Lettera di Maria Eletta Sani cc. 17- 18
Viva Gesù e Maria
A gloria di voi, mio Dio, scrivo e per obbedienza del vostro Ministro. Già gli è nota l’infinita misericordia del mio buon Dio che ha usato verso di me ingrata ed infedele verso il mio buon Gesù, ma non si può credere la confusione che provo al vedermi così ingrata; ma quest’è l’erba del mio terreno. Se Dio avesse usato le misericordie che ha fatto a me ad un turco, (a) quest’ora sarebbe santo e sarebbe più grato a Dio di quel che son io.
Mi incominciò a quattordici anni fino ai diciassette finiti: ogni anno di carnevale Dio mi usava queste misericordie. Negli anni prima che mi ‘Comunicassi’ avevo quelle comparse visibili che Gesù mi si faceva vedere tutto piagato e appassionato e dopo che mi Comunicavo, la vista di Gesù mi si faceva vedere nell’interno e in (immagine). In particolare nel carnevale continuamente mi si faceva vedere tutto appassionato e piagato, lamentandosi dei cristiani e dei grandi oltraggi che si facevano alla sua Bontà. Questo era spesso nell’orazione e nella Comunione. Frequentemente Gesù mi parlava nell’interno anche tra giorno e notte. Alcuni giorni e alcune notti … su, così mi chiamava: “Figlia, ora vado cercando per trovare luogo per nascondermi, perciò dammi ricetto dentro al cuore tuo; da tutti sono ricusato, pochi sono quelli che mi cercano e mi danno ricetto: sono pochi quelli che mi amano. Ah! La Chiesa tutta dovrebbe piangere la confidenza e la libertà che hanno le anime con Dio!” Mi fa rossore il doverlo dire perché l’obbedienza vuole che dica il mio interno. A simili parole che il mio Gesù mi diceva io davo in smanie e aprivo il cuore e il petto e gli davo sfoghi di amore e mi richiudevo nel cercare Gesù mio, nascostamente acciò non fosse oltraggiato e disprezzato dai cristiani, il che mi sembrava una barbarie e dicevo: “E come mai, mio Dio, i cristiani così vi trattano? Forse non vi conoscono, non sanno chi siete voi che di continuo li beneficate. Meritate di essere amato”. Oh! Quanto lo stringevo nel mio cuore e lì mi disfacevo di amore e di compassione. Tralascio di dire perché sarebbe troppo il dover scrivere i discorsi e il trattenimento che io facevo con il mio buon Gesù. Alcune notti Gesù mi chiamava così: “ Maria, vedi come in questo punto e in questa notte son ridotto!” E lì mi scendeva un lume nella mente e nell’interna e mi faceva vedere Gesù (tutto) scorticato e pieno di sangue. Io svenivo e perdevo tutti i sensi e restavo in un profondo raccoglimento con Dio e mi perdevo … vista l’umanità di Gesù e restavo perduta nel mare infinito della Divinità e mi sentivo nello spirito lume e cognizione della divina Bontà e grandezza e allora provavo una pena nello spirito: non più delle stragi e dell’umanità di Gesù come uomo, ma una pena più profonda di vedere oltraggiata la divinità di un Dio infinito; al che, qui, non ho lingua per sapermi spiegare, siccome più si conosce la grandezza della persona infinita, tanto più si conoscono gli oltraggi che si fanno all’Infinito. Questo era il tempo (quando) mi sentivo accendere di patire e di fare grandi penitenze. Secondo (come) mi veniva accordato dall’obbedienza facevo le discipline a sangue ogni notte e portavo strumenti di penitenza come quel cuore in cui era tutta la passione di punte e mi prendeva tutto il petto, portavo la croce in spalla, la corona di spine, la corda al collo e ci legavo due mattoni. Stavo in forma di crocefisso in piedi con le braccia aperte, legate nei chiodi. Cercavo di imitare Gesù appassionato nella mortificazione del gusto e dei sentimenti. Andavo fra giorno e notte ad adorare le piaghe di Gesù, ora del sacro Costato, ora delle mani e (dei) piedi e lì raccomandavo tutti peccatori e il cristianesimo. Siccome Dio mi usava misericordia e mi chiamava, mi diceva così: “ Maria, vedi come resto abbandonato: le mie piaghe fanno sangue e la cagione sono quei figlioli ingrati che stanno immessi fra i sollievi carnevaleschi. Così mi trattano, questa è la gratitudine che io ricevo; ma verrà il tempo che si pentiranno”. Vedevo questa vista in mente e in immagine, ma con una certezza e lume sì certi come di fede e vedevo che dalle piaghe usciva sangue. Le parole che Gesù mi diceva erano saette e spade che mi trapassavano e ferivano nel cuore, davo in smanie eccessive.
