Maria Eletta Sani nel monastero di Falerone 1753 Diario epistolare cc. 254- 255

SANI Maria Eletta cc. 254- 255 11 giugno <1753>
Viva Gesù e Maria
A gloria di voi, mio Dio, scrivo e per obbedienza del vostro Ministro.
Al 5 di giugno, la mattina feci la Comunione e dopo qualche mezzo quarto di ora mi accadde quello svenimento che non so spiegarle. Le accennai in un’altra lettera che a me pare di discorrere con Dio nel profondo dell’anima. Ma poi non so dove mi stia. Quando ritorno in me, mi pare di essere stata in un letargo. So che mi trattenevo con Dio, ma non so ridire come sia stato. Il giorno gettai sangue dalla bocca e mi causò una gran(de) debolezza. Ma non potevo fare di meno, perché il dolore nel petto era veemente. Più volte, quando siamo in coro assieme con le mie compagne, ai piedi di una statua di Maria SS.ma, io abbrevio le orazioni e presto mi vado via e parto per la gran confusione che provo in vedermi unita tra quelle anime, una tigre ed un leone tra tante colombe. Mi creda che se io avessi provato la Religione prima di vestirmi, quanto l’ho provata fin qui, non so se mi sarei vestita, non per altro fine che per le mie imperfezioni e difetti e vivere sì stoltamente, perché tra le monache (ci) vuole un grande occhio lungo. Si dà gusto ad una religiosa e si disturba l’altra. Ma non è cosa da potersi dire per lettera. In tutto sia benedetto Dio.
Vorrei dirle una cosa, che io già seguito a trattare con quella religiosa (come) più volte gliene ho fatto consapevole. E io mi credevo di farlo una volta di tanto in tanto. Ma la cosa si è fatta quasi continua. E perciò dà qualche ammirazione alle monache. Ma non viene tanto dalla Religione quanto dal Confessore. E vuole che mi venga a parlare e però non so che fine avrà, se un altro Confessore lo appro(verà). Temo che questo farebbe scossa. E io non vorrei per conto mio legare le mani alla Superiora. Oh! basta! Io temo che questa religiosa voglie scrivere a V. R.. Ma io le dico che per amore di Dio non mi leghi. Se la cosa dovesse essere a gloria di Dio, io mi rimetto, ma senza ammirazione e mormorio della comunità.
Questi giorni il Confessore ha dato la Comunione ed ha voluto che anche io la faccia. E perciò al 6 facemmo la Comunione. E tutti questi giorni mi sono accadute le cose solite della cognizione del proprio spirito e qualche raggio di luce, ma breve e fugace. Il giorno l’ho passato con desiderare questo divino Spirito perché adesso ho più bisogno di un nuovo Spirito e di spirito tutto principale e retto e santo.
All’8 di giugno, la mattina, nel fare orazione (…..) pregai Maria SS.ma acciò mi ottenga questa venuta dello Spirito Santo, se no è meglio che io muoia che non viva così: o am(a)re o morire, perché nella Religione, o da sante o non ci sta bene. Perciò io desidero un nuovo spirito: con Dio si fa tutto. La mattina feci la Comunione, ma ebbi lume più chiaro che per ricevere questi sette doni l’anima mia non stava in quello stato che si richiede. Ohimé, ché fu tanta la pena al vedere che l’impedimento vi è da me stessa. Ne concepii grande odio a me stessa e mi rivolsi verso Dio e dissi con lo spirito: “Mio Dio l’amore verso di me vi fa come impazzire: venire voi in persona (in) sì vile e basso luogo!” Più volte mi accade che mi sento certi trasporto veementi che mi fanno dare in eccessi e poi mi fa scrupolo perché temo di aver detto qualche sproposito. Altre volte mi sento certe infusioni nell’anima, come gli è, dico, tale mi accade. Mi sento un raggio di lume e di fede nella potenza (come) vederlo con l’occhio, mentre sto in corso, di vedere una nuvola di Beati spiriti che fanno trono a Gesù Sacramentato ed allora ne sento impulso di adorare con la faccia in terra, prostrata in atto di adorazione e di unirmi con quei Beati spiriti che adorano il loro Principe e Signore.
Altre volte mi accade che Gesù Crocifisso mi mostra le sue piaghe aperte e come fonte di misericordia e ne uscisse sangue. E perciò io da quel tempo, ogni giorno f(acci)o trentatré offerte di quel Sangue, parte per le anime del Purgatorio, parte per la confessione dei peccatori e parte per altre anime. Però io per il passato non glielo ho scritto perché temo che non sia di Dio, ma di mia fantasia. E dicevo: “Ho da dire ogni mio pensiero o fantasia? Pare una seccatura”.
Il sabato santo della corrente Pentecoste stetti in gran tentazione di turbazioni di essere Religiosa per essere io tanta iniquità e priva di ogni virtù perché pensavo …. di farmi monaca per farmi santa, ma, ohimé, che, ora, è un anno di monastero e pure sono quella stessa: non vi è vizio che in me non vi sia. Qualche volta non resto quieta dal Confessore, mi dà di rado l’assoluzione e poi non mi dà tempo che io vorrei accusarmi in generale, ma dei peccati passati e perciò non resto quieta nella confessione. Ma (ci) vuole pazienza. Spesso mi sento questo rimprovero che io non stavo bene tra le religiose e spose di Gesù Cristo. Mi viene timore e grandi angustie che queste cose che ho scritto non siano di Dio, perché (a) una sì perfida creatura non è possibile che Dio faccia sì grazie. E mi arreca le pene perché non solo io ho scritto il passato, ma è che scrivo ogni giorno.
