GIUSTINA AGOSTINI SBAFFONI = memorie = (1882-1972)
Ricordi scritti dal figlio Gaetano Sbaffoni e da altre persone che l’hanno conosciuta come donna carismatica Disse: “Pregherò per te in cielo”
Sbaffoni Gaetano: Un breve racconto della vita di mia madre
Mia madre Agostini Giustina nacque a Servigliano il 24 aprile 1882 da famiglia di agricoltori (Agostini Pietro), poi quando era ancora giovanetta, si trasferì con tutta la famiglia a Monteleone di Fermo ove il nonno aveva comprato un appezzamento di terreno e costruito la casa. Nel 1903 sposò mio padre, Sbaffoni Giovanni di Belmonte Piceno. Da questo matrimonio nacquero sei figli, di cui tre a Belmonte Piceno: Gaetano e Nello, la prima fu una bambina che morì piccolina di poliomelite; poi altri tre figli: Consiglia, Giulia e Francesco nacquero a Falerone ove ci trasferimmo nel 1909.
La vita di mia madre non fu certo cosparsa di rose, tutt’altro. Eravamo allora una famiglia numerosa. Nel 1914 morì a soli 29 anni un fratello di mio padre che viveva insieme, lasciando la moglie, zia Elisa con tre figlioletti piccoli. Nel maggio 1915 mio padre fu richiamato in guerra ove restò per più di tre anni: che disastro! Rimanemmo 10 persone di cui sette bambini, io che ero il più grande avevo 9 anni appena; mia nonna 70; mia zia e mamma tutto il giorno lavoravano in campagna e in casa. Alla sera, di notte, mamma tesseva la tela per gli altri, mentre zia e nonna filavano con la rocca, come si usava in quei tempi. Mamma, quando non aveva da tessere la tela, cuciva camicie, pantaloni e vestaglie, lavorava le maglie di lana, ricamava. Era molto brava per i lavori di uncinetto e per i disegni che insegnava anche alle ragazze della contrada. Venivano alcune persone a parlare con lei e a pregare per la guarigione dai loro mali. Mio padre non voleva confusione di tante persone, specialmente sconosciute; nonno e nonna mi raccontavano che la virtù di pregare per guarire e prevedere i fatti, l’aveva fin dalla nascita. Mi raccontavano che mamma era molto religiosa e voleva farsi suora; ma i suoi non vollero, specie nonno che era molto autoritario, essendo stato per alcuni anni “il fattore” di un grosso proprietario di vigneti a Roma.
In quei tempi vi erano molti analfabeti e mamma scriveva spesso le lettere per gli altri, specialmente durante la guerra. Alcuni venivano a farle leggere lettere e documenti di carattere legislativo che lei spiegava. Consigliava le persone con competenza.
In tutta la sua vita: sacrifici e lavoro; molte volte d’estate, si lavorava nei campi di notte, al chiarore della luna.
Nell’autunno del 1918, terminata la guerra, cominciò una disastrosa malattia, un’epidemia chiamata “spagnola” che mieteva moltissime vittime, soprattutto giovani. Mamma allora si prodigava a visitare gli ammalati passando, a volte, le nottate intere ai capezzali degli infermi. Mi ricordo che quando parlavano di alcuni e di altri malati, lei diceva con sicurezza (e poi si avverava) i nomi di coloro che sarebbero morti nel giro di pochi giorni.
Nel 1920 ritornò un po’ di serenità. Nel 1923 ci trasferimmo a Belmonte Piceno, paese nativo mio, di mio fratello Nello, di mio padre e degli antenati. Fu allora che mamma poté concedersi più libertà per dedicarsi a ricevere persone, senza trascurare il lavoro di casalinga. Era un periodo che si viveva con molta felicità: tanta allegria regnava nelle nostra famiglia, ma non fu duratura, poiché nel 1937 morì improvvisamente mio padre a soli 58 anni. Mamma fu molto rassegnata e da quel momento diventò più religiosa ancora. Alla sera, chiusa nella sua cameretta, pregava in ginocchio. Quella sua virtù di impetrare guarigioni e di prevedere i fatti, lei l’attribuiva ad un dono di Dio. Otteneva con la preghiera le guarigioni. Era considerata come guaritrice. Era molto disinteressata, non voleva niente per sé, anzi era più soddisfatta di dare che non di ricevere.
Poi, un giorno, l’arcivescovo Mons. Norberto Perini, in una predica, invitò i cittadini di Belmonte a riparare la chiesa belmontese della Madonna delle Grazie. Cominciò anche lei a ricevere qualche offerta, insieme con don Mauro Natali, cappellano a Belmonte.
Era molto altruista, caritatevole, amava soffrire per implorare grazie da Dio. Digiunava per 40 giorni consecutivi tutte le quaresime, e la notte di Pasqua non andava a dormire, la passava tutta in preghiera. Così pure la notte di Natale.
Era sempre a disposizione di tutti ed amava tutti, come la propria famiglia. Compativa i giovani per i loro errori giovanili.
