LA CITTA’ DI FERMO ED I MONTI DI PIETA’: studio di Emilio TASSI secc. XV-XVI

TASSI Emilio: LA CITTA’ DI FERMO E LE FONDAZIONI DI MONTI DI PIETA’ NEI SECOLI XV – XVI
La presente ricerca si propone di studiare le iniziative prese e le motivazioni che hanno favorito i Monti di Pietà, da parte di Fra’ Giacomo della Marca e dei Minori dell’Osservanza, nel tentativo di aiutare i poveri e di circoscrivere l’influenza della comunità ebraica di Fermo riguardo alla straripante attività feneratizia. I frequenti e stretti rapporti tra alcune città della Marca con San Giacomo sono stati oggetto di attenti studi in un Convegno del 1976 edito in ”Picenum Seraphicum” a. XIII (1). Un aspetto particolare dell’attività svolta da San Giacomo e dai suoi confratelli dell’Osservanza, in particolare con la predicazione, riguarda i mutui del sacro Monte pecuniario. È noto come nelle varie città della Marca Anconitana erano fiorenti le comunità ebraiche con un’attivissima presenza specialmente nel settore del prestito su pegni (2). Per il Piceno sono noti gli insediamenti ebraici a Montegiorgio, Amandola, Ripatransone, Acquaviva, Sant’Elpidio a Mare, Montottone, Monterubbiano, Montolmo (oggi Corridonia), Montesanto (oggi Potenza Picena), Civitanova, Morrovalle. Per la città di Fermo, brevi cenni sono contenuti in saggi che illustrano i diversi aspetti della storia Fermana. La finalità del presente lavoro è limitata ad affrontare solo l’aspetto della storia riguardante l’attività locale di prestito su pegno da parte della comunità ebraica di Fermo e le iniziative prese dai frati Minori dell’Osservanza (3).
\\ LA COMUNITA’ EBRAICA di FERMO. A Fermo, come pure, nei più cospicui centri dello Stato Fermano, esistono, già alla fine del XIII secolo, insediamenti e comunità di ebrei che non potevano essere ignorati dalle autorità, per i rapporti con la popolazione residente, anche perché l’attività feneratizia da essi svolta, specialmente nei periodi di crisi finanziaria, appariva indispensabile per la vita economica dei centri nei quali essi agivano (4). Riteniamo utile conoscere la consistenza numerica, le condizioni di vita e le attività degli ebrei stanziati. Tre documenti pergamenacei, due recanti la data del 1305 e il terzo del 1310 attestano l’esistenza di una comunità ebraica a Fermo (5) e registrano altrettanti contratti, stipulati in presenza di un notaio del Comune, con i quali alcuni cittadini di Fermo dichiarano di aver ricevuto in prestito del denaro e si obbligano solennemente in solido a restituire la somma ai prestatori ebrei, ad una scadenza prefissata. Pur non disponendo di un precedente documento che attesti l’esistenza di un capitolato redatto tra il Comune e gli ebrei, nel quale venga permesso ad essi, a determinate condizioni, l’esercizio del prestito su pegno, possiamo supporre che una tale disposizione fosse stata emanata dalle autorità comunali al momento dell’insediamento dei primi nuclei di ebrei prestatori. Dai contratti, infatti, appare chiaramente che non si tratta di ebrei isolati, ma di un gruppo, che esercitano regolarmente l’attività del prestito su pegno (6). È pertanto lecito pensare che nell’ultimo decennio del secolo XIII, i gruppi di ebrei stanziati a Fermo ottenessero da questo Comune la licenza di svolgere l’attività feneratizia, dopo aver stipulato un vero e proprio patto con le autorità. Possiamo comprendere questi rapporti, analizzando il capitolato sottoscritto nel 1295 tra la città di Ascoli ed un gruppo di ebrei colà stanziati (7).
I responsabili del Comune si preoccupavano, anzitutto, di obbligare gli ebrei che intendevano impiantare l’attività del prestito, a stabilire e fissare, quanto meno per un periodo non superiore a 10 anni, o stabilmente, la loro residenza in città: evidentemente intendevano assicurarsi una riserva di denaro fresco a cui attingere nei ricorrenti momenti di crisi finanziaria. In secondo luogo, gli ebrei dovevano pagare un canone annuo alle casse del Comune e si dovevano impegnare a prestare denaro al Comune stesso, a tasso agevolato. Da parte loro le autorità concedevano il monopolio del prestito, impedendo che altri prestatori potessero impiantare dei banchi, a meno che gli ebrei interessati non avessero dato il loro assenso. Le autorità comunali, dunque, non si opponevano allo stanziamento degli ebrei, anzi, a volte, lo sollecitavano, dato che l’attività del prestito rappresentava, comunque, un’importante cespite di entrata per le casse comunali e un incentivo per lo sviluppo delle attività artigianali e commerciali bisognose di denaro liquido disponibile a quei tempi. È arduo, ma non impossibile, stabilire la consistenza numerica della comunità ebraica di Fermo, anche se nessun documento fornisce cifre precise e neanche approssimative; più difficoltoso è stabilire il numero dei banchi di prestito su pegno, esistenti nella città Fermana alla metà del secolo XV.
Nei primi anni del ‘300 vengono scritti nei documenti i nomi di sette ebrei come rappresentanti dell’intero gruppo di ebrei prestatori (8). Considerando che i detti “soci” fossero altrettanti, arriviamo a stabilire che la comunità ebraica Fermo fosse composta di almeno 14 nuclei famigliari. Accettando la diffusa ipotesi (9) che ogni nucleo accogliesse cinque famigliari, si può concludere che nel 1310 a Fermo vivessero circa 70 ebrei.
