LE RIFORME LEGISLATIVE A FERMO CON S. GIACOMO DELLA MARCA – 1442-1473
Nei Comuni del medioevo si vedeva una somiglianza della Repubblica romana: essi avevano il loro senato, il consiglio limitato ai cittadini più influenti, i capi e dirigenti elettivi. I comuni obbedivano alle proprie leggi che potevano aggiornare. A Fermo nel secolo XV, furono molto discusse in Consiglio Generale le riforme legislative o statutarie (1). Un registro superstite dei “Consilia” dal 1457 al 1482 è un florilegio delle delibere per le riforme degli statuti. Questo volume è distinto dalla duplice serie dei “Consilia et Cernitae”: una serie sono minute chiamate “Bastardelli”; l’altra, i Verbali definitivi. Confrontando le due fonti si evidenziano gli interventi sollecitati in città per opera di S. Giacomo da Monteprandone, detto della Marca. Gli scritti di S. Giacomo non contengono notizie sulla legislazione di Fermo, ma sono utili in quanto esprimono i criteri e i valori della vita sociale e pubblica che erano da lui predicati al popolo e portati nei consigli comunali, ad esempio i temi della pubblica moralità, delle discordie cittadine, dei prestiti ad usura e dell’assistenza ai poveri indifesi. Esistevano in quel secolo forme di solidarietà come le confraternite, gli ospizi ed ospedali, i monti di prestito; mentre i più abbienti, con la ricchezza, faceva sfoggio di superiorità sociale e politica. Nella Chiesa, ad opera dei predicatori, del clero e dei cristiani coerenti si manifestava vivo impegno per la promozione umana a favore delle persone disagiate. I vescovi e i papi si servivano dei religiosi per tener desta la coscienza partecipativa del popolo nelle pratiche di culto e nella fraternità umana. A Fermo il rinnovamento dei Frati francescani, con il nuovo nome di Minori dell’Osservanza (2) era sostenuto dai vescovi locali Domenico Capranica (1425 -1458) e dal successore, suo nipote, Nicola (1458- 1473) e i Frati o religiosi venivano richiesti per la predicazione in città, in un ruolo di grande importanza (3). Era un evento pubblico e gli amministratori della città sponsorizzavano ogni anno un frate per migliorare la situazione umana e sociale turbata da abusi e da rivalità. Con San Giacomo l’afflusso degli ascoltatori era tale da farlo predicare non in chiesa, spazio insufficiente, ma in piazza ove giungevano dalle 3000 alle 4000 persone. Tra il popolo e tra il clero si avvertiva diffusamente un’esigenza di rinnovamento morale. In una sua predica sulle usure San Giacomo ha scritto: “Venne da me un uomo della città di Fermo, mentre ero sul pulpito e gli altri cittadini si erano riappacificati. Soltanto costui era ingolfato nel rancore perché gli era stata detta la parola “Cuccu”
Nel 1442 S. Giacomo fondava (5) a Fermo il convento degli Osservanti, mentre già vi esistevano i Conventuali, gli Agostiniani, i Predicatori e gli Apostolini. Nell’insieme coinvolgevano i fedeli in opere di apostolato e di carità (6). In occasione delle predicazioni quaresimali, la convergenza delle energie cristiane rendeva spontanea la richiesta che il predicatore partecipasse con sue proposte alle riunioni delle contrade e della Cernita, convinti che potesse essere migliorato l’impegno per la giustizia e per l’onestà nel commercio, nei contratti, nei prestiti, mentre erano valorizzate le forme di assistenza ai deboli per mezzo di iniziative di cui si rendevano protagonisti i cittadini stessi. Tra i nomi possiamo citare, oltre a S. Giacomo, fra’ Matteo da Camerino, fra’ Domenico (sanseverinate detto) da Leonessa, fra’ Giacomo da Montegallo, fra’ Pietro da Napoli, fra’ Pietro da Fermo. Ogni predicatore aveva l’occasione di attivare proposte nel meccanismo legislativo comunale (7) invogliando a redigere regolamenti, ad esempio sugli eccessi suntuari negli abiti, o sui prestiti finanziari. S. Giacomo era particolarmente apprezzato per la sua austerità generosa, unita ad una cultura giuridica testimoniata ampiamente dai suoi scritti oltre che dagli interventi presso gli amministratori di varie città nelle Marche e fuori. Egli rendeva un servizio ai popoli e alla Chiesa, in completa umile obbedienza all’autorità Romana, praticando