BRUGNOLINI ADRIANA Reperti archeologici di Belmonte Piceno fino al 1947. Tesi di laurea

BRUGNOLINI Adriana,  “ LA NECROPOLI PICENA DI BELMONTE” <Reperti Piceni>

Tesi  di laurea in paletnologia nella facoltà di Lettere all’Università di Roma

relatore prof. Pietro Barocelli    a.a. 1947\1948

Premessa     Nel consultare la bibliografia riguardante la necropoli di Belmonte Piceno ho constatato a quale alto livello di importanza culturale e storica sia stata posta dagli studiosi italiani e stranieri questa necropoli.

Purtroppo nessuno ha compiuto a tutt’oggi un lavoro scientifico d’insieme, così che le notizie sono ancora disperse e frammentarie. Inoltre la maggior parte del materiale che vi si era ritrovato è andato perduto, a causa di un bombardamento aereo che danneggiò il Museo di Ancona ove esso si conservava.

Essendo perciò questa civiltà così poco conosciuta e così poco documentata, mi accingo a raccogliere tutto quanto è stato detto e ad illustrare il materiale che vi si rinvenne al fine di definirne gli aspetti più importanti e più caratteristici.

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***Capitolo I –                               STORIA DEGLI SCAVI E ANALISI DELLA  BIBLIOGRAFIA (fino al 1947)

L’esistenza di una necropoli preromana sulle alture del piccolo comune di Belmonte Piceno fu per la prima volta resa nota letterariamente e scientificamente da una pubblicazione di Silvestro Baglioni edita nelle ”Notizie degli scavi” dell’anno 1901 (pagg. 227-238).

Belmonte Piceno è un comune del circondario di Fermo. Sorge sul dorso di una collina che si eleva dal lato nord quasi a perpendicolo sul fiume Tenna. Il centro urbano è a 310 metri sul livello del mare e dista dalla riva dell’Adriatico Km. 25 circa. Il suo territorio è tutto a colline e collinette, elevazioni e ondulazione del suolo senza un’ampia distesa di terreno in pianura.

La località che si è mostrata ricchissima di antichità romane è rappresentata dal fianco dolcemente declive di una collina a sud-ovest dell’abitato; abbraccia più di un chilometro quadrato di superficie. In essa sono stati barbaramente eseguiti scavi dai rispettivi contadini che coltivando il terreno, si erano imbattuti in diversi scheletri umani ed oggetti preistorici. Da essi il Baglioni acquistò gli oggetti che formarono il tema delle sue notizie e che vengono tuttora conservati nel Museo Preistorico di Roma tra il materiale preromano delle Marche.

La località rappresentava indubbiamente un’antica necropoli, perché il materiale raccolto era stato rinvenuto costantemente insieme con ossa umane. Gli scheletri risultarono giacere in un terreno argilloso, alcuno alla profondità di qualche metro, altro a fior di terra, altro persino posto a nudo dall’acqua piovana. Posavano sul fianco sinistro con la faccia verso levante, con le ginocchia ripiegate e con le mani poste sul bacino. Questa è la posizione cosiddetta “rannicchiata”, come di persona naturalmente dormiente, oppure come del feto nell’interno dell’utero materno, che è stata spesso usata dalle popolazioni primitive e che fu generalmente in uso in Italia e in altri paesi durante l’età neolitica.

Non si rinvennero vestigia di cassa di legno o d’altro, né alcun segno di riconoscimento esterno della tomba, ma non si può escludere che esistessero e fossero disperse da lavori agricoli.

Secondo le misure prese dal Baglioni il cranio è eminentemente dolicocefalo, con fronte stretta compressa ai due lati, mascella inferiore robusta e pronunciata prominenza mentoniera. “Questi ed altri caratteri anatomici lo riavvicinano molto ai crani rinvenuti nella necropoli di Este e descritti dal Canestrini e dal Moshen” (Baglioni 1901, pag.228).

La suppellettile funebre delle dieci o dodici tombe rinvenute ammontano a duecentoventi esemplari di oggetti, numero rilevante se si considera il modo irregolare in cui avvennero gli scavi.

In seguito a questa prima segnalazione, l’importanza della necropoli di Belmonte Piceno attrasse l’attenzione di numerosi studiosi ed archeologi italiani e stranieri, cosicché possediamo oggi una ricca messe di materiale e di notizie scientifiche a lei pertinenti.

Nel 1903 Edoardo Brizio, allora direttore del Museo di Bologna, e dal quale dipendevano gli scavi delle Marche, nel descrivere alcune tombe ed oggetti rinvenuti nel territorio di Montegiorgio situato quasi di fronte a Belmonte sulla sinistra del Tenna, la ricordava più volte allo scopo di paragonare alcuni oggetti tipici scoperti in entrambe le necropoli (Notizie degli scavi, 1903, pagg. 84-91).

Nello stesso anno egli pubblicò (Brizio 1903, pagg. 101-105) un rendiconto della suppellettile femminile da lui acquistata per mediazione del Baglioni per il Museo di Bologna, nonché la descrizione dell’interpretazione di una stele funebre con iscrizione sepolcrale, venuta alla luce all’incirca verso il 1895 a poco più di un chilometro dall’abitato, segnalata a lui dal Baglioni ed ugualmente acquistata per il Museo di Bologna.

Nel 1904 il Baglioni riferì alla Società Antropologica di Gottingen e Iena sulla ulteriore ricca raccolta di oggetti preistorici ancor più importanti, da lui rinvenuti nello stesso sepolcreto, poco tempo prima. Detta comunicazione fu pubblicata nel 1905 nello “Zeitschritft fur Ethnologie” fasicoli 2 e 3 (poi Baglioni 1905). Essa dapprima stabilisce i caratteri generali della necropoli: si tratta esclusivamente di tombe piatte non troppo profonde, senza segno esteriore di pietre o di sarcofagi di legno, nelle quali lo scheletro giace nell’accennata posizione, cioè orizzontale su un fianco con le gambe ripiegate sul corpo. Poi contiene una dettagliata descrizione di questi nuovi oggetti consistenti esclusivamente in ornamenti femminili di particolare interesse.

Nel trattato “La civilisation primitive in Italie, Italia Centrale, col. 759-760, A. 1904-1910) il Montelius inquadra la scoperta della necropoli di Belmonte fra le importantissime scoperte effettuate ad est degli Appennini e soprattutto la suppellettile di questi scavi e riproduce disegni di cinque oggetti che più la caratterizzano. Circa la posizione degli scheletri e delle tombe, riporta letteralmente le frasi iniziali della pubblicazione del Baglioni dell’anno 1901.

Nel 1910 viene pubblicato il primo articolo riassuntivo delle scoperte verificatesi nel luogo, ad opera ancora di Silvestro Baglioni: “La necropoli di Belmonte”. In “Picenum”. Da esse sappiamo che nell’ottobre del 1909 una frana, dopo un periodo di pioggia torrenziale, mise allo scoperto un’altra tomba arcaica ricchissima di suppellettile ed occasionò l’inizio di scavi eseguiti con metodi scientifici. Il risultato di essi portò al rinvenimento di tali e tanti oggetti preistorici da desiderarne non solo la prosecuzione ma anche l’intensificazione sino alla completa esplorazione della necropoli.

Si constatò che i morti venivano seppelliti con quanto possedevano o avevano potuto acquistarsi in vita, prova questa d’immenso rispetto e venerazione per essi, nonché forse di mancanza di ogni pretesa fondata sul diritto d’eredità da parte dei figli.

Gli oggetti consistevano in armi, oggetti di ornamento personale variamente disposti sopra lo scheletro, suppellettile funebre raccolta ai piedi e al capo del morto; e possono essere distinti nelle categorie di manufatti indigeni e di oggetti importati da altri popoli più civili.

Da essi il Baglioni dedusse che la necropoli ebbe probabilmente vita dall’IX o X sec. al V o al IV sec. a.Cr., di modo che può rispecchiare tanto una civiltà molto arcaica di mille anni avanti Cristo, quanto una molto più recente.

In un articolo dal titolo “Ancora a proposito della situla calcidese di Leontini” l’Orsi parla di situle rinvenute nella necropoli di Belmonte Piceno, “la più ricca e la più vasta forse di tutta la regione” (B.P.I., a. 1912, pag.170). Esse sono da lui attribuite ad una corrente, industriale paleo-greca che ebbe dal secolo VIII in poi un’influenza preponderante sulla civiltà Picena, ed valgono a indicare la persistenza di un tipo di vaso fabbricato dai Greci ed esportato per uso delle genti italiche.

Gli oggetti di Belmonte che più hanno assunto forme fastose e barocche (lebeti, situle, bacinelle col labbro decorato di rilievi, fibule in forme ingrandite e colossali) sono considerati dall’Orsi opere degli industriali Greci che lavorarono per conto dei barbaroi, cioè rappresentano la trasformazione di oggetti di tipo e creazione greca in oggetti di gusto barbarico.  Egli riconosce inoltre quale grandissima parte abbia avuto in questa necropoli anche l’industria locale.

Nello stesso anno il Rellini (“Osservazioni e ricerche sull’etnografia preistorica nelle Marche”, B.P.I., a. 1912) formula l’augurio che venga presto illustrato l’importante materiale apparso nella necropoli Belmonte perché possa fornire nuovi significativi dati sull’origine della popolazione Picena, che “se fu guerriera, conobbe anche tutti gli allettamenti dell’arte e del lusso”. Purtroppo questo augurio è rimasto soltanto tale.

Nel 1915 viene pubblicata la “Guida illustrata del Museo Nazionale di Ancona con estesi ragguagli sugli scavi dell’ultimo decennio” di Innocenzo Dall’Osso, che dedica alla necropoli di Belmonte più d’una sessantina delle sue pagine. Per quanto la trattazione sia piuttosto fantasiosa e non riveste carattere scientifico, pure è interessante leggerla per conoscere come si svolsero gli scavi e quale materiale vi si rinvenne. Dice il Dall’Osso (pg.. 35): “Da molti anni a valle di una collinetta che prende nome dal vicino fiume Tenna, a circa 2 chilometri dal paesello di Belmonte Piceno, alcuni coloni nei lavori agricoli venivano scoprendo scheletri umani con armi di ferro e oggetti di ornamento di bronzo e di ambra” (…) “Questa suppellettile veniva da essi offerta in vendita agli antiquari di Montegiorgio, di Fermo e anche di Ancona. Fu appunto da uno di questi antiquari che nella primavera del 1909 la Direzione del Museo acquistò un piccolo gruppo di tali oggetti e seppe che essi provenivano da un punto di Belmonte il cui colono faceva di essi un proficuo commercio vendendoli agli antiquari col consenso del proprietario”.

“Nell’autunno dello stesso anno, in seguito ad un ben ordinato servizio di vigilanza sul detto fondo, questa Sovrintendenza fu informata che in quella stessa località, a causa dei dilavamenti prodotti dalle dirotte piogge autunnali, era venuta allo scoperto la parte superiore di una ruota di ferro. Recatomi prontamente sul posto – continua il Dall’Osso – insieme con un funzionario addetto agli scavi, feci praticare un largo sterro intorno a detta ruota e rimisi in luce la prima grande tomba la quale, per copia e ricchezza del corredo funebre, non ha confronto con nessun’altra esplorata in appresso”.

“Dopo tale scoperta gli scavi continuarono ininterrottamente per i tre anni successivi, profittando sempre del periodo di maggiore secca – dal luglio all’ottobre – in cui il livello delle acque di infiltrazione è sempre più basso. Gli scavi di Belmonte fruttarono al Museo di Ancona la suppellettile di oltre trecento tombe, la maggior parte delle quali offrì corredi considerevoli, giacché è un fatto innegabile che la necropoli di Belmonte, causa la sua importanza e la sua estensione, restituì il maggior numero di corredi funebri, di gran  lunga superiori per copia e ricchezza a quelli di tutte le altre necropoli, non esclusa quella di Novilara”.

“Tutto il prodotto degli scavi fu poi trasportato al Museo e distribuito in più  sale, tenendo conto della successione topografica dei diversi gruppi”.

In ciascun gruppo si osservano tombe ricche e povere mescolate insieme: forse il popolo Piceno non ebbe mai una aristocrazia né militare né civile né religiosa. Le tombe, fittissime, sono disposte senza alcun ordine, né vi è traccia alcuna di sepolcreto di famiglia.

Da ciò che si è ritrovato è lecito supporre che i morti fossero seppelliti col vestito che usavano in vita e che è perciò facile ricostruire. Gli uomini dovevano indossare una pesante tunica lanosa: sul petto portavano – e a volte così li abbiamo ritrovati – a guisa di corazza un intreccio di fibule di ferro di tipi diversi, di diverse dimensioni, sì da formare una fitta rete. Con le fibule usavano portare pochi altri ornamenti: alcune catene pendenti dal collo e collane ritorte a guisa di torques. Erano circondati da numerose armi di difesa e di offesa; a volte ad esse si aggiungevano i carri di battaglia.

Anche dell’aspetto della donna picena tra il VII e il VI secolo possiamo farci un’idea abbastanza precisa, a giudicare dagli avanzi di vesti femminili che si sono trovati nelle tombe più ricche insieme con le relative guarnizioni. Sembra che gli scheletri femminili (Dall’Osso pg.. 51) fossero avvolti in un grande mantello di lana, un pallio, che doveva coprire tutta la persona e scendere fino alle ginocchia. Esso era decorato fino al ginocchio con borchiette di bronzo e con piccoli cerchietti di vetro, d’avorio e di ambra. Sotto il manto doveva essere indossata una tunica il più delle volte manicata. Oltre alla miriade di borchie e cerchielli applicati sul manto, c’era una profusione di oggetti di ornamento, cioè le fibule, spilloni, pendagli, pettorali, armille, diademi, anelli.

La suppellettile consiste in oggetti di terracotta, di bronzo, di ferro, di ambra, di vetro e di avorio. La suppellettile funebre venne rinvenuta ai piedi e al capo del morto. Quella consistente in oggetti d’armi e di ornamento personale variamente disposta sopra lo scheletro, per lo più in corrispondenza del bacino.

Nelle tombe femminili abbondano gli oggetti di ornamento, usati anche a scopo apotropaico, cioè per proteggere la donna mediante splendore e crepitio contro il malocchio.

A profusione si rinvengono le fibule. Sappiamo che la fibula fu oggetto molto in auge presso le donne dell’antichità: Eliano ci dice che le donne non usavano cucire la loro tunica dall’omero alla mano, ma ne tenevano insieme i lembi mediante fibule d’oro e di argento. Esse in particolare dovevano avere scopo apotropaico: e forse per questo motivo in una sua tomba di Belmonte se ne rinvennero più di cento. Si trovano sparse sopra e a fianco dello scheletro, perfino in tombe dei bambini: sono di forme svariate delle più diverse dimensioni. Grandiose sono alcune di bronzo nel cui arco si trovano inseriti grossi nuclei di ambra. Altre sono ad arco semplice, ad arco sormontato da tre bottoni o da tre anatrelle, a navicella; abbiamo inoltre fibule tipo Certosa, fibule da cui pendono pendagli svariati, fibule serpeggianti, nonché una fibula di tipo rarissimo con tre volute come ornamento della staffa.

Ammirevoli sono i pettorali formati perlopiù da placche rettangolari e trapezoidali di bronzo, talvolta della lunghezza di circa 50 centimetri, decorate da borchie e sbalzo. Dalla base di queste placche pendono numerose catenelle più o meno grosse di bronzo e di ferro, dalle quali, a varie altezze, pendono altri pendagli di specie diversa; e ai capi di ciascuna sono attaccati pendagli più grossi, per lo più terminanti in sferette di ferro e di bronzo.

Le torques sono una verga massiccia, di enorme peso, con le estremità per lo più a foggia di anforetta o di pigna. Le collane sono formate da vaghi di bronzo, di pasta vitrea, di avorio, di legno, di osso, di bronzo e di conchiglia, a forma di bulle, di ghiande, di perline, di tubetti, di anfore, di sferette, di conchiglie, di losanghe, e simili. (Dall’Osso pg..42).

Numerose sono anche le armille, che figurano di solito in numero di due in una tomba; eccezionalmente ne sono raccolte dodici in una tomba sola. Sono per lo più a verga massiccia di bronzo oppure di lamina di bronzo con le estremità sovrapposte, ovvero di grosso filo di bronzo a più giri.

Graziosi sono gli orecchini costituiti nella maggior parte dei casi da due o tre paia di dischi o rotelle d’ambra con foro al centro; in alcuni dei quali si trova ancora infilato il cerchiello di filo di bronzo che serviva per appenderli.