Alla fine del ‘300 il numero degli ebrei residenti nella città di Fermo è più che quintuplicato. Il cronista della stessa città, Anton di Nicolò, riferendo un doloroso episodio di saccheggio avvenuto il 27 maggio dell’anno 1396 da parte di alcuni soldati mercenari, assoldati dal tiranno di turno per sedare una rivolta, ci fa sapere che questi, una volta riportato l’ordine, si abbandonarono al saccheggio. Cominciarono a prendere le abitazioni e rubare e saccheggiare tutta la ‘giudea’ cioè tutti i giudei. Ne fecero le spese gli ebrei residenti in città (10) nella contrada di San Bartolomeo in direzione di Campoleggio. Qui vengono prese di mira 100 case; nelle altre contrade il saccheggio riguarda solo 4 case. Ora è noto che il ghetto ebraico era situato proprio nella contrada di San Bartolomeo lungo la strada, ora via Bergamasca, che si snoda parallelamente al corso Cefalonia, a partire dalla chiesa della Pietà fino ad arrivare sotto la piazza di Campoleggio (11). Ammesso che non tutte le case saccheggiate appartenessero agli ebrei, si può tuttavia pensare che la maggior parte di esse fossero abitate da ebrei, dato che proprio in quella zona era collocato il ghetto. Alla fine del 300, dunque gli ebrei residenti a Fermo ammontavano, con ogni probabilità, 70-80 nuclei familiari e quindi a 350-400 unità.
Un’attività a cui essi si dedicavano era certamente quella del prestito su pegno; non che fosse l’unica, ma certo era la principale. Ad esercitarla furono spinti da una serie di circostanze venutesi a creare a causa del diffondersi nel mondo cristiano di una dottrina giuridica in tema di prestito ad interesse, cioè in seguito alla precisazione della dottrina morale sull’usura, vietata ai cristiani. Riguardo alla funzione del capitale finanziario si era venuta precisando una teoria morale e giuridica, codificata poi in modo preciso verso la metà del secolo XIII da diversi concili e dalle Decretarli di vari pontefici, partendo dai divieti che l’Antico Testamento imponeva a proposito dei prestiti tra gli ebrei. Il prestito nella tradizione rabbinica era considerato come un atto di solidarietà non con un affare (12). La Chiesa, riferendosi a una massima di Aristotele, secondo il quale: “Il denaro non può partorire denaro”, e fondandosi specialmente sulla massima evangelica “Date in prestito senza sperare, da questo, nulla”, proibì rigorosamente l’usura non solo come concessione di prestito ad eccessivo interesse, ma anche come attività di mutuo, a qualsiasi tasso di interesse. Il divieto obbligò prima di tutto il clero, in seguito indistintamente tutti i cristiani. Rimase incerto se tale divieto riguardasse anche gli ebrei i quali, essendo fuori dalla Chiesa, erano considerati giuridicamente non soggetti alla legislazione canonica. Le fonti giuridiche ecclesiastiche non si pronunciarono in proposito. Il concilio Lateranense IV, tuttavia, nel 1215 vieta agli ebrei di partecipare usure gravi e immoderate (13) e con ciò induce a pensare che agli ebrei fosse permesso di prestare denaro ad interesse, seppur moderato, cosa che non poteva essere concessa ai cristiani. Fu precisamente questo atteggiamento reticente nei loro confronti da parte della legislazione canonica che agevolò, verso la fine del secolo XIII, i primi tentativi degli ebrei italiani di istituire banchi di prestito (14).
Gli ebrei erano esclusi quasi del tutto dalle altre attività commerciali ed artigianali e, al momento del formarsi, nella società comunale, delle corporazione di arti e mestieri, trovandosi ad avere a loro disposizione una gran quantità di denaro liquido (accumulato durante le fortunate attività esercitate prima della proibizione), si trovarono a coprire un vuoto nel settore della gestione del capitale finanziario assolutamente necessario per il decollo delle attività economiche nelle neonate corporazioni. (15) Dato che a Fermo gli ebrei arrivarono quando ormai ad essi erano limitate altre attività lavorative (praticavano il commercio dei panni usati degli stracci), è naturale che essi impiantano subito banchi di prestito su pegno, dedicandosi maggiormente all’attività feneratizia.
Il numero dei banchi di prestito su pegno, alla metà del secolo XV, a Fermo si può determinare, con buona approssimazione, dall’esame dei capitolati siglati dalla comunità ebraica con le autorità del Comune e dall’analisi dei bandi di ritiro o di vendita dei pegni depositati. Dall’esame dei dati non è azzardato concludere che a Fermo, a metà del secolo XV, erano attivi almeno 15 banchi di prestito su pegno (16).
Per tutto il secolo XIV, fino a circa la metà del secolo XV, la comunità ebraica di Fermo registra un consistente sviluppo e l’attività del prestito su pegno si consolida sensibilmente. Ne è chiara dimostrazione il fatto che, proprio nel corso dei primi cinquant’anni del secolo XV, vengono stipulati numerosi capitolati tra gruppi di ebrei prestatori immigrati a Fermo e le autorità del Comune. Questo sviluppo si arresta improvvisamente nella seconda metà di quel secolo. Dall’esame dei documenti si coglie chiaramente un sensibile calo dell’attività feneratizia della comunità ebraica tra il 1465 e il 1500, contemporaneamente le fonti ci attestano i primi tentativi di istituire a Fermo un Monte di Pietà gestito dalle istituzioni cittadine. Nei registri degli “Instrumenta” notarili e in quelli degli “Acta diversa” non compaiono più i capitolati tra la città e gli ebrei. Inoltre i bandi di vendita dei pegni si diradano sensibilmente. La causa del ristagno è da individuarsi nella predicazione antiusura dei Frati minori dell’Osservanza, in particolare di San Giacomo, che influenza decisamente l’atteggiamento dei governanti di Fermo. Giova al chiarimento un documento dell’anno 1505, quando ormai si era attenuata la politica antiebraica. Esso contiene un nuovo capitolato stipulato tra il Comune e alcuni ebrei tornati a Fermo. La parte ebraica, nel sottoscrivere il nuovo contratto, chiede nuove e più gravi garanzie contro eventuali atteggiamenti persecutori o discriminatori che presumibilmente si erano verificati durante gli anni che vanno dal 1465 al 1500 (17).
Pensiamo sia interessante proporre un breve esame del documento del 1505. Esso si apre con un’osservazione dalla quale si arguisce come negli anni precedenti fossero stati presi provvedimenti per impedire o quanto meno limitare l’attività di prestito degli ebrei e si sottolinea il fatto che proprio tali provvedimenti hanno provocato non pochi incomodi data la necessità di denaro per le attività economiche dei cittadini Fermani. Si legge: “in li anni passati, per non essere stati hebrei et prestaturi in la città di Fermo, innumerabili di sinistri et incomoditati sono patute, maxime questi tempi vexati de caristia, guerre et altre turbolenze in li quali non sono cusì facili et legermente li hominii possono supplire alle loro necessità … “(18).