le varie riforme promosse dal concilio di Basilea con Eugenio IV, nella difesa dei cristiani sollecitata da Niccolò V e da Callisto III, nel rinnovamento degli ordini religiosi indicato da Pio II e nell’umanesimo creativo di Paolo II e di Sisto IV. In vari modi, su mandato pontificio, vescovile, o francescano, S. Giacomo fu inquisitore, diplomatico, legislatore ed era considerato esperto di prassi amministrativa e giudiziaria (8). L’influsso che egli ha esercitato sul governo Fermano è da riferire all’acuta attenzione che rivolgeva ai fatti della vita pubblica locale con peculiare sensibilità per le condizioni di povertà causate dal lusso sfrenato, dall’usura degli strozzini, dall’indifferenza materialistica alle necessità umane altrui e da altri mali da eliminare, con dedizione, insieme con i collaboratori operosi e zelanti come i religiosi fra’ Gabriele da Castel Ferretti (Ancona); fra’ Pietro da Mogliano; fra Marco da Montegallo(9). L’idea di stabilire due pacieri, per ogni contrada cittadina, fu introdotta ad Ancona nel 1427 e fra’ Gabriele era coadiuvato da s. Giacomo anche per introdurre norme nella legislazione locale ad impedire i dispendiosi giochi d’azzardo con carte e dadi e le spese eccessive per il vestiario con strascichi. In vari comuni, l’opera di S. Giacomo era stata vantaggiosa nel promuovere le pacificazioni, in particolare ad Ascoli Piceno (10). A Fermo la sua opera benefica è narrata nelle cronache di un notaio, collaboratore del vescovo, Anton de’ Nicolò (Nicolai) che aveva raccolto i testi della Commedia di Dante Alighieri tradotti in latino nel 1416 dal vescovo di Fermo, Giovanni Bertoldi da Serravalle (Rep. San Marino). Questo cronista ha notato che nella quaresima 1442 gli ascoltatori di S. Giacomo erano fino a 4000 persone, nella pubblica piazza, di mattino, e praticavano la massima devozione (11). Su interessamento del santo, Eugenio IV, il 4 aprile 1442 scrisse al Comune ed ai priori di Fermo per far costruire l’abitazione nuova dei frati dell’ordine dei Minori dell’Osservanza in città. E nel maggio i Fermani con gran fervore collaborativo, costruivano il convento autorizzato presso la chiesa di San Martino al Verano. Anche il cardinale Fermano Domenico da Capranica, Legato pontificio in Umbria, si avvaleva dell’opera di S. Giacomo, tra l’altro, per l’esplodere di rivalità minacciose tra le cittadine di Foligno e di Spoleto, nel 1445 e la sua predicazione fece concludere la “santissima unione” tra le città rivali (12). Nelle Marche, in particolare a Fermo, in quegli anni si stava avviando a soluzione la rocambolesca vicenda militare dell’incursore Sforza. Per accennare ai momenti principali, ritorniamo al 3 gennaio 1434, quando a nome di Filippo Maria Visconti di Milano, Francesco sforza entrava Fermo con il suo esercito. Il Papa Eugenio IV, nel marzo dello stesso anno, giunse a concedere allo Sforza aggressore, la nomina di Vicario pontificio e di Gonfaloniere della Chiesa. Lo Sforza agiva militarmente per prendere il dominio dei castelli, come fautore del dominio dei Visconti, allargato in Italia centrale. Nel 1442 l’invasore veniva scomunicato. il vescovo Fermano, cardinale Domenico Capranica assunse il ruolo di difensore e con ardui sforzi negli anni 1443, 1444 subiva un’amara sconfitta, come Legato pontificio della Marca e Vicario papale di Fermo, nella battaglia a Montolmo (Corridonia). Ciò nonostante seguitava ad organizzare la resistenza e giunse infine a cacciare lo Sforza nel 1446, coadiuvato da S. Giacomo che faceva alleare Ascoli con Fermo, (13). I Fermani dopo le traversie imposte dall’usurpatore Sforza, insediatosi nel Girfalco di Fermo, contro le forze pontificie, avevano scacciato nel 1445, le invadenti milizie di ventura dall’alta rocca, al grido: “Viva la santa Chiesa e Viva la libertà”. Lo Sforza, allontanato, fece trattative con Niccolò V e lasciò definitivamente le altre città della Marca Anconetana nel 1447. Nel frattempo, dopo celebrata, con indulgenza, una Messa pontificale il 22 febbraio 1446, il card. Domenico, insieme con le autorità cittadine, decidevano di distruggere la fortezza sul Girfalco, e i Fermani lo fecero, addirittura