Ma la vera specialità delle tombe di Belmonte è nei pendagli di diversa materia forma. I più cospicui sono quelli di ambra o di avorio lavorati in bassorilievo con figure di animali soli o a gruppi di tipo orientalizzante. I pendagli di bronzo sono a forma di animale (cane, cavallo, giovenca, scimmia) e raramente anche a figura umana. Caratteristici del luogo sono i pendagli a doppie protomi di bue o di ariete. Sono due teste per lo più rozzamente abbozzate e stilisticamente rappresentate, in cui sono però evidenziate le corna col paio anteriore delle zampe accoppiate insieme per il dorso, da cui si solleva  l’eminenza forata dell’attaccagnolo. Di dimensioni talora notevoli, ne recavano sul corpo qualche volta cinque, dieci e più esemplari (Baglioni1910 pg..12.).

Abbiamo pendagli a forma di tubetti, di anforette, di piccole armille, di lance, di frecce, di asticelle piene con nodi, di cerchielli, di conchiglie cypree talvolta con rivestimento di filo di rame, di dischi traforati, di bulle.

Sono presenti inoltre nelle tombe femminili oggetti di vario genere: statuette, amuleti d’avorio, fusaiole di terracotta stagno e bronzo, cura-orecchi sormontati da figurine schematiche, balsamari, anelli, spilloni, palettine, ed altri oggettini per la cura del corpo.

Notevole è il fatto che due grandiose tombe femminili, di donne guerriere, contenevano le armi e il carro da guerra, cioè oggetti eminentemente maschili, oltre un corredo composto di lussuosi e numerosi oggetti di ornamento personale. Il Dall’Osso (pg.. 42) crede di poter paragonare le due donne alle Amazzoni dell’epopea, che pure combattevano sul carro, e le crede perciò guidatrici di schiere. Ma essendo queste, nel Piceno, le uniche tombe femminili del VI secolo nelle quali compaiono armi, è invece possibile che le due donne fossero mogli dei capi guerrieri i quali rendevano onore alla loro memoria collocando queste armi e questi carri da guerra, e insieme volevano che il loro ricordo rimanesse distinto dopo la morte (Dumitrescu pg..12)

I corredi maschili sono ordinariamente assai scarni di oggetti di ornamento. I pochi che vi figurano consistono in fibule di bronzo e di ferro, in collanine di vaghi d’avorio, di bronzo e di pietra vitrea, in torques pesanti. Caratteristici del luogo sono anelloni a quattro o a sei nodi equidistanti fra loro, del peso complessivo che talvolta sorpassa i due chilogrammi. Non si conosce con precisione l’uso di questi anelloni, essendosi essi trovati sul petto e sul bacino. Si sono ritenuti pendagli sospesi alle vesti, fermagli di fascia (Allevi), dischi piatti portati nelle processioni come simboli del culto solare, oggetti musicali (Coritano), ornamento alle caviglie del piede; infine strumenti atletici o di pugilato, armi nel combattimento e corona nella vittoria (Speranza, Il Piceno pg..181).

Ma l’importanza del corredo maschile è data dalle armi. Abbondano le armi di difesa, tra le quali rinveniamo specialmente gli elmi. Alcuni sono del tipo Piceno, cioè a calotta sormontata da Nikai schematiche, ed alcuni raggiungono enormi proporzioni a causa di una grossa treccia di paglia che ne imbottiva il giro interno. Vi sono anche esemplari di elmi di puro tipo Greco, e di tipo Corinzio e Illirico. Qualche tomba ne contiene più d’uno; ad esempio in una tomba lo scheletro era accompagnato da un elmo Piceno e da uno Greco, il che fa pensare che non usassero seppellire il guerriero soltanto con le armi che indossava, ma anche con armi altrui, forse quelle dei nemici che erano stati da lui vinti in battaglia.

Non si sono trovati scudi né vere corazze: abbiamo solo un esemplare di corazza formata da due dischi collegati con cerniere, rinvenuto nella tomba più ricca, quella del condottiero. Probabilmente gli uomini di Belmonte usavano scudi e corazze di cuoio che il tempo non ha preservato e la cui presenza sarebbe rivelata da un denso strato di polvere color tabacco che era rimasto sul petto dei guerrieri. Frequenti sono i gambali di bronzo, alcuni dei quali giungono oltre il ginocchio, a volte rinvenute in numero di più di un paio per tomba.

Frequenti sono pure le armi di offesa; lance fino a nove tipi diversi, coi relativi sauroter (suo innesto n.d.r.) talvolta rivestiti di lamina di bronzo; daghe di lunghezza svariata, anche colossale, giavellotti rotondi e quadrangolari, asce di ferro; più rare sono le bipenni di ferro che si sono ritrovate solamente  nelle tombe dei principali guerrieri; vi sono rasoi lunati di ferro e di bronzo.

Ma l’interesse principale è costituito dai carri di battaglia, rinvenuti negli scavi governativi del 1909-12, e non mai in quelli occasionali. La presenza in Belmonte di questo importante ordigno di guerra conferisce alla necropoli una grande importanza, essendo esso stato rinvenuto e solo in proporzioni ridotte, soltanto a Cupramarittima nel Piceno. La biga: provenienti dall’Asia Minore, portata nella Grecia sin dai tempi della civiltà micenea, ripetutamente ricordata da Omero, consisteva in un carretto di dimensioni modeste, a due ruote basse, trascinato da due cavalli, su cui potevano trovar posto un guerriero in piedi e l’auriga. Le bighe rinvenute nella nostra necropoli sono esattamente di tipo Greco; giacciono sopra lo scheletro, hanno ruote cerchiate di ferro coi tamburi dell’asse molto prominenti. Tutto il corredo della biga – tranne naturalmente i cavalli – era seppellito con essa: così costantemente si rinvengono anche due morsi di bronzo o di ferro dei cavalli (Baglioni 1910 pg..13). La forma delle bighe corrisponde esattamente alla descrizione dei carri omerici e a quelli che si vedono dipinti nei vasi arcaici greci, specialmente dell’acropoli ateniese.

Generalmente si trova un solo carro per ciascuna tomba: eccezionalmente se ne trovarono sei nella prima tomba scoperta, quella del condottiero. In complesso si rinvennero i resti di ben cinquanta carri.

Ricco e abbondante è nelle tombe maschili il vasellame di bronzo e di terracotta; scarso invece nelle tombe femminili. In esso possiamo facilmente riconoscere i manufatti indigeni della popolazione Picena dagli oggetti importati da popoli più civili, ordinariamente Greci, per la monotonia dei motivi e la rozzezza dell’esecuzione dei primi.

Interessanti sono i vasi laminati, purtroppo in buona parte distrutti dalla soluzione calcarea che abbonda in quel terreno e dall’acqua di infiltrazione; sono caldaie e lebeti con manico di ferro, bacini  con orlo piatto con decorazioni a treccia incisa, ciste a cordoni, ciste con zone di animali schematici a sbalzo, kinochoai, situle dovute ad una sicura corrente industriale paleogreca (Orsi, B.P.I., 1912, pg.. 175). Di minori proporzioni sono le olpe, le bacinelle, le patere baccellate, le barchette, le ciotole, le capeduncole. Anche i manici sono di forme notevoli, terminano cioè in protomi di cavalli, di leoni, di cani.

I vasi di terracotta sono in numero più rilevante. Fra quelli di sicura produzione locale possiamo annoverare i vasi di bucchero d’impasto nerastro o d’argilla rossastra, nonché i vasi d’argilla non perfettamente depurata dipinti a decorazione geometrica; le forme che predominano sono quelle delle coppe ad alto piede, delle olle biconiche con anse a bugna, degli askoi. Oltre queste forme, abbiamo tipi grecizzanti, cioè imitazioni ad opera degli artisti locali di tipi estranei: tazze con piede, tazze senza piede, kantharoi, kylikes, kinocoai, schyphoi. Vasi di importazione sono alcuni esemplari di tipo precorinzio e corinzio, alcune kylikes, alcuni lekythoi del V secolo, e diversi crateri pugliesi di tipo messapico con orifizi imbutiformi.

Da questa sommaria esposizione di oggetti si rileva che vario è il  materiale di cui essi sono formati. Predomina su tutti il bronzo, la cui lavorazione era opera locale; infatti in alcuni luoghi sono venuti alla luce anche i relativi stampi; molto inferiori, numericamente, sono gli oggetti di ferro. Assai scarso è l’oro, rappresentato soltanto da tre verghette e da sottili lamine o foglie forse per rivestimento, segno evidente che a Belmonte la ricchezza era intesa con significato più ideale. Egualmente raro l’argento che figura solo in oggetti frammentari, in un ventaglio a forma di segmento lunare e in una scodella ornata da animali fantastici di stile orientalizzante. Figurano spesso il vetro nonché l’osso, e il dente di animale. Anche l’avorio viene usato, sia pure con parsimonia; rarissimi sono gli oggetti di pietra, perché questa popolazione non era più dell’epoca eneolitica.

La materia invece che, accanto al bronzo, è più largamente rappresentata in Belmonte, è l’ambra. In una sola tomba, ad esempio, se n’è estratta una quantità così grande da poter empire un grande bacino (Dall’Osso pg..373). Molti archeologi ritengono che l’ambra sia un prodotto commerciale importato dalle rive del Baltico, poiché non si ha notizia di ambra trovata nel Piceno. Obietta però giustamente il Dall’Osso (pag. XLII) che, date le proporzioni in cui essa venne usata nel Piceno e a Belmonte in particolare, non si comprende con quali mezzi i Piceni avrebbero potuto acquistare una materia allora tanto apprezzata e tanto costosa. Sembrerebbe più logico pensare che l’ambra si trovasse in natura nel Piceno stesso, o concordare con Plinio che scriveva: “in extremis Hadriatici sinus rupibus inviis arbores stare, quae Canis ortu hanc effunderent cummim”. < in “Naturalis Historia liber XXXVII” dice essere falsità che all’estremità del Golfo Adriatico, su alcune rocce inaccessibili, ci sono piante che versarono la loro gomma al sorgere della Caligola >

Non sappiamo in quale sito abitassero le genti che lasciarono sulla collina i loro morti, ma la ricchezza del materiale trovato fa supporre che le abitazioni non fossero molto lontane dal sepolcreto. Pensiamo anche che vi vivesse una popolazione fissa, a giudicare dal fatto che venne scelto sempre uno stesso luogo per venerare coloro che si erano spenti.

Il Dall’Osso (pag. 110) narra di aver trovato resti di vasti capannoni di forma rettangolare, alcuni dei quali anche di metri 50 di lunghezza per 8 di larghezza, probabilmente divisi in vari ambienti da tramezzi di legno, al centro dei quali era per lo più un grande dolio destinato a raccogliere l’acqua piovana, una specie cioè dell’impluvium romano. Simili capannoni, ritrovati in numero rilevante, si estendevano lungo strade ricoperte da uno strato di ghiaia minuta, come le case rinvenute negli scavi presso Rodi e nelle isole pompeiane. In questi capannoni del Colle Tenna vennero trovati avanzi di oggetti di ornamento di vasellame, in parte simili e in parte diversi da quelli ritrovati nelle tombe. Il Dall’Osso sostiene la tesi che essi costituissero l’abitato di quella gente che ha lasciato il sepolcreto; aggiunge poi che in un secondo momento, dopo la invasione dei Romani, in questo stesso luogo dovette sorgere la Falerio Romana.

Certo il problema non può essere discusso con dati di fatto, perché non furono mai intrapresi scavi scientifici in questa località, ma, pur con i pochi dati che sono in nostro possesso, le affermazione del Dall’Osso lasciano un po’ perplessi: anzitutto non possediamo alcuna riproduzione di questi capannoni; in secondo luogo, abitazioni simili sarebbero le uniche in tutta la nostra Penisola. Certamente non è possibile non rilevare anzitutto il numero considerevole di chilometri che separa la necropoli dalla presunta acropoli <Falerio>; inoltre bisogna ricordare che i Falerionenses nominati dal Dall’Osso vissero per lo meno tre secoli dopo il periodo in cui vissero gli abitanti Piceni nel territorio di Belmonte. Faleria infatti fu città che visse e si sviluppò nell’epoca imperiale romana: colonia dedotta da Augusto dopo la battaglia di Azio, secondo il Momsen (CIL IX, pg..518). Per voler sostenere una simile tesi bisognerebbe non solo passar sopra la distanza che esiste tra le due località, ma anche dimostrare che la necropoli non ebbe mai altra abitazione, e che i capannoni non ebbero mai altro luogo di sepoltura. Il tutto è un po’ artificioso. Lasciamo quindi in sospeso la cosa, sperando che per l’avvenire nuovi scavi, nuovi studi, e soprattutto la possibilità di decifrare la scrittura della pietra tombale che possediamo ci illuminino su questo punto che oggi non è possibile chiarire.

Altra trattazione descrittiva è l’opuscolo di Pirro Marconi e Luigi Serra: “Il Museo Nazionale delle Marche in Ancona” (1934). Belmonte viene considerata come “la più grandiosa e la più ricca necropoli della civiltà Picena, in cui la vita schiettamente indigena deve essere continuata per almeno cinque secoli, dall’VIII al III, con periodi di eccezionale fiore”. (pg.. 24). Come nel resto della regione, è frequente in essa l’uso dell’ambra; caratteristi sono alcuni oggetti, come certe doppie protomi taurine in bronzo talora usate come pendagli e non prive di valore sacro o magico, e certi anelloni con nodi.

Accanto ad opere di indubbia arte locale, troviamo a Belmonte oggetti raffinati dalle arti straniere, come ad esempio taluni superbi bronzi e bellissimi vasi dipinti dovuti alla espansione culturale Greca: ma è escluso che in questa necropoli sia giunta un’influenza Etrusca o Apula. Altri oggetti non furono materialmente importati, né dovuti alla fantasia degli artisti locali, bensì ad imitazione dei modi stilistici estranei.

Figura in quest’opuscolo ha anche una descrizione riassuntiva di tutti gli oggetti ritrovati e depositati presso il museo di Ancona.

Una pubblicazione di Giannina Franciosi dal titolo: “Di una stele Picena del Museo Civico di Bologna proveniente da Belmonte Piceno” (a.1924). Si tratta della stele funeraria di Belmonte, già descritta nel 1903 dal Brizio. La Franciosi  ne dà una descrizione e un’interpretazione diversa e la segnala all’attenzione degli archeologi quale monumento originalissimo della primitiva civiltà Picena.

Sempre del 1924 è una relazione del Von Duhn in “Ebert’s, Reallexikon der Vorgerschichte” (Vol.1, pagg. 406 e segg.). Belmonte vi è tratteggiata a grandi linee quale il più importante luogo di scavi del Piceno. I cadaveri, deposti rannicchiati sul fianco destro (egli è l’unico che lo affermi; gli altri ritengono si tratti del fianco sinistro), giacevano su un sostegno di tavola con sopra una veste. Erano contornati da armi, oggetti d’ornamento e suppellettile funebre, forse avevano credenza nell’immortalità dell’anima e deponevano perciò nei vasi quei cibi che dovevano servire di sostentamento al morto durante il suo viaggio nell’aldilà: ciò si può rilevare da alcuni resti di un presumibile pasto funebre. La produzione locale è  caratterizzata da un sovraccarico barbarico di ornamenti che contrasta con la sobrietà degli oggetti d’importazione greca.

Nel 1927 Giuseppe Moretti pubblicò un articolo dal titolo: “Lo svolgimento della civiltà Picena dalla preistoria all’occupazione romana”. In esso, dopo aver brevemente scorso le teorie di illustri scienziati ed archeologi – fra cui il Colini e il Rellini – sulla origine del Piceni, traccia a grandi linee quelli che a suo avviso sono da ritenere i caratteri peculiari di questa civiltà primitiva. Di essi il primo e il più nobile è certamente quello di essere “sorta e di essersi mantenuta senza interventi stranieri, e di aver accettato solo quelle influenze che furono un mezzo di avanzamento e di elevazione” (pg..4).

La razza Picena non fu toccata dai terramaricoli né dai palafitticoli che dall’Italia del Nord discesero per i due versanti dell’Appennino: essa rimase intatta, e incontaminato mantenne il rito funebre della inumazione “ col quale l’immagine del morto, nascosta ma non distrutta, rimaneva viva nella casa, fra i vivi” (pg.. 5).

