di Fermo; 2. di S. Gervasio interamente; 3. di S. Sigismondo e la terra de Paratinis ; 4. di S. Angelo in Villa Magna; 5. di S. Desiderio; 6. di Cupresseto; 7. di S. Angelo in Nibiano; 8. di S. Venanzo; 9. di Colonnella; 10. di S. Felicita; le terre nei luoghi di Raviliano e di Solario; 11. di S. Maria in Mociano; 12. de Caminatis in località Murro; 13. di Bresano in località detta Segiano vicino al castello dei figli di Guazone; 14. di S. Maria Mater Domini; 15. di S. Maroto; 16. di Valle; 17. di S. Maria di Ortezzano; 18. di S. Salvatore in Memoris (?(Nemorie);

( Cronicon Farfense II pp. 6-9 precis) dopo 18 (San Salvatore) 18a. altra di Blotenano; altra 18b. di Sant’Antimo; altra 18.c. di Monte Falcone

19. di S. Maria Interamnes; 20. di S. Silvestro dentro la città di Fermo; 21. di S. Savino; 22. in Pretorio; 23.  il monastero di S. Maria in Insula con 23.(curte) di S. Martino in Aquatinis; altra 24. di S. Martino nel Monte sopral’Asola; 25 de Rotis; la terra de Maceriatinis; 26. di Mogliano in cui è la chiesa di S. Vittoria; 27. di S. Benedetto e Santa Maria posta sui Muri; 28. di S. Angelo fra le due Tenna; altra 29. di S. Angelo in località Margiano. (…) terre, vigne, monasteri, chiese soggette a questi, castelli, “curtes” <=Agglomerati aziendali fondiari>, abitazioni (‘domus’), ville, cappelle, acque e loro corsi <=fossati>, molini, mercati, terre coltivate ed incolte, <lavoratori> coloni, aldi <=liberi> e donne ‘alde’, (persone) che vi risiedono, servi, ancelle, ogni famigliare, di entrambi i sessi e tutti gli animali. <Sintesi per le immunità e privilegi fiscali> Si escludono le riscossioni ad parte di altri ‘freda’, o qualsiasi tributo da dare o pretse dui alloggio, fideiusssione, portonatico, ripatico, erbatico, ghiandatico, pontonatico da parte di chiunque altro, monaci o clero, duca, marchese, vescovo, conte, visconte , messo imperiale di passaggio,  sculdascio,  castaldio. Esenzione dal fisco regio perché i proventi fiscali vanno al monastero per sostentamento dei poveri e mantenimento dei monaci. In caso di controversie si ricorrerò a uomini nobili e veraci, non vili, di entrambe le parti.

Segno dell’imperatore. Scrisse il cancelliere Heriberto vescovo Vicumano. Data 14 (due giorni alle idi) di marzo; anno 998 dall’incarnazione del Signore, anno quindicesimo del regno di Ottone  e secondo dell’impero. Redatto a Roma. (Chronicon Farfense II, p. 9) Scrisse  Heriberto cancelliere nelle veci di Pietro vescovo Cumano) Indizione undicesima anno terzo del regno di Ottone e secondo del suo impero.

Doc. LXXII

Anno 998 agosto

Enfiteusi concessa dal vescovo Uberto a tre fratelli

( Arch. Fermo Liber 1030 ed. pp. 121-124)

Nel nome di Dio. Io Uberto vescovo della Chiesa Fermana, insieme con la volontà di consenso dei sacerdoti primari che sono messi a capo nell’ufficio della Chiesa Fermana, concedo in usufrutto a Lupo(ne) ad Adam e ad Azo, fratelli germani, figli del fu Rodecario ed ai figli e nipoti vostri fino alla terza generazione, in prestito usufruttuario una proprietà della nostra Chiesa Fermana, cioè l’agglomerato curtense o “curte” di San Vincenzo, che è all’interno del ‘ministero’ (amministrativo) di Sonile, in località chiamata Iscla con la chiesa ivi edificata di San Vincenzo; ad Iscla ed a Fontevecchia, nel Campo di Paterno; a Candele; a Trocclario; a Coseniano; a Tortano; a Capo; a Fileta; a Popetana o in altri casali o vocaboli, con tutto quello che appartiene a questo agglomerato curtense di San Vincenzo, case, terre, vigne, frutteti, alberi, oliveti, canneti, saliceti, campi, selve, rive, ripe, acque, corsi d’acqua, il coltivato e il non coltivato, in integro, moggi quattrocento. <Confini> Da capo fino alla terra e alla selva dei figli di Atto(ne) a cui appartiene l’agglomerato curtense di Paterniano e <suolo> pubblico di san Pietro e terra di singoli uomini; da piedi fino alla terra e alla selva di San Benedetto e di altri uomini; da un lato fino alle ripe del colle di Rapreto; dall’altro lato fino alla terra ed alla selva di Rodaldo e dei figli del fu Lupo. Diamo a voi fratelli queste cose per lavorare, e del fruttato fate quello che vorrete, senza frode alcuna sui beni di San Vincenzo, non permutare, non donare, non alienare, soltanto in usufrutto. In questa ‘convenienza’ (accordo) voi desta quattrocento soldi in beni mobili che prendemmo ad uso delle spese della nostra Chiesa Fermana. Ogni anno, nel mese di agosto, all’Assunzione di Santa Maria, dovete pagare dodici denari in argento o beni mobili, fino alla terza generazione. Dopo che questa sarà terminata i beni tornano <alla Chiesa>. In caso di inadempienza da parte vostra o da parte nostra, <penalità> soldi novecento, e l’accordo resta stabile. L’atto di prestarla fu scritto da me Adam notaio, con il consenso dei sacerdoti primari, nell’anno 998 dell’incarnazione del Signore nostro Gesù Cristo, anno decimo dell’impero dell’augusto Ottone; nel mese di agosto; indizione dodicesima. Firmano:  Uberto; e Pietro presbitero; e Rodaldo presbitero; e Atto diacono.

