IL SANTUARIO MADONNA DELL’AMBRO NEI SECOLI. Note di Crocetti Giuseppe

IL SANTUARIO DELLA MADONNA DELL’AMBRO IN TERRITORIO DI MONTEFORTINO (FM) articolo di CROCETTI Giuseppe
ORIGINI. La chiesa di S. Maria in “Amaro”, oggi santuario della Madonna dell’Ambro fu retta dai monaci di Sant’Anastasio di Amandola dal secolo XI al secolo XIV e dotata dai signori feudali locali.
DOCUMENTAZIONE. Fino alla metà del secolo XIX, presso l’archivio storico del comune di Montefortino, era consultabile una pergamena risalente all’ 8 luglio 1073, purtroppo, andata dispersa. Un secolo prima, era stata letta, sunteggiata e pubblicata nel 1757 nella parte essenziale dallo storico Giovanni Panelli nel suo libro sui medici piceni. Egli narra che i conti Adelberto e Rolando, suo fratello, abate del vicino monastero dei santi Vincenzo ed Anastasio, fecero donazione della loro giurisdizione alla venerabile chiesa edificata dai loro antenati e dedicata alla Vergine santissima dell’Ambro. Lo storico di Montefortino Leopardo Leopardi, nel 1783 scriveva che l’atto stipulato nel 1073 e rogato dal notaio Atto, era reperibile presso il convento dei Frati Minori Francescani dell’Osservanza, custodi abituali delle pergamene e delle altre carte costituenti l’Archivio storico del comune di Montefortino. Ecco la sintesi: Rolando, abate di Sant’Anastasio, ed Alberto conte, suo fratello, figli del conte Adalberto, discendenti da sangue Longobardo, donano alla Chiesa della santa Vergine all’Ambro (Amaro), di pertinenza di detta Badia, fondata dai loro antenati, mille e quaranta modioli di terreno con vigne, selve, molini, magli di gualcheria e pascoli, siti nel territorio di Montefortino. La donazione fu fatta col consenso di tutti i monaci del monastero di Sant’Anastasio “sito nel fondo Cisiano”, per esprimere alla santa Vergine la gratitudine del loro cuore per una grazia singolare ad essi compartita e per il pensiero di dare giovamento alle anime loro, del genitore e della genitrice, nonché quella di Adelberto e di Gaudenzio, fratelli dell’abate di questo monastero. Gli storici, riguardo alla pergamena scomparsa convengono col il cappuccino padre Giuseppe Santarelli quando scrive che “Nella metodologia storica è noto che il criterio secondo cui, quando due o più fonti indipendenti l’una dall’altra, convengono su una stessa notizia, questa viene confermata oltre ogni dubbio”. Nel testo della pergamena è detto che fu fondata dagli Adalberti “per una grazia singolare ad essi compartita dalla Vergine santissima”. La migliore fonte per incrementare il culto devozionale è sempre la verità storica.
AMMINISTRAZIONI: La chiesa di S. Maria in Amaro che con quest’atto del 1073 veniva ad essere munificamente dotata dai monaci di Sant’Anastasio, era stata costruita dagli Adalberti, signori feudali, antecessori dell’abate Rollando. Questa notizia, se esatta, ha una sua importanza, perché ci fa conoscere i reali fondatori della chiesa di S. Maria in Amaro. Si riferisce anche la graziosa leggenda che collega l’origine del santuario della Madonna dell’Ambro, assai famoso, ad una prodigiosa apparizione della Madonna con annessa guarigione di una pastorella, sordomuta, di nome Santina.
La chiesa di S. Maria dell’Ambro, per i primi cinque secoli dopo il mille era una semplice “cappella votiva”, retta da un monaco eremita dei monaci della badia di Sant’Anastasio; dal secolo XIV passò alla comunità di Montefortino. La chiesa dell’Ambro non era il più antico santuario mariano di tutte le Marche, dato che, prima del mille, molte chiese assai importanti erano state dedicate a S. Maria con propria festa il 15 agosto per commemorare la sua “Assunzione in Cielo”. Un esempio, fra tanti, “S. Maria in arce” nella città di Fermo, splendidamente documentata dal mosaico paleocristiano del V secolo.
