POESIE DI GAETANO SBAFFONI BELMONTE PICENO: domenica, campane, riposo, piazza, Loreta Monaldi, autunno

AUTUNNO
L’autunno arriva con le piogge e il vento,
strappa le foglie ingiallite e morte
rende spoglie le piante e desolate.
Vedo i vigneti coi capelli sciolti
dopo aver dato grappoli dorati.
Lontan per me non è l’autunno della vita
e come te, o foglia,
anch’io ho vissuto.
Tu riparasti da estivi calori
i frutti e i grappoli belli,
li difendesti ancor dalle intemperie
per farli diventar buoni e pregiati.
Io soffro ancora
per le ingiustizie umane
e fra tutti i tormenti
anch’io, ingiallito e vecchio,
me ne andrò a sopirmi con te,
e m’avvedo senza dar dei buoni frutti!
Natura mi fu avara di doti,
pur, vissuto tra i popolani,
lavorando nei campi silenziosi,
ho lo sguardo ognor rivolto al cielo
perché il breve percorso della vita
la luce della fede lo rischiari!

A LORETA MONALDI
( Morta a quindici anni )
Leggiadra fanciulla,
ancor ti vedo bella nella foto.
Tant’anni son già passati
a me sembrano al par d’un giorno:
il sole che nasce, e si fa sera.
Al fiorir di primavera di tua vita
Dio ti tolse dal giardin terreno:
eri innocente, semplice, graziosa,
era brava, gentile e tanto cara,
il viso roseo, i capelli biondi,
simile al fiorellin sbocciato e tolto.
Ti vidi declinare a poco a poco:
il tuo visetto si faceva bianco,
in pochi giorni ci dicesti addio!
Partisti allegra, senza un lamento.
Tutti piangean e la mamma si disperava.
Tu serena e pronta a partire dal mondo
nel momento in cui l’avvenire bello
davanti a te si delineava,
come per ogni giovinetta quindicenne.
Non ti dolesti della tua fine immatura;
guardavi sorridente il cielo!
Ora pur io, verso il tramonto,
stanco, declino, medito, penso
e dico: “Te beata! Che innocente e pura
volasti al cielo, perché il mondo
non dà ciò che promette e i figli suoi delude”.
Tu certo in seno a Dio veloce andasti.
Pregalo pure per noi perché arriviamo
insieme con te nella celeste patria!

DOMENICA
Il suon delle campane
che echeggia lungo la valle,
qualche colpo di fucile dei cacciatori
che si levano presto con i loro cani
e frugano in cerca della preda
tra le siepi e sulle sponde dei fiumi;
spari di mortaretti che richiamano
a feste paesane
rompono il silenzio che stamane regna.
E’ domenica!
Ogni lavor si è fermato:
non rumori, non voci di persone.
Un alito di festa pervade
le nostre contrade, i nostri paesi
che si popolano in piazza
di persone vestite a festa:
giorno di riposo che il Signore
per sé e per noi ha riservato.
I fedeli in chiesa pregano,
elevano i cuori in alto,
in cerca di beni duraturi
che qui in terra mai trovano:
la felicità, la pace, la giustizia.
Tutti le cercano questi beni,
solo Iddio ce le dona,
per amore, con le Sue leggi
che tutti gli uomini affratellano.

INVERNO
Scroscia la pioggia tanto attesa,
l’aspettavan le zolle e gli alberi assetati,
l’aspettavan i boschi già ingialliti.
Son cadute le foglie per formare l’humus
a concimare le piante.
Le piogge ingrossano torrenti e fiumi,
ristorano le vene semisecche.
Dormono i seminati imbevuti dall’acqua.
L’inverno porta il mantello bianco di neve!
Arriva nelle montagne desolate, nei campi
nelle case, nelle città e villaggi.
Fan festa i bimbi con la prima neve!
Anche d’inverno la natura è bella!
I disegni screziati sulle grondaie delle case,
nei vigneti sui rami secchi, nelle siepi …
tutto è adornato di pitture bianche:
nessun artista saprebbe dipingere
un simile spettacolo!
In ogni casa fumano i camini dei riscaldamenti.
Bello e piacevole l’antico focolare di legna,
i vecchi camini mi ricordano la fanciullezza.
L’affetto fiorisce, germoglia e si espande
dai nonni ai genitori ai nipoti.

LA PRIMA NEVICATA DI DICEMBRE
Silenziosa è la notte, gelido il vento,
uno strato di nebbia sottile
si spande lungo la valle,
la luna coperta da nuvolette bianche
proiettala luce un po’ velata
che s’associa al chiaror della neve;
si vedono i colli lontani splender di neve.
Non si odono trilli di uccelletti,
né cantilene di rane o voci dalle case,
solo l’eco dell’abbaiar di un cane
e i rintocchi dell’orologio dalla torre.
Dalla finestra guardo le luci
delle case agglomerate e lontane,
osservo ogni colonna di fumo
che dai camini si sprigiona e si spande.
Il tempo fugge nel silenzio
misurato dai rintocchi dell’orologio.
Indietreggia il mio pensiero
agli inverni nevosi d’una volta:
facevamo festa tra la neve!
Quanta poesia ai tempi della fanciullezza!
Guardo la neve, mi piace il bianco lenzuolo disteso
che protegge i seminati dagli insetti e dall’aridità,
incorporando nel suolo acqua ed azoto
a disposizione degli alberi e dei seminati.
Sii benvenuta prima neve,
candida neve di dicembre!