con le proprie mani, affinché mai più un tiranno vi si potesse annidare, a qualsiasi titolo. Da quell’anno in poi, i magistrati, prima di ogni delibera comunale, proclamavano di agire “contro la perfidia tirannica” scrivendolo a verbale. Con propositi di pace a lungo termine furono riformati gli Statuti dei castelli Fermani. Fu ufficializzata la pacificazione e la collaborazione di Fermo con Ascoli Piceno, ben predisposta da S. Giacomo. Infatti il 22 maggio, i priori Fermarmi chiamarono fra’ Giacomo per consegnargli lettere credenziali, su mandato del Consiglio Generale, con l’incarico di trattare una confederazione destinata ad assicurare a tutti i marchigiani la libertà. Il santo elaborò gli accordi, assieme con le persone già elette, il 29 maggio, a Fermo a tale scopo. Il 5 giugno, giorno della Pentecoste, gli accordi furono scritti, poi furono approvati il giorno 9 dal cardinal Legato, Domenico qui vescovo. La lettera dei priori esprimeva una volontà politica nel dichiarare, con spirito di carità, l’auspicio di felice sviluppo, per tutti gli abitanti della Marca Anconitana, su istanza e per coinvolgimento dell’esempio e dei moniti di padre Giacomo della Marca, considerato venerabile religioso, proteso alla gloria di Dio, al bene della Chiesa e alla crescita dell’organismo sociale (16) per cui gli era stata data facoltà di unire lo stemma Fermano (croce bianca su scudo rosso) a quello di ogni altra città per una stessa finalità comune. L’opera diplomatica di S. Giacomo portò a forgiare un nuovo stemma in cui l’arcangelo Gabriele presentava alla beata Vergine Maria i simboli uniti degli scudi delle due città. Il cronista Fermano partecipò alla delibera del 29 maggio e scrive che fra’ Giacomo, predicatore, dell’ordine dell’Osservanza, era stato l’intercessore e la causa all’origine di questa ‘lega’ concorde e unanime contro la perfidia dispotica degli Sforza e di ogni altro tiranno; decisi a volere insieme la stessa cosa e rifiutare la stessa cosa per la libertà della Marca (17). Stanchi degli assalti e delle devastazioni nelle città, nei castelli, e nelle campagne, disgustati del dispendio per le belligeranze e per i costi delle armi, con il ricordo dei cari scomparsi, i consiglieri Fermani decisero di non dare mai più ospitalità ai delinquenti immigranti da altre città, piuttosto consegnarli ai giudici e assicurare, con tale estradizione, la cattura dei nemici della Chiesa. A fondamento del libero autogoverno e del potere autonomo legislativo di cui i comuni marchigiani godevano stava il riferimento all’autorità suprema del Papato (18). Nello stesso anno del trionfo antitirannico, 1446, viene assunto nel governo il giuramento del capitano e del giudice di giustizia della città con il dovere che tutelasse le chiese, gli ecclesiastici, le vedove, i pupilli, gli orfani, i poveri cittadini e tutte le altre persone (19). Anche in questa difesa è riscontrabile l’influsso di S. Giacomo e dei confratelli Osservanti, che convincevano i giudici, a Fermo e altrove, a facilitare una società solidale e pacifica, inoltre suggerivano una vita moderata con proposta di multare i dispendi negli abbigliamenti esagerati (20). Norme queste già affermate, nell’anno precedente, in altre città della Marca e dell’Umbria (21). L’ostentazione vanitosa della ricchezza nell’orgoglio dello sfarzo sfoggiato con ornamenti, risulta chiaramente ostacolata per mezzo delle norme legislative dell’epoca. Per le spese molto alte nella moda si doveva chiedere licenza agli amministratori. Gli ordinamenti suntuari della città di Firenze (23) erano stati formulati già nel 1384; ancor prima a Bologna, nel 1299, dove, per avere licenza di indossare corone e trecce intessute d’oro, si pagavano 100 soldi di Bolognini ogni anno; e più tardi se ne fece assoluto divieto (24). Il cosiddetto strascico che San Bernardino bollava come “scopa delle sciocche, turibolo infernale” era una coda nei vestiti che, parimenti, sin dal 1299 aveva interessato i legislatori a Venezia (25) i quali lo proibirono del tutto nel 1344. La moderazione chiesta dai predicatori francescani era ragionevole quanto dichiaravano che le spese per il lusso stavano