LICINI Osvaldo. Nato a Monte Vidon Corrado di Fermo, nel 1894; – nell’aprile 1935 fa pubblicare una Lettera aperta al Milione (mensile) n. 39 a. 1935 a Milano dove espone.
” Non ci conosciamo, amici del Milione. Per caso ci siamo trovati in quella nona saletta della Quadriennale dove la gente passa allegra, indignata o indifferente. E ci siamo subito riconosciuti fratelli in spirito. E mi avete invitato ad esporre a Milano.
Vi confesso che lo faccio un poco malvolentieri. Alle nostre esigenze mi sono piegato per quella disciplina che impone la nostra regola. E poi vi avverto che i miei capolavori sono ancora tutti da fare. Ne tengo più d’uno in cantiere, ma non sono ancora pronti per scendere in mare.
Dunque fino alla quattro anni fa ho fatto tutto quello che ho potuto per fare della buona pittura dipingendo dal vero. Poi ho cominciato a dubitare. Dubitare non è una debolezza, ma è un lavoro di forza, come forgiare, ha detto Cartesio. E mi sono convinto che facevo, come fanno ancora tanti, della pittura in ritardo, superatissima, fuori del tempo e contraria alla sua vera natura, che non è imitazione. La pittura è l’arte dei colori e delle forme, liberamente concepite, ed è anche un atto di volontà e di reazione, ed è, contrariamente a quello che è l’architettura, un’arte irrazionale, con predominio di fantasia e immaginazione, cioè poesia. Allora ho preso 200 buoni padri che ho dipinto dal vero e li ho portati in soffitta.
E da quattro anni i miei quadri me li sono cominciati a inventare. Dicono i parenti che io faccio adesso della pittura cerebrale. Che cosa dovremmo fare, la pittura intestinale? Anche la loro sensazione è un fenomeno di attività centrale, cerebrale. E allora? Dicono pure (in mala fede) che la nostra è pittura decorativa. Se la nostra pittura è decorativa, la loro pittura è scenografica, fotografica o grottesca. Siamo pari: a che serve un quadro se non a superdecorare un muro, rallegrare una parete? Questa è la sua funzione, la sua sola giustificazione. D’accordo, sarà anche un’opera di poesia. E questo noi faremo adoperando libere forme e colori. Dimostreremo che la geometria può diventare sentimento, poesia più interessante di quella espressa dalla faccia dell’uomo. Quadri che non rappresentano nulla, ma che, a guardarli, procurino un vero riposo per lo spirito.
Una cosa è certa: noi non faremo più della pittura come piace a Ojetti, archeologica, o imitativa come le scimmie. A quella vecchia favola della pittura imitativa noi tireremo il collo. E a tutti i critici da salon. Un’intelligenza attenta, vigile renda possibile lo sviluppo in collettività, cioè lo sfociare nello stile.
Si è detto che l’ovulo può essere l’espressione riassuntiva di tutta la civiltà greca.
La geometria, che è sempre stata la più alta aspirazione umana, è la chiave della nostra modernità. Con le sue leggi inflessibili e infinite essa esclude ogni arbitrario sconfinamento dalla fantasia creativa. È il comune denominatore di tutta la civiltà moderna, è l’asse della nostra attività di tutti i giorni, in tutte le sedi. È così che noi intendiamo procedere con ordine al di sopra di ogni realtà visiva, apparente e ricreativa.” –
Nota i vocaboli tipici del momento acculturato: lavoro di forza, forgiare, tirare il collo, modernità, ordine, geometria asse dell’attività. Licini Osvaldo, Primo premio alla Biennale di Venezia nel 1958, muore a Monte Vidon Corrado in questo stesso anno 1958.
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