ALLA PRIMA MESSA DEL NIPOTE DON FAUSTO
Fausto!
Questa mattina quando salivi l’altare ti ho guardato commosso. Indietreggiando il pensiero nei tempi remoti ri-vedevo il fanciullo vivace, un bambino come tanti altri. Vo-levi fare, volevi sapere: mi ricordo quando volevi guidare le vacche che trainavano un carro carico di fieno. Ti ho visto più tardi sui banchi di scuola: volevi con impegno essere il primo, il migliore, e lo eri davvero!
Ad un certo momento, diventato grandicello, ti sei trova-to davanti a tante strade: forse eri incerto per la scelta in mezzo a tante ideologie, a tante incertezze umane, a tanti piaceri effimeri che ci offre la vita terrena? Tu hai preso la via spirituale, la via a volte più irta e faticosa che però con-duce alla gloria eterna! Hai appreso l’insegnamento di Ge-sù: prendi la tua croce e seguimi … La via dell’amore!
Quante versioni ha questa parola: amore! Amore per le cose, per le persone, per il sesso, per le piante, per le bellezze naturali. Ma tu hai scelto l’amore spirituale, l’amore per i fratelli che soffrono, l’amore per tutta l’umanità, amici e nemici nella stessa misura.
Tu da oggi in poi sei un soldato di Gesù, un combattente, non con la spada, ma con l’amore e con l’esempio. “Con lo spander del tuo parlar sì largo fiume” (dice Dante) vuoi por-tare a salvamento l’umanità vacillante nel mare tempesto-so della vita!
Ora sei un ministro di Cristo, dell’Eucarestia, e questa tua consacrazione ti mette al di sopra di tutti noi, a servizio degli altri, per il bene della Chiesa e del mondo.
Noi siamo tanto contenti di te, ti ringraziamo per questa festa, ci sentiamo vicini, mentre ti festeggiamo insieme alla comunità religiosa di cui fai parte. Noi parenti vogliamo es-sere tutt’uno con la tua comunità.
Hai aperto il tuo cuore ai bisogni del mondo, non hai guardato al denaro, non hai cercato il tuo interesse priva-to, ma insieme con i fratelli hai sentito la forza dello Spirito Santo che ti ha chiamato e ti ha mandato tra i popoli.
Vogliamo esprimerti il nostro augurio: che tu sia sempre felice di vivere con gli altri e per gli altri, che la tua missio-ne apostolica sia feconda di fiori e frutti, che la felicità di questo giorno si rinnovi ogni giorno della tua vita.
Anche tu ricordi nonna Giustina che sempre ti ricordava, parlava di te e tanto pregava per te, perché prevedeva che avresti avuto una missione importante. Anche noi ti se-guiamo con tutto il cuore, e tu non ci dimenticare!

A MIA MOGLIE MONALDI CAROLINA NEL CINQUANTENNIO
Ricordi quando ci incontrammo la prima volta!?
Apparisti agli occhi miei come una luce
che risplendeva in quel freddo e nebbioso pomeriggio.
Non ci conoscevamo. Domandai il tuo nome
e per sapere la tua età andai al comune di Montelparo.
Avevi sedici anni, più giovane, sei anni, di me
tornato da un anno dal fare il militare.
Entrasti subito nel mio cuore col tuo visino bello,
la tua boccuccia che muoveva un grazioso sorriso,
i tuoi capelli neri, crespi ed ondulati.
Vestivi un abito modellato alla tua vita
ben fatta, un paio di stivaletti di cuoio.
Mi sembra rivederti come allora!
Così carina! Così fanciulla!
Il tempo passa, ma non ci toglie la bellezza interiore;
l’amore non invecchia col passare degli anni.
Si consolida con i giorni tristi e gioiosi della vita.
Così è stato per noi! Quanti ricordi!
L’amore vero si riconosce nelle sofferenze,
nel dolore cui siamo tutti sottoposti.
Tutti felici i primi anni insieme:
pieni di salute, di vita, con tre figlioletti
che crescevano come tre fiorellini.
Venne anche il dolore. Avevi trent’anni
quando improvvisamente ti assalì un brutto male.
Come furono lunghe quelle quattro ore
che passasti in sala operatoria!
E quando il professore che ti aveva operata
mi comunicò le difficoltà per la tua sopravvivenza,
me ne andai fuori dall’ospedale a piangere
tutta la notte, fino alle cinque del mattino
quando potei tornare nella tua cameretta.
Ricordo che con le lacrime bagnai quelle scale:
conobbi com’è il dolore e l’amore per chi si ama.
Nella sofferenza si riconosce l’amore che non ha fine
e che si perpetua oltre la morte fisica.
Da quel momento ho aperto il mio cuore
a tutte le persone perseguitate, che soffrono,
dimenticate o fisicamente ammalate.
Tutto si risolse bene, risultò un male di origine benigna.
Tornasti dopo due mesi dall’ospedale
a riabbracciare i figlioletti
ed a seguitare il cammino insieme.
Sono passati altri anni di piena salute.
Nel febbraio del 1984, un altro intervento all’ospedale,
anche questa volta assai grave.
Ma grazie a Dio, tutto è andato per il meglio,
malgrado un po’ di acciacchi!
Ed eccoci ora arrivati
al cinquantasettesimo anno di matrimonio!
Siamo felici di essere ancora in cammino
e che il nostro amore non si è logorato
perché è sostenuto da un grande ideale
che va al di sopra dei fugaci piaceri
e delle terrestrità di cui siamo imbevuti.

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