salassando i patrimoni famigliari. A Fermo esisteva una delibera del 1449 in cui la pubblica autorità si assumeva l’obbligo di controllare il fatuo dispendio per gli strascichi nei vestiti, considerandoli occasione di usura, di corruzione e di impoverimento (26). La normativa impegnava il podestà ed i suoi ufficiali a rilevare le trasgressioni, sotto penalità. L’intervento giudiziario era esigente tanto che gli interessati rivolgevano richieste di condono al consiglio di Cernita; ma questo venne proibito perché la Cernita non aveva competenza per i processi civili, che erano di competenza giudiziaria (27). La quarta parte delle multe, incassate dal Comune, era data al denunciatore che testimoniava contro chi infrangeva la norma. La radicalità estremizzata di voler scovare trasgressori per incassare il denaro della quarta parte delle multe sembravano esagerate tanto da favorire le liberalizzazioni che abolirono la normativa suntuaria. In un altro settore, quello agricolo, si riconosceva la libertà dei cittadini di cogliere i frutti dei rami delle piante che pendevano sulla strada, come roba trovata (28). In città, nel 1450, venne come predicatore quaresimale, Fra’ Matteo da Camerino, che, sull’esempio dell’amico s. Giacomo, chiese al governo Fermano di eleggere i pacificatori per le singole contrade e il 5 aprile lo si fece, a conforto, anche, del notaio Antonio de Nicolò colpito dall’odio di Antonio Giorgi e poi pacificato (29). Altra norma riguardava le multe contro il giuoco delle carte, vizio dispendioso in forma controllabile. Similmente a Siena esistevano questi divieti con penalità, già sin dal 1377. A Bologna, nel 1443, S. Bernardino, sollecitato dal vescovo Nicolò Albergati, predicava contro il giuoco delle carte (30). La penalità stabilita dai legislatori di Fermo, nel 1450, era di 10 libbre da versare alla cassa comunale. Nel commercio, per prudenza, i cristiani venivano dissuasi dal servirsi dei negozi degli ebrei e viceversa. Un più vasto impegno riguardava le vertenze campanilistiche, reciproche, tra vari castelli e città. Si risolvevano annose vertenza, con la mediazione negli accordi. Il castello di Servigliano, ad esempio, il 16 giugno 1450 giunse alla concordia per i confini con Santa Vittoria in Matenano nel Piano di San Gualtiero, tramite il governo di Fermo. Le terre pianeggianti, presso la chiesa del santo serviglianese (33) interessava anche per praticare il pascolo. La pergamena serviglianese è intestata con il trigramma YHS (Yesus Hominum Salvator) nome di Gesù, tipico della devozione diffusa da S. Giacomo (31). Lo stesso trigramma è nella pergamena della transazione fatta concordare da S. Giacomo per i confini tra Monteprandone e Acquaviva (32). Parimenti si nota scritto YHS in altri atti notarli curati ad opera di confratelli religiosi. Nel lodo per pacificare Monteprandone (34) con San Benedetto del Tronto, S. Giacomo precisava, tra l’altro, di non mandare a pascolare le bestie, né tagliare erba nei territori limitrofi, fuori confine. Dopo che il santo aveva predicato a Fermo, infervorando il popolo alla pace, e chiedendo di assegnare pacificatori alle contrade, nel 1451, le autorità comunali lo convocarono in Consiglio insieme con il vescovo cardinale Domenico Capranica, per le decisioni opportune nella vertenza tra Ripatransone e Acquaviva che si contendevano i pascoli nelle terre di confine. Tutto si risolse con la composizione demandata specificamente a S. Giacomo dall’autorità Fermana, poi realizzata. Lo studioso p. Ghinato ha notato che c’era allora una situazione di perpetuo allarme per i contrasti tra i borghi, i castelli e le città rivali, armati gli uni contro gli altri (36). Nel Piceno, questo santo ascoltava le rivalse espresse da ciascuna delle parti, ad esempio quando i compaesani monteprandonesi rubarono 240 bestie ai sambenedettesi (37) dopo le discussioni, fece ribadire i precedenti patti. Nel 1452, Ripatransone era in contrasto con Acquaviva, inoltre Montefalcone (38) in contrasto con Santa Vittoria, allora intervenivano i magistrati di Fermo cercando di superare le impuntate nelle rivalse con nuove fasi di accordi. Alcuni suggerimenti