LETTERA DI RUBEN ANTONIO MACIAS MISSIONARIO SAVERIANO
“Voglio anche condividere con voi altre testimonianze sulla vita di questo prete che ha cercato di vivere la sua vocazione al servizio dei più poveri in Burundi. Posso dire che è stato un prete della misericordia. Infatti la sua vita si risolveva nel fare delle opere di misericordia, soprattutto nel visitare e confortare i malati, i vecchi, i poveri, gli orfani e le persone in difficoltà. Lui aveva cercato per conto suo di avere un luogo di preghiera in uno degli ospedali più poveri e frequentati di Bujumbura; per questa iniziativa sua, è riuscito a avere una piccola stanza e l’aveva trasformata in cappellina dove ogni mattina si ritrovava insieme a tanti malati e alla gente per celebrare la Messa, dopo di che andava a riconfortare i malati di quell’ospedale. Io ho potuto celebrare alcune volte in quella cappella, soprattutto nei giorni quando p. Vittorio non stava bene di salute. Dopo la Messa andava a vedere i bambini degli orfanotrofio che lui, insieme a un gruppo di laici, seguiva. Passava anche tante ore a confessare tanta gente che lo cercava per sentire da lui una parola di conforto e un stimolo per cambiare vita. Anche i prigionieri della prigione principale della capitale (carcerati) erano ogni tanto erano visitati da padre Vittorio et egli portava a loro la Confessione e la Parola di Dio. La sua vita stava centrata in queste cose: fare le opere di misericordia e pregare per tanto dolore nel Burundi.
Un altro esempio che mi ha dato, era il suo amore per la Vergine Maria, certamente al suo modo ma non era che amore, un amore che lo sosteneva e che lo faceva forte anche nei momenti più difficili. Mi ricordo in questi ultimi giorni, all’ospedale, aveva sempre il Rosario nelle mani o vicino alla sua testa. Passava quelle ore di dolore pregando il Rosario. Nell’ultimo giorno, i dolori erano forti, lui era quasi incosciente, già non sentiva all’orecchio, apriva i occhi un poco, ma vedevi nelle sua mani il Rosario e le dita che giravano i grani del Rosario. Mi ricordo che sono andato a visitarlo verso il mezzo giorno del 24 dicembre, lui soffriva, i dottori sono venuti a vederlo e fare delle cure che gli davano dolore, lui rimaneva pregando il Rosario; non aveva più la corona nelle mani, ma le dita continuavano a muoversi come se stesse pregando il Rosario e sulle labbra i movimenti della preghiera. Sempre pregando il suo Rosario, fino all’ultimo minuto. Così ha trascorso la sua vita; quando stava bene, veniva quasi tutti i giorni da me e sempre scendeva della sua macchina con il Rosario in mano, veniva a chiedermi qualcosa ma sempre il Rosario in mano, pregando.
Parlando della sua macchina mi viene alla mente un altro esempio che mi ha dato; la sua macchina era vecchia, rotta, malmessa veramente, ogni tanto si fermava. Quella macchina era il simbolo delle sua vita, un uomo povero, un prete povero, non perché non aveva soldi, ma perché tutto quello che riceveva lo dava agli altri, agli orfani, ai poveri. Lui è vissuto in una estrema povertà, anche se ogni tanto riceveva il soldi della associazione e della sua famiglia, mai ha utilizzato il soldi per sé, per i suoi bisogni. Viveva in una piccola stanza nella parrocchia di San Michele, una stanza senza nulla, povera; e per la sua macchina…penso che nessun prete in tutta la archidiocesi di Bujumbura avesse una macchina come quella; sono sicuro che fra i preti lui è quello che viveva più di tutti in povertà. Ogni tanto veniva e mi diceva: “Sono nella miseria, non ho niente neanche per comperare un po’ di pane per i miei bambini”: non pensava per sé, ma per i bambini. Altre volte veniva contento e mi diceva, guarda oggi una pia signora mi ha dato cinquanta mille franchi, grazie a Dio, guarda ho comperato un po’ di pane e di fagioli per i miei bambini, infatti nella macchina si vedeva quello. Niente per lui, tutto per i poveri.
Certamente adesso sta godendo di tutta la ricchezza del cielo, l’amore di Dio Padre, del suo Bambino e la tenerezza della Madonna del Cielo: la Mamma del Cielo come lui diceva. Nell’ospedale, sempre diceva quella parola, “Mamma”, negli ultimi giorni, quando non poteva più parlare solo sentivamo quella parola che ripeteva incessantemente “Mamma”, chiamando certamente alla Madonna del Cielo che lui amava tanto.
Scusate, sono alcuni pensieri che mi vengono in questo momento, nella preghiera per lui e di ringraziamento a Dio per avermi dato la possibilità di conoscere un prete così, fatto e modellato per il Dio misericordioso.
P. Ruben Antonio Macias Sapien Missionario saveriano in Burundi.