DAVANTI ALLA TOMBA DEL NIPOTINO
Sono passati degli anni, nipotino
e piccolo ti penso come allora.
Qui, genuflesso, sulla tua dimora
rivivo, insieme a te, come un bambino:
a scuola e in bicicletta, Giovannino
svelto e vivace, ti rivedo ancora,
ripensando a quel maggio, mi addolora
il triste giorno del fatal destino!
Più non sentimmo palpitare il cuore
non più una parola, un tuo sorriso.
Singhiozzanti e affranti di dolore
demmo gli ultimi baci sul tuo viso:
sembravi un angioletto, e come un fiore
Dio t’avea colto per il Paradiso!
RICORDO DI MAMMA
Era dicembre al principiar dell’inverno,
nei giorni gelidi, scuri e nebbiosi,
gli alberi sfregiati dal vento
rendevano alla terra le loro foglie.
Tutta la natura già dormiva
quando anche lei, la mamma mia
s’addormentò nel sonno eterno.
Senza un lamento, partì improvvisamente.
Or che la primavera è tornata
con i suoi fiori e con il manto verde,
il sol splende nei giorni riscaldati;
a me l’amor di mamma non riscalda.
Più non la vedo qui nell’aia, incontro al sole
o camminar appoggiata al suo bastone;
nella camera non odo la sua voce fioca
recitar preghiere per sofferenti.
Ora mi par di vederti tra i pellegrini celesti
come qui in terra trai pellegrini sofferenti.
Volgi lo sguardo ai tuoi cari
che lasciasti pellegrini in terra
e quando ci addormenteremo per sempre
porgici la tua mano per condurci a te!
RACCONTO DELLA VITA NELLE CAMPAGNE NEL NOVECENTO
L’unità d’Italia fu una grande conquista per quell’Italia allora divisa in sette Stati. Si fecero tante cose belle che so-no passate alla storia con i grandi personaggi dell’era ri-sorgimentale. Furono invece trascurati gli interessamenti per i lavoratori dei campi, oppressi dal capitalismo terriero. Ai quei tempi in campagna c’erano fatica e povertà, sia per la mancanza dei mezzi meccanici che la scienza, in Italia, non aveva ancora messo a disposizione dei lavoratori dei campi, sia perché si era schiavi dei grandi proprietari ter-rieri, latifondisti della grande e media borghesia. I prodotti venivano divisi in tre parti: due per il proprietario ed una per il mezzadro, ma l’oliva veniva divisa alla quinta parte: quattro per il proprietario ed una per il mezzadro.
Io sono nato nel gennaio 1906 a Belmonte Piceno, in un terreno dell’allora proprietà del conte Luigi Morrone Moz-zo di Fermo; un luogo delizioso per la caccia, ricco di quer-ce e di altre lussuose piante, con fabbricato annesso, usato dal padrone per le riunioni di personaggi illustri di quel tempo. Venivano lì a pranzare, a giuocare e bisbocciare specie in autunno all’apertura della caccia.
Il conte Morrone aveva migliaia di ettari di terreni tutti coltivati da mezzadri. Vi erano molti amministratori anche perché la sua proprietà era un po’ frazionata con dieci grandi fondi tra Belmonte e Montottone (Forche di Ten-na), molti altri a Fermo, Morrovalle, Monterubbiano ….
Questi conti avevano molta servitù, fattori, contabili, ma-gazzinieri, addetti ai cavalli, personale di servizio interno, camerieri e servi. Quando al mezzadro occorreva qualche cosa si doveva rivolgere al fattore che a sua volta lo faceva presente al ministro oppure al contabile, se era di sua com-petenza.
Ricordo inoltre il conte Marcello Gallo di Amandola, il conte Bernetti di Fermo, il conte Ganucci di Montegiorgio che oltre ad una grande proprietà terriera in Toscana ave-va terre fertili ed irrigue a Piane di Montegiorgio e potrei elencarne molti altri, come i conti Piccolomini, i Corsi di Belmonte Piceno, i Vinci di Fermo … Nel 1915 scoppiò la grande guerra e tutte le forze giova-nili e adulte partirono per la guerra. Rimasero nelle case solo donne, vecchi e bambini. Alcuni proprietari, per non lasciare incolti i terreni, premiavano gli sforzi dei lavorato-ri dividendo i prodotti a metà, ma per la verità erano in po-chi. Terminata la guerra, i contadini stanchi della trincea e delle ingiustizie umane formarono le leghe bianche e le le-ghe rosse: fin dal 1917 cominciarono le lotte nelle campa-gne, quando ancora non era terminata la guerra. Poi nel novembre del 1918 le leghe erano in piena funzione.