In questo persistere di usi e di riti è da vedere l’intimo carattere della vita spirituale, cioè la fermezza e la consapevolezza del valore delle proprie tradizioni. Nell’ambito di questa civiltà conservatrice, il sepolcreto di Belmonte occupa un posto a sé per i caratteri suoi specifici, e maggiormente ci illumina su tutto il Piceno per la copia degli oggetti che vi si rinvennero. Belmonte è “una delle più vaste e multiformi necropoli scavate mai”; essa, “nella stretta valle del Tenna aperta a mare …  offre le più autentiche distinzioni della nostra civiltà del ferro” (Moretti, pg.. 13) fra le quali il Moretti annovera le potenti armature e i resti dei cinquanta carri che sono il più adeguato esponente della sua prima qualità, che fu la fierezza. Per quanto riguarda il suo patrimonio artistico egli riscontra, accanto ad elementi ellenici o comunque estranei, meravigliose fioriture di prodotti della civiltà locale e dell’arte spontanea o semplicemente ispirata.

Nello stesso anno il Baglioni riassunse gli aspetti della necropoli di cui era stato il primo studioso. Dopo aver rievocato gli scavi che vi furono effettuati, e la bibliografia che fu scritta sull’argomento, esamina nuovi aspetti e nuovi problemi connessi con questo sepolcreto.

Anzitutto il nome all’origine della popolazione. <Il toponimo> “Belmonte” non ha <qui una documentazione di> storia né una tradizione nobile di città romana o preromana. Le notizie storiche più antiche <del nome> sono connesse <con i Farfensi e> con la città di Fermo, come castello che dapprima ebbe vita indipendente  per passare poi <come comune> sotto il dominio di Fermo (sec XI e XII d. Cr.).

Ma la popolazione arcaica, a giudicare dagli oggetti sin oggi rinvenuti, per il numero e per l’importanza, dové certamente avere una sede molto più grande dell’attuale castello. “Essa dovette essere indubbiamente una florida e potente città composta da agricoltori e da guerrieri – capaci di difendersi ma non bramosi di conquistare -, amanti dello sfarzo, del lusso e degli oggetti artistici, che sapevano apprezzare e quindi ricercare ornamenti preziosi del corpo e della casa; aveva una letteratura o per meglio dire possedeva l’arte della scrittura, molte professioni, quali quelli della fusione del bronzo, della manipolazione del ferro e di progredita ceramica. Di questa città Picena ignoriamo il nome (Baglioni 1927 pag. 9).

La necropoli subì indubbiamente la influenza della civiltà contemporanea greca: ne fanno fede sia la forma delle lettere dell’iscrizione che ricordano quelle del greco arcaico, sia gli oggetti della ricca suppellettile delle tombe. Quest’influenza è lecito supporre dovuta al facile commercio esistente fra l’una e l’altra sponda dell’Adriatico per mezzo della navigazione.

Sempre del 1927 è un importante trattato inglese su periodo della preistoria italica: ”The iron age in Italy” di D. Randall Mac Iver. In questo capitolo dedicato ai Piceni (pg.. 105), Belmonte figura in primo piano. Essa viene definita come un sito ricchissimo e importantissimo, che ha fornito una così grande percentuale del contenuto del Museo di Ancona.

Per stabilire la cronologia, il Mac Iver ricorre alle fibule delle quali mostra una serie rappresentativa nella fig. 26 del suo trattato. Poiché le fibule serpentine di Novilara dell’VIII e VII secolo non figurano, poiché nessuna delle fibule che si trovarono è di prima del secolo VI e le Certosiane vi sono in preponderanza, poiché nella tomba 27 figura un balsamario protocorinzio del secolo VII, e poiché in altre tombe sono vasi greci dipinti del sec. V, le prime tombe a Belmonte sono circa del 650 a.C. e il cimitero continua almeno fino a 450 a. C. Esso ebbe grandi connessioni e affinità con i Greci e specialmente con gli Ioni.

Il Mac Iver parla poi degli oggetti specifici del Piceno, tra i quali quelli di Belmonte figurano in primo piano. Abbiamo quindi descrizioni di torques, collane, braccialetti,  anelloni con nodi, doppie protomi di animali, armi, carri, vasi di bronzo, vasellame in genere. In generale possiamo dire che questo sepolcreto è quello che più ricorre nelle citazioni dello studioso inglese, il quale conclude quindi il suo capitolo con un paragrafo dedicato alle origini e alle connessioni della civiltà Picena.

Altra opera straniera nella quale si è studiata e descritta Belmonte, è “L’età del ferro nel Piceno fino all’invasione dei Galli Senoni” di V. Dumitrescu, edita a Bucarest nel 1929. È una trattazione tipologica che raggruppa e descrive le varie categorie di oggetti rinvenuti nelle varie necropoli del Piceno, tra le quali è in primo piano Belmonte.

Egli collega la cronologia di questo sepolcreto fra il VII e il V secolo a.C., causa la presenza di alcuni elementi del sec. V – vasi greci d’importazione –  e di molti elementi del secolo VII – ad esempio alcuni vasi ed elmi corinzi. Vi rileva la presenza anche di elementi grecizzanti, specie nelle ambre e negli avori lavorati, dovuti all’influenza culturale Greca .

Del 1933 è una pubblicazione di Pirro Marconi su “Rassegna Marchigiana delle arti … ”: “D’un bronzo di Numana e della cultura orientalizzante nel Piceno”. E’ da notare come gli abitatori della regione Picena erano i Picentes; “Piceno” è un nome convenzionale: esso fu dato dai Romani alla V Regio. E noi usiamo proiettare in tempi più antichi un termine che è conosciuto in <successivi> tempi storici. Secondo Marconi, il Piceno ricevette influenze da diverse culture e civiltà, conservando sempre la sua elementarità di vita sulle sue antichissime basi. Cioè nella vita del Piceno corsero due correnti parallele, l’una di cultura propria, l’altra di afflusso di correnti civilizzatrici, senza che mai l’una assorbisse l’altra. Belmonte ad esempio, oltre che avere un’arte e una cultura propria, è dominata da una cultura proveniente dal bacino dell’Egeo esercitatasi nel periodo cosiddetto “orientalizzante”, cioè nel periodo precedente il pieno definirsi degli stili Greco ed Etrusco.

Marconi afferma di non dover assolutamente ritenere Picene le migliori opere di Belmonte, come aveva invece creduto il Dall’Osso, ma di doverle attribuire a una tradizione schiettamente orientalizzante, a un’importazione dalla Grecia Ionica. Esse sono: bronzi incisi e sbalzati, ambre e avori scolpiti e incisi. Talune non sono genuine, ma da attribuire al fenomeni dell’attardarsi in un sito lontano dalle correnti d’importazione. Riconferma inoltre come nessuna influenza culturale Etrusca o Apula sia penetrata in Belmonte.

Un’altra pubblicazione tedesca interessante per lo studio di questa necropoli è la “Italische Graeberkunde” di F. Masserschmidt e F. Von Duhn edita nel 1939. Consiste in una leggera amplificazione di quell’articolo del Von Duhn che fu edito nel 1924 e già ricordato.

Il Von Duhn (vol. II, pg.g. 219-223) non dà alcuna importanza all’affermazione del Dall’Osso circa l’esistenza di un abitato di Belmonte, essendo esso non documentato. Considera Belmonte quale tipo esemplare del Piceno Sud, come Novilara lo è del Piceno Nord; e ne descrive succintamente la suppellettile.

Nella pubblicazione “Vita dei Piceni“ di Pericle Ducati, edita nel 1942 l’autore passa in rassegna la vita dell’antico Piceno, il quale si evolvette passando attraverso tre stadi diversi di cultura e d’arte, e precisamente una prima fase arcaica di arte geometrica, una seconda d’arte orientalizzante e ionicizzante, una terza di arte atticizzante. Belmonte caratterizza la seconda fase. Dice infatti il Ducati che “i caratteri del popolo Piceno all’apice della sua potenza risaltano a linee nette, precise, dal sepolcreto di Belmonte (pg..8).

In esso, specie nella tomba del condottiero, si può rievocare l’aspetto di queste genti guerriere: giacché l’intima essenza dei Piceni fu la guerresca fierezza che rimase integra pur con gli innegabili influssi esercitati dall’Etruria e dalla Grecia che nel VII e nel VI secolo godevano di una più raffinata civiltà.

Fu una civiltà rude, severa, questa di Belmonte. Basta pensare che vi fu ritrovata solo qualche sottile lamella d’oro, e confrontarla con la profusione che se ne riscontra invece in Etruria.

Caratteri fondamentali della popolazione furono fierezza e combattività: “dormivano l’ultimo sonno in grembo alla terra, raccolti nei loro ornamenti, nella loro armi difensive, con accanto le poderose spade, gli agili pugnali, le salde bipenni, le lance, i giavellotti. E nelle tombe di questi guerrieri, dei capi, erano i carri; talora in una sola tomba in numero di due, di tre, anche di sei” (pg..9).

Milizia superba rifulgente di metallo che andava alla battaglia su carri, come gli eroi di Omero, e discesa dai carri combatteva con foga impetuosa in duelli atroci, disperati. Anche la donna sarebbe stata talora un’ardente virago.  Scaturisce da queste tombe la visione di un mondo risonante di armi.

*** Capitolo 2°                           OGGETTI DELLA NECROPOLI DI BELMONTE DA SCAVI OCCASIONALI

Il materiale preistorico rinvenuto a Belmonte durante il periodo precedente gli scavi governativi fu depositato presso i Musei di Roma, Firenze e Bologna e presso la Società Antropologica di Jena in Germania.  In questo capitolo mi occuperò di descriverlo dettagliatamente.

Per quello che riguarda gli oggetti conservati nel Museo Preistorico ed Etnografico di Roma la descrizione sarà più minuziosa in quanto ho avuto modo di studiarli direttamente, avendo preso parte alla riordinazione del materiale preromano Piceno esistente nel Museo stesso. Per gli altri oggetti mi baserò sulle pubblicazioni in proposito del Baglioni e del Brizio. Comprendiamo gli oggetti nelle tre categorie di oggetti d’ornamento, armi e suppellettile funebre.

OGGETTI DI ORNAMENTO PERSONALE                       a)- FIBULE

Questi preziosi resti sono riccamente rappresentati nel sepolcreto di Belmonte. La loro varietà ci fornisce elementi preziosi per stabilire la cronologia del sepolcreto stesso.  Sono presenti nei seguenti tipi:

Fibula ad arco di violino.  Furono trovate in numero estremamente ridotto nell’età del ferro e solo come reminiscenza di quelle dell’età del bronzo. Alcune di essere si rinvennero a Toscanella Imolese (Pettazzoni, Stazioni preistoriche, fg..32 n° 1 e 2) e al Pianello di Genga (Colini, La necropoli, pg.. 69). Nel Piceno, oltre che al Pianello, si trovarono solamente a Novilara Molaroni e a Belmonte. Questi rari esemplari si riconnettono direttamente con quelli simili delle terramare e mostrano chiaramente i rapporti esistiti fra la civiltà delle terramare e la civiltà Picena.

L’esemplare di Belmonte ha l’arco superiore a verga cilindrica un po’ ingrossata: presenta zone di ornamentazioni geometriche graffite a linee parallele perpendicolari e oblique formanti zig-zag, alternate con zone prive di ornamentazioni. A ciascuno dei lati è un piccolo nodo. Questa fibula è somigliantissima ad una del Pianello descritta dal Colini (ivi, tav. IV fg.. II).

Secondo la distinzione fatta dal Montelius ( Die vorklass tav. IV, 3-5, 8) la fibula ad arco di violino decorata con nodi ai lati del corpo e con incisioni anulari appartiene alla fine dell’età del bronzo. Non è possibile attribuire questa datazione all’esemplare di Belmonte perché, allo stato attuale delle scoperte, esso verrebbe ad avere una priorità di parecchi secoli nei confronti degli altri oggetti della medesima necropoli, nessuno dei quali è anteriore al VII secolo. D’altra parte fu scoperto per caso da alcuni contadini, ed essendo l’unico elemento che ci riporti così indietro nel tempo potremmo perfino dubitare che appartenga a questo sepolcreto. Mi sembra perciò che non sia possibile stabilire alcuna datazione precisa a questa fibula.

Secondo il Dumitrescu, qualora si fosse portati ad attribuire la fibula ad arco di violino di Belmonte al VII secolo -probabile epoca in cui si iniziò il sepolcreto -essa sarebbe la più recente che sia nota fino ad oggi fra tutte le figure ad arco di violino scoperte altrove (pg.. 120).

-Misura cm 8 di lunghezza.   -Si trova presso la Società Antropologica di Jena  (Baglioni 1905 fg. 13 pag. 260)

Fibule a navicella. Sono numerose nel Piceno. I più antichi esemplari sono quelli con staffa corta e si rinvennero a San Costanzo, a Fermo, a Novilara e a Belmonte. Tre sono le fibule di Belmonte appartenenti a questa categoria, e precisamente:

*-Fibula a navicella romboidale, notevole per cinque depressioni circolari disposte in croce con un foro nel centro, nelle quali forse si incrostava qualche sostanza ornamentale, ad esempio pietrine. Ne era rimasto solo l’arco che misura cm. 2,4 di lunghezza.  -Società Antropologica di Jena -(Baglioni 1905 fg. 14 a,b, pag. 260)

*-Fibula a navicella semplice di grandezza non comune, della quale era rimasto solamente il corpo a forma ovoidale. Esternamente presenta numerosi ornamenti geometrici, e precisamente: un rettangolo centrale a linee parallele contornato da una cornice adorna di cerchietti concentrici; sopra e sotto il rettangolo due zone parallele nel senso della larghezza con altri cerchietti concentrici; ai due lati del rettangolo e di là dalle due linee parallele, zone a linee oblique formanti zig-zag. E’ un bellissimo esemplare. L’arco che possediamo misura da solo cm. 9,6 di lunghezza. -Società Antropologica  di Jena -(Baglioni 1905 fg. 15 a,b,  pg.. 260)

*-Fibula a navicella semplice con staffa corta. L’arco molto ingrossato al centro è diviso in zone parallele nel senso della larghezza, decorate con linee trasversali. Lateralmente, in due punti equidistanti, sono due rettangoli di spazio bianco che spezzano l’ornamentazione; ai due lati della zona ornata troviamo poi piccole intaccature a base di lineette parallele. -Lunghezza cm. 13, Altezza mass. cm.6,4 -Società Antropologica  di Jena -(Baglioni 1905 fg. 16 pg.. 260)

3° – Fibule con ambra sull’arco. Queste si rinvennero in numero particolarmente grande nel Piceno, soprattutto nelle necropoli più antiche. Esse differiscono da quelle dello stesso tipo trovate altrove in Italia per avere ambra a nocciolo intero: infatti gli esemplari di Villanova hanno ambra a sezione discoidale e sono di dimensioni ridotte.

Le necropoli Picene nelle quali maggiormente si rinvennero fibule con ambra sull’arco sono quelli di Novilara Molaroni e Servici, di Ancona, di Monteroberto, di Fermo, di Belmonte e di Numana. A Belmonte se ne trovarono i seguenti cinque esemplari:

*-Due noccioli di ambra per corpi di fibule, massicci e crepati, di forma ovoidale. -Museo di Roma, N° 65016, 65017.

*-Nocciolo d’ambra per corpo di fibula, grosso e massiccio. -Lunghezza cm. 6, altezza cm. 4,2 -Società Antropologica  di Jena  -(Baglioni 1905 fg. 19a pg.. 261)

*-Nocciolo d’ambra per corpo di fibula. -Lunghezza cm. 5,8, altezza cm. 2,2 -Società Antropologica  di Jena -(Baglioni 1905 fg. 19b pg.. 261. Fg. 19 c mostra il nucleo di ferro di una tale fibula.)

*-Fibula a grosso nocciolo d’ambra, in frammenti. -Museo di Bologna -(Brizio 1903, pg..103.)

4° – Fibula ad arco di vetro.  Ne possediamo soltanto l’arco ornato con linee parallele e perpendicolari ed oblique. Fibule di questo genere sono presenti esclusivamente nella civiltà contemporanea di Villanova: è noto infatti che il vetro apparve primamente nella prima civiltà del ferro nei livelli Villanoviani. – Lunghezza cm. 5. -Società Antropologica  di Jena  -(Baglioni 1905 fg. 18 a,b  pg.. 26

5° – Fibula con pasta vitrea nell’arco. Della fibula possediamo solo frammenti di pasta vitrea color azzurro; il Brizio, esaminando questi frammenti, li mise in relazione con altri simili della fase bolognese Arnoaldi, e cercò di dedurre l’età delle tombe di Belmonte depositate presso il museo di Bologna. “Essa corrisponde al periodo rappresentato nella regione Felsinea dalle tombe di tipo Villanova del predio Arnoaldi, vale a dire circa il VI secolo a. C. Alla quale età ben convengono anche le fibule di bronzo e le armi e le pitture ricordano altri delle tombe Arnoaldi” (v. Notizie degli Scavi, 1903, pg.. 103, 104).  -Museo di Bologna.

