Lettera di Suor Maria Eletta cc. 187- 188
Viva Gesù e Maria
A gloria di voi, mio Dio, incomincio a scrivere e per obbedienza del vostro Ministro. Provai le solite pene e tenebre del conoscimento di me medesima, come la luce fa conoscere il sole in luogo scuro, così fa a me la Luce del divin Sole. Scende nell’oscura prigione dell’anima mia. La vedo fra mille catene e oppressa in tanti difetti e vizi. Io che per misericordia di Dio ho veduto come l’anima deve divenire per unirsi a Dio, in che candidezza deve essere per unirsi al suo Bene, adesso che vedo me stessa: “Oh, mio Dio, ohimè!” esclamando dico al mio buon Gesù che per me ci vuole il fuoco della sua Giustizia inesorabile, Giustizia per presto giungere all’accesa brama.
16 del corrente mese: con grande difficoltà tremando mi portai dal P. Confessore e prima di mandare la lettera alla posta io la leggei e la feci sentire al Confessore come V. R. mi ordinava. Subito la feci bollare alla superiora e fu mandata alla posta. Mi ritirai in camera piangendo per la pena, e sforzo di aver scoperto al Confessore il mio interno. Feci la Comunione non sapendo da che potesse venire, o che il mio Signore me lo desse per castigo o per darmi giusta pena. Mi sentivo un (non) so che, ché non potevo unirmi a Dio. Subito mi venne in mente Gesù appassionato come (e)sclamando anche lui allorché disse: “Dio, Dio! Perché mi hai abbandonato”, mi sentivo un abbandono in Dio, ma non io ritrovavo come è il solito. Tutto Quel giorno mi figurai di unirmi con Gesù abbandonato tra le pene e agonia di morte. Una di queste notti, patii e penai di tale maniera che già mi spaventava il dover comparire al divino tribunale del mio Giudice Iddio. Fu tale la confusione e la tentazione di diffidenza e del timore di salvarmi, che smaniando facevo atti di speranza nella divina Misericordia. Dopo di aver penato un pezzo mi rivolsi a Maria Ss.ma come speranza dei peccatori e che lei non voleva la perdita delle anime le quali a lei ricorrevano. Ebbi aiuto e da lei fui liberata da sì fiera tempesta. Bensì quando ci ripenso dico: “E quando arriverà l’ora da dovere? Ahimé, che farò?” mi spaventa. Un’altra cosa che mi dà fastidio è che in questo monastero si usa che quando si muore, alle monache dopo morte si mette la corona e i fiori e un giglio segno del giglio di purità … Non è possibile che io possa portare questo segno, perciò lo dico a V. R. che sa la mia coscienza. Io son risoluta di lasciarlo detto e se fossi certa che le monache me lo mettessero sarebbe un fuoco e starei quasi di non farmi monaca per il grande aborrimento che ne ho; solo per la mia indegnità. Io provo un’altra contrarietà: è che vado tanto malvolentieri al Confessionario. F(accio) pianti grandi quando mi vedo l’ora di andare dal Confessore. Non so se sia tentazione, eppure non mi dà fastidio la clausura. Ne sono contenta di starci sempre. La mia maestra si va accorgendo che io la notte non trovo riposo ed anche tra giorno mi vede come un morto in piedi e mi trova gelata e fredda. E lei, con una somma carità, mi viene attorno e mi pare che dal discorso venga a capire gualche cosa, benché io dico che è mio naturale. Ma lei mi usa carità e mi difende appresso alle altre monache (dal)le quali gli viene richiesto se che ho io. In particolare dopo che io ho fatto orazione e la Comunione, sempre resto come una svenuta. Mi forzo quanto: più posso, ma la pena dello spirito di stare con Dio e di ritornare all’umanità, ci peno e ne partecipa la parte inferiore. Questi giorni li ho passati al solito: cose accadute altre volte tanto nell’orazione, come nella Comunione. Per non poter più allungarmi, (mi) raccomando alle sue s(ante) orazioni che io lo f(acci)o per lei.
Falerone 23 giugno 1752 San Pietro <=Monastero>
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