Mi ricordo, nelle aie, le trebbiatrici ferme, circondate dai contadini che non facevano trebbiare finché il proprietario non decideva di dividere il prodotto a metà. Fra i personag-gi che capeggiavano le leghe bianche del partito popolare di allora ricordo Sobrini di Sant’Elpidio Morico, rimastomi impresso come parlatore, trascinatore di folle. Lo ricordo bene: quando parlava, le sue prime parole erano rivolte alla forza pubblica per giustificare l’insurrezione delle masse. Le leghe bianche e le leghe rosse facevano una lotta comune con lo slogan “Evviva le bollette”
Cominciarono le bonifiche dell’Agro Pontino dove le terre erano tutte incolte e dove regnava la malaria (febbre ter-zana) e furono poi costruite lì molte città: Latina, Pomezia, Sabaudia, Cisterna ed altre. Si divisero terreni con moderne case, con superfici di circa dieci ettari, e forniti di irriga-zioni. Fu quella la vera riforma agraria perché essi furono gratuitamente assegnati ai contadini, soprattutto veneti, con famiglie numerose.
Vi era un certo ordine, riprese di molto il valore della moneta italiana, nel 1931 fu al culmine che durò fino all’entrata in guerra. Poi incominciò lo scontento pure di quelli che avevano inneggiato al Duce. Non fu per gli italia-ni una guerra voluta. L’esercito finì sbandato. Con l’armistizio avvenne il cambiamento. Si istituirono in ogni comune i comitati di liberazione.
Si incominciò a discutere della vita della gente dei campi. Mi ricordo che io disapprovavo il metodo violento con cui altri intendevano arrivare a più alte conquiste sociali nelle campagne. Preferivo raggiungere il benessere dei contadini attraverso la dialettica, le leggi più umane e più giuste, senza ricorrere alle lotte selvagge, alla banalità ed all’odio. Era allora un tema preoccupante quello della gente dei campi, in quanto un numero esorbitante di persone viveva in campagna e non era possibile una vita decorosa con i pochi redditi della terra, pochi soldi da destinare a troppe persone.
Si bloccarono le “disdette”, si riaccesero le polemiche, le lotte, poi avvenne il lodo De Gasperi che consisteva in una percentuale sui prodotti divisi anche per gli anni preceden-ti, finché non si stipularono per legge contratti con la divi-sione dei prodotti al 53% a favore del mezzadro, percen-tuale che poi fu alzata fino al 58%. Si dette avvio alle di-scussioni della riforma agraria cominciata dall’allora mini-stro Segni, sollecitata dalle organizzazioni sindacali e dai maggiori partiti politici. Contemporaneamente cominciava l’esodo dalle campagne. Soprattutto i giovani fuggivano in massa per andare nelle industrie, nelle città in cerca di un lavoro più decoroso e di maggior reddito.
Si è discusso per anni ed anni il passaggio, per legge, dalle mezzadria all’affitto. Sono stati fatti molti disegni di legge per la proprietà contadina. Una delle migliori riforme ha fatto sì che la maggior parte dei contadini, specie nei paesi collinari, diventassero proprietari dei terreni che coltiva-vano. Sono intervenuti i mezzi meccanici ad aiutare l’uomo nel lavoro dei campi, sono state create nuove industrie, nuovi posti di lavoro, tra l’altro con l’artigianato delle cal-zature. Qualche industriale acquistava terreni per mettere al sicuro i propri risparmi e fa grosse aziende. Il mezzadro ha avuto comunque un reddito minimo. Si sono fatte leggi per aiutare gli agricoltori con prestiti a tasso agevolato per attrezzi, macchine agricole, stalle, trattori, irrigatori …. Nonostante una legge per il passaggio dalla mezzadria all’affitto; la mezzadria è finita per morte naturale, perché il mezzadro oggi non potrebbe vivere con i prezzi così poco remunerativi dei prodotti, in rapporto al costo di produ-zione.