Gli ebrei che accettarono di ritornare a Fermo per riprendere l’esercizio del prestito, non si fecero sfuggire l’occasione di chiedere consistenti miglioramenti delle clausole del contratto, specialmente per quel che riguardava le garanzie della gestione dei banchi di prestito; approfittarono dell’occasione per introdurre nel capitolato anche alcune norme tese ad assicurare ai vari gruppi di prestatori l’esercizio libero delle pratiche della religione ebraica. Infatti proprio nel documento del 1505 sono contenute norme giuridiche che si riferiscono allo status civile e religioso degli ebrei prestatori. Tra le clausole, la principale era quella che dava agli ebrei il diritto di godere della cittadinanza, privilegio esteso anche ai familiari e ai collaboratori nell’attività del prestito: “Item che li dicti hebrei prestatori et quilli de casa loro et loro facturi et ministri, fanti et garzoni possano godere tucti li privilegi, immunità, gratie, indulti et statuti et ordeni de la dicta città …“ (19). È evidente che tale diritto aveva valore solo limitatamente al periodo della gestione del Banco. La religione ebraica era tutelata: “né prestare né rendere pegni li dì de li sabati et de le altre loro feste, né fare altre cose in quilli tali dì quali fossero contro la loro legge“ (20). Particolare importanza rivestono anche le clausole che si riferiscono alla libertà religiosa e di esercitare le pratiche del culto ebraico: “la dicta magnifica comunità li habbia defendere maxume da predicatori da li quali o ad istantia de li quali non siano adstricti alcuno de ipso hebreo ad loro prediche contro loro volontà“ (21). Il prestatore ebreo, i suoi familiari e i collaboratori venivano autorizzati a praticare i riti cultuali della religione ebraica in un oratorio; a volte veniva riconosciuto il diritto di organizzare perfino corsi di istruzione religiosa per i propri figli e per i giovani ebrei residenti in città. Era consentita la mattazione rituale degli animali; veniva permesso l’acquisto di un appezzamento di terra da destinare a luogo per la sepoltura riservata agli ebrei. Importante appare la disposizione in base alla quale il titolare del Banco, la sua famiglia e tutti gli addetti all’esercizio del prestito come collaboratori del titolare venivano dispensati dal partecipare alle prediche settimanali tenute in genere dai Francescani per spingere gli ebrei alla conversione (22). Se nel capitolato del 1505 vengono richieste simili clausole, mentre in quelli precedenti esse non venivano menzionate, è segno che le iniziative prese, tra il 1464 e il 1500 nei confronti degli ebrei, avevano resa necessaria l’esplicazione di precise garanzie onde evitare il ripetersi di episodi incresciosi nei confronti degli ebrei.
\\ LA TENDENZA ANTIEBRAICA A FERMO. La prima avvisaglia si registra nel1433; ne troviamo testimonianza nella “Cronaca Fermana” di Antonio di Nicolò il quale testimonia che nell’anno 1433 nel mese di maggio venne a Fermo un frate Eremitano chiamato frate Simone da Camerino e predicò più volte nella chiesa di Sant’Agostino di Fermo e anche nella piazza. Ed ebbe a dire, tra altre cose, che gli ebrei non erano riconosciuti dai cristiani. E tanto disse che fu fatta la delibera nella Cernita Grande: che tutti i Giudei, maschi e femmine, maggiorenni e minorenni, portassero negli indumenti un segno, cioè una “O” così che fossero riconosciuti. E così fu deciso, e il giorno 23 maggio cominciarono i Giudei a portare un segno di panno di colore giallo (23) si può così individuare il sorgere di una corrente antiebraica ad opera dei frati agostiniani; essa ebbe però scarsa incisività, se la disposizione del 1433 fu abolita in una cernita del 1447; sotto il 14 maggio: al numero 6, si legge la ‘riformanza’ del13 maggio riguardante il segno “O” giallo che dovevano portare gli ebrei (24). La vera e propria campagna antiebraica, tuttavia, riferibile all’opera dei frati Minori dell’Osservanza, viene esplicata da San Giacomo della Marca. Il santo venne per la prima volta a Fermo nel 1442 a predicare la Quaresima; la sua ardente parola aveva commosso la popolazione e impressionato le stesse autorità del Comune (25). Che la stima acquistata presso i Fermani fosse grande, è dimostrato dal fatto che, quattro anni dopo, San Giacomo riuscì a riportare la pace tra Fermani ed Ascolani, divisi ab antiquo da profondi odi, e anche dal fatto che in tale occasione fu donata al santo l’area per costruire il convento dei Frati dell’Osservanza. Sull’onda di tale popolarità, il frate propone di apportare alcune ‘riformanze’ alla legislazione del Comune; alcuni proposte riguardano per l’appunto l’atteggiamento da tenere nei confronti degli ebrei che esercitano il prestito da pegno. Queste ‘riformanze’ proposte da San Giacomo della Marca sono uguali a Recanati nel 1424, come poi a Fermo, con unica diversità che non compare l’obbligo per essi di portare ben visibile un segno distintivo di color rosso (26). Scrisse Antonio di Nicolò che il giorno 16 marzo 1459 il reverendo padre fra’ Giacomo della Marca, predicatore devoto, giusto, santo aveva fatto predicazione per la salvezza delle anime, come a tutti era noto, e per la preservazione della città e l’utilità dei cittadini; soprattutto (al n. 2) contro le usure ed atti notarili e contratti illeciti; e (al n 9) contro i capitoli concessi agli ebrei, riguardo all’usura: che si provvedesse affinché i cittadini ‘non siano nella scomunica’ (27). Fra’ Giacomo si preoccupava di far approvare le disposizioni contro l’usura, specialmente tese a scongiurare ogni contatto tra ebrei e cristiani onde allontanare ogni pericolo di apostasia.