Mi diceva sempre: “Gesù nacque povero in una stalla e visse povero. Anch’io voglio morire povera”.
Tanti fedeli ogni giorno si avvicinavano al lei. Io mi meravigliavo di come faceva a sapere tante cose private, quando ad alcuni raccontava il loro passato senza averli conosciuti o visti altre volte. Esortava, consigliava, aveva per tutti una parola di conforto e di incoraggiamento.
Pregò per un mio nipotino che doveva avere un intervento chirurgico per un ascesso sotto il braccio: appena toccato e benedetto, fu guarito completamente. Quando in famiglia avveniva qualche disgrazia, lei la prevedeva dieci o quindici giorni prima. Andava a visitare gli ammalati, anche per nottate intere, quando avevano bisogno di assistenza. Ricca di esperienza, temprata dai sacrifici, era di animo forte, di fisico robusto, di mente aperta e molto intuitiva. Il culmine della sua capacità di pregare e ottenere guarigioni, divenne più stabile, con carità cristiana, dopo un infortunio che la fece molto soffrire all’ospedale di Montegiorgio, dove si ricoverò per l’amputazione del dito anulare, completamente spezzato, mentre attingeva l’acqua dal pozzo, profondo circa trenta metri. Mandando giù il rotolo che avvolgeva la corda, gli era rimasto impigliato il dito anulare ad un ferro. Fu operata all’ospedale.
Soffrì anche, molto, per la lunga assenza di mio fratello Francesco, nato nel 1919, dopo il servizio militare d’obbligo. Si fece tutta la guerra e mentre tutti gli altri tornavano, lui restava prigioniero in Germania. In quel tempo fu richiamato alle armi pure mio fratello Nello.
Nel 1948, mio fratello Francesco si trasferì a Roma. Poi nel 1953 la mia famiglia e quella di Nello, ci dividemmo, e mamma ne fu dispiaciuta perché preferiva stare insieme con tutti i figli. Lei andò ad abitare insieme con Nello che rimase a Belmonte, mentre io mi trasferii a Piane di Falerone. Allora mia madre, ormai anziana, si dedicò completamente al servizio dei sofferenti. Andava a Messa, a Belmonte, tutte le mattine, poi fino alla sera non faceva altro che ricevere le persone d’ogni condizione e d’ogni età che venivano a cercarla. Questa sua attività di ricevere le persone tutto il giorno, l’ha sempre seguitata fino alla morte. Nell’aprile 1968 venne ad abitare a Piane di Falerone per circa due anni. Poi la salute cominciò a declinare: ammalata di diabete perse in parte la vista, e fu ricoverata per una quindicina di giorni all’ospedale di Fermo. Non perse mai l’intelligenza: leggeva con gli occhiali le preghiere che erano scritte in un libriccino. La sua morte avvenne in una fredda e triste giornata invernale, precisamente il 19 dicembre 1972.
Prevedeva la sua fine molti giorni prima, diceva: “Non ho più niente da fare, sono pronta per partire”.
Affacciata alla finestra, ebbe a dire: “Lasciatemi guardare questo mondo tanto bello che poi non lo rivedo più” ed infatti, mentre nella sua cameretta, stava parlando con un’infermiera dell’ospedale di Fermo, si addormentò, per sempre, nella sedia dove era seduta.
La notizia della sua morte si sparse rapidamente un po’ dovunque, anche a mezzo dei manifesti e del giornale “Il Messaggero” (21/12/72) il cui direttore la conosceva personalmente. Riporto l’articolo: “ E’ morta Giustina la guaritrice”.
—- “Se avessi conservato i soldi che mi sono stati offerti, oggi sarei padrona di mezza Italia”: con queste parole la popolare “guaritrice” Giustina Sbaffoni si accomiatava da chi nell’ora del dolore e della necessità ricorreva al suo grande cuore di donna dotata di eccezionali qualità parapsicologiche. Giustina è morta a Piane di Falerone dove negli ultimi anni si era trasferita dalla vicina Belmonte Piceno e dove nonostante i suoi 90 anni, riusciva ancora a dare, grazie alle sue eccezionali doti di sensibilità, speranza e fiducia nella vita e spesso la salute al corpo. Figlia di contadini era nata a Servigliano, la Città Clementina, centro della ubertosa vallata del Tenna. Si era unita in matrimonio a Giovanni Sbaffoni da cui ebbe cinque figli: tre maschi e due femmine. A Belmonte aveva fatto costruire il conventino a sue spese presso la Chiesa della Madonna delle Grazie.
Il ricordo che lascia è quello inciso nel cuore di migliaia di persone sparse in tutta Italia che la considerano: “Benefattrice dei poveri, degli umili e degli afflitti”. –
I funerali si svolsero a Piane di Falerone e poi a Belmonte Piceno, dove erano numerosissime le persone tanto che non fu possibile a tutti di entrare in chiesa, con la predica di padre Dino Agostini, suo nipote, a cui mamma voleva bene più di un figlio. Appresa telegraficamente la notizia era ritornato in aereo dalle missioni dove si trovava.
