PRO DIALETTOLOGIA PICENA – ALCUNE CONSIDERAZIONE ED UNA PROPOSTA AI LETTORI DELLA “RIVISTA MARCHIGIANA ILLUSTRATA”(Anno VI nn. 8-10 agosto-settembre 1909 p.332) -Baglioni prof. Silvestro –
C’è giunto questo interessante articolo-proposta dal prof. Silvestro Baglioni, dell’Università di Roma. Si armino i marchigiani studiosi di buona volontà, e rispondano animosi alla voce del dotto fisiologo invitante ad una ricerca piena di curiosità e di interesse.
“ Chi non ha avuto le ventura di nascere toscano o in seno ad una famiglia che parli il puro italiano fin dal primo giorno, in cui incomincia ad apprendere la lingua italiana, comincia a disprezzare, sia pure incoscientemente, la lingua dialettale, con cui ha balbettato le prime parole. Divenuti adulti e raggiunta una professione, le cui cure quotidiane assorbono per intero la nostra attività, raramente ci accade di volgere la nostra attenzione al dialetto del luogo, che ci vide nascere.
Nelle rare volte in cui ci capita incoscientemente di sentirci salire alle labbra una parola di questa provenienza “impura”, la si scarta, perché la si riconosce errata, sostituendola con la corrispondente toscana aurea. Ed è così che noi marchigiani istruiti, come tutti gli altri italiani non toscani, rinunciamo al nostro brutto dialetto dando la preferenza al toscano, contribuendo con questo – molto opportunamente – all’unità della bellissima lingua italiana.
Ciò non significa però – e sarebbe un illuso chi lo credesse – che di questo passo mano mano moltiplicando il numero delle scuole, e, in ragione inversa, cercando di far diminuire il numero degli analfabeti, insegnando la lingua italiana, un bel giorno finiremo, con l’estirpare l’uso del dialetto. Il dialetto marchigiano si parla ora – come si parlerà – dalla grandissima maggioranza dei nostri marchigiani per ragioni radicate molto più profondamente ed intimamente di quello che si creda a tutta prima. Certamente l’istruzione elementare, e più specialmente la diffusione della lettura (segnatamente dei giornali) diminuiranno il numero dei dialettali. Ma è anche certo che i nostri buoni “villici” per esempio continuano e continueranno a servirsi delle loro parole tradizionali per indicare, se non altro, sia i loro istrumenti di lavoro sia le loro bisogna giornaliere. Non mi propongo qui la questione se ciò sia un bene o un male, invece desidererei di volgere l’attenzione dei lettori ad un lato di studio moderno delle lingue dialettali, cercando di applicarlo al dialetto marchigiano.
Il linguaggio – facoltà specificamente propria dell’uomo – adempie al bisogno potentissimo dell’uomo odierno (e con questa parola mi riferisco sia l’uomo preistorico che quello storico) di esprimere i sentimenti e gli avvenimenti della propria vita fisica e psichica individuali, agli altri individui, sia per invocarne l’aiuto onde mitigare i propri dolori o soddisfare alle necessità momentanee sia per diffondere su essi la nostra gioia, e aumentarne così il godimento, sia infine per tramandare (unico strumento prima della scrittura) ai figli un’eredità del patrimonio intellettuale delle nozioni della vita pratica o dei tesori del regno della poesia e della fantasia.
“ La lingua (scrive: Ratzel nei suoi principii di Etnologia ) che viene portata dalla bocca mobile dell’uomo vivente e dall’anima di questo, e che è tanto prossima al punto di partenza dei fenomeni vitali, porta pur sono espresso con la maggiore chiarezza: il carattere della vita, e in particolar modo quel mutamento continuo e reciprocamente quella fissità che sono appunto il tratto essenziale della vita”.