Il Consiglio Generale recepisce prontamente le deliberazioni della Cernita e si adegua alle richieste di fra’ Giacomo: “ il giorno 19 marzo … Bongiovanne di Agostino e il signor Bongiovanne di Sergio Vanni lodano fra’ Giacomo e i suoi ammonimenti. Perciò sono eletti i cittadini per stabilire le riforma … (seguono i nomi) e con questi i signori priori e i regolatori fecero le riforme e stabilirono che … gli ebrei che non dovevano essere ammessi nella Beccaria; fossero tolti quei Capitoli, loro concessi, che sono proibiti dal diritto divino e canonico… (28). Nella città un partito antiebraico si dà da fare affinché le concessioni fatte agli ebrei nel passato vengano abolite. Tale tendenza si rafforza ogni qual volta capiti a Fermo un predicatore dei frati dell’Osservanza.
Il partito filo – ebreo, tuttavia, non demorde; cosicché negli anni seguenti, almeno fino al 1505, assistiamo ad una lotta che presenta fasi alterne. Nel 1464 fra’ Pietro da Napoli, venuto a predicare la Quaresima, provoca un rincrudimento della situazione degli ebrei: “ il giorno 23 marzo, il nobile uomo Pandolfo di Ruggero ed altri consultori… vinsero in cernita: n. 1: annullamento dei capitoli a favore degli ebrei riguardo alle usure; n. 2: cassazione del maestro ebreo; n. 3: rimozione degli ebrei dalla strada maestra. Queste cose sono messe nelle mani di fra’ Pietro da Napoli, ottimo predicatore, e dei dottori e signori ” (29). Nel 1480, ad opera di fra’ Pietro da Fermo, uomo ritenuto per santo ed ottimo predicatore, si rinverdiscono le disposizioni antiebraiche: “ il giorno 7 marzo, il venerabile fra’ Pietro da Fermo, predicatore, disse molte cose nella Cernita e vengono rese grazie a Dio di tanto buon spirito. Per suo consiglio vengono stabiliti i cittadini per le pacificazioni da fare ; – riguardo al dover rivedere i capitoli degli ebrei affinché i cittadini non siano nella scomunica” (30). La risposta del Consiglio generale è positiva: “ il giorno 19 marzo quei cittadini eletti per i capitoli degli ebrei … ( seguono i nomi) il giorno 20 si sono riuniti ed hanno annullato la concessione fatta agli ebrei dei pegni, dopo due anni (31).
Negli intervalli di tempo fra una predicazione e un’altra si fa sentire la reazione della parte che ragiona più realisticamente e considera utile la presenza e l’attività di prestiti degli ebrei nella città. Dal febbraio 1459 al marzo 1464, infatti, assistiamo ad una lotta tra le due fazioni riguardo all’assunzione, da parte del Comune, di un certo Angelo medico ebreo molto famoso. I momenti di tale disputa sono: “ il giorno 10 febbraio 1459 viene eletto il maestro Angelo ebreo, buono ed esperto chirurgo” (32). In seguito alla segnalazione della Cernita, il maestro Angelo viene assunto dal Comune come medico. Nel marzo poi si svolge la predicazione di far’ Giacomo della Marca e questo medico Angelo viene licenziato. Tuttavia il 24 aprile nella Cernita viene stabilito: “bisogna riportare il maestro Angelo ebreo come medico fisico per un anno“. Ma, il giorno seguente, il Consiglio generale stabilisce: “il maestro Angelo non è stato confermato perché era ebreo” (33). Evidentemente il partito antiebraico, ancora sotto l’impressione della predicazione di fra Giacomo, riesce a spuntarla nel Consiglio generale. Nel 1463 “si fa il Consiglio generale e il maestro Angelo ebreo viene preso come medico” (34). Nell’anno successivo, si verifica un tentativo, andato tuttavia a vuoto, di restituire agli ebrei la facoltà di esercitare il prestito su pegno: “il giorno 30 novembre 1464 si rimettono nelle mani dei signori Priori i capitoli da annullare contro le usure degli ebrei, perché il popolo non trova denari a mutuo” (35). La motivazione addotta dalla Cernita appare molto interessante: i consiglieri si accorgono, con molto senso realistico, che non si fanno gli interessi della popolazione e del Comune che cercano denari. Il Consiglio generale però non ratifica la proposta: “il giorno 16 dicembre, nel Consiglio generale viene detto che non può farsi di annullare i capitoli contro i Giudei, senza dispensa del signor Legato” (36). Tutte queste schermaglie stanno forse a dimostrare che, in questa fase, nel Consiglio di Cernita prevale il partito filo – ebreo, mentre nel consiglio Generale la maggioranza è tenuta dalla fazione anti ebraica.
Nel frattempo, come diremo in seguito, si pone in atto il tentativo di fondare a Fermo un Monte di pietà. Nel 1476, si ripropone lo scontro tra le tue fazioni, a proposito della concessione ad un ebreo di comprare una casa: “giorno 27 agosto 1476 si dice di no a Fabrizio di Antonio Berterami: non può vendere la sua casa ai Giudei“. Tuttavia il 2 ottobre dello stesso anno: “è concessa licenza a Fabrizio di Antonio Berterami di vendere la casa sua ai Giudei“(37). D’altra parte, per tutta la seconda metà del secolo XV, non mancano concessioni fatte agli ebrei, relative al alla facoltà di esercitare arti diverse dal prestito, come quella del commercio dei panni usati e il mestiere di sensale nelle fiere, cosa questa abbastanza rara. Allo scadere del secolo, addirittura, è il Comune stesso che, per avere un mutuo dagli ebrei, consegna ad essi, come pegno, parte dell’argenteria di proprietà del Comune stesso (38); nel 1499, poi, fra Gaspare denuncia i canonici della cattedrale per avere essi dato in pegno agli ebrei l’argenteria della chiesa (39). Nel giugno dello stesso anno sembra che il partito antiebraico abbia poco mordente; sappiamo infatti nella cernita del 28 giugno: “si tratta riguardo al dover autorizzare il prestito agli ebrei e di 50 ducati di mutuo per il Comune da questi stessi” (40). Nei primi anni del secolo XVI, la situazione va sempre più normalizzandosi, anche perché la situazione economica a Fermo va facendosi sempre più precaria, mentre le lotte intestine e i gravi problemi che ne nascono, distolgono l’attenzione delle autorità del Comune da una questione tutto sommato marginale, quale era quella delle limitazioni da introdurre nei confronti della comunità ebraica.
