SETTEMBRE
Settembre è il mese migliore:
più mite, più ricco e piacevole!
Si vedono i bei colli come un dipinto
di quadri di vari colori,
un misto di verde, di pallido
di fresche zolle rivoltate di recente,
i bei vigneti sparsi qua e là,
dai pampini ormai sbiaditi
come i colori d’autunno;
dai tralci pendono i bei grappoli
vellutati, succosi e maturi.
Lungo le valli che solcano
queste colline marchigiane,
strisce di terreno ben coltivate
vicino alle soglie delle case,
nei giardini, nelle aiuole,
ogni dove si ammirano
le bellezze dei fiori,
delle ultime rose
che non soffrono più il caldo
afoso d’agosto;
senza tema di brina,
come spesso avviene
con i capricci della primavera.
Nei boschi e sulle sponde dei fiumi
svolazzano gli uccelli di ogni specie,
si rallegrano di queste dolci
giornate di settembre,
pur temendo la morte,
perché i cacciatori
in questa fine d’estate
e principiar d’autunno,
sparano senza pietà.
Spesso, dal faticoso lavoro dei campi
volgo lo sguardo intorno,
ammiro le scene della natura
che vive ogni momento,
le bellezze del cielo
e l’ubertosità della terra.
LA VENDEMMIA
Che venticello fresco stamattina,
dopo la pioggia ch’è caduta ieri,
par che sia ritornata la primavera,
il sole splende,
un lieto gorgheggiar tra le piante ombrose,
un chiacchierio,
un tic tac di forbici tra i vigneti
e nei filari sparsi nei colli
rinverditi dalle prime piogge.
I vendemmiatori tagliano i grappoli vellutati.
Quanta poesia! Ripenso ai tempi lontani,
alle liete vendemmie di una volta.
Erano i giovani che andavano
su e giù per i pioli delle scale.
Le ragazze ci allietavano coi loro canti.
Nelle veglie serali al pigiar delle uve,
che piacere sentir il bollir dei mosti
e l’odore del buon vino.
Or siamo rimasti noi vecchi …
I giovani sono fuggiti dai campi alle città,
lavorano nelle industrie, negli uffici:
meno allegri e insoddisfatti.
O bella vita dei campi! Miserella eppur cara!
Se io fossi giovanetto, ancor sarei
il contadinello spensierato e allegro
per vivere a tu per tu con la natura
tra le musiche più belle che ci siano.
LE RONDINI
Rondinelle pellegrine tutte pronte,
tutte in fila sopra i fili della luce,
dove andate? Son tanto belle
le vostre casette impastate di sabbia
e riparate da venti e tempeste.
Andate in siti lontani
più riscaldati dal sole.
Senza avere calendario,
sapete che viene il freddo.
Alla scuola non andate,
per studiar la geografia,
eppur volate, volate lontano
al di sopra dei mari
nei cieli tra le nubi.
Ritrovate il nido lasciato.
Beate voi che sfuggite al gelido inverno!
Ritornate a primavera
a portare gioia nei cuori.
Col far festa intorno al tetto,
anche noi rallegrate.
Insieme con fringuelli e canarini,
passerotti ed usignoli
salutate al mattino l’alba nascente
e i vostri canti mi commuovono!
Osannate per il sole che ci scalda
per i prati che sono fioriti
per le gemme che veston gli alberi
per le messi che ondeggian nei campi
per i frutti della terra e con canti
“Grazie” voi dite al Signor.
NOVEMBRE
O mese di novembre caro e mesto,
tu mi richiami a meditar pensoso.
Mentre la vita fugge, una tristezza invade:
meste e piovose giornate,
sole che non riscalda la terra,
alberi che rimangono nudi
allo sferzar dei venti,
nebbie mattutine che oscuran l’orizzonte,
uccelletti che svolazzano,
come per annunciare una prossima nevicata,
donnette vestite di nero, vanno in chiesa a pregare.
Tutta la natura si addormenta
mentre gli agricoltori si precipitano
a levare dai campi gli ultimi raccolti;
da qualche albero cadon le foglie ingiallite.
In notte serena, i campi cosparsi di brina
annuncian l’inverno che arriva.
Mese dei morti è questo! In questi mesti giorni
tutto par che ci annunci il tramontar della vita,
mentre i camposanti son cosparsi
di lacrime e fiori!
Là una tomba di un giovane, qua una mamma
i cui figli pregano attorno,
un simpatico vecchietto da tutti conosciuto,
persone care! Un genitore, un figlio, un marito.
Quanti ricordi! Quanto dolore!
Che mistero è la vita!
RIVEDENDO IL MIO ARATRO
O mio aratro di ferro
gettato all’ombra di un antico gelso
come ferraccio vecchio arrugginito,
dopo molti anni ti rivedo!
E tanti ricordi mi tornano in mente
di quando su di te curvo, energico e giovanile
ti afferravo, entusiasmato di vedere
il solco tuo profondo
e il versoio lucente d’argento rivoltava
e frantumava le zolle indurite dal sole.