DOCUMENTI dei secoli XII-XIV. Dalla fondazione fino allo scadere del XIII secolo, si hanno poche altre notizie. Una riguarda don Pietro, monaco eremita di S. Maria in “Amaro”, al quale, nell’ottobre del 1185, i conti Bonifazi, Monaldo, Uguccione e Bonconte, cedono la chiesa di S. Maria in Staterano, senza alcuna riserva, “pro anima nostra et de li parenti nostri”, con la pena per i contravventori della maledizione di Dio e la multa di 100 bisanti d’oro. Stipulava l’atto originale il notaio Alberto. Dieci anni più tardi, il 1° ottobre 1195, detta concessione fu ratificata con un nuovo atto rogato da Gualtiero, giudice e notaio del vescovo di Fermo. Fu redatto nella chiesa di Staterano, dove erano radunati i suddetti conti Bonifazi; vi era presente anche l’eremita don Pietro di S. Maria in Amaro. I conti gli confermarono le donazioni precedentemente fatte di S. Maria de Staterano con le proprie tenute. L’istrumento descrive anche la cerimonia della presa di possesso. Don Guido, cappellano della chiesa di S. Maria de Staterano, passò le chiavi della chiesa all’eremita, don Pietro, promettendogli fedeltà. Indi vennero i capifamiglia di Monte Rotto e giurarono fedeltà al detto Pietro, il quale, poi, fu da loro autorizzato a riscuotere le decime sacramentali nel territorio da Monte Rotto fino a Monacisco (oggi Monte S. Lucia); versare il canone annuo di due spalle di maiale nella festa di santo Stefano, ed usufruire ospitalità per tre giorni ogni anno. Inoltre, i conti gli concessero anche di poter riscuotere le decime nelle contrade di Scoppio dai parrocchiani di S. Fortunato, di Rovitolo dai parrocchiani di S. Pietro, di Vetice, parrocchia di S. Nicolò e nel territorio di Montemonaco dai parrocchiani di S. Maria del Poggio. Il tutto con il consenso del vescovo di Fermo, del decano del clero fermano, Pietro, e di tutti i canonici. I conti promisero per sé e per i loro eredi, di non contravvenire mai al contratto, pena la multa di 300 bisanti d’oro, da pagarsi in favore della Chiesa Fermana.
Nei riferiti documenti si delinea la figura dell’eremita, don Pietro, personalità autorevole, molto stimata e largamente gratificata dai conti Bonifazi. Però, non appare chiaro se le concessioni fatte erano “ad personam”, sua vita naturale. Giovanni Cicconi, nella storia di questo santuario, scrisse: “Alla fine del secolo XII l’Ambro era luogo fornito di abitazione per il monaco, o per i monaci eremiti e di tutto che potesse occorrere ad alimentare ed accrescere l’amore dei fedeli verso la Madre di Dio”.
Al tempo dell’Imperatore Federico II, i laici in molti casi si riappropriarono di beni assegnati a chiese e istituzioni monastiche. Sebbene manchino documenti circa l’avvenuta spoliazione, in compenso se ne ha uno, del 1235, molto interessante, riguardante la reintegrazione fatta da Ruggero e Guglielmo del fu Rainaldo di Simone, discendenti in sesta generazione dai conti Adalberti, fondatori del monastero di Sant’Anastasio e benefattori della chiesa dell’Ambro che così fu di nuovo datata.