Un episodio verificatosi nel 1503 dimostra quanto fosse cambiato il clima nei confronti degli ebrei. A Fermo la comunità ebraica era tenuta ad offrire ogni anno un cero alla chiesa di santa Lucia, a favore degli studenti. L’usanza era ritenuta assai umiliante, più che economicamente onerosa. Proprio in questo anno, gli ebrei si rifiutano di fare l’offerta prescritta. Ci fu una violenta reazione da parte di alcuni cittadini, i quali assalirono la sinagoga e asportarono tutti i libri sacri che vi erano custoditi. Il fatto non lasciò indifferenti le Autorità che intervennero con alcune disposizioni che appaiono molto equanimi: 1. – i libri sacri asportati dovevano essere restituiti agli ebrei; 2. – questi da ora in poi avrebbero pagato il censo di un fiorino, al posto dell’umiliante offerta del cero: “viene stabilita la restituzione dei libri, dopo pagato un fiorino al quale gli ebrei sono tenuti nel tempo posteriore, e non ad altro” (41).
La campagna contro il prestito ebraico aveva certamente acuito la crisi finanziaria in cui si dibatteva il Comune e aveva creato non poche difficoltà a quei cittadini fermani che gestivano le iniziative commerciali ed artigianali. I più realisti della comunità Fermana prevalsero. Quattro testimonianze documentarie sono particolarmente eloquenti:
. 1 . 1504: “Dato il fatto che non si trova alcun mutuatore di denari <= segno che il Monte di Pietà non funzionava> si concede la procura agli ebrei e dispensa dall’Urbe di prestare a usura, secondo capitoli limitati” (42). Con questo passo verso una politica più liberaleggiante, le autorità comunali non hanno nulla in contrario a restituire agli ebrei la facoltà di esercitare il prestito, purché da Roma si ottenga l’autorizzazione perché vengano introdotte clausole limitanti.
. 2 . 1506: “ Si prendono decisioni di dover deputare i cittadini che facciano gli estimi nella subastazione dei pegni dei Giudei” (43). Forse l’autorizzazione da Roma è arrivata e la Cernita appronta i nuovi strumenti giuridici affinché il prestito possa funzionare con soddisfazione di tutti.
. 3 . 1511: “E’ stato stabilito di portare ebrei che facciano il mutuo, perché è minor male tollerare questi, piuttosto che chiedere ai cristiani di fare prestiti ad usura (44). Erano vietati canonicamente a questi. C’è da pensare che ormai nel 1511 sia stato reintrodotto a Fermo il prestito ebraico e che quindi gli effetti della campagna antiebraica ormai non si facevano più sentire.
. 4 . 1512: “ Il popolo Fermano di nuovo richiede gli ebrei dentro la città; pertanto viene a loro data la sicurezza da ogni pubblica offesa e persuasione in contrario, a meno che contro di essi non si abbia una commissione dalla Santa Sede (45). È il passo decisivo per cui gli ebrei vengono assicurati e garantiti da ogni angheria; solo una decisione sovrana del Pontefice potrebbe modificare la situazione. Ormai si chiamano le cose con il loro nome: gli ebrei che esercitano il prestito su pegno costituiscono un elemento indispensabile all’economia della città e pertanto si danno ad essi le più ampie garanzie onde poter liberamente agire nell’ambito del mercato finanziario. Negli anni successivi incontriamo nei documenti reiterate concessioni fatte alla comunità ebraica di Fermo. Tale situazione si manterrà almeno fino alla metà del secolo XVI.
\\ L’ISTITUZIONE DEL MONTE DI FERMO. Le limitazioni imposte agli ebrei per iniziativa di fra’ Giacomo e dei frati dell’Osservanza obbligavano i medesimi a studiare iniziative che in qualche modo sostituissero l’attività feneratizia dei banchi ebrei, mentre il denaro era indispensabile a sostenere l’attività artigianale e commerciale dei cittadini di Fermo. Questa esigenza fece nascere tutta una serie di iniziative che portarono alla creazione dei Monti di Pietà gestiti da numerosi enti di beneficenza esistenti nel tessuto religioso della città.
Il Wadding afferma che l’iniziatore dei Monti di pietà sarebbe stato il beato Domenico da Teramo. Egli li avrebbe promossi al fine di sottrarre i poveri alla necessità di ricorrere ai prestatori ebrei che richiedevano un tasso gravoso di interesse. L’idea gli sarebbe venuta mentre predicava la quaresima a Perugia; pensò di accantonare, dalle elemosine raccolte in chiesa, il denaro sufficiente per creare un fondo da destinare al prestito gratuito, sopra la garanzia di un pegno. I pegni capaci di fruttare avrebbero costituito la base finanziaria per coprire le spese della gestione del Monte. Espose la sua idea alle autorità della città le quali approvarono il suo progetto. Fu così che si riuscì a costituire due monti pecuniari (46). Non mancarono oppositori al progetto, come i frati Domenicani, i quali consideravano l’istituzione alla stregua di una larvata forma di usura. La polemica sulla liceità o meno dei Monti di Pietà si allargò a tal punto che della questione fu investito il concilio Lateranense V. Nella sezione X venivano dichiarati approvati, leciti, pii e meritori i sacri Monti di Pietà e venivano promulgate indulgenza a favore dei benefattori. Il Papa Leone X sanciva la decisione conciliare con la costituzione apostolica “Inter multeplices”.