legislativi furono proposti r riproposti più volte. A Fermo, nel 1457, si tornava a deliberare in città sulla difesa degli ecclesiastici e dei poveri. Era venuto fra’ Giacomo da Monte San Maria in Lapide (Montegallo) ‘soave predicatore’, amico di S. Giacomo, con esito felice nel predicare e nelle proposte. Il 9 aprile fece riunione assieme con il podestà, il capo dei priori e il collegio degli avvocati per stabilire un vero e proprio ufficio a favore dei pupilli, delle vedove, dei minorenni, degli ospedali, del clero, delle chiese e dei luoghi pii. Prima esisteva un giuramento dell’autorità giudiziaria a vantaggio degli indifesi, ora sorgeva un ufficio di ricorso, con processo rapido adatto a risolvere, con rito sommario, le questioni per mezzo di due cittadini deputati dall’autorità, da semestre in semestre, persone anziane e oneste, affiancati da un procuratore o laureato e da un notaio che completava la legalizzazione ufficiale degli atti. Per gli operatori di questi uffici, in caso di infrazioni, si stabilirono penalità sul loro stipendio. Anche per le cause civili dei mercanti si eleggevano i loro rappresentanti, che preparassero il processo in modo da evitare lungaggini burocratiche (39). Nel complesso si volevano snellire le procedure dei tribunali. Tornavano, in Consiglio Generale, a discutersi gli ordinamenti suntuari, gravosi nelle multe pecuniarie. Gli eccessivi ornamenti muliebri, troppo dispendiosi, coinvolsero nel 1459 il predicatore quaresimale, S. Giacomo, insieme al quale, Il 19 marzo furono preparate alcune delibere di Cernita. Il Consiglio Generale le approvava per il rispetto cristiano, per l’onore del Papa, per lo sviluppo del Comune e del popolo della città di Fermo, nel suo governo pacifico e popolare contro gli avversari. Ogni legge statutaria aveva vigore per tutti gli abitanti dell’intero territorio dello Stato Fermano (40). Gli statuti dei castelli (Statuta Firmanorum) precisavano il divieto di vestiti e ornamenti muliebri il cui valore superasse metà della dote o del conto degli sposi. Se lo strascico superava mezzo braccio, multa di 10 libbre, per qualsiasi donna trovata nel territorio Fermana. Pari multa per i sarti trasgressori. Le spese suntuarie dovevano essere dichiarate per mezzo di atto di notaio. L’ufficio dei regolatori acquisiva le dichiarazioni scritte delle doti. Le multe erano inflitte con verbale degli officiali inquirenti nelle strade, senza formalità di burocrazia di processi, per atto del podestà (41). Tra le delibere, suggerite da S. Giacomo alla Cernita, fu approvato, in Consiglio, il divieto per i condannati a pene pecuniarie di presentare richieste di condono, se prima non fossero tornati alla pace con chi avevano offeso. I capitoli degli ebrei, sui prestiti ad usura, dovevano essere corretti con l’intervento del vescovo per mantenere i cristiani nella conformità al diritto canonico. I matrimoni e le doti dovevano essere trattati, in ogni contrada, da una persona idonea, nominata dall’autorità comunale (42). Un divieto particolare riguardava il vendere a prezzo concordato i prodotti di oliva, frumento, uva, noci, fichi, lino, nel periodo di tempo precedente la loro raccolta, perché si doveva attendere che i prezzi fossero calmierati per mezzo dei competenti a ciò incaricati dal governo Fermano. Tutto si voleva fare al fine di mantenere la pace in città e il bene delle persone nella salvezza eterna. Anche le norme pubbliche venivano orientate al bene delle anime (43). Ecco alcuni dei temi sui quali si volevano migliorare le leggi statutarie: non dissipare i beni famigliari per il lusso nel vestiario femminile; evitare i prestiti ad usura e gli atti notarili illeciti, verificare il gravame delle gabelle sul clero, ma esso non rechi danno alle gabelle comunali; evitare matrimoni affrettati senza adeguati accordi; evitare i rancori trai cittadini e creare pacificazioni per mezzo di incaricati; evitare condoni di multe tramite gli amministratori; evitare i giuramenti fasulli sui danni dati (45). Il Consiglio Generale riconosceva a S. Giacomo che le riforme erano utili per la cittadinanza e le includevano nella legislazione statutarie (46), seppure