6° – Fibula con arco di osso forato. E’ una speciale forma di fibula nel cui arco è un osso cavo forato con nucleo di ferro. Questo nucleo era fissato nella cavità dell’osso mediante un altro piccolo frammento d’osso. Nella parte più esterna erano incise due probabili teste di animale alternate, e nella superficie inferiore fini ornamenti geometrici. Di tutta la fibula è rimasto soltanto il corpo dell’arco in quale misura cm. 3,6 di lunghezza. -Società Antropologica di Jena -(Baglioni 1905 fg. 20 a,b, pg.. 261).

7° – Fibule serpeggianti. Le più antiche fibule serpeggianti avevano forma quadrangolare, ad arco rientrante e spirale formata da due anelli sovrapposti: di questo tipo si trovarono a Pianello di Genga, a Fontanella Mantovana e nella necropoli anconitana arcaica di Cardeto. Ma durante la prima età del ferro la serpeggiante quadrata fu sostituita dalla varietà a drago con staffa o con disco. Nel Piceno, nell’Umbria, negli Abruzzi e nelle Puglie essa assunse più grandi dimensioni e agli ornati a coste si sostituirono quelli incisi (v. Montelius, La Civ.,  parte I, tav.XV, 213-214). Le località in cui essa è presente nel Piceno durante la prima età del ferro sono quelle di Novilara Servici, di Belmonte, di San Costanzo e di Numana.

Negli scavi occasionali a Belmonte si trovò un solo esemplare di fibula serpentina di ferro. Ne era rimasto soltanto il corpo, molto deteriorato e ossidato, che si solleva e si abbassa quasi a forma delle due gobbe di un cammello. È lunga cm. 8,4.  -Società Antropologica di Jena -(Baglioni 1905 fg. 12 pg.. 260).

8° – Fibula con tre volute sulla staffa. E’ una fibula di un tipo mai descritto e mai ritrovato da altri prima che dal Baglioni in Belmonte. Il corpo va leggermente allargandosi a lamina dalle due estremità verso il mezzo dove si espande alquanto con una specie di punta per lato. Il Baglioni la descrive in questo modo (1901, fg. 5 pg.. 232). “ Il dorso o superiore dell’arco, come della staffa, è ornato di linee parallele oblique e perpendicolari così da risultarne dei rombi. Il bottone terminale si prolunga in una voluta, che ha il dorso parimenti ornato di linee geometriche, il quale si ricurva sulla staffa; il punto di passaggio della staffa e della voluta terminale è rappresentato da un allargamento romboidale che reca un forellino nel mezzo. Ed è su questo forellino che, mediante chiodetto ribadito, si fissa un secondo pezzo di bronzo che serve di ornamento ulteriore alla staffa medesima. Una sbarra appiattita con allargamento mediano recante un forellino, che viene a combaciare con quello della staffa, si ripiega ai due estremi ad angolo retto inferiormente in due prolungamenti che, venendosi a ripiegare all’insù, formano due volute in tutto identiche a quella della staffa: così che in realtà la fibula viene ad avere nel suo complesso tre volute come ornamento della staffa”. Nella fg.. 17 pg. 260 del Baglioni 1905 lo stesso Baglioni mostra il pezzo aggiuntivo a questa fibula. E’ lunga cm. 14,5. Museo di Roma, n° 64996.

9° – Fibule affini al tipo Certosa.  Vengono cronologicamente per ultime le figure la cui staffa è continuata da un’asticella che si rivolta e termina a bottone. Esse sono affini ad un tipo classico che a Bologna caratterizza il tipo del sepolcreto Etrusco della Certosa e che in genere va riferito al V secolo.

Fibule di questo tipo non sono molto numerose nel Piceno e si trovarono soltanto nelle necropoli del V e forse degli ultimi tempi del VI secolo: Atri, Belmonte, Numana, Ripatransone e Cupra. Non essendosi trovati né a Novilara né a Fermo né ad Ancona arcaica abbiamo una prova che queste necropoli non durarono oltre la metà delle VI secolo. Ecco gli esemplari di Belmonte:

*-Fibula ad arco girato in tondo con le staffa molto allungata. Il piede della staffa porta un prolungamento a bugnetta che non continua sull’asse della staffa stessa ma, posto sul margine superiore, si dirige all’indietro e all’insù. L’arco a forma laminare che si appiattisce dall’alto al basso.  Lunghezza cm. 7,5. -Museo di Roma, N° 65018 -(Notizie, 1901, pg.. 231)

*-Fibula di bronzo ad arco girato in tondo, in tutto simile alla precedente, ma leggermente più piccola e quindi meno massiccia. Lunghezza cm.7. -Museo di Roma, N° 65019.

*-Fibula di bronzo ad arco girato in tondo, con staffa larga e lunga e bottone terminale posto in senso verticale. Lunghezza cm.7. -Società Antropologica  di Jena -(Baglioni 1905 fg. 8 pg.. 259).

*-Fibula di ferro al arco cilindrico girato in tondo e con bottone terminale; in tutto simile alla precedente. Manca l’ardiglione. Lunghezza cm. 10,8.  -Società Antropologica  di Jena -(Baglioni 1905 fg. 9 pg.. 259).

*-Fibula ad arco girato in tondo: piccolo esemplare non del tutto ben definibile nei suoi caratteri. – Museo di Roma.- (Notizie, 1901, pg..232.)

*-Fibula ad arco girato in tondo ingrossato con lungo canaletto desinente in apice a forma di foglietta.  Museo di Bologna. -(Notizie, 1903, pg.. 103).

*-Fibula di bronzo o a bottoni. Il prolungamento del piede si dirige all’insù ed è modificato ulteriormente per due strozzature e tre rilievi. Al centro dell’arco sono presenti tre bottoni posti in un piano perpendicolare a quello dell’asse della fibula. Manca l’ardiglione. È lunga cm.9. – Museo di Roma, N° 65020.

*-Fibula di bronzo con tre bottoni sull’arco, meno slanciati e meno erettili quelli della fibula precedente, e il prolungamento del piede ornato da due minuscoli globetti sovrapposti, piegati quasi orizzontalmente, che formano un’appendice quanto mai piccola. È lunga cm. 7,5. – Museo di Roma, N° 65021.

*-Fibula di bronzo con tre bottoni che sorgono sull’arco in direzione trasversa. L’arco ha subito, nella parte centrale, due rigonfiamenti, fra i quali sono disposti i bottoni. La lamina superiore della staffa è adorna di linee geometriche, parallele ed oblique, e il piede si prolunga all’insù in un piccolo cono d’ornamento. Essa rappresenta l’esemplare più ornato di quelle fibule a bottoni tanto frequenti in questa zona da essere indicate col nome di fibule Picene. È lunga cm. 7. -Società Antropologica  di Jena -(Baglioni 1905 fg. 10 pg.. 259).

*-Fibula di bronzo con arco a losanga fiancheggiato da due – anziché da tre, come di consueto – bottoni, e canaletto desinente in doppia capocchia. – Museo di Bologna. – (Brizio 1903, pg.. 103).

*-Fibula di bronzo ad uccellini. Rappresenta la terza variazione delle fibule a varco girato tondo Picene. Nell’arco è leggermente inclinato verso sinistra e va ingrossandosi considerevolmente man mano che procede dal basso al centro. Sull’arco porta, invece dei tre bottoni, tre piccoli rilievi simili ad uccellini o ad anatrelle, posti l’uno dietro all’altro sul medesimo piano dell’arco fibulare. Il bottone terminale è pure rappresentato da una testa d’uccello. È lunga cm.8. – Museo di Roma, N°65022. – (Baglioni 1901, pg.. 232).

*-Fibula di bronzo con tre uccellini posti su un arco molto ingrossato, e piccola testa d’uccello quale prolungamento del piede. Lunghezza cm. 8.  -Società Antropologica  di Jena -(Baglioni 1905 fg. II, pg.. 259).

b)- TORQUES E COLLANE

Fin dall’antichità è valso l’uso di chiamare “torques” tutte le varietà di colliers rigidi, sebbene questo termine non dovrebbe essere adoperato altro che per designare le aste ritorte.  Le torques, nate durante l’età del bronzo, mantennero nell’età del ferro la loro forma originaria con piccole varianti. Ordinariamente semplici, divennero intrecci ricchi e appariscenti nell’epoca La Tène: magnifiche erano le torques di bronzo o d’oro che usavano portare le donne galliche. Ricordiamo, ad esempio, alcuni esemplari di bronzo ornati da ornamentazioni geometriche; altri in forma di serpenti; e più sfarzosi ancora, gli esemplari in oro, ricchi e sobri ad un tempo: tra essi ammiriamo in modo particolare una torquis di fogliette d’oro applicate su un nocciolo resinoso con nucleo di ferro, decorata in modo esuberante con testine di cavallo; ed un’altra, le cui estremità sono ornate da rotelle sporgenti e da fioroni (v. Dechelette, Manuel, Vol.II, parte III, fg.g 515,5 116,5 186,588).

In Italia, durante la prima età del ferro, le torques non sono molto numerose; fa eccezione la regione Picena, dove invece esse sono numerosissime. Le varietà di torques a tortiglione e filiformi si rinvennero soltanto a Montegiorgio e a Cupramarittima; quelli a verga tubolare grossa, ben più frequenti, a Belmonte, ad Offida, a Cupramarittima e a Montegiorgio. Descriviamo ora gli esemplari di Belmonte: essi sono senza eccezione di bronzo; dal momento che vi si presentano con straordinaria frequenza, sembrano costituire un aspetto particolare di questa civiltà. Sono in genere semplici e non presentano notevoli differenze fra loro.

*-Torquis ad asta esilissima di filo di bronzo attorcigliato. Alle due estremità l’asta si ripiega su se stessa e forma due piccoli ganci: introducendo l’uno nell’altro i gancetti, la collana poteva essere agganciata. Il suo diametro interno misura cm.19. -Museo di Roma, N°65048.  -( Baglioni 1901, fg. 4a pg.. 231).

*-Torquis di asta di bronzo esile e sottile, leggermente ingrossata al centro e terminante in piccoli, semplici uncini. Diametro massimo cm. 14,8. -Società Antropologica  di Jena -(Baglioni 1905 fg. 3 pg.. 258).

*-Torquis a semplice verga rotonda. Diametro interno cm 13,5. -Museo di Bologna. -(Notizie, 1903, pg.. 102).

*-Torquis di bronzo ad asta cilindrica che va ingrossandosi sensibilmente dagli estremi al centro. Le due estremità si trovano ad essere molto distanti fra loro, causa la grande apertura che presenta la collana. E se si ripiegano esternamente ad uncino, sono fornite di tre cerchielli concentrici rilevati e terminano in due globi ovoidi desinenti a punta. Il diametro massimo è di cm. 19 (v. Montelius, Italie Centrale, P. – I. 160 fg..2). -Museo di Roma, n°65049. -(Notizie, 1901, fg. 4b pg.. 231).

*-Torquis di asta cilindrica di bronzo. Come abbiamo visto nella torquis precedente, le estremità si ripiegano esternamente ad uncino, sono fornite di un cerchiello rilevato e di due pomi conici con punte rivolte all’infuori. In questa torquis è da notare l’elementarità della fattura: è infatti del tutto mancante la simmetria, così che ne risulta una forma ovoide assolutamente irregolare. Le estremità non si ripiegano al centro, ma verso la parte destra, e le volute di esse compiono all’interno e all’esterno non sono eguali fra loro. È spezzata in una parte. Misura cm. 15 di diametro.    -Museo di Roma, 65050.

*-Torquis ad asta cilindrica di bronzo ingrossata al centro. È anch’essa asimmetrica, spostata verso sinistra. Le due estremità sono a grande distanza fra loro, causa l’apertura molto pronunciata della collana. Esse, dopo aver subito un lievissimo rigonfiamento, si ripiegano esternamente ad uncini e terminano in due piccoli pomi che portano incisa rozzamente una testa umana. Il pomo situato a destra appare più lucido, meno ricoperto di ruggine e quindi meglio conservato; in esso (ed impercettibilmente in quello di destra) sono chiaramente visibili i segni caratteristici del volto umano abbozzati. Due semplici, profondi fori indicano gli occhi; un leggero rilievo il naso; e due intaccature orizzontali, corte e parallele, la bocca. Questo volto rudimentale ha pure in sé una certa espressione di sbigottimento. E’ deteriorata e manca di frammenti. Misura cm. 14 di diametro massimo. – Museo di Roma, N°65051.

*-Torquis ad asta cilindrica di bronzo, con estremità pure ripiegate ad uncino, ornate di due cerchietti di in rilievo un po’ distanti fra loro, e desinenti in piccoli coni terminanti a punta.  A differenza delle torques comuni, è adorna di tre piccoli nodi biconici posti a regolare distanza l’uno dall’altro, tali quali siamo soliti vedere negli anelloni tipici di questa civiltà. Questi nodi furono introdotti nella verga cilindrica prima che essa venisse piegata a cerchio e prima che si rivoltassero e munissero di propria capocchia le due estremità. Ha un diametro interno di cm 11. -Museo di Bologna. -(Notizie, 1903, fg..2 pg.. 103).

*-Torquis di bronzo con estremità ripiegate e desinenti in pometti, come di consueto. Ulteriore ornamentazione è data da sette bulle (ne possediamo soltanto cinque) che pendono dalla metà inferiore della collana. Esse sono piuttosto massicce e hanno tutte le medesime dimensioni. In questa zona il cerchio di bronzo è rinforzato da un altro cerchio, aderente al primo, che sostiene le bulle. La sagoma della collana non è perfettamente circolare; il diametro interno è di cm. 11. -Museo di Bologna. -(Notizie, 1903, fg. 1 pg.. 102).

*-Torquis a verga massiccia di bronzo, di forma ovoide, con tre piccoli nodi equidistanti fra loro. Intorno al suo corpo sono fissati, per mezzo di cerniere che si attaccano alla verga, otto bulle che ne costituiscono l’ornamento in forma di pendagli. Mentre nella torquis precedente le bulle ornano solamente una parte di essa, in questa esse sono poste tutte in giro e la adornano completamente. Le bulle, delle quali alcune sono frammentate, presentano sull’orlo quattro bottoncini rigonfi equidistanti fra loro. Alle estremità, come di consueto, i due capi si ripiegano in forma di uncini e terminano in due nodi che richiamano quelli identici fissi direttamente sulla asta della collana.

Vediamo dunque riuniti in questa torquis due motivi ornamentali che avevamo trovato separati in due torques diverse: cioè i nodi nella verga e le bulle-pendagli. Ma l’interesse maggiore della torquis è costituito da un elemento che non figura nelle altre collane di confezione simile, e cioè un anello aperto che riunisce le estremità e che si poteva togliere quando si allontanava la collana dal collo.

Il diametro massimo e di cm. 15,2 (v. Baglioni 1905 fg. 1 pg.. 258) che rappresenta la collana ad 1/4 della grandezza naturale e fg. 2 pg. 258 che rappresenta una delle bulle di maggior grandezza trovata nella stessa tomba e che certamente doveva appartenere a un altro oggetto d’ornamento di uguale tipo artistico. -Società Antropologica  di Jena.

Le collane costituiscono l’ornamento più comune delle donne Picene, e si trovano quindi in abbondanza negli scavi di queste regioni. Sono formate di grani di varia materia. Numerose sono quelli di ambra, specialmente nelle necropoli più antiche; le abbiamo a Novilara Molaroni e Servici, a Belmonte, a Montegiorgio, a Tolentino e ad Atri. Numerose sono anche le collane d’osso e di madreperla: le troviamo a Numana, a Novilara Servici, a Tolentino e a Belmonte; nelle stesse località sono pure alcune collane di conchiglia. Frequenti sono poi quelle formate da anelli o da pendagli di bronzo.  Gli esemplari di Belmonte si riducono a pochi resti:

*-Ciondoli vari di ambra in forma di batacchi o di bulle che costituivano uno o più collane; infatti sono tutti traforati in testa. – Museo di Bologna.

*-Piccoli pezzi di ambra appiattiti ed arrotondati, molto disuguali fra loro, con un foro nella parte superiore e una piccola intaccatura prima di esso. Furono trovati intorno al collo di uno scheletro ed erano evidentemente i membri di un monile che venivano riuniti insieme da una funicella infilata attraverso i forellini. Diametro esterno cm. 18,8.  -Società Antropologica  di Jena  -(Baglioni 1905 fg. 38, pg.. 264).

*-Grano sferoidale di bronzo per collana con foro trasversale al centro, unico resto di tutta la collana.  – Museo di Roma, N°65029.

*-Sette grani pervii di bronzo per collana.   -Museo di Bologna.