Chi ha fatto piena luce sull’origine del sacro Monte Pecuniario di Fermo è il Talamonti nella sua accurata e ampia opera: “Cronistoria dei frati Minori” (47). Egli dimostra, su basi documentarie inoppugnabili, che il Monte fu istituito, sul piano giuridico, nel 1469 da fra’ Domenico da Leonessa. Scrive: “un’altra insigne istituzione di beneficenza, (è) sorta a Fermo nel 1469 per opera del beato Domenico da Leonessa, che proprio in quell’anno predicò con gran frutto la Quaresima nella chiesa cattedrale. Per esortazione del dotto e zelante religioso fu deciso, infatti, di istituire il Monte di Pietà, i cui statuti ebbero la piena approvazione dal vescovo mons. Nicola Capranica” (48). Pertanto lo stesso frate che nel 1458 aveva dato l’avvio al Monte di Pietà ad Ascoli, come ha ampiamente dimostrato il Fabiani (49), undici anni più tardi fondava la medesima istituzione a Fermo. Altri storici di cose Fermana non avevano individuato l’anno di fondazione del sacro Monte, ma i documenti d’archivio parlano chiaro. La documentazione utilizzata dal Talamonti si riferisce agli atti dei Consigli di Cernita e dei Consigli Generali, transuntati dal Marini il quale, sotto la data 23 marzo 1469, scrive: “giorno 23 marzo si hanno i capitoli del Monte di Pietà fondato su persuasione del venerabile frate Domenico da Leonessa dell’ordine dei Minori dell’Osservanza nella chiesa cattedrale dell’episcopato di Fermo nella quaresima ora passata, ottimo predicatore e furono rivisti e approvati per opera del reverendo don Nicola vescovo e principe fermano, e di don Pietro Paolo suo vicario (51). È però da ritenere che l’istituzione non fosse eretta subito dopo la predicazione del frate; effettivamente trascorsero altri nove anni, dal momento che risulta, dagli atti dei consigli di Cernita, che il 23 gennaio 1478 il beato Marco da Montegallo, venuto a Fermo, esortò le autorità del Comune affinché mandassero una buona volta ad effetto l’erezione della pia istituzione. Il frate il 27 marzo riformò i capitoli del Monte e fu più fortunato di fra’ Domenico da Leonessa, poiché il consiglio accolse benevolmente la richiesta e, dopo aver nominato il 31 marzo una commissione <=comitato> di cittadini che insieme al frate riordinasse i capitoli del Monte, redatti nove anni addietro, procedette anche alla conferma dei capitoli riformati, e all’approvazione definitiva del sacro Monte l’8 aprile 1478, (52). Il 12 aprile dello stesso anno l’Istituto inizia la sua attività, il consiglio di Cernita, infatti, prende la seguente decisione: “sono delegati per il Monte di Pietà, Assetto da Acquaviva e Antonio da San Benedetto” (53). Il Talamonti avanza l’opinione che dal 1468 fino al 1478 la pia istituzione non abbia mai funzionato; egli però sembra non utilizzare a dovere la notizia contenuta nella citata risoluzione della cernita del 27 marzo 1478, in cui si legge: “ne amplius periret”, affinché non perisca ancora una volta. Sembra pertanto più verosimile affermare che un primo tentativo di far funzionare il Monte, andato a vuoto, sia stato messo in atto anche prima del 1478, per cui quanto i documenti affermano del Pio Istituto in quell’anno sarebbe il secondo, più fortunato tentativo.
Tuttavia per la pia istituzione le difficoltà non dovettero essere lievi, dato che le spese di gestione erano alte e le risorse raccolte presumibilmente andarono assottigliandosi. I documenti indiretti, che in qualche modo accennano all’attività del Monte, ci fanno pensare ad una vita stentata. Nel giugno del 1506, infatti, vengono riformati radicalmente i capitoli del Monte di Pietà: : “giorno 1 giugno si tratta di fare composizione degli ordini del Monte di Pietà”. il 25 agosto il Consiglio Generale approva il nuovo testo in cui leggiamo che vengono destinati al Monte i proventi delle multe inflitte per i malefici: “giorno 25 agosto in Consiglio sono approvati i capitoli del Monte di pietà, avendo delega dei soldi dai malefici a questi capitoli confermati (54). Di quali remissioni si tratta? Se possiamo avanzare un’ipotesi, possiamo affermare che le autorità comunali, essendosi accorte che il Monte non poteva reggersi sul prestito gratuito, abbiano introdotto un lieve tasso di interesse, abbiano tentato di dotare l’Istituto di entrate sicure e stabili e si siano preoccupati di fissare più precise garanzie per il recupero dei capitali mutuati.
Le ‘riformanze’ del Capitoli del Monte, approvate nel 1506, hanno facilitato le sue attività. Da ora in poi, nei documenti, incontriamo notizie più confortanti circa la capacità operativa della pia istituzione, anche perché, a seguito del suo consolidamento economico, ogni tanto qualche munifico del settore assegnava al Monte cospicui beni. È tuttavia da sottolineare che proprio in concomitanza con il consolidamento dell’attività del prestito messa in atto dal pio Monte, l’esercizio del prestito degli ebrei non solo non si arresta, ma si svolge in pieno e, forse, con migliore fortuna. Il fenomeno si spiega probabilmente con il fatto che l’attività del Monte poteva soddisfare le esigenze dei poveri, ma non riusciva certo a venire incontro alle esigenze finanziarie delle attività commerciali e artigianali degli operatori economici e specialmente alle necessità del Comune. Tale ipotesi viene confermata da quanto afferma il Milano nel suo circostanziato lavoro sulla storia degli ebrei in Italia: “ponendo a confronto l’interesse richiesto dai Monti di Pietà con quello praticato dai banchi ebrei, rimane, a prima vista, poco chiaro come quelli non abbiano sbaragliato rapidamente questi (…) Una prima spiegazione è offerta dal fatto che, nonostante che in epoche successive i Monti riuscissero a rinsaldarsi patrimonialmente, pure non avevano la potenzialità, anche in tempi normali, di soccorrere tutta la miseria cittadina. Quando poi si abbatterono sulla città una carestia, un’epidemia o un’invasione, le riserve dei Monti si riducevano rapidamente a zero. In questi casi eccezionali, il prestatore ebreo doveva funzionare da valvola di sicurezza, mettendo sulla piazza il denaro contante che altrove non si poteva più ottenere. Ma anche nell’andamento normale del credito minuto, l’ebreo era in grado di fornire servizi e facilitazioni che spesso lo rendevano meglio accetto del Monte stesso. Questi vantaggi si possono così riassumere: valutazione più elevata dei pegni; possibilità di concedere anticipazioni su raccolti futuri o su derrate provenienti delle derrate alimentari giacenti; orario di lavoro più prolungato e maggiore segretezza nelle operazioni. Tutti questi vantaggi erano considerati tali da controbilanciare la non piccola disparità tra i due tassi di interesse (55). Quanto scrive il Milano spiega anche il perché, proprio a Fermo, allorché il Monte di Pietà comincia a funzionare, a dovere, si nota una normalizzazione dei rapporti della Comunità Fermana nei confronti degli ebrei. Da quanto detto concludiamo con alcune considerazioni:
. 1 . La fervida e attiva vita economica e sociale di Fermo, nel corso dei secoli XIV e XV, ha richiamato numerosi ebrei prestatori per cui non è azzardato dire che la principale occupazione della comunità ebraica di Fermo fu l’esercizio del prestito su pegno, sia nei confronti dei privati cittadini, sia a beneficio del Comune e, a volte, persino delle stesse autorità ecclesiastiche. Soltanto pochi gruppi si dedicarono al commercio dei panni usati e ad altre forme commerciali. Inoltre la comunità ebraica residente a Fermo possedeva tutte le strutture necessarie ad una comunità organizzata: la Sinagoga, i propri rappresentanti deputati a trattare con le autorità in nome di tutti, ed altro.