in seguito si tornava a modificarle. Il santo era impegnato anche nella crociata di Pio II per la Terrasanta, e in suo luogo intervenivano a Fermo, i confratelli Osservanti, tra cui fra’ Domenico da Leonessa che, dopo la predicazione Fermo nel 1469, fornì gli statuti completi per il Monte di pietà o di prestito in città(47). Il governo locale seguitava ad affrontare e risolvere le nuove vertenze tra i castelli; ad esempio le liti tra Gualdo e Sant’Angelo in Pontano; tra Smerillo e Monte San Martino. Inoltre placava le discordie intestine nei castelli di San Benedetto, Moresco, Cerreto (Montegiorgio), Mogliano, Monte Giberto. Per migliorare l’ordine pubblico il governo Fermano nelle 1462 ribadiva il divieto fatto a tutti, di portare armi e l’obbligo di rispettare i giorni festivi nei quali non si trattassero affari né scrivere contratti (48). Da anni, stava insoluto il problema degli immigrati provenienti dalla Slavonia (Schiavonia), e dall’Albania, e in generale dalle coste orientali adriatiche. Il governo Fermano decise allora di bloccare l’afflusso incontrollato delle persone e nello stesso tempo venire incontro ai loro bisogni, esportando nei loro paesi, i generi alimentari di prima necessità. La pressione sulle popolazioni slave era esercitata dall’avanzare dei Turchi la cui invadenza in Dalmazia diventava sempre più minacciosa (49). Problemi insoluti restavano nei territori della Marca Anconetana dove a moltiplicare le situazioni di belligeranza c’era l’intrusione delle Compagnie di ventura tra cui i Malatesta. Nel 1463 i priori di Fermo chiesero, ancora una volta, a S. Giacomo di intervenire per le vertenze riesplose tra Monteprandone e San Benedetto. A favore di Monteprandone si schierava Ascoli Piceno. Un’altra vertenza tra Gualdo e Ripatransone (50) veniva affidata al vescovo Fermano. Leggiamo nei verbali della Cernita: “ Fra’ Giacomo spiegò la giustizia necessaria nel governo di ogni Stato, chiarì varie norme su quanto era utile da fare o da evitare; diceva necessario che le decisioni governative fossero prese con riflessione matura, evitando ogni fretta. Esortò a mantenere in città la pace concorde e caritatevole. Ribadì il valore della confederazione fatta con gli Ascolani. Espresse i criteri per vivere in buoni rapporti con il vescovo: lui padre, loro figli. Il 3 luglio 1463 i magistrati andarono, insieme con S. Giacomo, a concludere la pacificazione nella casa del vescovo (51). Così la città di Fermo visse con gioia la riconciliazione dell’autorità comunale con quella diocesano. Con lo stesso spirito agivano i suoi fratelli religiosi, come fra’ Pietro da Mogliano che, nel 1464, predicava ad Amandola, dove portò piena pace. Tra l’altro indusse gli amministratori locali a finanziare le spese per l’insegnante nella scuola, che in tal modo diventava pubblica, non a carico dei privati (52) con un notevole vantaggio per la formazione dei giovani, in modo che tutti potessero studiare. A Fermo, assente S. Giacomo, il governo, nel marzo- maggio 1467, tornava a legiferare sulle norme suntuarie, e ribadiva la necessità di non dissipare i patrimoni famigliari con spese di vestiario e ornamenti che superassero la metà della dote (53). Il problema di prestiti ad usura tornava in discussione legislativa a Fermo nel 1468, anno in cui i governanti di Macerata avevano chiamato S. Giacomo a regolamentare il loro Monte di Pietà (54). Il 31 marzo 1469 il confratello fra’ Domenico da Leonessa dava alla Cernita i capitoli e gli ordini per il Monte del prestito pecuniario di Fermo, a sussidio dei poveri e delle persone bisognose, con revisione e approvazione del vescovo e del suo Vicario don Pierpaolo da Esanatoglia (55). Più tardi, nel 1473, quando poté tornare a Fermo, S. Giacomo trovò l’amara sorpresa di un certo Pietro, di provenienza albanese, che diceva che gli era apparsa la Madonna con il messaggio di costruire un “pintura” in suo onore. Il santo di diede da fare per dissuadere più volte le autorità cittadine, poi disse di dover andare dal re di Napoli e nella primavera dello stesso anno volle lasciare Fermo, senza più esservi tornato, nonostante che pocio dopo ne fosse richiesto (56).