Doc. LXXIII

Anno 998 settembre 20

L’imperatore Ottone proibisce gli abusi sulle proprietà delle chiese.

(Regesto Farfa II p.187 doc. 226; ivi III, pp135ss n. 425; MGH Constitutiones I p. 49 n. 23)

Ottone  augusto imperatore dei Romani per divina grazia, ai Consoli,  al Senato e Popolo Romano. Agli arcivescovi, abati, marchesi, conti e giudici stabiliti in Italia, in perpetuo. Abbaiamo constatato che i vescovi e gli abati abusano dei possedimenti delle chiese e con atti scritti li assegnano a delle persone e ciò non per l’utilità delle chiese, ma a motivo del denaro e per amicizia. mentre i loro successori mostrano di non poter compiere le cose comandata in conseguenza del fatto che i terreni delle chiese sono tenuti da altri, ammoniti per ossequio al nostro ufficio di governo e per il restauro delle case di Dio che vengono pertanto ridotte a nulla mentre soffre un danno non minore la maestà imperiale e i sudditi non possono esprimere a noi i dovuti ossequi. Decretiamo di nostra autorità che per tutti gli atti scritti, livelli o enfiteusi, il danno torni soltanto ai loro attori, non ai loro successori (…) riguardo alle cose alienate che vengono revocate < e tornano  proprietà> ai diritti delle chiese. Tutti gli atti ed usi contro l’utilità delle chiese sono nulli ed invalidi. <Decreto> Promulgato nel terzo anno del pontificato di Gregorio, il 20 settembre 998 per mezzo di Gerberto arcivescovo di Ravenna.

<Sintesi del capitolare Ticinese. Divieto imperiale a che gli ecclesiastici concedessero possedimenti, senza utilità per le chiese onde evitare  speculazioni per appoggi politici.>

Doc. LXXIV

Anno 998

Il Vescovo Fermano al Concilio Romano.

MANSI Sacrorum Cinciliorum… ed. a. 1774 Venetiis vol. XIX col. 226 e 999)

Al Concilio <sinodo> Romano dell’anno 998, indetto dal papa Gregorio <VI> con l’imperatore Ottone III., era presente il vescovo Fermano Uberto.

Doc. LXXV

Anno 999 circa

Elenco di proprietà Farfensi usurpate: tra cui per il Fermano.

(Regesto Farfense V. pp.285-302 doc. 1297 anno incerto Chronicon Farfense I p. 252)

<Sintesi>Le proprietà Farfensi tenute da usurpatori erano in varie località, tra cui, nella zona Ascolana <sette aziende fondiarie=> “curtes” di Cupresseto; e di S. Desiderio; e di Mozano; e di Partinis; e di S. Gervasio; e di S. Sigismondo; e del Menocchia.(…)