Orbene è noto, che i fattori principali della conservazione dei caratteri dei viventi sono rappresentati dalla ereditarietà e dalle condizioni dell’ambiente. Per il linguaggio l’ereditarietà assume la duplice forma della predisposizione a servirci della lingua, di chi ci generò, che molto probabilmente insieme a molte altre tendenze portiamo innata venendo alla luce, e dell’educazione, che cominciamo a subire quasi subito dopo la nascita, quando chi ci contorna si sforza di farci ripetere le prime sillabe pà-pà.
Supponiamo – come il caso per i nostri villici – che le condizioni nell’ambiente, in cui si è andato foggiando questo istrumento del linguaggio, rimangano per parecchi secoli quasi immutate e aggiungiamoci la circostanza (che calza anch’essa per i nostri bravi marchigiani) di una buona dose innata di conservatorismo e allora comprendiamo perfettamente, come le parole del nostro dialetto attraverso i secoli si siano potute mantenere conservate, se non tali, quali, certamente molto simili a quelle usate dai nostri antichissimi Piceni, quali in parte essi possedevano come patrimonio autonomo, in parte però anche quali essi cogli usi e cogli arnesi delle arti e dei mestieri importarono da vari popoli più civili di loro e di cui subirono l’influenza.
Si comprende allora come lo studio del dialetto di un popolo, (dialettologia) confrontato con le lingue di altri popoli, può assurgere a un mezzo di indagine scientifica, che, nella stessa maniera come ad esempio la conoscenza della suppellettile delle tombe dei loro antenati più antichi, (paletnologia) può essere di prezioso contributo alla storia di un popolo.
E veniamo senza altri preamboli al dialetto marchigiano. Nella rapida rassegna che segue(e che non ha la pretesa d’essere uno studio, ma solo lo spunto da invogliare altri ad occuparsene di proposito) ho variato come materiale di esame alcune parole del dialetto fermano e più precisamente del dialetto parlato dai villici di Belmonte-Piceno (mio paesello natale), che ho potuto, senza molti sforzi, ricordare sia dalla mia infanzia sia da qualche breve soggiorno passato colà negli ultimi anni.
È bene premettere, che nell’antichità preistorica i piceni della regione, a cui mi riferisco, ossia limitrofa o prossima alla spiaggia dell’Adriatico, sono venuti a contatto specialmente con due popoli, che hanno lasciato in tutto il mondo larghissima traccia della loro civiltà, cioè col popolo greco e col popolo romano. Le tracce lasciate dal popolo greco si riconoscono tanto nella suppellettile mortuaria delle necropoli picene, quando anche per es. nel nome greco di molti luoghi e città (per es. Ancona, Offida, Cupra, Numana, Falerone) marchigiane.
Lo stesso si può dire del popolo romano, il quale, inoltre come è noto, fu a contatto coi piceni molto più lungamente dei greci.
Mi limiterò a riprodurre solo alcuni esempi di parole Belmonte si tramandate dai greci e dai romani, tralasciando per ora di riferire quelli di origine picena autonoma.
Ecco alcuni esempi di parole greche tuttora viventi nella bocca dei villici belmontesi:
B=belmontese \\\ G=greco \\\ Ti= toscano italiano
B: subbia;\ G: soubla\; Ti: lesina
B:cataràtta;\G: kataràktes (scende giù);\ Ti: bodola
B: brocca;\ G: brocke (innaffiamento);\ Ti: brocca
B: sira;\ G: siròs; \ Ti: vaso da conservare olio
B: fratta;\ G: fratto (chiuso con siepe);\ Ti: siepe
B: racare\| G: rakòo (lacero);\Ti: sensazione acre dolorosa di astringente (cipolla)
B: straccali;\ G: straggàle;\ T: bretella
B: cuturno;\ G: kotornos;\Ti: stivaloni
B: cucuma;\ G: koukoumion;\ TI: bricco
B: mmassare;\ G: masso;\ Ti: impastare
B: mattera;\ G: matto;\ Ti: madia
Molto più numerose sono naturalmente le parole di origine latina, di cui si è conservata anche talora in gran parte la pronunzia. Figurano soprattutto i vocaboli, che designano gli arnesi o le occupazioni agricole.