Ancora vengono pellegrini da lontano a visitare la chiesa della Madonna delle grazie e la tomba di mia madre: persone che davano le loro testimonianze dicendomi: ”ha fatto del bene”. Le ha guarite non solo dai mali fisici, ma soprattutto morali.
Certamente non spetta a me, suo figlio, raccontare altri particolari. Ho voluto soltanto fare un cenno delle sue abitudini, della sua vita, dato che la mia fanciullezza è stata lungamente legata alla sua giovinezza, poiché alla mia nascita mamma aveva appena 24 anni. Gaetano Sbaffoni
P. Dino Agostini, nipote per parte del fratello di Giustina, la definiva: “una mamma, una zia, una benefattrice, una santa”. –
Ecco la lettera che scrisse dal Seminario Internazionale di Madrid“Giovanni XXIII” dei Missionari della Consolata.
“Di lei possono parlare molto i figli, i vicini, e le migliaia di persone che sono passate davanti a Lei per più di settant’anni. Quello che veramente fu ammirabile, in zia, non fu tanto il dono avuto da Dio, di intuire, di guarire: questi sono doni che altre persone hanno. Il meraviglioso fa la sua vita: la sua incessante preghiera, la sua bontà, la sua pazienza, il suo spirito di fede, di penitenza; quella carità inesauribile verso tutti, senza dare alcun segno di stanchezza. Ora i beneficati incominceranno a parlare.
Aveva anche i suoi limiti; ma che cosa sono questi davanti all’amore che lei praticava ed alle virtù cristiane che adornavano quest’anima? Preghiamo per la sua anima; e invito tutti a rivolgerci a Lei e dirle: “Prega per noi!” Con questi pensieri invito tutti a sentimenti di gioia: gioia che non annulla i sentimenti di dolore per la scomparsa, ma che diffonde, sul manto nero della morte, la luce di Dio, con l’allegria di avere ancora una mamma e una protettrice nel cielo”.
14 gennaio 1973 p. Dino
UNA LETTERA SCRITTA DA GIUSTINA (1962)
Carissimo,
Ti auguro ogni bene, particolarmente la pace. Il Signore ti riempie di gioia e santifica l’anima tua. Pregate che io prego.
Nel nome del Signore vi auguro che vi preservi da ogni male e vi conservi nella Sua grazia. Saluti e santa Benedizione a tutti i componenti del tuo lavoro.
Ricordami che io rassicuro che ti terrò presente con le mie preghiere, sebbene tanto fredde e distratte.
La Casa già l’ho sistemata e ci è andato Don Sante con la madre, in un appartamentino. C’è la Messa sempre. E’ custode di tutta quella roba che ho acquistato con tutti i buoni che hanno voluto aiutarmi in questa opera di bene.
Stai tranquillo che il dolore racchiude un segreto di felicità in avvenire. Un saluto moltiplicato.
Giustina Agostini ved. Sbaffoni
(In altre lettere) “Saluti e santa benedizione a tutta la famiglia. Offro un’altissima affettuosa riconoscenza di preghiere e di beneficenze…..”
(oppure) “….Ti benedico con tutto cuore, tua Aff.ma in Gesù e Maria…” (Giustina)
GIUSTINA A COLLOQUIO CON LE PERSONE
Ricordiamo quello che Giustina ha fatto ed ha detto. Quel suo modo di star a colloquio con la gente, modo sincero, spontaneo, generoso, era nutrito dalla viva sensibilità fraterna.
A spingere Giustina a dialogare era la piena fiducia in Dio nostro Padre, tanto da trasformare ogni incontro con le persone in una preghiera.
Il suo segreto ? La conquista personale di un ricco patrimonio di fede profonda, e insieme la competenza pratica, la sicurezza interiore, il senso concreto dei bisogni e dei dolori.
L’abbiamo vista al mattino, in chiesa, vicino all’altare, per unire la sua all’offerta del sacrificio eucaristico, con intima unione con Cristo. L’abbiamo vista per strada con il rosario in mano. L’abbiamo vista spesso segnare con il Crocifisso.
Ogni momento di incontro con una persona le faceva costatare tante preoccupazioni: ogni persona portava una pena, giorno per giorno. E Lei, di fronte alle prove che le venivano confidate, di fronte alle avversità, non ha mai spento la fiducia, la speranza. Lei meditava e pregava. Le bastavano la fede, la speranza e la carità.
Giustina parlava, sempre serena, nella mitezza, per la fiducia nella misericordia del Padre nostro.
Perché per Giustina né i peccatori, né gli avversari, né altre persone scontente, causavano mai un pregiudizio? Cosa spingeva la sua attenzione a occuparsi e preoccuparsi di loro?