Altre volte Gesù mi si faceva vedere nello stesso modo di lume di mente e vista in immagine dell’umanità di Gesù e mi diceva: “ Vedi, o figlia, che io vado al Calvario”. E mi mostrava le punte delle spalle, gli ossi che uscivano fuori e le giunture delle braccia scorticate e smossi dal loro luogo e mi faceva comprendere gli spasimi che egli provava; mi si imprimevano tanto nell’interno e nel cuore, quasi che li avessi provati io medesima. Di continuo richiedevo il patire e gli assaggi della passione: il tempo di carnevale per me era amarissimo. Alcune volte mi accadeva che da questa vista immaginaria dell’umanità di Gesù passavo lo spirito più avanti e restavo immersa nell’infinita grandezza e divinità di Dio. Alcune altre volte nell’orazione subito mi trovavo raccolta e perdevo i sensi del corpo e con lo spirito immersa nella divinità di un Dio infinito, lì gustavo una presenza viva della divinità e grandezza e doti divine: l’infinita grandezza, l’infinita amabilità e tutto il suo potere. Tutto per lume intellettuale. Godevo e gustavo la presenza di un Dio infinito. Ritornata in me, oh! che accendimenti di fuoco di desideri di amore, al che davo in smanie (da) impazzire per l’ecces(siv)a brama e impaziente che sentivo nel cuore e nel petto: mi sentivo rompere le costole del petto e mi sbattevo tutta strillando e urlando.
Davo in eccessive esclamazioni, dicevo: “O amare, o morire! Così non posso vivere. Pietà di questo cuore acceso che desidera l’amore. E come ho da vivere senza amore, o mio Dio, non è possibile che io possa vivere: o amare o morire! Oh desiderio insaziabile!” Mi sentivo un occupamento di cuore e un cumulo di desideri che avrei voluto tutti i cuori delle creature e tutti i cuori e gli amori degli spiriti santi tutti e di Maria SS.ma. Ogni cuore avrei voluto che fosse stato acceso e ricolmo di tutto l’amore del Paradiso e (che) ogni cuore avesse amato come è amato in paradiso Dio, e tanti cuori, tutti ripieni di amore: volevo tenerli in petto. Eppure non mi saziavo, anzi mi cresceva il desiderio e la cognizione intellettuale che Dio meritava più amore. Desideravo tanti cuori quanti (grani di) arena nel mare, tanti cuori quante foglie stanno per gli alberi, e fiori nei prati: tutti accesi di amore nel mio petto. Avrei voluto che ardessero di fuoco e tutti consumarsi in amore; eppure non sarebbe saggio il mio desiderio. Così esclamavo: “Sì! Sì! Mio vero amore: giacché non posso amarvi come desidero e come voi meritate di essere amato, datemi una scintilla del vostro amore e potrò dire: ‘ Questa scintilla di amore è l’amore con cui voi avete sempre amato voi stesso e sarà un amore per cui voi sempre vi amerete in voi stesso. Oh qui sì che si appagherebbe forse il mio acceso desiderio!” Sempre più cresceva il desiderio dell’amore, andava a passi uniti. Siccome la cognizione intellettuale era tanto grande che vedevo quel mare immenso senza principio e senza fine, che Dio meritava di essere infinitamente amato, così mi sentivo il desiderio di amare il buon Gesù. Desideravo amore senza principio, amore senza fine, desideravo amore sempiterno e amore in eterno. Se mi veniva in mente che Dio pensava a me, vile e ingrata creatura, oh, che spasimi di desideri di gratitudine. Se un solo momento Dio avesse pensato a me, per questo motivo, quanto, quanto dovrei amarvi, o mio buon Dio! Nella mente di un Dio immenso e grande era la cognizione e anche il conoscimento della mia indegnità. Anche riconoscevo l’amabilità di un Dio infinito e che meritava di essere amato e non offeso. Qui poi davo in eccessivi desideri della morte e la richiedevo spessissimo con calde suppliche: la morte e anche ogni altra pena, perché non avessi offeso il mio buon Dio. Mi prostravo anche ai piedi di Maria SS.ma e la pregavo in nome della SS.ma Trinità e in nome di Gesù che io volevo la morte di potenza e non dover vivere per offendere Dio. Ricusavo il Paradiso piuttosto che di commettere un solo peccato veniale, offendere l’Infinito. E quasi infinito era il desiderio della morte, era