Con l’entrata dell’Italia nel Mercato Comune, l’agricoltura italiana non è stata agevolata, in quanto noi italiani non siamo competitivi per ragioni di clima, di fra-zionamento dei terreni, dalla loro natura, oltre che per l’aumento indiscriminato dei costi di produzione.
Vedo, a mio parere, uno squilibrio di massa creato dalla partitocrazia e dai sindacalisti: alti stipendi in certi settori e bassi in altri; lavoratori occupati con pensione ed alto reddito, mentre ci sono molti disoccupati in cerca di lavoro. Anche l’uso indiscriminato del denaro pubblico crea scon-tenti. La campagna, oggi, non arricchisce come l’industria ed il commercio e richiede molti sacrifici, pur tuttavia fa vivere all’aperto ed a contatto con la natura in un lavoro libero e responsabile. Si spera che in futuro l’agricoltura riprenderà il ruolo importante che le spetta, quale arte primaria, come è stata fin dai tempi più remoti della storia. Ma oggi i guadagni sono legati a industrie, commerci, tra-sporti e servizi.
Beato colui che, lieto vive, nei fertili campi suoi, attrezzato col-tivatore.
PRESSO L’ALBERO OMBROSO INSIEME A CAROLINA
Ripenso ai dì festivi d’una volta,
quando l’estate avvampava di calore,
al monotono canto di cicale,
sotto l’ombrosa chioma dell’albero
io e lei stavamo a riposarci.
L’ombra copriva il tavolo di pietra
ove mangiavamo al fresco della sera
con il venticello che saliva dal fiume.
Mi spiace adesso esser lontano,
vorrei risiedermi insieme a Carolina,
come nei tempi andati,
or che siam vecchi,
all’ombra tua dorata!
A CAMILLA MONALDI
Sopra il letto, il bel ritratto di mamma Camilla!
Vedo la donna intelligente, bella e laboriosa,
dal viso sempre allegro e sorridente,
di cuore buono, d’indole aperta e franca.
La ricordo insieme a Carolina giovinetta,
miravo le sue doti, i suoi modi.
Le volevo bene, sapeva comandare,
dar consigli: era pure per me la mamma.
Mi sembrava non ci dovesse mai mancare,
ma in un momento inaspettato ci ha lasciati.
Noi soffrimmo per quel vuoto incolmabile
per quella presenza che ci venne meno …
Ora tu ci ami ancora, ci guardi, ci illumini.
A te la mia preghiera, a te lo sguardo
quando mi sveglio al mattino.
Ci vuoi bene. Ci fai amare tra noi,
come quando eravamo giovanetti
che pacificavi i nostri capricci amorosi.
Fa che sempre viviamo insieme,
nella chiarezza della fede in Dio
e regni tra noi pace ed amore
per ricongiungerci a te, lassù nel cielo!
DAVANTI ALLA TOMBA DI MAMMA GIUSTINA
Mamma!
Sono venuto nel camposanto, a trovarti stamattina.
Solo, non odo voci né rumori, qui è pace, è silenzio,
mentre là, in chiesa, si celebra la Messa.
Sono solo qui avanti alla tua tomba,
a colloquio con te, mamma!
Il mio cuore parla, ricorda e piange!
Da questo avello mi guardi, ancora
ed io in silenzio dico la preghiera
che da bambino mi hai insegnato.
Mamma! Vedo le tue mani incrociate
che stringono il Crocifisso,
quella mani che mi hanno accarezzato,
che mi hanno retto nei primi passi,
che hai posato sulla mia fronte
nei momenti di dolore, quando ero bambino
e quando sono partito e tornato da lontano.
Ancora posi su di me i tuoi occhi belli
col tuo sguardo amoroso, odo la tua voce
dalla quale ho imparato ad amare e pregare.
Mamma! Come sono felice di esserti vicino,
confidarmi con te, gustarmi tanti ricordi,
chiederti ancora consigli,
sentirmi ancora attratto dal tuo materno amore!
Ora qui intorno aleggia di splendor
e pieno di gloria lo spirito tuo immortale.
Ed io commosso, pentito, seguir l’orme vorrei
della mia mamma e con lo spirito mio purificato,
insieme con mamma abitar per sempre.