*-Quattordici pendagli di una collana, formati di bronzo massiccio. Non tutti sono uguali perché i due centrali sono costituiti da lamina di bronzo riempita di legno, con un nucleo di ferro, e ornata da linee geometriche. Alt. cm. 7,2. -Società Antropologica  di Jena -(Baglioni 1905 fg. 4 a,b, pg.. 264).

*-Pendagli in forma di anelli fusi di bronzo di diversa grandezza, elementi di altra collana  -Società Antropologica  di Jena -(Baglioni 1905 fg. 41 a,b,c,d, pg.. 264).

c) CATENINE

Sono di lunghezza più o meno notevole, ed alcune portano pesi ciondoli e pendagli di varia forma, oppure masse informi di ferro più o meno sferiche che per l’azione della terra umida si sono profondamente ossidate e decomposte. Queste catenelle sono molto simili a quelle di Aufidena descritte dal Mariani. Risultano di anellini di fili di bronzo formati da due o tre cerchietti semplici indipendenti l’uno dall’altro o collegati a spirale; in una medesima catena non si rinvengono mai insieme mescolati i membri di tutti e due i tipi. Esse sono:

*-Catenina ornamentale di bronzo costituita da una serie di doppi anelli che si intrecciano fra loro. Questi anellini sono indipendenti l’uno dall’altro, cioè formati ciascuno da un cerchietto di filo di bronzo o gli estremi si toccano senza saldarsi. Da una prima fila di simili anellini si dipartono altre file di minore lunghezza quasi a guisa di pendagli. Una di esse è piccolissima – tre doppi anelli – due di lunghezza media, e la quarta a sua volta si biforca in altre due file.

Queste catenine dovevano essere l’ornamento della catena principale, ed è originale il fatto che assumessero la funzione di pendagli pur non essendo in nulla dissimili dalla catena da cui pendevano. La catena è abilmente lavorata; misura cm. 18 di lunghezza.  –Museo  di Roma, N°64979.

*-Catenina ornamentale formata da gruppi di anellini di fili di bronzo. -Società Antropologica  di Jena -(Baglioni 1905 fg. 21 a, pg.. 261).

*-Catenina ornamentale costituita da una serie tripla di anellini concentrici di fili di bronzo. È a cerchio chiuso, e da essa si dipartono tutt’intorno pendagli di costituiti anche qui dalle maglie stesse della catena. Tre di essi, più lunghi degli altri, sono posti in punti equidistanti fra loro, in mezzo ai quali figurano pendaglietti più piccoli ed altri formati addirittura da due anelli; alcuni di questi ultimi si biforcano verso l’estremità. Lunghezza cm. 23. – Museo di Roma, N°64980

*-Catenina ornamentale formata da tripli anellini di fili di bronzo concentrici. -Società Antropologica  di Jena -(Baglioni 1905 fg. 21 b, pg.. C61).

*-Catenina ornamentale formata da doppi anellini di fili di bronzo non indipendenti fra loro; essi infatti rappresentano due giri di una spirale con gli estremi tagliati a sghembo. Con questo sistema si raggiunge una solidità maggiore della catenella; molto probabilmente questo secondo modo di lavorazione è più recente del primo (v. Notizie, 1901, pg.. 234). -Società Antropologica  di Jena  -(Baglioni 1905 fg. 21 c pg.. 261).

*-Quindici cilindri di lamine di bronzo che contenevano all’interno legno ed un nucleo di ferro. Sono stati ritrovati in una tomba intorno al collo di uno scheletro; nella parte superiore presentano resti di anelli di ferro che servivano per attaccare il riunire i diversi pendagli intorno al collo, e nella parte inferiore resti di una guarnitura di anellini di calcare. Si trattava forse di una sottile catenina di ferro che portava un gran numero di perline. Ciascuna catenina doveva ornare il punto di congiunzione dei vari cilindri di bronzo.

Il Baglioni ( 1901, pg.. 236) chiama questo oggetto col nome di “bastone di comando” considerando che l’anima di ferro dei cilindri, prima che fosse profondamente ossidata e frammentata, passava da un cilindro all’altro e serviva a tenerli uniti, formando così un bastone. Alcuni bastoni analoghi al suddetto, formati però da una sola lamina di bronzo ravvolta su sé stessa con un’anima di legno e ornati alle due estremità da anelli e pendaglietti, si rinvennero negli scavi di Este – 2° periodo – (v. Notizie, 1882, serie III, Vol. X, pg. 22).  Altezza cm. 8,6.  -Società Antropologica  di Jena -(Baglioni 1905 fg.. 39, pg.. 264).

d)- PENDAGLI

Questa classe di ornamenti, sia per la quantità come per la varietà della lavorazione, è la parte più riccamente rappresentata di questa civiltà del Piceno inferiore. Con ragione si potrebbe affermare che la civiltà preistorica di Belmonte è caratteristica soprattutto per i suoi pendagli. Si trovano qui infatti le già note forme trovate in altri sepolcreti, come anche forme speciali isolate strettamente specifiche di essa.

Ecco i tipi di pendagli che vi si trovarono:

1° – Pendagli a doppia protome bovina e taurina.  Le doppie protomi bovine e taurine vanno messi in rapporto con l’antico culto egeico-minoico-miceniano delle corna sacre. Molti rinvenimenti egeo-micenesi testimoniano dell’importanza di questo culto all’Oriente del Mediterraneo. Già in Egitto, al tempo della XVIII dinastia, si usava rappresentare figure di buoi in tazze fittili, ispirandosi alla concezione religiosa di ritrarre il fiume sacro (acqua contenibile in un vaso) animato da esseri viventi: piante ed animali (Paribeni, Vasi dell’Italia e dell’estero con figure animali nell’interno e sugli orli).

Dall’Egitto qualche esemplare passò forse nell’Egeo e venne imitato: troviamo infatti a Creta in età minoica una coppa con animale bovino nell’interno ed una coppa con un’intera mandria di buoi che scende verso il fondo per dissetarsi. Nel primo palazzo di Festo fu trovato un rhytòn a protome taurina, nel secondo palazzo di Festo altri rhytà raffiguranti l’animale intero; il miglior esemplare è quello di Gurnià, in plastica sobria e potente per rendere il carattere selvaggio del toro (Borda, Arte Cretese Micenea nel Museo Pigorini di Roma, pg. 34). Esemplari simili sono a Cipro (una tazza con testa bovina nell’orlo e una figura di animale nell’interno), a Rodi, a Micene e a Salamina, in Asia Minore ed in Siria.

Oltre le raffigurazioni di animali in vasi, vogliono ricollegarsi alla religione zoolatrica le cosiddette “corna di consacrazione”, cioè raffigurazioni schematizzate della protome taurina ridotta alle sole corna, che ricordano gli appoggia-nuca Egiziani e che sono dall’Evans considerate oggetti di culto. Simili ne troviamo a Festos, ad Haghia Triada, nelle palafitte lacustri della Svizzera, in Savoia, nella penisola iberica ed alle Baleari; in epoca eneolitica le vediamo anche in necropoli siciliane, a Golasecca, e nei fondi di capanna di Pantelleria.

Sempre a Creta figurano veri bronzetti di animali cornuti deposti come ex-voto, specialmente ad Haghia Triada; ad esempio vi è una statuetta riproducente l’intera figura del toro che reca aggrappate alle corna tre figurine umane. Questi raffigurazioni si continuano fino in avanzata età geometrica, dimostrando la persistenza del culto; essi sono riferibili al culto di una divinità di carattere agricolo della quale si invocava la protezione per le messi e per il bestiame.

Anche in Italia il culto degli animali cornuti è una delle forme più comuni della religione zoolatrica, a partire dal Neolitico. Tra le prime raffigurazioni di bovini note, possiamo annoverare le schematizzazioni rinvenute in pieno eneolitico negli ipogei funerari di Anghelu  Ruju in Sardegna. Seguono le incisioni rupestri di Monte Bego, nelle quali il bovide è la figura più rappresentata, dapprima graffita, poi punteggiata in pieno. Spesso vi sono solo le teste cornute o un simbolo schematizzato di esse, a volte sono figure accoppiate fra loro o aggiogate all’aratro o congiunte all’arma del pugnale. Nelle varie semplificazioni e schematizzazioni del bovide son sempre presenti le corna, nelle quali si riteneva risiedesse tutta la forza dell’animale (P. Barocelli, Le incisioni rupestri di Monte Bego).

Il culto del bovide non si interrompe col procedere dei tempi: nell’età del bronzo le riproduzioni di animali sono ancora rare, e fra esse notiamo una testa bovina applicata al corpo di un vaso scoperto a Valle del Vibrata (Teramo). Della fine della civiltà enea due tazze emisferiche di lamina di bronzo ritrovate al ripostiglio delle Coste del Marano  (B.P.I., 1910, pg.. 96-110), con la parte anteriore di una figura bovina che si eleva sopra un lato.

Al principio dell’età del ferro le riproduzioni di animali cornuti fittili e di bronzo divengono comunissime. Fra i vasi con animali, derivati forse dai tipi simili egizi e micenei, ricordiamo una tazza di impasto bruno a Veio nel cui interno discende una figurina di bue e un’altra frammentaria è accovacciata sull’orlo (Paribeni, op. cit. fg.. E). Teste bovine unite ad anse di vasi col muso rivolto ai due lati in parti contrapposte si osservano in una bacinella della tomba Bernardini scoperta a San Rocco di Palestrina, ed in situle di bucchero in tombe di Cancelli sulla montagna di Cetona (Chiusi), ed in vasi di Villanova e di Bologna (B.P.I., 1910, pg.. 96-110); le sole corna applicate ad anse di vasi sono presenti ancora a Cupramarittima nel Piceno.

I bronzetti raffiguranti animali cornuti sono finiti col diventare, poco alla volta, oggetti ornamentali; ma in essi si ravviva pur sempre il collegamento con le figurazioni anteriori o con l’antichissimo culto. Queste doppie protomi taurine e bovine avevano certamente un significato apotropaico; esse vennero rinvenute solamente nella Valle del Tenna, in tutto il Piceno, della quale costituiscono quindi un carattere particolare, e precisamente nelle necropoli di Belmonte e di Montegiorgio.  Esaminiamo dunque gli esemplari di Belmonte:

*-Doppia protome di bue con corna agilmente rivolte all’insù e dorso leggermente rialzato al centro ove figura l’occhiello per appenderla. Lunghezza cm.4. -Museo di Roma, n°64973.

*-Doppia protome di bue in bronzo con corna larghe, muso aguzzo, gambe corte e molto distanti tra loro, dorso rialzato con occhiello al centro. Lunghezza cm. 5,5. -Museo di Roma, N°64974. -(Notizie, 1901, fg. 8 a pg. 235; Montelius,  Italie Centrale, P.- I. 160 fg.. 3)

*-Doppia protome di bue con corna ricurve, gambe distanti fra loro, occhiello al centro in una gobbetta rotondeggiante. Lunghezza cm. 6,6. -Società Antropologica  di Jena -(Baglioni 1905 fg.. 25 pg.. 262).

*-Doppia protome di bue, simile alla quale furono trovati altri due esemplari in una stessa tomba. Il corpo è molto piccolo, le gambe sono corte e vicine, piccola è la gobba con occhiello al centro otturato da un pezzo di asta di ferro. Contrastano le corna grosse e larghe. Lunghezza cm. 9. -Società Antropologica  di Jena -(Baglioni 1905 fg.. 28 pg.. 262).

*-Doppia protome di ariete con corna ripiegate a spirale, muso a punta, occhiello al centro del dorso, nel quale è tuttora infisso un frammento di catenella di ferro che serviva per appendere il pendaglio. Lunghezza cm. 3,5. -Museo di Roma, N°64975. -( Baglioni 1901, fg.. 8 b, pg.. 235)

*-Doppia protome di ariete identica alla precedente; ha monche le zampe di sinistra. Lunghezza cm. 3,5. -Museo di Roma, N°64976.

*-Doppia protome di ariete, molto grande, con corna arrotolate e gobba centrale triangolare. È di aspetto più schematico delle precedenti. Al centro dell’occhiello è ancora rimasto un pezzo di catenella di ferro. Lunghezza m. 19,2. -Società Antropologica  di Jena -(Baglioni 1905 fg. 26 pg.. 262).

*-Doppia protome di ariete con muso molto appuntito, corna poco arrotolate, gambe molto lunghe snelle, e anello di bronzo per appenderla rimasto ancora nel foro. Lunghezza cm.8. -Società Antropologica  di Jena -(Baglioni 1905 fg. 27, pg.. 262).

2° – Pendagli in forma di animale. Pendaglio in forma di cane, con gambe lunghe snelle, e muso appuntito nel quale i piccoli fori rappresentano gli occhi e piccoli rigonfiamenti le orecchie. La coda si arrotola a spirale lasciando libero uno spazio che fungeva da occhiello. Lunghezza cm.4. -Museo di Roma, N° 64971. -( Baglioni 1901, fg.9 pg. 236).

*-Pendaglio in forma di quadrupede indeterminabile, rudimentale; è leggermente inclinato in avanti ed ha una piccola coda e una groppa con occhiello. Lunghezza cm. 3,5.  -Museo di Roma, N° 64972. -( Baglioni 1901, fg. 7 b, pg. 235)

3° – Anelli-pendagli.

*-Pendaglio in forma di anello a sezione trapezoidale. Diametro interno cm 2; esterno cm 3,5. -Museo di Bologna.

*-Pendaglio ad anello di forma esagonale, con due brevi appendici, la superiore delle quali è forata. Altezza cm. 5,6. -Società Antropologica  di Jena -(Baglioni 1905 fg. 35 pg.. 263).

*-Pendaglio in forma di anellino con due brevi appendici coniche. Altezza cm. 3,4. -Società Antropologica  di Jena  -(Baglioni 1905 fg. 36 pg.. 263).

4° – Pendagli in forma di sfere.

*-Pendaglio in forma di sfera la quale si prolunga ai poli in due coni allungati di cui uno, appiattito in punta, è forato.  -Museo di Roma, N°64990.

*-Pendaglio in forma di piccola sfera prolungantesi in cono, dal quale la divide un’intaccatura che corre tutt’in giro. Occhiello al vertice. -Museo di Roma, N°64986.

5° – Pendagli conici.

*-Pendaglio a tubo di forma conica, appiattito unilateralmente. È formato da una sottile lamina di bronzo i cui lembi vengono a toccarsi senza saldatura in una linea retta mediana. Questo pendaglio, insieme con altri simili, veniva tenuto appeso per un filo metallico, le cui tracce si notano ancora, passante per due fori dell’estremità superiore di esso.  -Museo di Roma.

*-Dieci pendagli conici, quasi a forma di fiaschetti affinati ad una estremità ove è il foro per appenderli. In uno di essi è ancora l’anellino di sospensione. Lunghezza cm.8. -Museo di Roma, N°64997-65002.

6°- pendagli formati di un’asta cilindrica.

*-Pendaglio ad asticella cilindrica tutta sporgenze e strozzature. Verso l’estremità inferiore si allarga in forma di sfera, la quale è ornata da giri concentrici rilevati. Occhiello al vertice. -Museo di Roma, N°64985.

*-Pendaglio ad asta cilindrica liscia e sfinata verso le estremità, nella superiore delle quali è l’occhiello. Al centro dell’asta è un piccolo rigonfiamento. -Museo di Roma, N°64987.

*-Pendaglio a lunga asta cilindrica desinente in pometto. Al centro un nodo e al vertice l’occhiello. -Museo di Roma, N°64988.

*-Pendaglio a lunga asta cilindrica con nodo al centro e occhiello al vertice. Intorno all’occhiello è un ornamento di quattro angoli equidistanti. -Museo di Roma, N°64989.

*-Pendaglio a lunga asta cilindrica terminante in un globo appuntito. L’occhiello è ancora attraversato dall’anello che serviva per appendere il pendaglio. -Museo di Roma, N°64990.

*-Pendaglio a lunga asta cilindrica desinente in globetto, con un grosso nodo al centro ed occhiello al vertice. – Museo di Roma. -( Baglioni  fg. 7 a pg. 235).

*-Pendaglio ad asta cilindrica dalla quale pende un semicerchio che si biforca e termina in estremità rivolte all’insù. Altezza cm.5.  -Società Antropologica  di Jena -(Baglioni 1905 fg. 33 pg.. 263).

*-Pendaglio ad asta cilindrica terminante in sfera allungata, oppure in grossa sfera, oppure con nodo al centro. Lunghezza cm.9, cm. 6, cm. 3, cm. 2,2. -Società Antropologica  di Jena -(Baglioni 1905 fg. 34 a,b,c,d pg.. 263).