Si tratta di un particolare documento in cui i suddetti Ruggero e Guglielmo, mossi da ispirazione divina, per la salvezza dell’anima propria e dei loro genitori, restituirono la chiesa di S. Maria de Amaro con tutti i suoi diritti, azioni, entrata ed esito ad essa spettanti, a don Giovanni abate del Monastero di Sant’Anastasio di Cisiano, accettante per sé e suoi successori in nome del detto monastero, nel modo migliore, più utile e più pieno, che avesse tenuto in passato la predetta chiesa di S. Maria de Amaro. Il loro procuratore Ser Scambio, stando innanzi alla chiesa medesima, diede reale e legale possesso al predetto Abate; consegnategli le chiavi, ve lo introdusse per restituirgli l’altare e fare la consegna di libri, paramenti, mobili ed immobili appartenenti alla chiesa. Ciò fatto, lo stesso abate, col consiglio e l’espressa volontà di tutta la ‘famiglia’, presente ed accettante, di essa chiesa, ne nominò e confermò rettore e priore don Matteo. Contestualmente il procuratore, con giuramento, fece promessa di obbedire all’abate e ai suoi successori, nonché di reggere, conservare, mantenere la chiesa di S. Maria de Amaro e, per quanto possibile, di ampliare ed accrescere, mai diminuire i suoi beni.
L’atto fu scritto il 15 ottobre 1235 pubblicamente dinanzi alla detta chiesa dal notaio Giovanni per mandato dell’una e dell’altra parte, alla presenza di più testimoni. Il documento, va sottolineato, è molto importante perché è un atto di restituzione e di ammenda del mal tolto. Inoltre va rilevato che presso la chiesa dell’Ambro s’era costituita una ‘famiglia’ monastica, retta da un priore; da considerarsi, però, una chiesa dipendente dal monastero principale, cioè dall’abbazia di Sant’Anastasio. La famiglia religiosa all’Ambro era costituita da poche persone, sempre meno di sei, per accudire a varie incombenze necessarie, retta da un priore, monaco sacerdote, per l’assistenza spirituale dei componenti.
La quarta documentazione è tratta dalle Decime imposte dal papa Nicolò IV in sostegno della guerra di Sicilia. Il 5 aprile 1290, il cappellano di S. Maria in Amaro, d. Mainardo, insieme a Tebaldo, monaco di Sant’Anastasio ed altri cappellani di chiese dipendenti dal detto monastero, pagava presso la Curia di Fermo la decima relativa al primo semestre.
La constatazione di questa concomitanza, che mette insieme il cappellano dell’Ambro e diverse persone legate all’abbazia di S. Anastasio, è confermata dalle ricevute decime del 20 dicembre 1299, imposte dal papa Bonifacio VIII, ove si riscontra che don Gentile, cappellano di S. Maria Maddalena di Fermo, fa versamenti per sé, per l’abate di Sant’Anastasio e per Mainardo, cappellano di S. Maria in Amaro. La decima “una tantum”, pagata da don Mainardo negli anni suddetti, ammonta a 20 soldi, somma assai inferiore a quella della imposizione a carico dell’abbazia di Sant’Anastasio, che fu di 10 libre nel 1290 e 5 libre nel 1299. Peraltro, le altre chiese rurali, dipendenti dalla stessa abbazia, nel 1290, pagarono somme inferiori: S. Cassiano 6 soldi; S. Bartolomeo de Macarnano 12 soldi; S. Angelo di Bisolo 17 soldi; S. Pietro in Castagna 12 soldi; S. Lorenzo in Giampereto 12 soldi; S. Maria di Bolciano 12 soldi; S. Nicola di Valle 10 soldi. Per le contribuzioni del 1299 tutte queste chiese risultano esenti, perché avevano una rendita inferiore a 7 fiorini d’oro, circa 18 libre, come previsto dalla bolla istitutiva emanata da Bonifacio VIII.