Atei, indifferenti, fedifraghi, nessuno era estraneo. Giustina è coerente con la carità cristiana, generosamente dedita all’altrui felicità. Si presentavano persone sfiduciate e se ne partivano incoraggiate. La sua povertà, la mansuetudine, sono una proposta di pace, di sacrificio, di gioia. Portava le persone che sfogavano le loro pene, a vivere la pace con se stesse, con Dio, e con gli altri. Lei, come noi, si trovava di fronte a tante infelicità.
Lei sa che l’infelicità è specchio dell’intero sistema di vita. Pertanto l’unica cosa, che è congeniale, è la misericordia, con attenzione vitale per ogni persona accolta, ascoltata, compresa.
Poesia del nipote
RICORDANDO ZIA GIUSTINA
Sempre serena, sempre sorridente,
pure se in cuore avevi qualche spina,
povera, cara e brava zia Giustina,
com’eri dolce e buona con la gente !
Vivevi la giornata intensamente
per le visite continue, poverina;
sempre rivolta alla Bontà Divina
tu elargivi conforto al sofferente.
Quasi rapita, pronunciavi frasi
ispirate, ma dense di costrutto,
e risolvevi ingarbugliati casi.
Favori e grazie potevi ottenere
sì per le tue virtù, ma soprattutto
per l’efficacia delle tue preghiere !
Dante Agostini
GIUSTINA PREGA
Giustina ha attinto l’energia della sua spiritualità dall’Eucaristia, dalla preghiera Mariana, dalla sofferenza. Viveva nella fiducia dell’opera di Dio. Ben sapeva che ogni persona trova difficile il patire, ma guardava la vita eterna: quanto dura il dolore sulla terra ?
Nell’intensa pietà c’è la sua dedizione a Dio. Meditava la passione di Gesù e con serene rinunce alimentava la carità interiore.
Leggeva “L’Imitazione di Gesù Cristo” e recitava le preghiere usando il libro diocesano delle Pie pratiche per la Madonna del Pianto (Fermo 1929). Con sé aveva sempre il Crocifisso.
Celebrava con gioia le feste, preparandosi nella vigilia e partecipando alle sacre funzioni parrocchiali. Per onorare Dio, invocava i suoi Santi, a cominciare dalla Madonna e da sua madre sant’Anna. Faceva tesoro delle indulgenze e procurava di meritarne per sé e per i defunti. Soprattutto faceva ogni sforzo per partecipare, ogni giorno, alla santa Messa e Comunione e sostava con devoto raccoglimento dinnanzi al santissimo Sacramento, inginocchiata, a mani giunte, sulla soglia di marmo della balaustra.
Chi conosceva bene i suoi genitori testimonia che non avevano voluto che si consacrasse facendosi Religiosa. Non si scoraggiò: in segreto, meditava e manteneva l’intenzione di amare Dio e gli altri, con l’aiuto della Grazia. Tutto accettava per amor di Dio, trattando gli altri in modo umile, mite e abbandonandosi a Gesù Cristo.
Pregava con l’offerta di se stessa in atto di adorazione, digiunava d’Avvento e di Quaresima per espiare le manchevolezze sue e degli altri. Pensava per chi ancora non conosce Dio nostro Padre, pregava e propagandava le opere missionarie nelle quali infervorò anche il nipote Dino Agostini che visse un po’ di tempo insieme con lei ed è stato missionario della Consolata.
Consolava gli altri, poco prima di morire, dicendo: “Pregherò per te in cielo, come faccio in terra”. Il suo cuore era distaccato dal piacere materiale, ma attaccato al Bene supremo. Di cibi e di bevande usava con la parsimonia di chi sui nutre molto e vive della Parola di Dio.
Rende grazie delle pene, a Gesù che in esse viene.
Al Crocifisso lei si offre che Risorto più non soffre.
GIUSTINA TESTIMONIA IL VANGELO
Le azioni di ogni giorno le offriva a Dio in unione con il divin Figlio, Salvatore, e con filiale devozione alla Madonna.
Rifuggiva da ogni diversivo inutile, premurosa di confortare e incoraggiare nel bene chi si avvicinava a lei. L’amore di Dio le faceva superare gli ostacoli, ed il suo atteggiamento di umile, attenta dedizione era più eloquente di ogni discorso. A chi la contrariava o la offendeva, non rispondeva, perdonava tacendo e pregando. Con tale pazienza dissuadeva anche dal bestemmiare.
Si dedicava alle attività, insaporendole con l’intenzione di amor di Dio. Dal suo volto traspariva la serenità, dal suo vestire l’umiltà, dal portamento la purezza dell’animo. Era ubbidiente a per avvicinarsi con tutti al Signore. Manteneva il tipico riserbo della vita interiore.
Rifuggiva anche dalla precipitazione specie nel giudicare: era padrona di sé, senza mai lamentarsi, né per offese, né per il freddo intenso, né per l’eccessivo caldo o per altri incomodi.
La sua vita testimonia l’umiltà e la parsimonia
perché spera, prega e tace con gran fede, forza e pace.