In territorio Fermano, dentro la città di Fermo la chiesa di S. Silvestro tenuta dal figlio del conte Ugo; ivi il vescovo tiene due chiese nel borgo; i marchesi presero ingiustamente da molti anni la “curte” di S. Savino in Passerano. Grimalddo, figlio del vescovo, tiene la  “curte” di Suvile. Lamberto figlio di Giso tiene molte terre presso Campo Asprano ed in montagna la  “curte” di S. Angelo in Tesenano. Gualkerio figlio di Ingelramo tiene le  “curtes” di S. Maroto e di S. Gregorio d’Ortezzano con le loro grandi pertinenze; la  “curte” di Fecline con sue pertienenze e a Runcone e in Albagnano e in Torrita. Il figlio di Smidone tiene la  “curte” di <S. Salvatore> in Memorie <=Nemore> e il figlio di Atto di Follano. Il figlio di Aderamo di Cerestano ivi possiede beni. Il figlio di Rampo tiene il castello Fageto. Dimenticammo <di riferire> la chiesa di S. Giovanni ai piedi (=foce) dell’Aso. Il conte Mainardo tiene la  “curte” di Cisterna e di Monacisca presso il fiume Tenna e la  “curte” grande e spaziosa di Mogliano con molte pertinenze e la  “curte” di Apriano e la terra e il castagneto a S. Angelo in Merzano. Il figlio di Trasberto tiene la  “curte” di Monte Granaro e Gottifredo. Anche il figlio del chierico Giovanni e Giso chierico. Il figlio di Guido tiene la  “curte” di Rote, anche Adelberto figlio di Trasberto.(…)

Doc. LXXVI

Secolo X

Spiegazione dell’enfiteusi e delle perdite dei pagamenti annuali dell’affitto.

(Chronicon Farfense I p. 46, e 325)

Scrive nella “Destructio” l’abate Ugo che alcuni <concessionari> da tempo difendevano gli atti delle concessioni fatte da Ildebrando (anni 937-970) mentre invece dovevano rispettare l’annullamento fattone dall’imperatore <qui doc.LXXV anno 998 >. Gli antichi giuristi, per i contratti di elargizione e di concessione delle cose delle chiese, vollero usare la parola “enfiteusi” di cui insegnarono  il significato  come miglioramento e aumento per i beni ecclesiastici. Per i giuristi pertanto queste concessioni (enfiteutiche) andavano sancite con l’autorità della legge,  allo scopo di lavorare <=arare>, di coltivare, di migliorare, di usufruire dei raccolti, secondo alcune porzioni, come di  metà o di parte terza o quarta, o quinta, da spartire con i padroni (proprietari) delle terre, mentre le attività manuali e dei bovi dovevano essere esercitate da coltivatori (lavoratori), e dagli “azionari”  di  chiese, dai quali doveva essere pagato il compenso annuale come pensione (o censo). Avveniva invece che costoro, nel ricevere annualmente il “censo” ne facevano soltanto mercanteggio per il proprio interesse e non lo  usavano per il miglioramento e per l’aumento delle chiese, oppure ne riconsegnano ben poco e temporaneamente <al proprietario>.

Doc. LXXVII

Secolo X, circa

Persone e famiglie nei possedimenti Farfensi.

(Regesto Farfa V p. 266-270  doc 1280)

Sono riferibili al territorio Fermano i nominativi ed i toponimi del lungo elenco che per esser considerati antichi, purtroppo senza data, con le chiese: S. Salvatore presso il fiume Potenza; S. Silvestro nella città di Fermo; S. Leucio fuori dalla porta della stessa città; ; e S. Paratiate; S. Maria Madre del Signore < presso Ponzano> e S. Savino e S. Giorgio.

Doc. LXXX

Anni del secolo X

Importanti codici di Fermo del secolo X.

(PRETE, S. I codici della biblioteca comunale di Fermo. Firenze 1960 pp. 20-21

Codice membranaceo del secolo X di carte 156  in cui sono rilegati venti quaterni contenenti vari autori: (a). CICERONE, De Invenzione (frammento inedito sino a metà sec. XX); (b): CASSIODORO, Institutiones; (c): Retorica Tullii <Ciceronis>; d. Marii Victorini rhetoris in primum Rhetoricon Ciceronis, (un centinaio di carte). Testi di pura tradizione classica usati nelle scuole fermane. Si ricorda che dall’anno 825 furono stabiliti da Lotario Studi Generali a Ivrea, Cremona, Cividale del Friuli, Fermo e Lucca.

Doc. LXXIX

Anni del secolo X senza data

Importante codice  già esistente a  Santa Vittoria in Matenano

ALLEVI, F., I Benedettini nel Piceno.  In “Studi Maceratesi 2” Ravenna 1967 p. 99

A metà del secolo  circa si riferisce il codice della Regula s. Benedicti che si conservava a Santa Vittoria in Matenano da qui portato via per esser messo nella biblioteca del Comune di Ascoli Piceno.

Doc. LXXX

Anni di fine secolo X

 

Gualkerio tenne i beni farfensi e pure  i suoi bisnipoti.

(Regesto Farfense V. pp. 205-206 doc. 1219 attorno all’ anno 1106)

<senza data; sintesi>I beni Farfensi siti nella Marca <Fermana> furono usurpati ancora da Mainardo figlio di Gualkerio; da Adalperto figlio di questo Mainardo, ed anche da Morico e Carbo figli di Adelperto, nipoti di Mainardo e bisnipoti di Gualkerio.

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