. 2 . Il momento più delicato e drammatico della sua storia, la comunità ebraica di Fermo lo attraversò tra il 1450 e il 1505. Furono questi gli anni caratterizzati da discriminazioni che indussero la maggior parte degli ebrei residenti nella città ad emigrare. Il fenomeno è da ascriversi alla fervida predicazione di San Giacomo della Marca e dei confratelli dell’Osservanza. Tale predicazione tuttavia sortì qualche effetto benefico: anzitutto quello di regolare i rapporti tra cristiani ed ebrei in modo da tutelare la religiosità della popolazione Fermana; inoltre l’effetto di determinare la nascita di istituzioni benefiche quali i Monti di Pietà e i Monti Frumentari che avrebbero avuto un ruolo di primaria importanza nei secoli successivi. Tra il secolo XV e il XVI, la politica antiebraica, su precise motivazioni economiche e non ideologiche ebbe momenti di successo. Non erano in discussione la tolleranza religiosa né l’eguaglianza dei diritti di fronte alla legge. In seno alla società di Fermo, alcuni settori della borghesia commerciale e artigianale sostenevano una politica filo-ebraica e nel 1512, il Consiglio Generale prende atto che i prestatori ebrei costituiscono un elemento indispensabile per la vita economica della città.
. 3 . In relazione ai rapporti tra società civile Fermana e comunità ebraica, si nota una curiosa discrasia tra i documenti giuridici e legislativi ed i documenti che registrano i fatti della vita ordinaria e quotidiana. Nei testi dei Consigli Generali e di quelli di Cernita, in cui si leggono gli atti dell’attività legislativa, si notano una chiara severità e momenti di politica discriminatoria nei confronti degli ebrei. Nei registri degli “Acta diversa” e nei “Instrumenta” notarili, invece si colgono gli atti amministrativi che regolano i rapporti tra i cittadini e l’attività quotidiana, e qui viene fotografata una situazione distesa; per nulla affatto un clima persecutorio né discriminatorio nei confronti degli ebrei
. 4 . Quanto al Monte di Pietà di Fermo, è chiaro che esso non è stato istituito per iniziativa compiuta da San Giacomo della Marca, come scrisse il Caselli (56); mentre è appurato che l’istituzione fu opera di Fra’ Domenico dalla Leonessa nel 1469, almeno a livello giuridico statutario, mentre di fatto il pio Istituto cominciava concretamente a funzionare, per iniziativa di Fra’ Marco da Montegallo, nel 1478 e la sua prima sede fu l’edificio dell’ospedale di Santa Maria della Carità nel rione di San Bartolomeo (accanto all’attuale chiesa del Carmine), dopo di che, detta benefica istituzione fu trasferita in altra zona della città. Ci piace concludere il presente studio con le parole pacate di Attilio Milano, uno dei più attenti studiosi della storia degli ebrei in Italia: “ Proprio in Italia, dove sono stati enunciati per primi alcuni dei più intransigenti principi di diritto e di politica, quasi per contrappeso, ha circolato sempre, in mezzo ad ogni strato della popolazione, ma più particolarmente tra i ceti più bassi, una gagliarda corrente di spontaneità, di comprensibilità fra uomo e uomo. È appunto questa corrente di origine cristiana che si è fatta fortemente sentire anche a favore degli ebrei, ha premuto a più riprese, per stabilire contatti al di sotto delle barriere innalzate contro di essi, ed è riuscita a creare rapporti di buon vicinato anche nella zona di divieto, imposta talvolta da una politica secessionistica (57).
NOTE
(1) “Picenum Seraphicum” XIII a. 1976, in cui: TOMASSINI, C. La città di Fermo e S. Giacomo della Marca. pp. 171-200. Il IV convegno ha trattato “I Monti di Pietà e le attività sociali dei Francescani nel Quattrocento” a. IX, 1973; Il successivo convegno: “Predicazione Francescana dagli inizi del Quattrocento”, a. X, 1973.
(2) Una decina erano le cittadine della diocesi di Fermo che avevano insediamenti ebraici.
(3) Tesi di laurea: TASSI, E. La comunità ebraica di Fermo e la sua attività feneratizia dal XIV al XVI secolo. Università degli Studi di Macerata 1970
(4) Ivi pp. 213-270
(5) Archivio storico del Comune di Fermo depositato presso l’Archivio di Stato (in seguito ASF) pergamene del repertorio Hubart (in seguito H.) n. 828, n. 1121, n. 1338
(6) Mutuo: “promisero di restituire ad Abram del sig. Moise Dactali e a Vitale Guglielmini riceventi e stipulanti per se stessi e per i soci loro ebrei” anno 1305 in ASF: H.829
(7) FABIANI, G. Gli ebrei e il Monte di Pietà di Ascoli. Ascoli P. 1942 pp. 9-11
(8) v. sopra nota 6
(9) Cfr. MILANO, A. Storia degli ebrei in Italia. Torino 1963 pp. 105-106
(10) Cronaca di Fermo. A cura di DE MINICIS, G. Firenze 1870. Anno 1395 maggio 27: “cento altre case tra la contrada di san Bartolomeo e Campoleggio”.