Giuspatronato del Comune di Monte Fortino: il 10 novembre 1302, Pietro di Fallerone con atto notarile stipulato a Santa Vittoria, completò la vendita della signoria di Castel Mainardo in favore del comune di Montefortino, nell’area descritta di tutta la zona che circondava la chiesa di S. Maria dell’Ambro, compresa tra Bolognola e Sasso Rosso, dalle cime dei monti (serre) fino alla montagna di S. Leonardo e gli abitanti del Poggio, col consenso di Atadia, sua moglie, e dei suoi figli. Fin dal 2 febbraio 1276, lo stesso Pietro di Fallerone ed Uffreduccio, suo fratello, avevano ceduto al comune di Montefortino per 640 libre la sesta parte di valle e di Castel Manardo. Probabilmente la custodia della chiesa e l’amministrazione delle elemosine ivi rilasciate furono esercitate da uno o due eremiti, dimoranti nel rustico edificio costruito accanto, detto “romitorio” il quale fu abbattuto nel 1968, quando furono eseguiti i lavori per ampliare il piazzale, limando i margini a monte.
Purtroppo, per l’ampio arco temporale dei secoli XIV e XV scarseggiano notizie riguardanti il nostro santuario. I documenti che accennano al suo incremento devozionale sono tutti del secolo XVI. Essi riferiscono che la chiesa era piccola, simile alle chiese votive costruite per la peste, di tre passi per lato, pari a quattro metri e mezzo, e che era dotata di un solo altare. Si allestiva un altarino portatile che per i giorni di maggiore affluenza che erano l’Assunzione, il 15 agosto e la seconda domenica della festa di Pasqua.
Leggendo le rubriche degli antichi Statuti della terra di Monte Fortino, notiamo che non risulta nell’elenco di quelle chiese verso le quali il magistrato si recava per la solenne offerta di palli e cera nella festa del santo titolare. Per la festa dell’Assunta pallio e cera erano offerti dal comune all’altare della Madonna del Girone, “miracolosa protettrice della Comunità”. La chiesa dell’Ambro era libera.
DEVOZIONE. Per quanto riguarda il Quattrocento, Giuseppe Palmieri, primo biografo del beato Antonio di Amandola, volato al cielo nel 1450, all’età di 95 anni, scriveva (nel 1657) che quest’uomo di Dio fu devoto della Madonna dell’Ambro, e che questo piccolo santuario fu frequente meta dei suoi pellegrinaggi. Questa notizia forse l’apprese riferita dalla tradizione orale. Parimenti per tradizione orale, l’origine del pellegrinaggio annuale da parte delle parrocchie viciniori, fissato alla seconda domenica di maggio, si fa risalire a tempi assai remoti. E’ cosa molto probabile che i pubblici pellegrinaggi penitenziali avessero avuto per meta il Santuario dell’Ambro in tempi antichi, provati da guerre, carestie e pestilenze.
SECOLI XVI -XVII: sviluppo del culto e visite pastorali. Agli inizi del Cinquecento, e precisamente nel 1503, il comune di Montefortino deliberò, forse per pubblico voto, di ampliare la chiesa, ma l’adempimento non ebbe immediata esecuzione. Però il culto verso la Madonna dell’Ambro ebbe un forte incremento nella seconda metà del secolo, quando si fece la sostituzione dell’effigie pitturata con la devota statua in terracotta policromata, riferibile ad arte popolare marchigiana del secolo XVI, che tuttora troneggia sull’altare della sua cappella. Essa fu realizzata con le offerte del popolo. La cerimonia dell’insediamento del nuovo gruppo scultoreo, a Montefortino nel 1562, si svolse con manifestazioni di rilievo: presenza di musici, del magistrato sia di Montefortino che di Sarnano, con una gran folla di popolo devoto ivi confluito dai paesi e dalle ville circostanti. Per devozione furono rilasciate copiose offerte, crebbe il numero dei pellegrini e si tornò a parlare del progetto di costruzione di una nuova chiesa, proporzionata alle nuove necessità. Ma ecco come il diavolo ci mise la coda per ritardare ogni cosa. Intorno al 1570, era assente il prete nominato titolare del Beneficio semplice si S. Maria dell’Ambro con obbligo dell’ufficiatura: un canonico del capitolo Fermano, un certo don Costantino Sydori, emigrato oltr’Alpe, separato dalla Santa Romana Chiesa.