7°- Pendagli di dente di cinghiale.  I denti di cinghiale sono usati come amuleti apotropaici  sin dal Paleolitico Superiore. Durante la prima età del ferro ne troviamo in Italia specialmente in Umbria, negli Abruzzi, nel Piceno e in Illiria. Nel Piceno si rinvennero a Novilara Molaroni e Servici, a Cupramarittima, nella Valle del Tronto, a Montegiorgio, a Belmonte, a Tolentino.

Il pendaglio ritrovato a Belmonte è un gigantesco dente canino di cinghiale ornato artisticamente da filo di bronzo che gli si avvolge intorno a giri concentrici e a doppie spirali. L’appiccagnolo è originale, in quanto è formato da una fine asta cilindrica ricurva che alle due estremità si ripiega esternamente e termina in spirali. A queste estremità sono attaccate, mediante anellini, due piccole volute terminanti in doppie spirali che partono dall’estremità superiore del dente. Lunghezza cm. 20. -Società Antropologica  di Jena -(Baglioni 1905 fg. 29 pg.. 262).

8°- Pendaglio di conchiglia cyprea. Le conchiglie marine si usavano fin dall’epoca della Renna come pendagli: a Cro-Magnon ne troviamo alcuni esemplari che, forati e attraversati da un filo, formavano collana (Dechelette, Manuel, vol. I°, fg. pg. 208). Nella prima età del ferro le troviamo numerose in Italia nel Piceno, in Umbria, Bologna, a Roma e ad Aufidena. Nel Piceno meridionale sono comunissime: ne abbiamo esemplari a Numana, a Novilara Servici, a Belmonte e a Tolentino. La conchiglia cyprea di Belmonte ha due fori nella parte superiore, nei quali è rimasto ancora infisso un pezzo di ferro. Lunghezza cm. 9,4. -Società Antropologica  di Jena -(Baglioni 1905 fg. 30 pg. 263).

9°- Pendagli in forma di oinochoe trilobata. L’uso di portare delle piccole oinochoai come pendagli è forse di derivazione Cumana; troviamo infatti a Cuma alcune anforette di bronzo vuote, con alto collo, alte cm 3,5-7,5, che dovettero certamente essere usate come pendagli (Gabrici, Cuma, fg. pg. 75). Pendagli di questo tipo si trovano anche a Marzabotto nel periodo etrusco. Nel Piceno sono presenti a Belmonte, a Cupramarittima, a Numana, a Montegiorgio.  Gli esemplari di Belmonte sono:

*-Pendaglio in forma di oinochoe trilobata, alto cm. 4,5. Il consumo del metallo che si rileva nella parte superiore del manico sta a dimostrare come questo piccolo vaso di bronzo fosse portato come pendaglio. La forma e la lavorazione classica di questa anforetta denotano non essere essa prodotto locale, ma opera di importazione forse Greca. -Società Antropologica  di Jena -(Baglioni 1905 fg. 31 pg. 263).

*-Pendaglio ad oinochoe con bocca trilobata, di forma molto grossolana, indubbio prodotto dell’arte locale. Altezza cm. 2,6. -Società Antropologica  di Jena -(Baglioni 1905 fg. 32 pg.. 263).

10°-pendagli di forme svariate.

*-Pendaglio a doppia spirale. Numerosi sono i pendagli a doppia spirale del Piceno: si trovano a Novilara Molaroni e Servici, a San Costanzo, a Montegiorgio, a Belmonte e a Numana.

L’esemplare di Belmonte è formato da un filo di bronzo avvolto alle estremità in due dischi spiralici e formante nel mezzo tre zig-zag, il mediano dei quali è un poco più alto dei laterali. Lunghezza cm. 4,4. -Società Antropologica  di Jena -(Baglioni 1905 fg. 37 pg.. 263).

*-Grande bulla di bronzo. -Museo di Bologna.

*-Batocchi. Il batocchio è il pendaglio più diffuso nel Piceno, e si trova a Novilara, ad Ascoli, ad Atri, a Cupramarittima, a Numana, a Belmonte e a Tolentino. A Belmonte ne abbiamo sette, di bronzo. -Museo di Bologna.

*-Pendaglio in forma di lamina sottile di bronzo a triangolo isoscele allungato con la base rivolta in basso e forellino al vertice – ora rotto. -Museo di Roma, N°64984.

e)  PETTORALE

I pettorali del Piceno sono di due specie: o sono formati semplicemente da una lastra rettangolare da cui pendono catenelle di bronzo – e così li troviamo a Cupramarittima, a Numana, a Belmonte; – oppure formati da lastre trapezoidali di bronzo con appiccagnolo anulare e teste di cigno dall’una e dall’altra parte di esse – e così ne troviamo a Cupramarittima, Montegiorgio e Novilara Molaroni -.Il pettorale di Belmonte appartiene al tipo più semplice: è cioè formato da una piastra di bronzo a sezione di campana, la cui superficie è ornata di grosse bulle di bronzo a rilievo. Dal margine inferiore pendono nove catenelle formate di doppi anellini di fili di bronzo che terminano ciascuna in un ciondolo di ferro simulante un fiocco. Simili ciondoli pendono anche a metà altezza del pettorale da ogni catenella. -Museo di Bologna. -(Notizie, 1905, pg..88 e fg. pg. 85).

f) ORECCHINI

La maggior parte degli orecchini Piceni è di ambra. Le necropoli nelle quali essi si rinvennero sono quelle di Novilara Molaroni e Servici, di San Costanzo, di Belmonte e di Montegiorgio; essi sono in genere databili dal IX secolo al V secolo. Gli orecchini di Belmonte sono:

*-Orecchino tipico di filo di bronzo attorcigliato cui è appeso un disco di ambra. -Società Antropologica  di Jena -(Baglioni 1905 fg. 23 pg. 261).

*-Orecchino costituito da anello a sottile verga di bronzo da cui pende un disco traforato di ambra. -Museo di Bologna.

*-Orecchino di ambra in forma di rotella depressa nella parte mediana ed infilata per un foro centrale in un anello di bronzo. Un avanzo di questo anello è ancora rimasto nel foro. Diametro cm. 4,5; spessore cm. 1. -Museo di Roma, N°64992.

*-Orecchino di ambra in tutto simile al precedente. Il frammento di filo di bronzo rimasto ancora infisso nel foro reca una breve spirale attorcigliata all’asse del cerchio che evidentemente serviva per fissare la rotellina. Questo orecchino si rinvenne insieme con il precedente ai due lati di un cranio umano. Diametro cm. 4,5; spessore cm. 1. -Museo di Roma, N°64993. -( Baglioni 1901, fg. 10 pg. 237).

*-Orecchino di ambra simile ai precedenti ma molto più grande e più massiccio. Nel foro è presente un piccolo resto di quell’anello di bronzo cui l’orecchino doveva essere appeso. Fu rinvenuto sporadicamente. Misura cm. 6 di diametro. -Museo di Roma, N°64994.

g) ARMILLE

Numerose sono le armille di bronzo nel Piceno. Possono essere a verga grossa con estremità sovrapposte, oppure ritorte a spirale, cilindriche o a fettuccia. Del primo tipo ne troviamo a Novilara Servici, a Fermo, a San Costanzo, a Ripatransone, a Montegiorgio e a Belmonte. Del secondo tipo ne abbiamo in maggior numero e precisamente a Novilara Molaroni, ad Atri, a Fermo, a Belmonte, a Numana e a Ripatransone.  Le armille rinvenute a Belmonte sono:

*-Armilla di verga rotonda girata a spira e terminante alle estremità in capocchia tonda; serviva per adornare il polso. Il diametro interno e di cm 6. -Museo di Bologna.

*-Armilla identica alla precedente ma destinata ad ornare la parte superiore del braccio. Diametro interno cm 8,5. -Museo di Bologna.

*-Armilla ad asta poligonale di bronzo più grossa al centro e più sottile alle estremità. È piegata ad un giro di spirale in modo che gli estremi si sovrappongono. L’estremità sono assottigliate e ribattute. Diametro cm 10. -Museo di Roma, N°64977. -( Baglioni 1901, fig 6 a pg. 233) .

*-Armilla di bronzo ad asta prismatica in tutto simile alla precedente. Diametro cm. 10. -Museo di Roma, N°64978.

*-Armilla ad asta di bronzo quasi poligonale. Le estremità sovrapposte vanno affinandosi e non sono ribattute. Diametro cm. 5,6. -Museo di Roma, N°64981.

*-Armilla di bronzo ad asta poligonale e grossa; le due estremità sono sovrapposte, assottigliate e non ribattute. Diametro cm. 5,6. -Museo di Roma, n°64982

*-Armilla ad asta poligonale piegata ad un giro di spirale con le estremità assottigliate. Diametro cm. 9,2. -Società Antropologica  di Jena -(Baglioni 1905 fg. 4 pg.. 258).

*-Armilla formata di sottile verga di bronzo piegata a cinque giri di spirale, così da formare una fascia relativamente alta. Diametro cm. 8,8. -Società Antropologica  di Jena -(Baglioni 1905 fg. 4 pg.. 258).

*-Armilla ad asta cilindrica di bronzo piegata a un mezzo giro di spirale, assottigliata alle estremità. I due capi, che giungono a trovarsi all’estremità diametralmente opposte, si ripiegano su se stessi in senso inverso a quello in cui si trovavano, e terminano in due piccole sfere. È un esemplare di tipo raffinato. Diametro interno cm. 9,2. -Società Antropologica  di Jena -(Baglioni 1905 fg. 6 pg.. 259).

*-Armilla formata di semplice verga faccettata. Diametro cm. 8,5. -Museo di Bologna.

*-Armilla ad asta di bronzo grossa ed alta, di spessore minimo, quasi una piccola fascia, con le estremità affinate al punto da sembrare appuntite. Diametro cm. 7,5. -Museo di Roma, N°64983.

*-Gruppo di armille cilindriche di lamina di bronzo, leggermente convessa della superficie esterna, tutte simili fra loro. Il diametro varia da cm. 2 a cm. 2,5. -Museo di Roma, N°65003-65015.

*-Armilla formata da verga rotonda attraversata da un nodo. Diametro cm.8,5. -Museo di Bologna.

*-Armilla formata di grosso tubo vuoto. Diametro interno cm. 7. Museo di Bologna.

*-Armilla di bronzo particolarmente interessante. Si tratta “di un cilindro cavo, curvato a cerchio completo, formato da due lamine sottili di bronzo incurvate e combacianti l’una sull’altra. Gli estremi di esse si sovrappongono senza saldatura. Nell’interno cavo di questo cilindro curvo e delle pareti delle lamine sorgono ancora piccoli chiodetti di bronzo che servivano a fissare un anello di legno il quale riempiva l’intera cavità del cilindro, rendendo più solido il braccialetto che così riesciva di un cerchio di legno ricoperto da due lamine di bronzo. Il legno è consunto, ma se ne ha il segno in alcune fibre legnose che aderiscono ancora, in alcuni punti, alla lamina bronzea di rivestimento”. Diametro cm. 11,5. -Museo di Roma, N°65047. -(Notizie, 1901, fg. 6.b pg. 233).

h) ANELLONI.

Sono anelli di notevole diametro, muniti a regolari distanze di quattro o sei rigonfiamenti; sono di una forma tipica non diffusa in tutto il Piceno, ma presente soltanto nel Piceno Centrale e Meridionale delle necropoli di Belmonte, di Cupramarittima, di Spinetoli e di Montegiorgio. Non vanno al di là del Piceno, perché ad Aufidena il Mariani non li ha trovati. Questi anelloni erano già noti sino dal 1735 come caratteristici del Piceno: infatti nella quinta dissertazione dei “Saggi di dissertazioni accademiche di Cortona” (Roma, 1735) Tarquinio Coritano parla di questi anelloni e li raffigura in una tavola annessa

Come si disse, su l’uso loro si è tuttora incerti: Tarquinio Coritano li ritiene crotali od oggetti musicali; Paciaudi oggetti di ginnastica; Giuseppe Speranza pensa che servissero come strumento atletico o di pugilato per addestrarsi a singolari certami in occasione di pubbliche feste religiose e civili. Questi anelloni si rinvengono specie sull’addome e sulla testa dello scheletro; ciò sta a dimostrare, sempre secondo lo Speranza, i diversi gradi di esercizio o di scuola attinti in vita dal morto, significando “un vincitore quello che l’ha sulla testa, uso alla lotta colui che l’ha sulla destra, dilettante chi l’ha sull’addome” (Speranza, Il Piceno dalle origini, pg. 181). Il Colucci afferma non potersi trattare di armille causa i nodi del circolo e la diversità frequente dei diametri; l’Allievi li ritiene fermagli di fascia; il Mac Iver crede siano serviti come ornamento per i ruoli in relazione col culto delle corna sacre (pg. 132). Infine il Dall’Osso pensa che questi anelloni non fossero altro che simboli solari portati dalle matrone Picene nelle processioni o cerimonie solenni (pg. 186). A Belmonte gli anelloni si rinvennero con molta frequenza; essi sono:

*-Anellone di bronzo di asta cilindrica grossa e massiccia, con quattro nodi poco rigonfi. Diametro cm. 11. -Museo di Roma, N°64969.

*-Anellone a quattro nodi, simile al precedente. Diametro cm.10. -Società Antropologica  di Jena -(Baglioni 1905 fg. 7 pg.. 259).

*-Anellone a sei nodi, di asta cilindrica più fina e più perfettamente rotonda degli anelloni precedenti; e i nodi sono più pronunciati in modo da risaltare maggiormente. Diametro cm.12 (Montelius, Italie Centrale, P-I. 161 fg..4). -Museo di Roma, N°65970. -(Notizie, 1901, fg. 6 c pg. 233).

i) ANELLI

Sono comunissimi; certo non tutti venivano portati nelle dita, ma alcuni si usavano come pendagli. “Talvolta sono di lamina piatta con gli estremi che vengono a toccarsi senza saldatura; altri sono di getto e con l’asse a sezione circolare, ellittica, poligonale; altri risultano di una spirale di filo di bronzo piano-convessa, che in maggiore o minore numero di giri ci ravvolge su se stessa. A questo oggetti si aggiungono dei cerchi di diametro troppo grande per essere anelli e troppo stretto per servire da braccialetti (3 centimetri), formati molti giri di una spirale di filo cilindrico di bronzo di notevole spessore, con gli estremi ingrossati e dei arrotondati a forma di piccolo pomo, diviso dal resto per un sottile circolo a rilievo” (Notizie, 1901, pg. 234).  Ecco gli esemplari di Belmonte:

*-Anello tubolare pieno, grosso: diam. esterno cm 5,5; interno cm. 2 -Museo di Bologna.

*-Anello semplice di bronzo, al lamina piatta, cogli estremi che si toccano senza saldature. -Società Antropologica  di Jena -(Baglioni 1905 fg. 42 pg. 264).

*-Gruppo gli anelli di bronzo di svariate dimensioni. Da un esemplare minuscolo- diam. cm. 1,5 – si giunge, attraverso gradazioni di diametro, ad un esemplare relativamente grande – diam. cm. 4,5  *-L’anello più grande formato di un’asta quasi poligonale; in essa sono infilati sei anellini uguali. Altri quattro anellini staccati fanno parte di questo gruppo: essi sono disuguali fra loro, di proporzioni diverse, e l’asta di bronzo che li compone è di spessore disuguale. -Museo di Roma, N°65036-65046.

*-Anellini di filo di bronzo sottilissimo, un poco convesso nella parte esterna, con una grande apertura ai due capi. -Museo di Roma, N°65027-65028.

*-Quattro anelli cavi di bronzo. -Museo di Bologna.

*-Trenta anelli di bronzo a spirale. -Museo di Bologna.

*-Anello formato da spirale di filo di bronzo. Lunghezza cm.9. -Società Antropologica  di Jena -(Baglioni 1905 fg. 22 pg.. 261).

*-Anello formato da filo di bronzo piegato in 21 spire, alcune delle quali sono rotte. Le due estremità sono leggermente ribattute. Lunghezza cm. 7, diametro cm. 4. -Museo di Roma, N°64995.

l) OGGETTI VARI ED UTENSILI

*-Asticella di ferro in più pezzi, rivestita di anelli parte cilindrici e parte discoidali di ambra. -Museo di Bologna.

*-Perline di pietra calcare. -Museo di Roma.

Perline di smalto turchino, delle quali una è decorata di cerchietti concentrici ai poli ed  ha la forma di un trigono. -Museo di Roma.

*-Fibbia per cintura, di bronzo fuso, caratteristica nel fatto che porta tra i due anelli una rozza figura umana senza capo e a gambe divaricate. Questa rappresentazione umana corrisponde completamente nella sua maniera e nel suo stile ai capioni di altra necropoli d’Italia di contemporanea civiltà.  La cintura è ornata da un notevole numero di sfere di bronzo. Gli anelli della parte sinistra servivano per l’attacco dei ganci della parte maschile – perduta -; quelli a destra erano continuati da un’unica lamina di bronzo, su cui si scorgono i tre bottoni che servivano all’attacco del fermaglio sul cuoio del cinturone. Lunghezza della fibbia cm. 7. -Società Antropologica  di Jena -(Baglioni 1905 fg. 24 a,b, pg. 261).