quasi infinito il mio dolore perché arrivava più vivo dell’anima. Non so se vi sia stato chi abbia desiderato tanto la morte quanto (me) che non so spiegarmi di vantaggio. Le proteste di non offendere Dio erano acutissime, potentissime perché le richiedevo alla Trinità SS.ma in nome della stessa Trinità SS.ma, in nome di Maria SS.ma e di tutto il Paradiso. Volevo la morte perché temevo d’offendere il mio Dio. La morte mi separava, mi accertava di non offendere più Dio. Questo mi dava desiderio acuto e content(ezza) quando pensavo di dover morire. Più e più volte mi accadeva nell’orazione, mentre stavo raccolta con Dio, tutto un tempo, mi sentivo come so(rprendere) da un senso grande e quieto con una somma pace e quiete, un sonno e un rip(oso) sì quieto che mai si può credere: perduta e scordata di tutto come in un sonno vero, priva di sensi esterni, ché non mi accorgevo né sentivo cose del mondo. A me pareva anche di non avere sentimento nell’interno né (all’)esterno: è tanto certo e vero che io potrei giurarlo. Svegliata da questo sonno, io mi trovavo subito raccolta con Dio e non sapevo come avevo passato quel tempo, non mi ricordavo di nulla, solo del riposo e quiete e dicevo: ”Mio Dio, dove son io? A che penso? Parmi che io abbia dormito e credo che l’anima mia abbia riposato con voi, mio Dio”. E mi trattenevo con lungo raccoglimento con Dio. Dopo finito mi veniva un certo rimorso e chiedevo perdono al mio Buon Dio di quel tempo che a me pareva di certo di aver dormito. Se mi accadeva nel tempo di sentire Messa di obbligo, mi rammaricavo perché non mi ero accorta; né veduta, né sentita la Messa. Più volte cercavo di dissipare questo sonno, ma tanto non potevo reggere. Nell’operare anche nelle cose di casa, sempre di continuo godevo e gustavo una presenza viva di Dio. Questa presenza di Dio in me faceva come il sole nel mezzo dell’estate, quando il sole con il suo calore, se a noi prende, pare che ci scotta e ci penetra per tutto il corpo, ci riscalda. Così faceva in me la presenza di Dio, e in ogni luogo, in ogni banda, vedevo la viva presenza di Dio. Se rimiravo la terra e il mondo tutto, dappertutto rimiravo la viva presenza di Dio e ne godevo e mi teneva distratta, (tanto) che non sentivo né credevo che mi avesse parlato oppure chiamata. In me stessa la sentivo nell’interno, la gustavo e ne godevo. Immersa mi pareva di stare dirimpetto al divin Sole di giustizia che dappertutto mi penetrava. Mi penetrava nell’anima e nel corpo da ogni parte per tutte le membra e nelle ossa e nelle midolla. La presenza di Dio così mi pareva come il sole nel più caldo, che se noi camminiamo per il sole, ci riscalda tutto il corpo. Così la presenza di Dio la possedevo e di continuo mi trattenevo con raccoglimento con Dio in vari modi: ora lo riconoscevo per vero Sole di giustizia e con i suoi raggi illuminava la misera e povera anima mia, ora la sua immensità e grandezza, ché tutto gli è presente e tutto vede. Mi rallegravo con Dio e lo benedivo e lodavo e ringraziavo. Chiamavo tutto il Paradiso, ora i Santi, ora i Beati e tutti i beati spiriti che a pieno coro cantassero inni di lode e di ringraziamento al grande Dio.
In me stessa poi riconoscevo un annichilimento, come un acino di rena nel vastissimo mare dell’immensità. Mi annichilivo e mi sprofondavo nell’abisso del mio niente e (nell’)impotenza di (non) poter operare grandi cose per la gloria di Dio. Mi presentavo come sua creatura e lì riconoscevo Iddio per mio Creatore, Signore e Redentore, Padre e Sposo, Amante spasimante.
L’amore mi faceva questo effetto nell’interno, come una che affoga nell’acqua, che vorrebbe risorgere, ma non può, ché l’acqua la soffoca: così faceva il mio misericordiosissimo Dio nel profondo dell’interno. Mi trovavo affogata dall’Amore e non potevo amare quanto desideravo e quanto vedevo che l’Amore meritava, infiniti amori. Mi creda che non si possono spiegare gli spasimi e i desideri di un amore amante. Richiedo la santa benedizione.
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