La sera del 9, la vigilia della Pentecoste, a tre ore, mi prese(ro) una grande arsura e dolore nel cuore e fuoco interno. Ma io non so spiegarmi perché tra lo spirito e l’umanità stavo svanita. Non sapevo se io stavo in Purgatorio o in questa vita. Mi seguitò fino alle nove e tre quarti. La mattina mi preparai con lacrime di desiderio e pregai la Madre di Misericordia acciò mi ottenesse una venuta di questo divino Spirito acciò cangiasse il mio povero spirito e divenisse uno spirito principale e retto e santo. No so come mi stavo perché non stavo né in Cielo, né in terra. Come si suol dire stavo svanita. Giunse l’ora della Comunione e ricevei Gesù Sacramentato. E a me parve e potrei giurarci che la sacra Particola passata alla gola e nel cuore e nel petto sentivo un fuoco vivo e come se nel mio indegno petto ci stava una nuvoletta sì chiara e con una colomba. Ma non so spiegarmi e posso dargli similitudine perché lo intendevo nel profondo intimo dello spirito. Parve di provare una cosa di Paradiso, ma presto mi disparve. Dopo pareva di vedere aperte dodici porte di gran vastità ed io richiesi che volevano dire sì vaghe e belle porte aperte. E le vedevo in alto. Ebbi lume che quelle volevano indicare le dodici porte che deve fare l’anima per entrare a unirsi a Dio. La prima era l’umiltà. La quale conduceva molte altre virtù; e la seconda l’obbedienza cieca che conduceva una morte a se stessa e della propria volontà; la fede, la speranza, la carità, la sapienza, l’intelletto, consiglio, fortezza, scienza, pietà e timore di Dio. Ma conoscevo che la divina Bontà mi diede un assaggio di questi dodici gradi e grazie, ma poi mi svanì e mi ritrovai con il mio essere. Ancora mi sento la consolazione e quiete nel profondo dello spirito. Il giorno mi sentivo spesso certi sollevamenti di spirito che pareva volassi all’Empireo. Desidero per atto di carità della Angelina che mi preghi il Signore e veda se il Signore gli desse lume di me, se queste cose che il le scrivo siano di Dio o no, perché da poco tempo in qua io me ne sto con gran timore e perciò non vorrei scriverle. Intorno poi all’esame, se mi esaminano sopra la virtù dell’obbedienza non ci trovo mai un atto di perfetta obbedienza o per stoltezza o per negligenza: ci trovo mancamenti. Se mi esaminano nella carità non ci trovo in me quella carità dei santi; oh! Quante mancanze! Chi le saprebbe ridire? Sopra l’umiltà: ho questa superbia, se non è all’esterno; nell’interno sono più superba di Lucifero. Se vi è occasione di qualche atto, tanto si fa. Sopra la povertà: ancora non posso osservarla come desidero perché sono novizia. Tengo robe del mio denaro per quello che mi bisogna. Subito che presi l’abito, che mi vestii, mi lasciai tanto quanto mi faceva bisogno. Il resto diedi via tutto. Se arriverò a fare professione, allora sì che ci vuole l’animo distaccato e povero perché in questo monastero solo di quello (che) si porta indosso e letto dove si dorme, ed una cassettina di cartone per tenere il velo. Per altro non si può tenere altro. Però io desidererei che il libro della mia coscienza, come starà al cospetto di Dio, lo vorrei dare al Confessore, acciò vedesse chi sono, perché la mia lingua non finirebbe mai e non trovo vizio che io non l’abbia.
Più volte mi accade che la mattina non è il primo pensiero di Dio, o che sia suonato il campanello, oppure qualche altro pensiero. E mi fa scrupolo all’orazione mentale. Ci (son) volte che per essere stata male di notte, il corpo sta male e lo spirito non vuole raccogliersi. E dubito che venga da poco apparecchio nel recitare l’Ufficio qualche distrazione; la Messa chi sa come la sento, alle volte nelle tentazioni. All’esame del matt(ino): se f(acci)o presto il lavorare, ne f(acci)o poco alla mensa. Se non f(acci)o più che atto di retta intenzione mi fa mille scrupoli, perché non esercito la mortificazione. La ricreazione la f(acci)o perché non se ne può far di meno, ma se qualche volta posso fuggirla per fare qualche atto di carità o di obbedienza, la lascio.
Il Vespro e via dicendo: quando si sta in coro sempre dico: “Oh! Quando sarò al tribunale, quando sarò esaminata nelle opere spirituali, per la poca attenzione per (….) distrazione insomma!” Da poco, in qualche preghiera, quando si dice compieta, penso che Gesù fu sepolto: il mattutino, il primo notturno, che Gesù istituì (….) il SS.mo Sacramento; la licenza della madre; il ter(z)o, l’orazione nell’orto, le ore divise, quando fu condotto dal pontefice; la sentenza di morte, il viaggio al Calvario, la crocifissione e la morte.
La mortificazione della volontà c’è sempre. Io nell’interno ci sento qualche ripugnanza; ma non mi sforz(o ….) che non lo do a conoscere. Non so se mi sono spiegata e scrivo quanto la V. R. mi richiede.
/Ceralacca e indirizzo/ Al molto rev.do Padre padrone colen.mo – Il Padre Giacinto Aloisi della Compagnia di Gesù. – Perugia per Città San Sepolcro.

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