(11) Ibidem. TASSI, cit. Mappa in appendice. Cfr. ASF “Acta Diversa” I, c. 5
(12) Exod. 22,24; Ps 15,5; Ezech. 18,18
(13) Regesta pontificum Romanorum inde ab anno post Christum natum MCXCVIII ad annum MCCCIV;. a cura di POTTHAST, A. Belino 1874, vol. I, p. 483
(14) MILANO, cit. p. 113: “ Da un lato erano esclusi dalle corporazioni di arti e mestieri, dalla milizia e da quasi tutte le professioni liberati; erano limitati, quando non esclusi, dal possesso fondiario. Erano proprietari di cospicui mezzi liquidi … “
(15) MILANO, A. I primordi del prestito ebraico in Italia. In: “Rassegna mensile di Isra’el”. XIX a. 1953 pp. 221-227
(16) ASF “Acta Diversa” I, cc. 5-7 e 53; II, 42 “Libri Instrumetorum” I, cc. 133-136; II, cc. 78-80; Capitolati degli anni 1430, 1453, 1457, 1505 con i nomi dei prestatori ebrei che firmano anche a nome degli altri prestatori ebrei di Fermo. Nel 1430: Abram di maestro Musetto; Emanuele di maestro Urtaluzio; Josef di Josef; Abram di Emanuele; Vitale di Alleuzio; Dattalo di Guglielmuzio. Nel 1453: Abram di Manuele, Sabbatuzio di Liciadro, Leone di Manuele, Daniele di Abram,Manuele di maestro Musetto; Sabbato di Salomone; Bellafresca di Abram di maestro Musetto; Dolcedonna di Manuele; Bonaiuta di Angelello di Monterubbiano e altri due nomi in calce. Nel 1457: Josef di Isaac di Bologna … Nel confrontare questi nomi con quelli scritti nei bandi per la vendita dei pegni non ritirati, si nota una convergenza pressoché totale.
(17) Capitula ebreorum, ASF, “Liber instrumentorum” I, cc. 133-136 cit.
(18) ASF, “Liber instrumentorum” II, cc. 77-80: “ advenga el loro exercitio et prestare ad usure sia contro la lege christiana et per questo jà circa nove o dece anni fossero levata la facoltà del prestare e fenerare; di molte molte distrussioni fatte ad ciò se habia da li poveri homini et da cui la necessità tanto per la città quanto per lo contado refugio in li loro bisogni (…) possano prestare secure …”
(19) Ibidem: “De novo non li se possa far lege particulare contraria ipsi …”
(20) Ibidem
(21) Ibidem
(22) Ibidem
(23) Cronaca di Fermo, cit. 23 maggio 1433
(24) Per tutti i libri di Consigli Generali e quelli di Cernite sono preziose le sintesi di MARINI A. Rubrica eorum omnium quae continentur in libris Conciliorum et Cernitarum ill.mae Communitatis Civitatis Firmanae ad anno 1380 usque ad annum 1599. Voll. I-III presso biblioteca comunale di Fermo ms. 161 e presso l’archivio statale di Fermo. Qui citato vol. I cc. 1-5
(25) TOMASSINI cit p. 171
(26) MARINI, I, p. 285
(27) Ivi, II, p. 21 e ASF, Concilia et Cerniate (in seguito: Conc.- Cern.) in data 16 marzo 1459 cc. 50-52
(28) MARINI ibidem; Conc. – Cern. 19 marzo 1459 cc. 63-68
(29) MARINI, II, p. 59; Conc. – Cern. 23 marzo 1464 cc. 172-176
(30) MARINI, II, p. 213; Conc. – Cern. 7 marzo 1480 cc. 63-64
(31) MARINI, II, p. 216; Conc. – Cern. 19 marzo 1480 cc. 65-66
(32) MARINI, II, p. 19; Conc. – Cern. 10 febbraio 1459 cc. 27-32
(33) MARIN, II, p. 23; Conc: – Cern. 25 aprile 1459 cc. 88-96
(34) MARINI, II, p. 47; Conc. – Cern. 30 aprile 1463 cc. 134-136
(35) MARINI, II, p. 82; Conc. – Cern. 30 novembre 1464 cc. 187-190
(36) MRINI, II, p. 82; Conc. – Cern. 16 dicembre 1464 cc. 196-198
(37) MARINI, II, p. 180; Conc. – Cern. 2 ottobre 1476 cc. 178-183
(38) MARINI, II, p. 229
(39) Ivi p. 269; Conc. – Cern. 14 giugno 1499 cc. 44-52
(40) MARINI, II, p. 270; Conc. – Cern. 28 giugno 1499 cc. 44-52
(41) MARINI, II, p. 294; Conc. – Cern- 26 aprile 1503 cc. 15-23
(42) MARINI, II, p. 306; Conc. -Cern. 16 dicembre 1604 cc. 171-181
(43) MARINI, II, p. 315; Conc. – Cern. 1 gennatio 1506 cc. 15-26
(44) MARINI, II, p. 350; Conc. – Cern. 24 dicembre 1511 cc. 152-159
(45) MARINI, II, p. 351; Conc, – Cern. 25 gennaio 1512 cc. 159-170
(46) WADFDING, L. Annales Minorum. Roma 1751 ad a. 1474 n. 9 segg; FERRARIS, L. Prompta bibliotheca canonica, iuridica, moralis theologica. Venezia 1783, IV, pp. 110 ss
(47) TALAMONTI, ibidem
(48) Ivi
(49) FABIANI, Gli Ebrei cit. pp. 32 ss
(50) Tra i maggiori: CATALANI, M. De Ecclesia Firmana eiusque episcopis et archiepiscopis commentarius. Fermo 1783 non dà notizia.
(51) MARINI, II, p. 292
(52) Ivi 23 gennaio 1478; 27 marzo 1478; 31 marzo 1478: con i nomi degli incaricati e l’approvazione in data 8 aprile
(53) Ivi p. 296
(54) Ivi pp. 316-318
(55) MILANO, Storia cit. p. 211
(56) CASELLI, G. Studi su San Giacomo della Marca. Offida 1926, II, pp. 225-226
(57) MILANO, Storia p. 694. Nell’insieme cfr. Considerazioni sulla lotta dei Monti di Pietà contro il prestito ebraico. In: “Scritti in memoria di Sally Mayer”. Gerusalemme 1956 pp. 199-223. PACE, C. La colonia ebrea di Montegiorgio. In: “Le Marche”. Ancona 1911

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