GIUSTINA DICE
In ogni occasione, in ogni sua lettera, raccomanda sempre di pregare. Ma non per un senso pessimistico di paura della vita, anzi offre il suo modello di preghiera estasiata che ringrazia il Padre per l’incanto della vita: le ultime parole, che sono state raccolte dal figlio Gaetano: “Fammi guardare questo mondo che tanto bello” sono parole che invitano a partecipare alla gioia del creato.
Alcuni suoi consigli sono restati proverbiali. Tanti se ne potrebbero raccogliere dalle testimonianze delle persone che l’hanno incontrata.
A proposito di riconoscenza, ripeteva: “Quando uno l’hai portato sempre sulle spalle, al momento che lo posi a terra, è come se non gli avessi fatto mai niente”.
Diceva anche: “La persona, meno vale, più pretende”.
Ad un ragazzo desideroso di diventare sacerdote, col suo sorriso preveggente, disse: “Meglio un buon secolare che un cattivo prete”.
Alle persone malate nello spirito e nel corpo, raccomandava di pregare per accrescere la propria fede. Dice ai sofferenti di non disperare; non imprecare, ma affidarsi al buon Dio che li chiama con la prova e li rassicura che: “Nella sofferenza è racchiuso un segreto di felicità per l’avvenire”.
Dice: “Cerca di non far del male che tutti ti vorranno bene”.
Incoraggia a guadagnarsi il paradiso, con fiducia, pregando: “Gesù confido in Te”.
La fede evangelizzante, anche senza altoparlante
parla e chiama con l’esempio e risveglia pure l’empio.
IL CARISMA: “Arrivano i cuori per essere leniti”
Il dono di Giustizia era la comprensione fraterna, con presenza umile. Ascoltava migliaia di persone all’anno, senza lasciar trasparire alcun sacrificio; irradiava sempre la calma. La incontravano in qualsiasi ora e lei tranquillamente avvicinava le persone meno simpatiche, cioè quelli che stanno a lagnarsi dei propri affanni ed insistono per vedere esauditi i loro desideri.
Le sue parole scendevano nel cuore dei preoccupati e degli afflitti con la delicatezza del sollievo, con l’effetto di una carezza avuta da Dio. Irradiava la rassegnazione cristiana, la pace interiore. E partecipava alla gioia dei piccoli e dei grandi. Così pure per ogni dolore.
Procedeva nel suo carisma di pacificazione con costanza, senza cedere allo scoraggiamento, mostrando amore a Dio e al prossimo nell’accoglienza quotidiana. Testimoniava, senza ostentazione, la fiducia cristiana, anche tra dolori.
Nascondeva i propri dolori fisici, dietro un pacato sorriso. Suggeriva una parola buona, sempre, nei contrasti, senza mai alterarsi, con atteggiamento meditativo e garbato
Sapeva penetrare i cuori, consigliare, con una sapienza che non poteva essere semplicemente umana, ma di grazia divina. Nelle discordie invitava il più prudente a saper cedere, invece di accanirsi per aver ragione. Conciliava. Scusava, perché a volte uno fa del male senza volerlo, e consigliava sempre il perdono.
Il suo sguardo era un richiamo alla bontà: occhio pacato, puro, onesto, buono. La furbizia di Giustina è piuttosto cortesia, con la delicata perseveranza. Con la preghiera costante riusciva dove altri non riuscivano.
Della persona che sbagliava, lei non pensava alla malizia, piuttosto vedeva il bisogno di misericordia. Esortava a vivere senza far del male. Spesso la pace manca persino tra parenti o familiari, a motivo del danaro o dell’orgoglio, per cui c’è tanto bisogno di riappacificare le persone.
È successo che quelli che non speravano di far pace, vinti dall’opera divina mediata da Giustina, piangevano, alla fine, contenti di perdonare.
Per Giustina non c’era peccatore che non potesse sperare, che non potesse pentirsi e tornare a sorridere, rialzando la faccia umili con lo spirito perdonato dalla divina misericordia.
Le è certa che il Padre nostro perdona sempre, per i meriti dell’Agnello divino, che porta e toglie il peccato del mondo, offrendo il Suo sangue. Giustina era lieta di riconciliare le anime; non si scoraggiava neanche per la massoneria.
Guidava le persone con la sua parola, il suo esempio e con il suo coraggio nel mare burrascoso della vita. Amava per insegnare ad amare.
Nella Chiesa, Cristo soffre nel martirio Lui si offre
del fedele e sacerdote che il Nemico ancor percuote.
TESTIMONIANZA SCRITTA DA UN PARROCO:
Montecosaro Scalo, 12 Aprile 1984
“Dalla casa dove abitava Giustina alla chiesa parrocchiale del SS. Salvatore a Belmonte Piceno, situata al centro del paesino, c’era un buon tratto di strada da percorrere.