B: gumèra;\ G: vomer,eris;\ Ti: vomere
B: cutru;\ G: culter;\ Ti: coltello dell’aratro
B: saba;\ G: sapa;\ Ti: mosto cotto
B: nègne;\ G: ningit;\ Ti: nevica
B: juù;\ G: jugum;\ Ti: giogo
B: statèra;\ G: stadera;\ Ti: bilancia
B: tofe;\ G: tofus;\ Ti: zolla di terra
B: pistrì;\ G: pistrinum;\ Ti: molino da olio
B: jemmete;\ G: lines, it is;\ Ti: confine
B: cippu;\ G: cippus;\ Ti: tizzone, ceppo
B: rumare;\ G: da ruma;\ Ti: ruminare
B: cèsa;\ G: caedo, caesum;\ Ti: il tagliare legna
B: accetta;\ G: securis, is;\ Ti: scure
B: luma;\ G: lumen;\ Ti: lampada
B: gramaccia;\ G: gramen;\ Ti: gramigna
B: ripa;\ G: ripa;\ Ti: riva
B: runcittu;\ G: da runco;\ Ti: trincetto
B: persica;\ G: persicum;\ Ti: pesca
B: pula;\ G: pulois;\ Ti: polvere
B: ugrigiòri;\ G: rigor; rigeo; \ Ti: brivido febbrile
B: prèscia;\ G: presso, da premo; Ti: fretta
B: fiiaèllo;\ G: flagellum; Ti: sferza, strumento per battere il grano
B: cernere;\ G: cernere;\ Ti: crivellare
B: butirru;\ G: butyrrum;\ Ti: burro
B: serpillo;\ G: serpyllum;\ Ti: tinco
Lo ripeto, quanto ho scritto non ha la menoma pretesa di essere uno studio (tra cui mancherebbe la prima qualità quella di essere filologo di professione), bensì tende a dimostrare ai lettori marchigiani la grande importanza che ha un siffatto genere di osservazioni che, perciò, se è giustificabile il nostro disprezzo di persone erudite del dialetto marchigiano quale istrumento da servirsene come il linguaggio, è ingiusto invece il nostro disprezzo per esso considerato come oggetto di studio e strumento di ricerca, che invece può obbligarci a intendere il patrimonio linguistico del Piceno, e – magari – scoprire affinità e rapporti di altri popoli con esso. È inoltre – dopo tutto – un oggetto di studio che si può attuare praticamente in un modo molto facile da chi vive in mezzo ai nostri marchigiani. Chiunque- medico, farmacista, sacerdote, maestro – può raccogliere dalla viva voce dei dialettali (specialmente degli agricoltori, pescatori, ecc.) le parole, che non figurano nella lingua toscana, senza preoccuparsi della loro origine o affinità e trasmetterle (col loro significato puro e semplice, e con la loro pronuncia possibilmente esatta) alla direzione di questa Rivista.
Esse saranno poi, dopo essere elaborate, pubblicate in queste colonne col nome di chi le ha raccolte, cominciando così un vocabolario del nostro dialetto, e quando sarà compiuto contenendo gli elementi di studio più importanti del nostro dialetto, potrà essere d’aiuto a quello scienziato o a quegli scienziati italiani, che si accingeranno finalmente di proposito ad imitare i filologi stranieri compilando un atlante dialettologico italiano (1).
Non è però soltanto, per le ragioni su esposte, che la dialettologia picena assume importanza scientifica, ma anche perché essa forse può essere d’aiuto sia nell’interpretazione sia nella pronuncia di molte parole greco-latino o sabelliche, tuttora controverse. Dunque all’opera e presto ! <=studio di> Silvestro Baglioni
(1) Per chi ha interesse di sapere a che punto siamo in Italia in questo campo cfr: gli Atti della Società Italiana per il progresso delle Scienze ,1,2 e 3 vol. Sez. Glottologia e Filologia.
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