NOTE: Cfr. Atti del Convegno di Studi in onore di San Giacomo della Marca. Monteprandone 1991, pp. 61-82
(1) Per lo statuto dei castelli del Fermano: VENTOLA, P. Le ‘riformanze’ del comune di Fermo del 1381. Tesi di laurea del 1975 stampata Macerata 2014; copia degli Statuta ms. dell’anno 1426: PACIARONI, R. Lo statuto di Fermo del 1385: storia di una dispersione. In: Studia Picena. LXXX a. 2015 pp. 98-99. Archivio storico del Comune di Fermo, depositato in Archivio di Stato di Fermo (A.S.F.) Consilia. Sunti degli atti Consliari: ARINI, A. V. Rubrica eorum omnium quae continentur in libris Conciliorum et Cernitarum ill.me civitatis Fiormi. Ms. degli inizi del sec. XIX presso la Biblioteca Comunale di Fermo e presso A.S.F. Cfr. TALAMONTI, A. Cronistoria dei Frati Minori della provincia Lauretana, Monografie dei conventi. Sassoferrato 1941 per Fermo vol. III pp. 193s e 432ss
(2) TOMASSINI, C. La città di Fermo e S. Giacomo della Marca. In: Picenum Seraphicum. XIII a. 1976 pp. 171-200 in seguito; CATALANI, M. De vita et scriptis Dominici Capranicae … Fermo 1793; MORPURGO CASTELNUOVO, M. Il Card. Domenico Capranica. In: Archivio della Società Romana di storia Patria. 52 a. 1929 pp. 1-146
(3) Bibliografia in: Picenum Seraphicum (periodico annuale) X a. 1973
(4) GHINATO, A. La predicazione francescana nella vita religiosa e sociale del Quattrocento. In: Picenum Seraphicum. X a. 1973 p. 72 dal codice Vaticano 7642 fol. 144 latino tradotto qui.
(5) TOMASSINI p. 173
(6) TALAMONTI p. 193; TASSI, E. La predicazione antiusura di S. Giacomo della Marca e dei Frati dell’Osservanza a Fermo. In: Atti del Convegno di studi in onore di S. Giacomo della Marca. Monteprandone 1991, p. 50.
(7) Cfr. SENSI, M. Predicazione itinerante a Foligno nel sec. XV. In. Picenum Seraphicum. X a. 1973 p. 149
(8) Tra altre agiografie di S. Giacomo: PICCIAFUOCO, U. S. Giacomo della Marca. Monteprandone 1976
(9) Ivi
(10) TALAMONTI vol. I, pp. 48ss; vol. II, pp. 171ss
(11) Cronache della città di Fermo. A cura di G. DE MINICIS. Firenze 1870 pp. 75-76; A.S.F pergamena Hubart 891 bolla di Eugenio IV
(12) GUERRINI, G. L’azione di S. Giacomo della Marca nelle riformanze e Statuti Umbri. In: Atti del convegno … Monteprandone 1991, pp. 83-119 e CATALANI, cit.
(14) Cenni alle vicende sforzesche filo-milanesi: MICHETTI, Aspetti medioevali della città di Fermo: dal dominio dei Franchi alla fine del medioevo; Fermo 1981; MARANEESI, F. Fermo. Guida turistica. Fermo 1957 pp. 58-64
(15) PAGNANI, G. Federazione tra Ascoli e Fermo promossa da S. Giacomo della Marca. In: Picenum Seraphicum VII a. 1970 pp. 209-221 pubblica la pergamena Hubart da A.S.F. n. 248 pp. 218-221 e A.S.F. Liber Litterarum a. 1446
(16) A.S.F. Liber Litterarum, I, cc. 73rv qui tradotto cfr. TOMASSINI pp.183-184
(17) Cronache, cit. p. 95
(18) PAGNANI, G.S. Giacomo della Marca delimita i confini tra Monteprandone e San Benedetto del Tronto. In: Picenum Seraphicum; X a. 1973 pp. 219-222
(19) A.S.F. Liber Litterarum, I, c. 27; cfr. TOMASSINI p. 179 n.12
(20) A.S.F. Liber Litterarum, II, c. 12
(21) Qui nota 12
(22) TOMMASEO, N., Nuovo dizionario dei sinonimi della lingua italiana. Napoli 1838 alla voce 723: Gala, Lusso, Sfoggio, Sfarzo, Pompa p. 196 chiarisce: ”La vanità sposata all’orgoglio ama il lusso”
(23) COGNASSO, F. L’Italia nel Rinascimento. Torino 1965 pp. 55 tessuti; p. 118 argenterie; Statuti a Milano e Venezia
(24) Ivi: Firenze p. 167 anno 1384; Bologna p. 202. 204 anno 1299
(25) Ivi pp. 152-159
(26) A.S.F. Consilia et Cernitae, Bastardelli 1449-1450; data 28 settembre 1449 cc. 35v-37
(27) MARINI, I, cc. 153v-154: Si mantiene il divieto degli strascichi alle vesti.
