Maria Eletta Sani lettera c. 156
Viva Gesù
Ieri volli uscire verso il tardi per ricevere la Benedizione del SS.mo. Non posso ridirgli quanto ci stetti travagliata: mi pareva di stare in un fuoco. Non potevo sentire la p(arola/?) di Dio. Mi nascosi nella cappella di san Luigi per il grande disturbo e agitazione senza poter fare un atto di adorazione e di preghiera, anzi avevo un colmo di tentazioni di tedio, di odio senza fede, assalti di impurità, insomma lo feci per divertirmi. Ma fu il contrario. Ritornai con un’afflizione e inquietudine e con un dolore nella gamba che mi faceva spasimare. Dopo le (ore) sette mi si quietarono un po’ il dolore e l’inquietudine dell’anima; ma del corpo sempre male senza potermi muovere, oppressa che il sonno, appena si dorme. Con inquietudine e smania nel fare la meditazione: non trovo luogo né quiete. Questa mattina non so che meditazione abbia fatto. Mentre pregavo, come lei mi ha insegnato, non potevo formare parole. Ma tanto mi forzavo e dicevo di portare la Croce con Gesù. Mi sentivo un (non) so che di contento, ma turbato. E mi si rappresentò come Gesù con la Croce in (un) monte alto. Ed io, al primo moto e vista ho desiderato di incamminare verso il Monte Calvario con l’esercizio della mortificazione e delle virtù. Mentre mi faceva parere un monte di altezza che si innalzava di misura spaventosa e come impossibile da poterci camminare. Io piena di confusione ho detto che adoravo il vero Figlio di Dio Gesù unigenito dell’eterno divin Padre e il vero figlio di Maria Ss.ma. Mi son trovata piena di aridità e di turbazione e come impossibilitata per arrivare alla perfezione delle virtù. Intanto ho detto: “Mio Dio, so che siete Padre di misericordia e anche (che lo conver)tite voi. Ricevete me che avanti a voi sono un’infame, la più indegna che mai la terra abbia sostenuto. Non ci sarà mai che chi (è) immondo sarò mondo”. Io però non so se ci abbia azzeccato: mi è parsa più illusione che cosa di Dio. Io poi (mi) trovo al solito con smania e tentazioni di ogni sorte mi inducono alla morte: una smania che non vorrei essere io, mi attedia del medesimo vivere. Un giorno mi pare un secolo, un’ora mi pare mille, insomma il tempo mi si rende tedioso e insopportabile. Circa l’agonia e afflizione di spirito a me pare che mi incominciassero il giovedi grasso e fu più e più volte. Quel giorno non mi ricordo quante volte mi accadde, mi ha seguitato fino a questo giorno, due o tre volte al giorno e la notte. (Eh) sì che (in ) questo carnevale mi pareva più spesso. Tra notte e giorno erano più frequenti. Ogni volta che io consideravo Dio offeso dai peccatori, mi si fulminava lo spirito e restavo trafitta e agonizzavo da una viva luce e impressione nello spirito. Mi (si) affilava l’anima da una grande afflizione e veemente che restavo svenuta dai sensi: sudavo, gelata: nel ritornare in me mi (rit)rovavo il corpo gelato e le membra senza forza con una debolezza di vita. E mi sento come senza forze di respirare con una debolezza grande che la mia umanità lo ripugna, ma vorrebbe il sostentamento. Ma lo spirito … al vivo si ri(accenderà) in quella viva Luce non solo dei dolori di Gesù, ma nella viva rimembranza della Divinità (nel)la quale più si penetra al vivo e più s’innalza nel considerarla immensa ed infinita. Grande è la curiosità, grande senza poterne mai arrivare alla fine. Si riconosce l’Essere della divinità più al vivo. E mi fa capire un so che più di cognizione di Gesù come Dio e poi come uomo. Lo spirito distingue (l’essere e l’umanità di Gesù come addolorata) e gli enormi peccati che a lui rinnovano la passione ed i dolori. Ma poi nella distinzione che lo spirito capisce è illuminato da quella penetrante Luce della divinità: oh, che specie! Oh, che stupore! In che affilamento di spirito riconosce Dio nella divinità. Al che la lingua umana non sa spiegare l’infinita grandezza. Lì si capisce la grandezza e gli affronti delle offese e dei peccati, quanto son grandi e d’infinito male perché lo spirito penetra al vivo la divinità della Persona Divina e anche nello spirito resta una specie dell’una e dell’altra. E altre volte lo spirito è portato via da un impeto di compassione nel considerare i dolori mentali di Gesù. Si unisce più con lo Spirito e si penetra nell’essere dello Spirito di Gesù e ne resta più illuminato lo spirito e lì capisce … (la) divina unità e il rinnovarsi (del) dolore nella divinità, ma non più dolori come li patì nell’orto del Getsemani, solo il grande affronto all’immensa divinità. In questo riconosco più la volontà forte e più odiosa al peccato. Non so se avrò bene soddisfatto al mio dovere perché scrivo turbata e agitata e sbigottita di testa che non mi regge. Io ho fatto quanto ho potuto per soddisfare all’obbedienza. Mi raccomando alle sue sante orazioni e resto domandando la sua santa Benedizione.
/ Ceralacca ed indirizzo \ Al P. Scaramelli
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