SANI SUOR MARIA ELETTA Clarissa a falerone lettera cc. 183-184
A gloria di voi, mio Dio, incomincio a scrivere e per obbedienza del vostro Ministro. II nome del nostro Confessore è don Andrea Ferraresi. Già V(ostra) R(everenza) ha anticipato il tempo che già gli ha scritto. (Per) le angustie e le turbazioni, non so come mi scrivere. Mi incominciò il sabato e mi seguitò tutta la domenica. Lunedì feci la Comunione per la prima volta e mi si calmò un po’; ma tanto io non sto quieta. Provai sì fiera tempesta che forse non l’ho mai provata. Mi pareva di essere come (a) quel tempo che restai abbandonata da tutti i Confessori; che mi lasciò P. Santoni, così mi son trovata priva di tutti, senza aiuto. Andavo dicendo: “Dio mio, datemi aiuto e forza” ché non potevo reggere. Una copia di vero inferno io ho provato. Mi creda, e solo Iddio lo sa, ed io non so ridirlo perché pareva si fosse scatenato tutto l’inferno in me: ogni sorta di tentazioni e di suggestioni, un mare di tempeste. Ben mi accorgo che, quando il Signore vuole dare travaglio, benché abbia direttori e confidenti, pure non si trova ai bisogni. La Religione da me tanto bramata per ora la sento e la vedo tanto odiosa che niente mi si affà (=addice): poco posso mangiare, il dormire non si vede, lo stare a letto per me è un vero purgatorio, dolori di testa insoffribili. Mi sento avvilita, non credo di poter riuscire negli offici della Religione. Tutto mi sembra odioso. Mi pare che l’aver desiderato la Religione non sia stata la volontà di Dio, ma la mia e perciò non ci sto bene, né contenta. Quando però fosse volontà chiara di Dio, io tanto soffrirei queste pene e anche di più. Ma la mia angustia è che sia stato più mio genio, che volontà di Dio. Le tentazioni sono di ogni sorte. Perciò prego V(ostra) R(everenza) di farmi la carità di pregare il Signore acciò gli dia lume che io possa fare la sua obbedienza perché io mi son messa in testa che in questo voglio fare quel che lei mi dirà, benché dovessi morire.
E questo mi pare, di avvicinarmi alla morte per il male che mi sento: una tristezza e afflizione che fa prova di rompere e scroccare le ossa. Non ho mai provato simili affanni. Altro non f(accio) (che) nascondermi per non essere veduta per il gran piangere. Le monache mi fanno mille finezze e temono che io stia male. E io dico che il sole di quel giorno del viaggio mi fece male e l’aria che ho mutata; per scusa così dico. Vado dicendo tra me stessa: “Che voglio cercare di più, se qui nella religione vi è tutto di quello che io ho desiderato?” Tempo di fare orazione, comodo di visitare il Santissimo, quasi ogni momento, perché la mia maestra è l’infermiera e anch’io ho l’uffizio di aiutare l’infermiera e si passa spesso in un luogo dove si può salutare il Santissimo: veda che fortuna! Eppure io non la (ri)conosco. Quanto sono ingrata verso il mio buon Dio! Non mi sarei mai creduta di dover provare questo che provo. Mi credevo che la Religione mi fosse di contento e di giubilo, come lo provavo nel secolo, ché quando pensavo alla Religione mi sentivo un giubilo che pareva volesse rubarmi il cuore.
Nell’andare a visitare il Santissimo, il Signore mi usa misericordia e in queste visita pare che mi faccia un po’ quietare, ma per poco tempo. Martedì 6 del corrente mese, andai a visitare il Santissimo in un luogo ben nascosto e lì diedi in un gran(de) sfogo di mille tristezze e agonie, dovendo fare mezz’ora di orazione: mi figurai di invitare Gesù nell’Orto in qual mare di agonie. Queste pene che provo nell’interno, ma anche ne partecipa l’umanità, mi accresco(no) il moto del cuore con dolore che più volte mi sento svenire. Pare che (di) pena vogliano(no) rompersi le coste del petto. Questo è un monastero (dove) di continuo si fa orazione. L’ora della meditazione per me è di sommo tedio. L’ora che si recita l’Offizio non mi porta tanto tedio perché lo dico anch’io sotto voce, così vuole la mia maestra, acciò lo impari, e prenda la pratica di dirlo. Fra tutte le angustie non ho chi mi dia nessun conforto. Dal Confessore non posso accostarmi con confidenza fin tanto che ci prendo un po’ di libertà. Lui per verità, mi mortifica perché lo vedo sì compito, pieno di carità e di bontà. Già mi dice che io non tema e dica pure con libertà, che spera di darmi aiuto. Di più, mi ha detto che se io voglio dare le lettere che indirizzo a V(ostra) R(everenza) a lui … me le metterà per la posta e anche le lettere che lei mi scriverà. Dice di fare il soprascritto diretto a lui e che le darà a me con tutta fedeltà. Io dico però che questo è troppo incomodo. Non è davvero tanto. Io sono certa che le lettere sue e della sig.ra contessa, la madre Badessa le dà in mano mia, onde io son certa che non sono lette, perciò lei potrà fare come vuole; ma io direi, per scusa, che non è dovere si prenda questo incomodo il sig. don Andrea nostro Confessore, ma che lei potrà mandarle dirette a me. Lui gli vuole scrivere e gli dirà questo stesso. Lei dica che è troppo incomodo, quando gli risponderà. Oggi è l’ottava di Gesù Sacramentato e sto un po’ meglio. Questa mattina nel farsi giorno, Iddio mi ha visitato con un dardo di amore nel cuore. E’ stato sì veemente che io mi credevo di morire, mezza stordita, non mi ridavo (= ristabilivo). La mia Maestra credeva che io stessi male. E dopo la Comunione, Iddio mi ha usato misericordia e, mi ha dato animo che mi innamori della Religione,
Aggiungo che ho trovato simile il coro, e le monache e la chiesa, tale e quale, come io le vidi il giorno dei morti, come riferii a V(ostra) R(everenza)e si vive con una perfetta vita comune e da cappuccine. Di nuovo gli dico che io ho più genio che le lettere vengano dirette a me, ma al Confessore non gliel’ho voluto dire perché con(veni)enza mi è parso di non dimostrare che io non gli voglio restare obbligata e mi son rimessa a quello che vuole: così ho risposto. Compatirà se io scrivo così con poca virtù, ma io ho a caro che mi conosca al fondo, (per) la mia poca rassegnazione. Altro non ho richiesto che aiuto e forza: “Mio Dio!” così di continuo ho esclamato.
/ Ceralacca ed indirizzo / Al molto Rev.do Padre e padrone colendissimo – Il P. Giacinto Aloisi della Compagnia di Gesù Macerata
/ Sintesi altrui / Educanda di fresco. Descrive le sue pene e priva dei Direttori, tentazioni e timori di essersi ingannata andando alla Religione: i suoi mali e tristezze. Carca di consolarsi con vari riflessi. Nelle visite del SS.mo resta quieta. Racconta tutte le sue desolazioni e sfogo in una visita al SS.mo. La mattina dell’ottava del Corpus Domini dardo di amore e suoi effetti. Comunione, si innamora della Religione. Dice aver trovato tutto come conobbe nella visione. \
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