*-Due fusaiole biconiche di terracotta, con un foro al centro. -Museo di Roma, N°65033-65034.

*-Due fusaiole biconiche di terracotta. -Museo di Bologna.

*-Fusaiola ottagonale di terracotta. -Museo di Roma.

*-Due rocchetti di terracotta. “Sono di forma cilindro-conica con l’estremità inferiore allargata. Nel mezzo della superficie dell’estremità superiore è praticato un foro che per breve condotto obliquo va ad uscire in altro foro nella periferia laterale, all’altezza del terzo superiore. Sembra che se ne trovino costantemente due in ogni fossa sepolcrale, ciascuno per ciascun lato del cranio (Notizie, 1901, pg. 231). Rocchetti di questa forma si trovarono nel Piceno anche a Novilara e a Cupramarittima. Questi due sono lunghi ciascuno cm. 9. -Museo di Roma, N°65057-58.

*-Tre rocchetti cilindro-conici in terracotta. -Museo di Bologna.

SUPPELLETTILE FUNEBRE

La suppellettile funebre rinvenuta in questi primi scavi è costituita quasi esclusivamente da oggetti di terracotta. Sono vasi che variano molto per la forma e per la qualità della pasta; i più comuni sono di argilla grossolana, malcotti, di spessore notevole (a volte di qualche centimetro), con una fattura interna nerastra e grigio-rossastra esternamente. Per lo più sono di dimensioni notevoli, talvolta addirittura gigantesche.

La maggior parte di essi è in frammenti, e pochi sono quelli conservatici. Essi sono:

*-Grande vaso d’impasto grossolano a forma di cono tronco rovesciato, molto rigonfio nella parte superiore e leggermente rientrante verso l’orlo. Le pareti sono abbastanza sottili relativamente alla grossezza del vaso, ma si ispessiscono alla base. Presso la bocca è un ornamento di un cordone continuo a rilievo festonato o a zig-zag; esso è una modificazione delle linee serpentine o dei disegni in forma di U rovesciato equidistanti fra loro, che figurano nelle altre necropoli. Le linee serpentine diventano di un ornato unico costituendo così un fregio attorno all’orlo del vaso a zig-zag dalle punte acute.

La pasta del vaso è di color grigio-biancastro; è un esemplare deteriorato e mancante di un grosso frammento. Altezza cm 14, diametro della bocca cm 16. -Museo di Roma, N°65053  -(Notizie, 1901, fg. 1 pg. 229).

*-Tazza d’impasto grossolano, della forma di un pentolino. Le pareti, sottili verso la bocca, si ispessiscono verso la base. La forma della tazza è quella di cono tronco rovesciato e nella parte superiore va restringendosi quasi insensibilmente. All’interno le pareti sono di un colore bruno-nerastro e sono molto ben levigate; esternamente invece sono meno lisce ed assumono un colore più chiaro, quasi grigio-biancastro.  Nella parte superiore è un’ansa verticale a cordone, a sezione quadrangolare; il margine superiore del vaso è ornato da tre tubercoli che fanno croce col manico, dei quali il centrale è più grosso degli altri due. Dovrebbero essere equidistanti, ma la terza bugnetta è storta rispetto alle altre due e all’ansa.  Nell’insieme è un esemplare non molto rozzo, e dal tocco risulta quasi levigato. Altezza cm 11; diametro della bocca cm 10. -Museo di Roma, N°65055 -(Notizie, 1901, fg. 2 pg. 229).

*-Tazzetta fittile a pareti sottilissime e superficie nero-lucida. Ha forma di tazza cilindrica con fondo concavo ed alto orlo leggermente sporgente alla bocca; è ombelicata.  Internamente sono visibili leggere scanalature concentriche impresse nelle pareti; la concavità del fondo era in origine ornata da larga striscia a zig-zag bianca, ottenuta per mezzo di colore o di lamina metallica. Originariamente la tazzetta aveva pure due anse delle quali era rimasto soltanto un accenno al termine della concavità del fondo.  È un esemplare deteriorato e mancante di molti frammenti. Altezza cm 5, diametro della bocca cm 6,5.  -Museo di Roma, N°65054.

*-Scodella finissima a superficie nero-lucida levigata e lucente, del cosiddetto bucchero italico, di esecuzione perfetta. La forma, elegante e di buon gusto, è quella di un segmento sferico leggermente rientrante nella parte superiore. Essa poggia con solidità in terra senza aver base. Le pareti sono ugualmente sottili alla base come alla parte superiore: ne risulta una grande leggerezza di peso.  Nelle pareti interne, al centro del fondo, si notano due cerchielli concentrici in rilievo ed un piccolo cono d’impasto. Presso l’orlo sono due anse orizzontali, formate da aste cilindriche attaccate alla tazza senza che venga notata l’attaccatura, cioè senza che sia interrotta la levigatezza della superficie. La tintura nera lascia intravedere in alcuni punti il bianco sottostante. Altezza cm 5,5; diametro cm 14,5. -Museo di Roma, N°65052 -(Notizie, 1901, fg. 3 pg. 230; Montelius,  Italie centrale, P.-I. 162 fg. 10).

*-Coppa di terracotta con pieduccio, priva del labbro.  -Museo di Bologna.

*-Bacinetto di argilla depurata, ben cotta, senza manici, ma con due fori laterali per appenderlo. Secondo il Baglioni si tratta di un esemplare caratteristico perché non trova riscontro in altri scavi Piceni.  È eseguito al tornio con estrema finezza: da una piccola base esso sale allargandosi, solo interrotto a metà da un costone; l’orlo è costituito da un bordo orizzontale; le pareti sono molto sottili, soltanto poco più grosse della base. La superficie è di color crema, decorata sia internamente ed esternamente da cerchi concentrici, da linee parallele e da linee a zig-zag di colore rosso; il rosso sul crema dà un aspetto di grande finezza alla bacinella.  Questo esemplare rassomiglia ai noti vasi geometrici precorinzi dipinti con linee rosse su fondo chiaro, e, secondo il Mac Iver (The Iron age in Italy, pg. 128), apparterrebbe al sec. VII. Altezza cm 4,5, diametro della bocca cm 15. -Museo di Roma, N°65056.

Questi pochi vasi or ora descritti sono gli unici esemplari quasi perfettamente conservati che vennero fuori dagli scavi occasionali; ma insieme con essi si rinvenne una grande congerie di cocci dai quali fu possibile desumere quei caratteri generali sulla suppellettile funebre che abbiamo esposto al principio del paragrafo.

A R M I

Le armi rinvenute a Belmonte durante questi scavi occasionali sono ben poche; per la maggior parte sono di ferro. Eccone gli scarsi esemplari:

*-Cuspide di lancia di bronzo a cannone, a forma di foglia sfinata all’estremità. Lunghezza cm 15.  -Museo di Roma, N°65035.

*-Punta di daga di bronzo. -Museo di Roma. -(Notizie, 1901, pg. 236).

*-Lame di spade di ferro fortemente deformate a causa della ossidazione. -Museo di Roma. (Notizie, 1901, pg. 236).

*-Punte di lance di ferro. -Museo di Roma.

*-Pugnale – di materia non precisata. -Museo di Firenze. -(Milani, Museo Archeologico di Firenze, pg. 302).

*-Coltellaccio – di materia non precisata. -Museo di Firenze. – (Milani, op. cit. pg. 302).

*-Elmo schiacciato di bronzo – senza ulteriore precisazione. -Museo di Firenze.- (Milani, op. cit. pg. 302).

 

***   STELE FUNERARIA

Si conserva presso il museo di Bologna una grossa pietra con iscrizione sepolcrale proveniente pure da Belmonte Piceno, e precisamente dal predio del signor Lorenzo Vallesi, il quale la trovò all’incirca nel 1890 nell’eseguire lavori agricoli nel suo fondo.  Dice il Brizio (Notizie, 1903, pg. 104) che egli, recandosi nel 1901 in compagnia del Baglioni ad esaminare il sito ove si estendeva l’antica necropoli, seppe dell’esistenza di questa pietra con iscrizione e l’acquistò poco dopo per il museo di Bologna. Rilevò subito trattarsi di un’epigrafe sepolcrale delle così dette sabelliche, che dopo la scoperta di altri simili a Novilara (Brizio, La Necropoli di Novilara, pg. 178 e segg.) più esattamente si debbono dire Picene. Secondo la sua descrizione: “l’iscrizione incisa sopra un’enorme pietra irregolare (Notizie, 1903, fg. 3 pg. 104) di m. 2,10 di lunghezza, per m. 0,75 di larghezza massima e per m. 0,15 di spessore. Le lettere poco profonde occupano tre lunghe linee che vanno senza interruzione da sinistra a destra e viceversa, cioè nella maniera detta bustrofedica. Le tre linee erano lunghe ciascuna, in origine, circa un metro: ma disgraziatamente presso il lato destro sono ora per maggior parte logore. Ben conservate al contrario si presentano nel lato sinistro.

Gli elementi che costituiscono l’epigrafe sono quelli stessi ben noti da altre iscrizioni simili, specialmente quelle di Sant’Omero, Cupramarittima e Castignano, non escluso il segno diacritico formato da tre punti in linea verticale. E quantunque la lettura di molte parole sia abbastanza facile, pure rimane oscuro il loro significato, tranne per la prima parola Apunis, nella quale dobbiamo probabilmente di conoscere il nome della persona a cui fu posto il monumento, e che era della famiglia Aponia.

Per la sua forma e la disposizione delle lettere la pietra si può confrontare con quella di Bellante, della quale l’iscrizione occupa similmente tutto il lato destro, mentre il sinistro ne rimane libero, affinché da quel lato potesse venire infissa nel terreno.  Per conseguenza anche la pietra di Belmonte, quantunque abbia l’iscrizione tracciata e circoscritta nel senso della lunghezza, doveva, come quella di Bellante essere situata verticalmente, avendo infisso dentro terra gran parte del lato sinistro privo d’iscrizione ed aguzzo, che ne costituisce il tallone” (Notizie, 1903, pg. 105).

Nel 1924 Giannina Franciosi dette dell’iscrizione una versione diversa da quella data dal Brizio, pubblicando un articolo che si intitola. “Di una stele Picena del Museo Civico di Bologna proveniente da Belmonte Piceno”. Ella credette di stabilire che la stele rappresenta nel suo complesso una figura umana il cui sesso è dubbio perché la parte inferiore si direbbe femminile e la superiore maschile. La figura sarebbe vista in piedi e di profilo, mancherebbe della testa e di parte del davanti in alto e in basso, e la curva delle spalle sarebbe molto accentuata. Il concetto generale, la sagoma, la mancanza di braccia, richiamerebbero alla mente gli idoletti di pietra a figura umana del proto-storico greco scoperti nel 6° strato a Troia.  Le misure differiscono lievemente da quelle date dal Brizio, cioè sono: altezza m. 2,12; larghezza cm, 078; parte posteriore altezza m. 2,07; larghezza m. 0,74; circonferenza m. 1,65.

La parte posteriore della stele non presenta alcuna iscrizione, mentre nella parte anteriore la Franciosi crede d’aver trovato altre parole ed altre lettere, oltre Apunis, che trascrive nel suo articolo (pg. 185 segg.). Ella riferisce una constatazione molto importante, e cioè che nella parte anteriore della stele si conservano tracce di figurine che, per essere più d’una visibile anche ad occhio nudo, è da escludere possano essere forme casuali dovuto a resti di affresco unito o a macchie. Sono tutte della stessa altezza, sedute o in piedi; qualcuna porta un cappello a calotta, altre un cappello a larga falda; una di esse sembra tenere in mano una canna da pesca. Dovevano essere in gran numero, sparse lungo la grande figura, specie in alto, disposte a guisa di narrazione pittografica. La Franciosi dice essere in esse la stessa sicurezza di certe figure degli affreschi paleolitici. Sono alte cm 10-12; si tratta soltanto di ombre che appaiono o meno a seconda della luce; di color rosso-bruno, sono disposte a gruppi, sulle linee quasi parallele, in atto di conversare. Vicino ad ogni figurina è inoltre un’iscrizione con i nomi delle figure stesse incisi, oppure segnati in ordine a color nero. Talvolta le figurine si intersecano lungo le linee della grande iscrizione, tanto da far pensare che fossero ad arte intersecate tra le fasi dell’iscrizione oppure che questa fosse scritta in un secondo tempo.

La Franciosi aggiunge che nella parte posteriore della stele sono tracce di colore, dato direttamente al corpo sulla pietra, bruno-nerastro e rosso bruno. Lungo il taglio dello spessore non vi è alcun cenno di pittura, cosa che conferma essere stata la stele tagliata sul lato che doveva rappresentare il davanti della figura (ivi  fg. 1,2,3; tav. XIII, XIV, XV).

È difficile affermare se questa stele fosse stata o meno scolpita in forma di corpo umano; anche il Dumitrescu (pg. 20) che se ne è occupato riferisce le affermazioni della Franciosi senza smentirle né confermarle. Ad ogni modo la pietra rappresenta anche per il Dumitrescu un monumento originalissimo; essa si distacca dalle ordinarie stele Picene per la forma e per gli ornamenti che vi furono dipinti, e dimostra ancora una volta che i Piceni di Belmonte non furono affatto inferiori ai Piceni di Novilara.

Capitolo 3°                                     OGGETTI RINVENUTI  DURANTE GLI SCAVI GOVERNATIVI

In questo capitolo saranno elencati e descritti gli oggetti che furono ritrovati nella necropoli di Belmonte Piceno durante gli scavi governativi del 1909-1912 e che furono poi depositati presso il Museo di Ancona: suppellettili, vasi, armi e altro.

Disgraziatamente durante la seconda guerra mondiale, il Museo fu gravemente danneggiato da un’incursione aerea che distrusse quasi completamente il salone Piceno. Per opera dell’Incaricato prof. Annibaldi si sta ora procedendo al recupero dei frantumi di molti oggetti che dovranno poi essere restaurati e riordinati per quanto sarà possibile. Non essendoci quindi per il momento <anno 1947> alcuna possibilità di esaminare il materiale direttamente, mi baserò nella descrizione su quanto ne venne scritto da altri, principalmente dal Dall’Osso nella sua “Guida”.

Col precedente ordinamento vennero mantenuti riuniti nel Museo di Ancona i corredi dei diversi gruppi di tombe quali furono raccolti nei vari appezzamenti esplorati successivamente. Perciò nella Sala A si trovava esposto il gruppo proveniente dal fondo del sig. Curi Raffaele; nella Sala B quello del fondo dei fratelli Malvatani; nella Galleria altro materiale recuperato nei fondi suddetti insieme con altri oggetti raccolti nel secondo periodo di scavi; nella Sala M infine il materiale raccolto nel fondo Curi durante l’ultimo periodo di scavi.

Si era osservato il sistema di mantenere distinti i corredi di ogni tomba e di tener conto dell’ordine e della successione degli oggetti come erano distribuiti nella tomba.  In alcune urne si erano ricomposte tombe con uno o più cadaveri, in gran parte rannicchiati sul fianco. Sugli scheletri restavano ancora gli oggetti depostivi, sia ornamenti che armi. “In talun caso si sono osservati infiniti minuti anellini d’osso probabilmente appartenenti ad una coltre funebre” (Marconi-Serra, Il Museo Nazionale delle Marche in Ancona, pg. 26).

*   OGGETTI DI ORNAMENTO PERSONALE

Anche negli scavi governativi si rinvennero innumerevoli gli oggetti di ornamento personale, in forme svariate, eleganti ed appariscenti. Come precedentemente, ne abbondano in special modo le tombe femminili; possiamo constatare ciò esaminando le fotografie che riproduce il Dall’Osso (fg. pg. 39,41,43,51) dei ricchi, sfarzosi corredi di donne che erano stati ricostruiti al Museo di Ancona. Particolare attenzione meritano i corredi delle due tombe dette delle Amazzoni che per abbondanza e ricchezza di ornamenti superano quelli delle altre tombe denotando la superiorità della persona che li usava: fibule, torques, collane, pendagli, oggetti d’ambra e d’avorio, pettorali, diadema, orecchini, armille, anelli, anelloni, bottoni, ornamenti vari.