Molto spesso a piedi veniva qualcuno a chiedere del Sacerdote: “Ho bisogno di confessarmi…. mi manda Giustina”. Erano casi molto delicati, situazioni aggrovigliate e certamente procuravano anche un malessere fisico. Il tormento dell’anima si rifletteva in una sofferenza esteriore ed allarmante. Giustina aveva letto nel profondo della coscienza ed aveva suggerito, per prima cosa, di rimettersi in pace con Dio. La guarigione poi sarebbe stata sicura. “Sto meglio …. mi sento tranquillo” erano le espressioni che si coglievano sulle labbra di chi aveva confidato al Sacerdote, quello che nascondeva da tempo nell’intimo del suo cuore.
“Il tuo è male dello spirito” aveva detto a qualcuno con espressione penosa e triste e veramente era così.
Giudicare Giustina Sbaffoni come la donna privilegiata da doni di natura non è tutto; ai doni di natura si aggiungeva la carica spirituale di donna di preghiera – vegliava in preghiera molte ore della notte – di riflessione, di anima contemplativa e sapeva cogliere i problemi che si agitano nel cuore dell’uomo”. Sac. Mauro Natali
GIUSTINA DONA
Tra le persone a lei care c’è il nipote Padre Dino Agostini, attivo coi Padri Missionari della Consolata a San Manuel di San Paolo in Brasile e altrove. Fu lei ad infervorarlo ed educarlo. Anche con i seminaristi diocesani era benevola, generosa per la maggiore gloria di Dio e li sosteneva con la preghiera assidua, tra l’altro per il buon esito negli studi. Pregava per tutti, sempre, senza distinzione di ideologie e realizzava la giustizia con la carità, evitando che si offendesse alcuno.
La gente dice che Giustina “indovinava”, ma non faceva l’indovina. Leggeva nel profondo del cuore. Prediceva cose che sarebbero avvenute, come la durata di una malattia, o una morte improvvisa. Spiegava ad una donna che lamentava l’appendicite, trattarsi invece di gestazione. Rassicurava i fidanzati a non ritardare il matrimonio per la grave malattia del parente che invece sarebbe vissuto. Invogliava un colono a comprarsi il terreno dei Bonaparte. Rinfrancava per un posto di lavoro; orientava i giovani al fidanzamento. Alla donna, arrivata di fretta, andava incontro ad dirle che il marito stava meglio (nessuno gliene aveva parlato); consigliava certe operazioni chirurgiche, o il ricordo ai medici per le cure, suggeriva infusi per smaltire i calcoli. Ai genitori preoccupati delle malformazioni del figlio diceva di pregare e quegli arti sarebbero tornati sani.
L’uomo con la bronchite cronica pregò con Giustina, ebbe un piccolo ascesso e con esso sparì il male. Il sordastro, dopo preghiere, si accorse di riavere di udito. I mal di testa scomparivano con la preghiera. Giustina chiedeva l’intercessione della Madonna. Le persone erano ben liete delle grazie ottenute dalla mediazione della Madonna.
Nessuno può parlare di un miracolo, fino a quando non questo non sia analizzati e verificato dalla Chiesa. La voce popolare e comune dice che Giustina era buona, umile, una santa donna dedita alla preghiera, un’anima contemplativa, uno spirito disinteressato e mistico, persona non comune, illuminata; tanto che si recavano da Lei molte persone. Pregava e “segnava con la croce e il Crocifisso”.
Tra le voci di riconoscenza e di ammirazione di persone di qualsiasi genere (erano più di 200 quelli che le scrivevano), riportiamo alcune testimonianze, tra le moltissime, di gratitudine.
Remo P. – Brigadiere a Macerata scrive: “Donna esemplare che nei suoi 90 anni di vita ha sempre profuso bene a piene mani. Sono certo che ora dal cielo continuerà la sua opera di bene per proteggerci da tutti questi mali che ci circondano e dai quali rimase sempre incontaminata”.
Luigi C. – Ispettore: “La figura più dolce e cara che io abbia mai conosciuta. Non le può mancare il premio della beatitudine eterna”.
Il Parroco di S. Maria delle Grazie a Monteverde (20/10/1972): “Il gran bene compiuto a vantaggio dei sofferenti, che in un numero incalcolabile ha avvicinato, sia per voi di conforto, per Lei pegno di vita eterna. Mi ha sempre edificato (e ne ho parlato con tanti) il suo disinteresse…. Non è corsa dietro all’oro, proprio come dice la Bibbia; per ciò il Signore è la sua ricompensa (…) nella speranza di poter (noi) raccogliere il suo esempio come un monito”.
Il Pretore capo di Fermo riferisce che Giustina era amata da tutti, tanto compianta a ricordo perenne delle sue opere.
Per Rinaldo Rinaldi Giustina è “mamma vivente in cielo”(12/2/1973) “avrà la missione di confortare il cuore dei suoi prediletti figli e sarà l’ancora di salvezza nei momenti più tristi e desolati della vita. Tutela e vigila sull’avvenire”.
Ancor oggi ci sono persone che pregano, sentono vicina Giustina e ne visitano la tomba, memori del profumo della sua bontà.