Eri allora trainato da lenti buoi
aiutati da un paio di vacche davanti.
Ti guardo e penso a quando ti facevo risplendere
al sorgere del sole ed ai bei tramonti estivi,
nei solatii colli Belmontesi,
tra il festeggiar degli uccelli
ed il rintocco della campana che segnava le ore.
Nella capanna aderente la casa colonica
in riposo invernale ti osservavo primeggiare
tra tutti gli attrezzi agricoli.
Pensavo al tuo solco profondo
e al risparmio della fatica umana!
Ora sei gettato via, dimenticato, inopportuno
alle nuove esigenze della meccanizzazione.
Son come te, vecchio e inosservato, dimenticato.
Rimangono solo a consolarmi i ricordi
di un tempo lontano, i campi verdi
tutte le belle aurore, le bellezze naturali
che non cambiano mai col passare degli anni.
L’ESTATE DI SAN MARTINO
Dopo piogge scroscianti e nevicate,
improvvisamente s’è cambiato il tempo:
limpido il cielo, l’aria è più mite.
Il sole nasce tra un velo di nebbia,
si vorrebbe nascondere vergognoso,
ma al suo alzarsi, la nebbia si dilegua
e tutta la natura si riscalda.
Ogni albero, ogni fiore par che riprenda vita.
Anche le foglie ingiallite baciate dal sole
svolazzando nell’aria;
vorrebbero vivere ancora in questo giorno di sole,
ma presto giunge la sera, e un venticello fresco,
ancor più veloci, le spinge a terra già morte.
Pure gli uccelli svolazzano allegri,
soltanto il pettirosso nascosto tra le siepi
non festeggia, non canta, silenzioso e pensoso!
Saran appena due giorni, tre giorni,
ma sempre piacevole e calda
è l’estate di San Martino!
AUTUNNO
L’autunno arriva con le piogge e il vento,
strappa le foglie ingiallite e morte
rende spoglie le piante e desolate.
Vedo i vigneti coi capelli sciolti
dopo aver dato grappoli dorati.
Lontan per me non è l’autunno della vita
e come te, o foglia,
anch’io ho vissuto.
Tu riparasti da estivi calori
i frutti e i grappoli belli,
li difendesti ancor dalle intemperie
per farli diventar buoni e pregiati.
Io soffro ancora
per le ingiustizie umane
e fra tutti i tormenti
anch’io, ingiallito e vecchio,
me ne andrò a sopirmi con te,
e m’avvedo senza dar dei buoni frutti!
Natura mi fu avara di doti,
pur, vissuto tra i popolani,
lavorando nei campi silenziosi,
ho lo sguardo ognor rivolto al cielo
perché il breve percorso della vita
la luce della fede lo rischiari!
LORETA MONALDI
( Morta a quindici anni )
Leggiadra fanciulla,
ancor ti vedo bella nella foto.
Tant’anni son già passati
a me sembrano al par d’un giorno:
il sole che nasce, e si fa sera.
Al fiorir di primavera di tua vita
Dio ti tolse dal giardin terreno:
eri innocente, semplice, graziosa,
era brava, gentile e tanto cara,
il viso roseo, i capelli biondi,
simile al fiorellin sbocciato e tolto.
Ti vidi declinare a poco a poco:
il tuo visetto si faceva bianco,
in pochi giorni ci dicesti addio!
Partisti allegra, senza un lamento.
Tutti piangean e la mamma si disperava.
Tu serena e pronta a partire dal mondo
nel momento in cui l’avvenire bello
davanti a te si delineava,
come per ogni giovinetta quindicenne.
Non ti dolesti della tua fine immatura;
guardavi sorridente il cielo!
Ora pur io, verso il tramonto,
stanco, declino, medito, penso
e dico: “Te beata! Che innocente e pura
volasti al cielo, perché il mondo
non dà ciò che promette e i figli suoi delude”.
Tu certo in seno a Dio veloce andasti.
Pregalo pure per noi perché arriviamo
insieme con te nella celeste patria!
DOMENICA
Il suon delle campane
che echeggia lungo la valle,
qualche colpo di fucile dei cacciatori
che si levano presto con i loro cani
e frugano in cerca della preda
tra le siepi e sulle sponde dei fiumi;
spari di mortaletti che richiamano
a feste paesane
rompono il silenzio che stamane regna.
E’ domenica!
Ogni lavor si è fermato:
non rumori, non voci di persone.
Un alito di festa pervade
le nostre contrade, i nostri paesi
che si popolano in piazza
di persone vestite a festa:
giorno di riposo che il Signore
per sé e per noi ha riservato.
I fedeli in chiesa pregano,
elevano i cuori in alto,
in cerca di beni duraturi
che qui in terra mai trovano:
la felicità, la pace, la giustizia.
Tutti le cercano questi beni,
solo Iddio ce le dona,
per amore, con le Sue leggi
che tutti gli uomini affratellano.