Durante l’episcopato fermano del card. Felice Peretti (1571-1577) nella diocesi di Fermo furono attuate tre Visite Pastorali. La chiesa di S. Maria dell’Ambro fu visitata da Mons. Maremonti il 15 agosto 1573. Nella sua relazione riferì che ne era rettore il canonico fermano d. Costanzo Sydori, però da molti anni fuori d’Italia, oltre i monti; pertanto ordinò il sequestro delle rendite beneficiali spettanti al medesimo, condannando lui e i suoi successori a cederne la quarta parte per assegnarla alla costruzione della nuova chiesa, fino a quando non fosse ultimata. Nella chiesa c’erano due altari: per quello della B. Vergine Maria, ordinò di provvedervi la pietra sacra mancante; circa l’altro, portatile ed indecoroso, decretò l’eliminazione. Per la parte amministrativa raccomandò si facesse il resoconto annuale.
Nella terza decade di luglio dell’anno successivo, si recò a Montefortino per la Visita Pastorale, indetta dal vescovo-amministratore, che era il card. Felice Peretti , il suo vicario don Paolo Pagani, che, verificata la persistente assenza del rettore, non visitò personalmente la chiesa di S. Maria dell’Ambro, ma confermò il sequestro delle rendite beneficiali.
Era desiderio del Card. Felice Peretti di dotare la sua Cattedrale Fermana di un organista stabile e di una Cappella Musicale affiatata, per dare maggiore decoro e dignità alle funzioni religiose che vi si svolgevano con il Capitolo. Pertanto, affinché il divin culto non fosse sminuito, e la devozione del popolo non si raffreddasse, assegnò alla Mensa Capitolare tutti i benefici semplici dei quali era già investito il canonico Sydori, assente dalla santa Romana Chiesa. Ciò fece con la Bolla “In prima Visitatione” del 28 ottobre 1574. Il fruttato di questi benefici doveva essere erogato in perpetuo a beneficio della Cappella Musicale, gestita a parte dal Capitolo della Cattedrale. I benefici oggetto di incameramento, erano i seguenti: la chiesa di S. Cipriano di Smerillo, l’altare di S. Giacomo nella chiesa parrocchiale di S. Maria delle Vergini in Fermo, l’altare di S. Giacomo nella chiesa di S. Maria di Marano (Cupramarittima), l’altare di S. Andrea e quello dei ss. Tommaso e Caterina nella chiesa di S. Donato di Montegranaro, la chiesa di S. Egidio di Monterubbiano, la chiesa di S. Maria dell’Ambro in territorio di Montefortino, l’altare di S. Maria, volgarmente detto della Celestra, nella chiesa parrocchiale di S. Giorgio nel castello del Porto di Fermo (Porto S. Giorgio). In seguito risultano dichiarati i molti beni di S. Maria dell’Ambro. La rendita media di detti beni, denunciata in Visite successive, superava di poco 10 scudi annui.
SOTTO LA CURA DEL CAPITOLO FERMANO. In virtù dell’accennata Bolla papale, mutò la situazione giuridica del Santuario, il quale fu assegnato alla Mensa del Capitolo Fermano. Il canonico Don Vincenzo Porti, su procura del Capitolo stesso, prese possesso ufficiale dei beni patrimoniali, mobili ed immobili, il 25 gennaio 1575, con diritto di nominare il cappellano-rettore, soggetto ad annuale visita canonica, disciplinare ed amministrativa, senza togliere al comune di Montefortino il diritto di giuspatronato, esercitato da più di due secoli.