EMILIA SAGRIPANTI NIPOTE
GIUSTINA di Belmonte amata e ricordata come santa.
Quando ero ragazzina non mi rendevo conto del grande dono ricevuto da Dio, del valore così prezioso di appartenere ad una famiglia di modeste origini, ma di grande fede cristiana. Il mio pensiero va in modo particolare alla mia nonna materna, Giustina Agostini, vedova Sbaffoni, al suo esempio, alle sue opere, alla sua umiltà. I talenti che Dio le aveva donati, lei li aveva fatti fruttare in abbondanza.
Dio le aveva dato i doni della conoscenza e della guarigione. Lei con molta umiltà, grande fede, tanta preghiera, spirito di sacrificio e amore verso il prossimo, ha operato veri prodigi. Con le sue preghiere intercedeva presso Dio, ed otteneva la grazia della guarigione per tanti sofferenti che a lei si rivolgevano.
Ho vivi nella memoria alcuni episodi. Al termine della giornata, quando ci si apprestava per andare a letto, lei mi invitava a dormire tranquilla. Durante la notte mi svegliai più volte, la vidi sempre in preghiera inginocchiata di fianco al letto. Mi resi conto che il suo riposo era ridotto al minimo indispensabile. Lei durante le notti pregava per tutte le persone sofferenti che le avevano chiesto aiuto. Pregava molto anche per le cattiverie esistenti su questa meravigliosa terra che Dio ha creato.
Alla preghiera lei aggiungeva il digiuno. Nei miei ricordi, lei faceva un solo pasto al giorno, questo pasto nel periodo della quaresima, consisteva in pane ed acqua, al massimo qualche volta aggiungeva un po’ di verdura cotta. Abitava in campagna, ma immancabilmente tutte le mattine, molto presto, si incamminava per andare alla Santa Messa per tutto il tragitto (più di 2 km) recitava il Santo Rosario. Per tutta la durata della Santa Messa lei era inginocchiata. Finita la Santa Messa lei si intratteneva ancora in preghiera, poi si incamminava per fare ritorno a casa, sempre pregando.
Il suo volto era sereno, anche nei momenti di grande sofferenza. Lei di sofferenze ne ha avute veramente tante. Non ricordo di averla mai sentita formulare un rimprovero per alcuno, era molto comprensiva, ed infondeva serenità a tutti. Invitava sempre e soltanto alla preghiera. Mi capitò di assisterla alcuni giorni, perché ammalata, ma non ricordo di averla vista triste, o di notare sofferenza nel suo volto, neanche sentita lamentarsi, come può capitare a tutti. Sicuramente lei offriva al Signore ogni sua sofferenza come preghiera.
Un giorno in mia presenza si avvicinò a lei un uomo, il quale le chiese aiuto per la sua salute, lei lo ascoltò con molta attenzione, poi, sorridendo e con molta dolcezza gli chiese perché mai si fosse rivolta a lei, dal momento che lui non era un credente. Quell’uomo restò sbalordito e molto sorpreso dal momento che per lei era un perfetto sconosciuto e quindi non poteva saperlo, ma lei con un sorriso di straordinaria dolcezza, posto su di lui il Crocefisso, che lei aveva sempre con sé, lo invitò a pregare con lei. Udii quell’uomo, non credente, pregare insieme con lei. Pensai alla parabola della pecorella smarrita. È mia convinzione che lei di pecorelle smarrite, all’ovile del Signore, ne ha riportate tante.
Ricordo e tengo sempre presente alcune parole che le udii dire ad un uomo che si lamentava di un sacerdote, disse: “Tu fa’ ciò che il prete dice, non guardare quel che il prete fa”. Sono parole che invitano alla riflessione. Tutti possiamo sbagliare, sacerdoti compresi, ed è motivo di preghiera, non di giudizio: giudicare non è compito nostro.
La sua grande devozione alla Madonna la indusse al restauro della chiesa dedicata alla Madonna delle Grazie, ormai diroccata ed anche alla costruzione di un appartamento adiacente alla chiesa, per poi darla in dono alla Curia vescovile di Fermo. Ricostruì anche la chiesetta di Sant’Anna protettrice delle partorienti. Entrambe le chiese si trovano nel territorio di Belmonte Piceno, dove anche lei abitava. Queste opere le realizzò con l’aiuto e le offerte di tantissima gente, a solo scopo benefico. Tutt’oggi è meta di tanti pellegrini.
Alla protezione della Madonna lei affidava tante anime bisognose, per cui lei tanto pregava. A distanza di anni dalla sua morte è per me, tutt’ora, motivo di insegnamento. Ogni sua parola era lo specchio di una grande saggezza e mi fa pensare alle parole dette da Gesù: “Io sono la resurrezione e la vita, chi crede in me non morirà in eterno”. Mia nonna è morta da molti anni; ma è vivo il suo ricordo in molti di noi, ancora pellegrini sulla terra. Le sue opere, la sue intercessione, la sua protezione, vivono ancora. Ora io mi rivolgo ancora a lei, chiedendole di tenere sempre la sua mano sul loro capo e sulla loro famiglia, di intercedere e pregare per loro, per le loro famiglie e per tutti coloro che ne hanno bisogno. Nel Vangelo troviamo la parabola del granellino di senape: esso è il più piccolo dei semi; ma se l’uomo lo semina nel suo campo diventa un grande albero.