(28) Ivi
(29) Ivi c. 166v i pacificatori a coppie sono 12 cittadini di contrada
(30) COGNASSO p 313 per Roma p. 682; per Siena p. 685; per Bologna p. 689
(31) Edizione della pergamena copia di Servigliano in: Atti del convegno. Monteprandone 1991 pp. 72-76 testo latino e traduzione
(32) A.S.F. carta Hubart n. 1083; PAGNANI in Picenum Seraphicum, X a. 1973 pp. 219 ss
(33) SETTIMI, G. San Gualtiero. Fermo 1972 p. 75
(34) PAGNANI in: Picenum Seraphicum X a. 1973 pp227-228
(35) TOMASSINI pp. 184-185; PAGNANI, P., S. Giacomo paciere tra le comunità di Monteprandone e Acquaviva. In: Picenum Seraphicum; VIII a. 1971 pp. 178-187. NEPI, G. Storia di Acquaviva Picena. Fermo 1982 pubblica la pergamena 77 del comune di Ripatransone per l’accordo sui confini il 3 giugno 1456 tramite il Comune di Fermo p. 751; l’autografo ad Ascoli P. pp. 355-357 con foto e pp. 371-378. Ivi altre notizie per la cittadinanza Fermana pp. 240-246; 251; 742ss ASF pergamena Hubart n. 1056 e per i confini all’anno 1424 pergamena H. 1058
(36) GHINATO pp. 73-74. Cfr. IDEM, Apostolato religioso e sociale di S. Giacomo della Marca a Terni. Roma 1956
(37) Anno 1463 MARINI: II, c. 440; NEPI p. 299
(38) Ivi p. 294. Per la pace tra Fermo e Sant’Elpidio a mare PICCIAFUOCO p. 153
(39). MARINI: II, c. 263. TOMASSINI p. 185 n. III; WADDING, Annales … anno 1456 n. 146: vol. XII p. 509; MARINI, I, cc. 290v- 291
(40) Per Recanati PICCIAFUOCO p. 48; per Fermo TOMASSINI pp. 185-193
(41) I Capitoli scritti dalle autorità comunale per gli ebrei sono di vari anni: 1305; 1310; 1430; 1453; 1457; 1505 e altri anni cfr. TASSI passim. Qui Consilia, I, c. 18 febbraio 1474
(42) A.S.F. Consilia, c. 8 Agli ebrei era proibito abitare lungo la via Maestra delle città.
(43) MARINI: II, cc.285v;
(44) Traduzione: NICOLAI, G. Vita istorica di S.Giacomo della Marca dei minori … Bologna 1876
(45) MARINI, II, c. 21 da A.S.F. Consilia. TALAMONTI pp. 200-201; PICCIAFUOCO pp. 172ss; WADDING, XIII, 74 Bolla dell’ 8 dicembre 1458
(46) A.S.F. Consilia et Cernitae. Bastardelli 12° cc. 50ss
(47) A.S.F. Consilia cc. 34-35; S. Giacomo per Ascoli: MARINI, II, cc. 7-9; Gualdo – Sant’Angelo c. 57; Monte San Martino c. 67; San Benedetto del T. c. 35; Moresco; Cerreto c. 67; Mogliano c. 74; Monte Giberto c. 83
(48) A.S.F. Consilia cit.
(49) MARINI, II, cc. 44, 50, 57
(50) Ivi: Monteprandone- San Benedetto d. T. c. 95; Monteprandone -Ascoli c. 120; Gualdo-Ripatransone c. 123. Ivi Consilia et Cernitae. Bastardelli 14° cc. 145 ss il mandato che Fermo dà a S. Giacomo per pacificazioni, in particolare c.178v; diritti Fermani c. 180
(51) Ivi. Per il 23 marzo 1469 c. 184 MARINI c. 49; TOMASSINI p. 195 Vescovo Nicola Capranica (1458-1473)
(52) Amandola in TALAMONI, II, pp. 10-11
(53) MARINI, I, cc. 290-291
(54) Monti di Pietà nel periodico Picenum Seraphicum, IX a. 1972 con studi tra l’altro del Pagnani
(55) A.S.F. Consilia c. 34s; MARINI c. 292
(56) Ivi cc. 143-144 in data 20 luglio 1473
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