Questo nuovo rapporto giovò in modo insperato alle future sorti di questo santuario. Gli arcivescovi vi esercitarono un più efficace controllo, invitando cappellani e collaboratori a registrare le offerte ed affidarle al depositario, nominato dall’amministrazione comunale. Al tempo degli arcivescovi, card. Zanettini (1584-1594) e Card. Bandini (1595-1606) si procedette alla costruzione della nuova chiesa su progetto dell’architetto Ventura Venturi, urbinate, operante in Loreto. La complessa operazione si svolse gradualmente, in periodi essenziali ben distinti. Nel 1595, il comune di Montefortino, dato che era riconosciuta troppo angusta la secolare Cappella, fu autorizzato a demolire una casa contigua allo stesso santuario per costruirvi la nuova cappella, onde riporvi il venerato simulacro della Madonna dell’Ambro.
Il 20 ottobre 1602, per mano di d. Sisinio Marinelli, Vicario Foraneo di Santa Vittoria in Matenano, delegato a quest’effetto dal Card. Bandini, fu eseguito il trasferimento del devoto gruppo scultoreo dalla vecchia alla nuova cappella. Nel 1603, demolita la primitiva costruzione situata quasi al centro della chiesa odierna, si diede inizio all’attuazione del nuovo progetto. I lavori si protrassero fino all’anno 1610, e furono spesi 6.000 scudi. La popolazione vi contribuì con libere offerte in denaro, manodopera, cibarie e legname.
Negli anni 1610-1611, la cappella interna della Madonna fu decorata con dipinti ad olio su muro, raffiguranti le “Storie della Vergine”, personaggi biblici e Sibille con motti profetici, opera del pittore, maestro Martino Bonfini da Patrignone.
La decorazione delle cappelle laterali è opera del maestro Domenico Malpiedi da Sanginesio che vi intervenne a più riprese negli anni 1620, 1634 e 1640 circa.
Per le notizie sulle vicende dei secoli successivi si rimanda alle pubblicazioni indicate alla fine, in particolare al libro di Giuseppe Santarelli. Con questo intervento, condotto con amoroso spirito critico, ho inteso portare un onesto contributo per chiarire alcuni aspetti. Ringrazio quanti, nel corso della ricerca, hanno contribuito con consigli, foto e disponibilità a far sì che l’esposizione fosse variamente documentata e particolarmente gradevole al momento della lettura.
\\\ Fonti e bibliografia: Archivio di Montefortino manoscritto di L. LEOPARDI, Memorie storiche della Terra di Montefortino. Anno 1783; pergamena n. 15 atto dell’anno 1302 copiato nel 1358; pergamena 8 dell’anno 1371; Archivio di Fermo pergamena n. 1845; pergamena 1852 dell’anno 1276. Vol. Leges Municipales … inclitae Terrae Montis Fortini. 1568 lib. 1 rubr. 1 e 4. Archivio storico arcivescovile di Fermo: Visite Pastorali II. O.17 (Maremonti 1573); II. P.14 (anno 1574); II. P.15 (anno 1575). Biblioteca comunale di Fermo manoscritto numero 1358 dell’anno 1851; PANELLI, G. Memorie degli uomini illustri e chiari in medicina del Piceno … Ascoli 1757 pp. 402-403; Inventario degli oggetti d’arte. (Ministero) Roma 1936 p. 239 SELLA, P. (curatore). Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII-XIV: Marchia. Città del Vaticano 1950 ai nn. 6074, 6075, 6076, 6077, 6078, 6079, 6080, 6081, 6082, 6083; 7245, 7246, 7247; FERRANTI, P. Memorie storiche della città di Amandola, parte II. Ripatransone 1985 pp. 542-552; CICCONI, G. Il santuario dell’Ambro in Montefortino. Fermo 1910; UGOLINI, C. Santuario della Madonna dell’Ambro. Montefortino 1974; SANTARELLI, G. Il santuario della Madonna dell’Ambro: storia ed arte. Montefortino 1985; CROCETTI, G. Maestro Martino Bonfini da Patrignone pittore e scultore 1564- 1636. In: Immagini delle memoria storica. Atti del convegno a Montalto Marche, edito Centobuchi 1997 pp. 223-324.

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