Lei vive ancora. Dalla casa del nostro Padre supremo, veglia su tutti noi e ci protegge. Mi piace ricordare alcuni dei tanti episodi di quando era ancora in vita. Io seppi dell’esistenza di padre Pio, ora San Pio da Pietrelcina da lei. Mi parlava spesso di quanto bene facesse quel frate: lei lo stimava molto. Mi risulta che anche padre Pio stimasse molto nonna Giustina, ed apprezzasse molto il bene che lei faceva.
Ricordo le tante persone che arrivavano a piedi da altri paesi, chiedendo informazioni, dicevano: Dove abita la santa? O Dove sta l’indovina? ” Se è santa lo sa solo nostro Signore. (Per me lo è). Indovina non è il termine; ma lei aveva il dono della conoscenza. ‘Maga’ assolutamente no: lei non faceva magie. Lei, con grandissima fede, con umiltà, con sacrifici e con tanta preghiera ha fatto lievitare i doni che Dio le aveva dati. Non voleva essere ringraziata, diceva che non era opera sua. Aveva ragione: era Dio che operava per mezzo di lei.
Un giorno davanti alla sua tomba ci trovai un ragazzo, il quale mi chiese chi fossi e se l’avevo conosciuta. Poi ci mettemmo a parlare e mi raccontò la sua storia. Mi disse: “Sono venuto a ringraziarla. Ero molto malato. Il dolore alla testa mi tormentava giorno e notte. I vari specialisti dai quali mi ero recato, non sapevano più che farmi. I farmaci non solo non miglioravano le mie condizioni, che continuavano a peggiorare; ma non mi davano alcun sollievo, neanche per il dolore. Mia madre voleva portarmi da questa Giustina. Io mi sono sempre rifiutato di venirci, perché non ci credevo. Cosa avrebbe potuto fare lei, se tutti i dottori fallivano? Mia madre non si arrese: prese la mia sciarpa e ci andò da sola.
Al ritorno mi disse: “Giustina ha pregato per te e pregherà ancora: tu devi portare al collo questa sciarpa. Ero molto scettico; ma non volevo deludere mia madre e mi misi al collo quella sciarpa”. Poi con molta commozione dice ancora: “Dopo alcune ore stetti così male che pensai di morire, mi sembrava che qualcosa stesse scavando nella mia testa. Era così forte il dolore che mi gettai a terra. Poi improvvisamente il dolore diminuì e passò del tutto: stetti sempre meglio e riacquistai le forze, senza mai più avere un dolore. Però lei nel frattempo è morta ed io sono qui davanti alla sua tomba, per ringraziarla e conoscerla attraverso questa foto. Sono molto rammaricato, dovevo venirci subito, l’avrei trovata ancora in vita”.
Mia madre mi raccontò che nel periodo della guerra c’erano tanti analfabeti. Molti di essi andavano da nonna Giustina per farsi leggere le lettere che arrivavano dal fronte, dai loro congiunti. Le chiedevano di scrivere per loro. Lei era sempre molto disponibile per chi ne aveva bisogno.
Anche nonna Giustina aveva un figlio disperso in guerra. Mia madre raccontava che tutti lo consideravano morto. Per lungo tempo di lui non si seppe nulla; ma nonna diceva sempre che un giorno sarebbe tornato. Lei sapeva chi sarebbe tornato e chi no. Dicono che non ha mai sbagliato. Io ero molto piccola ed i ricordi di questo zio Francesco (così si chiamava) iniziano proprio da questo suo tanto atteso ritorno. Tornò a casa molto sofferente e malnutrito, a causa di tutti gli stenti subiti. Per questo suo ormai inatteso ritorno ci fu molto fermento e tanta gioia. Ricordo, seppure fossi piccola, che vidi mia madre piangere di gioia per questo suo fratello ritrovato.
Lei, filo conduttore con l’Altissimo nella certezza della sua protezione, del suo aiuto, della sua intercessione.
Poesia
Per guarire e capire i suoi figli
il Signore un dono ti fece.
E tutti coloro che a te rivolti si sono,
con un dolce sorriso li hai accolti
e per loro sempre pregato tu hai.
Quante fatiche e preghiere al Signore
hai offerto per noi.
Ed ora ti prego, nell’alto dei cieli,
continua a pregare per chi il Signore non ama,
per chi in un letto in sofferenza si trova;
per i giovani che perdon la via;
per i bimbi che amati non sono,
per gli anziani sofferenti e soli.
Il mio cuore il Signore ringrazia
e prega. Emilia Sagripanti