In varie tombe maschili e femminili di Belmonte si sono trovati frammenti di stoffa. Il Dall’Osso nel descrivere l’abbigliamento femminile delle donne Picene afferma che essi si coprivano la testa col manto (pg. 52). Non possiamo accettare questa affermazione di eccessiva fantasia; obietta a tal proposito il Dumitrescu (pg. 102) che l’essersi rinvenuti i brani di stoffa sul cranio può provare unicamente che i cadaveri erano ricoperti da un tessuto qualsiasi prima di essere ricoperti con la terra; ma nulla ci autorizza ad andare oltre con le supposizioni.

Uno degli scheletri sul quale si siano ritrovati frammenti di stoffa è quello femminile della tomba 61; esso era rivestito dal capo alla cintura da un manto di lana interamente ricoperto da miriadi di bottoncini gemelli di bronzo, frammisti a minuscoli anellini di pasta vitrea e di ambra che dovevano essere applicati alla stoffa stessa. Filze di pendaglietti pure di ambra, forma di bulle e di sferette, si osservano lungo i bordi del manto (Dall’Osso pg. 116).

                                                                                                     a – FIBULE

Migliaia di fibule vennero alla luce da tombe femminili e maschili di Belmonte esplorate durante gli anni 1909-912; erano poste sul petto o sugli omeri; in alcuni casi ricoprivano completamente lo scheletro. Le più numerose sono quelle di bronzo.  Descriviamo i tipi nei quali esse si presentano:

1° – Fibula con ambra sull’arco. Gli esemplari di bronzo e di ferro di fibule con ambra sull’arco sono degni di particolare attenzione perché complicati e grandiosi. I più caratteristici sono:

*-Quattro fibuloni con anelli di bronzo o di avorio infilati sull’arco e con un grande nocciolo d’ambra al centro. (Dall’Osso fg. pg. 127) Due di essi hanno la staffa ornata di rotelle d’avorio stretti fra due paia di braccia rivolte all’insù e rigonfie alle estremità. Un terzo ha un solo paio di braccia nella parte più interna della staffa, e tre globetti di pasta vitrea azzurra con occhielli bianchi e gialli ai quali sono accostate, mediante perni ritorti, grosse pallottole di ferro. Il più grande di questi fibuloni raggiunge la lunghezza di cm 62; uno dei nuclei di ambra raggiunge quasi il peso di un chilogrammo. L’arco delle fibule è a linea spezzata, cioè piegato a triangolo o a trapezio. Secondo il Dumitrescu (pg. 124, fg. 15, n° 23) queste fibule in forma stravagante e barocca rammenterebbero la transizione dallo spillone alla figura avvenuta durante l’età del bronzo. -Museo di Ancona, Tomba N° 19.

*-Fibule di bronzo con un grosso nocciolo di ambra sull’arco; la staffa è lunga ed esse sono estremamente sottili in rapporto alle loro dimensioni esagerate (lunghe cm 30). -Museo di Ancona, Tomba N° 19.

*-Fibula di bronzo il cui nocciolo d’ambra è avvolto in una rete filigranata di bronzo di bellissimo effetto.

*-Altre fibule sono più semplici, cioè unicamente rivestite di grosso nocciolo d’ambra, senz’altro ornamento. -Museo di Ancona, Tomba 61; Vetrina 74, Corsia A.

2° – Fibule serpeggianti.  Si trovano in maggior numero nelle tombe maschili; raramente nelle femminili. Sono quasi sempre di bronzo, senza molla.  Gli esemplari più notevoli sono:

*-Due fibule un arco serpeggiante di bronzo sormontato da protome equina. -Museo di Ancona, Tomba N° 10.

*-Grande fibula serpeggiante di bronzo a tre archi, ciascuno dei quali è sormontato da una testina di cavallo. Questa fibula è molto graziosa e destò anche l’attenzione del Mac Iver che ne pubblicò un disegno nel suo volume (fg. 26). -Museo di Ancona, Vetrina 67, corsia A.

*-Fibule serpeggianti di bronzo aventi alcuni bottoncini attaccati sull’arco o su piccole antenne cilindriche. -Museo di Ancona.

*-Fibule serpeggianti di ferro, delle quali alcune sono di grandezza notevole. -Museo di Ancona. (Dall’Osso fg. pg. 111).

3° – Fibule affini al tipo Certosa.

*-Venticinque fibule con arco a piccola losanga sormontato e fiancheggiato da bottoni. -Museo di Ancona, Tomba N° 16 B.

*-Fibule con arco a piccola losanga affiancato e sormontato da sferette. -Museo di Ancona, Vetrina 75, Corsia A.

*-Fibule a bottoni, alcuni dei quali con anelli infissi nello spillo. -Museo di Ancona, Tomba N° 46 A.

Tutte queste fibule mostrano quasi sempre un lungo canale. Secondo il Von Duhn (pgg. 219-223), esse sono le più antiche fibule della Certosa e le ultime fibule di questa necropoli, la quale perciò dovrebbe aver avuto fine al più tardi all’epoca della immigrazione dei Galli.

4° Fibule di tipi diversi.    Sono fibule di tipi più o meno notevoli o meno frequenti. Tra le più interessanti notiamo:

*-Fibule a conchiglia piena o a sanguisuga. -Museo di Ancona, Vetrina 75, Corsia A.

*-Fibule a conchiglia vuota fiancheggiata da bottoni. -Museo di Ancona, Vetrina 75, Corsia A.

*-Grossa fibula ornata da un gruppo di teste leonine in osso. -Museo di Ancona.

*-Numerosissime fibule di ferro ad arco girato in tondo. -Museo di Ancona, Tomba N° 21.

*-Fibule di bronzo “a corpo piatto e con appendice girata ad arco che ne costituisce la staffa su altra fibuletta senza  ardiglione con corpo appiattito a losanga” (Dall’Osso pg. 67). Sono in numero di cinque. -Museo di Ancona, Tomba N° 38.

b) TORQUES

Le torques sono di bronzo, e per la maggior parte dei casi sono tubolari grosse, con le estremità torte esternamente. Sono in genere di fabbricazione locale pur avendo in sé elementi propri dell’arte Greca. Alcune di esse sono particolarmente notevoli per la loro fattura squisita; il Von Duhn (pg. 220) pensa si trattasse di opere Greche forgiate nella forma nazionale Picena e destinate ad essere esportate in questa terra. Il Dumitrescu (pg. 105) pensa invece che questo ornamento, che divenne a Belmonte di forma più elaborata, fu lavorato a Belmonte stessa sulla base di elementi artistici Greci, mentre per il rimanente del Piceno fu importato dalla riva orientale dell’Adriatico.

Alcune torques di forme semplici si trovano anche nelle tombe degli uomini, specialmente dei giovanetti, e richiamano quelle torques o tortili d’oro che, secondo la descrizione di Virgilio, ornavano il collo dei giovanetti Troiani durante le onoranze funebri per Anchise celebrate in terra di Sicilia.

Cinque fra le torques di Belmonte sono da considerare fra le più interessanti rinvenute in tutte le necropoli Picene; esse sono di perfetta esecuzione e costruzione, ed hanno figure di uomini o di animali modellate in giro e fatte in un sol pezzo con esse.

*-Il miglior esempio di questo genere è dato da una magnifica torquis a cerchio quasi chiuso, con le estremità piegate in fuori e desinenti in due cavalli marini. Questi sono di aspetto agile e snello, e hanno le zampe anteriori sollevate quasi in atto di prendere lo slancio per superare un ostacolo mediante salto. Presso le due estremità sono collocate due immagini di sirene a tutto tondo, inginocchiate e con le mani alzate in atto di preghiera.

Il Dall’Osso ritiene che questo collier fosse costruito a scopo funerario e che in quella raffigurazione simbolica fosse da riconoscere “il culto arcadico catactnonico di Posidonio Ippios o di Demeter Ippia in forma di cavallo marino, a cui sono compagne le Sirene sorelle di Persefone, la despoina dell’Aides” (Dall’Osso pg. 41).

Tanto il Dumitrescu (fg. 13, n° 5) che il Mac Iver (pg. 131) citano questa torquis come il migliore ed il più prezioso esemplare del genere; il Dumitrescu ne dà un’interpretazione personale, ritenendo fantasiosa quella data dal Dall’Osso. Il Marconi e il Serra (pg. 25) ritengono Sfingi le figurine che sormontano le estremità e attribuiscono la lavorazione della torquis ad artigiani Greci.  -Museo di Ancona,Tomba N° 48. -Dall’Osso fg. pg. 40.

*-Torquis largamente aperta, con estremità rivolte in fuori e terminate in forma di montoni. -Museo di Ancona.

*-Torquis pure largamente aperta, con estremità ripiegate e desinenti in forma di protomi di torello (v. Dumitrescu fg. 13 n° 3). -Museo di Ancona, Tomba A.

*-Ancora migliore è la torquis di bronzo le cui estremità ripiegate in fuori terminano in due sferette che recano incisi, in maniera assai schematica, i lineamenti di un volto muliebre. Il Dall’Osso (pg. 91) sostiene essere queste teste femminili rappresentazioni della divinità Picena, la Dea Cupra, in ciò contestato dal Dumitrescu per troppa fantasia. -Museo di Ancona, Tomba n° 2. -Dall’Osso fg. pg. 90.

*-Torquis con estremità ripiegate in fuori e desinenti non a pigna, come di consueto, ma in una specie di zampa leonina. -Museo di Ancona, Tomba n° 10. Oltre queste cinque torques così preziose e così originali, se ne trovò a Belmonte un’infinità di tipo comune o di varianti del tipo comune. Ad esempio:

*-Torquis con pendagli a bulle pendenti da tutt’in giro la verga. -Museo di Ancona, Tomba 19, 16 a, 46 a.

*-Torques a desinenze piriformi, torques desinenti in conetti o in coni.

-Magnifiche torques con ornati a nodi come nei caratteristici anelloni. -Museo di Ancona, Tomba n° 46 A.

*-Torquis con ornati a nodi  e con estremità desinenti in pometti, riunite da un anello il quale si poteva togliere quando si allontanava il collare dal collo. È simile ad un tipo rinvenuto nel 1900 e depositato presso la Società Antropologica di Jena. – Museo di Ancona, Tomba n° 19.

Torquis a cerchio quasi chiuso con estremità desinenti in pometti ed ornato tutt’intorno da sette piccoli nodi. È l’unico esemplare che presenti questo numero di nodi, aggirandosi di solito esso a Belmonte dal quattro al sei.

c)  COLLANE

Sono svariatissime per materia e per forma, composte da perle o da piastrine d’ambra, di bronzo, di pasta vitrea, d’avorio, di legno, di osso e di conchiglia. Le più ricche e le più fastose sono generalmente di ambra, i cui migliori esemplari sono nella tomba così detta delle Amazzoni.

*-Interessante è una collana formata da coralli di vetro e da tubetti di ambra che si alternano. -Museo di Ancona, Vetrina 74, Corsia A.

*-Abbiamo parecchie sfilze di collane con vaghi di ambra di vario tipo e grossezza. -Museo di Ancona, Tomba n° 10, 16 B, 43 A, 7.

*-Il migliore esempio di questo genere è dato da una bulla d’ambra facente parte di una collana, nel cui centro è raffigurata in bassorilievo una testa gorgonica e in giro nel contorno una serie di mascheroncini esprimenti teste femminili. Secondo il Dall’Osso (pg. 68)queste teste hanno l’aspetto severo di donna matura, ossia di una divinità Madre, ed egli crede di doverle identificare con la Dea Cupra. Il Dumitrescu (fg. 18 n°12) considera questa bulla un ornamento Greco d’importazione; egli inoltre non ritiene locale l’ambra usata dai Piceni, ed aggiunge che le collane di ambra si trovano sulle due rive dell’Adriatico, sulla via del commercio dell’ambra dai paesi baltici. -Museo di Ancona, Tomba n° 10. – Dall’Osso fg. pg. 364.

Le collane di bronzo sono del tipo semplice e si rinvennero anche nelle tombe degli uomini. Notevoli sono:

*-Due grandiose collane composte da anelloni e da grossi cerchi di bronzo alternati a pendagli di doppia protome di toro. -Museo di Ancona, Tomba n° 10.

*-Collane di bronzo formate da anelloni alternati a doppie protomi di arieti.  -Museo di Ancona, Tomba n° 48, 16 B.

*-Collane composte semplicemente di grossi anelli di bronzo. -Museo di Ancona, Tomba n° 7.

*-Collane composte di piccoli acini e anelletti di bronzo. -Museo di Ancona, Vetrina 74, Corsia A.

*-Collane composte di grani sferici e di pendagli a batocchio; gli uni si alternano agli altri. -Museo di Ancona, Vetrina 75, Corsia A.

Le collane composte di grani di altra materia sono:

*-Filze di conchiglia cyprea alternate o combinate con filze di perle d’ambra; spesso l’ambra è incisa in forma di animale, così da formare oggetti di grande interesse e di grande sfarzo.

*-Quindici tibie di capra con un foro in testa, nel quale forse passava un filo che li riuniva costituendone monile. In tombe dell’età del ferro è questo l’unico esempio di collane di tibia di capretto il cui uso rimonta ad epoche anteriori. -Museo di Ancona, Tomba 43 A.

Oltre questi tipi di collane, abbiamo poi le innumerevoli a forma di bulle, di ghiande, di perline, di tubetti, di anfore, di sferette, di conchiglie, di losanghe e simili; per rendersene un’idea basta dare uno sguardo ai corredi femminili delle tombe più ricche, ad esempio di quelle dette delle Amazzoni, dei quali il Dall’Osso (p.43) ha pubblicato una fotografia.

d) PENDAGLI

1° – Bulle. Sono pendagli di bronzo molto diffusi, affatto ornamentati. Numerosi figurano nelle necropoli più recenti del Piceno: Cupramarittima, Belmonte, Colli del Tronto, Offida, Numana e Tolentino.  A Belmonte abbiamo bulle sia formanti pendagli a parte, sia attaccate a pettorali o ad altri pendagli .  -Museo di Ancona, Tomba n° 61.

*-Una di queste bulle-pendagli è schiacciata con due solchi nel mezzo. -Museo di Ancona, Vetrina 75, Corsia A.

2° – Conchiglie cypree. I pendagli di conchiglie cypree vere sono molto numerosi, nella maggior parte dei casi le conchiglie sono rivestite da una rete di filo di bronzo ritorto a fune. -Museo di Ancona, Tomba n°32.  Frequenti sono anche pendagli in forma di conchiglia cyprea, a volte pure incastonati in filo di rame attorcigliato.

3° – Anforette. Numerosi sono i pendagli ad anforetta monoansata o ad oinochoe trilobata.  -Museo di Ancona, Vetrina 75, Corsia A.  volte questi anforette sono sospese due o tre insieme. -Museo di Ancona, Tomba n°46 A.

4° – Batacchio. È uno dei più diffusi tipi di pendagli, del quale si conoscono molte varietà: la più notevole è quella del batocchio a due sfere, l’una nella metà del bastoncino e l’altra nella parte inferiore di esso, con un ingaggio ingrossato e formante tre angoli nella parte superiore.   Un altro tipo di batacchio è quello piuttosto grosso con nodo mediano a desinenze glandiformi.  -Museo di Ancona, Vetrina 75, Corsia A.

5° – Doppie protomi taurine e bovine. Anche a Belmonte numerose si trovarono le doppie protomi bovine e taurine di bronzo, specifiche della regione. In generale sono identiche a quelle rinvenute negli scavi precedenti, cioè composte dalla fusione delle due parti anteriori di due animali del medesimo genere, per cui l’animale ha normalmente quattro zampe, ma ha pure due teste e due paia di corna senza avere più la parte posteriore. La metà della groppa è quasi sempre gonfia a forma di gobba forata, con anello di sospensione. -Museo di Ancona, Vetrina 75, Corsia A.

6° – Dischi traforati. Sono pendagli di bronzo derivanti dalla forma delle rotelle di bronzo scoperte nelle altre necropoli e aventi il medesimo significato simbolico: rappresenterebbero cioè il simbolo solare. Un bell’esemplare è quello costituito da un disco traforato a giorno in quattro giri concentrici. -Dall’Osso fg. pg. 52.

7° – Asce, frecce, lance. I pendagli a forma d’ascia sono una derivazione tarda della ben nota arma egeo-micenea con significato simbolico: fissata o no ad un lungo manico, essa apparve a Creta e nella regione egeo-micenea su una quantità di oggetti religiosi e votivi. Spesso sormontava le teste dei tori sacri, o occupava tra le corna il ruolo dei simboli solari, oppure si vedeva portata da sacerdotesse con gesto ieratico; era spesso incisa sulle colonne del palazzo di Cnosso (Dechelette, Manuel, Vol. 2°, Parte 1°, pg.. 479).

Le asce-pendagli del Piceno differiscono da quelle di altre regioni dell’Italia sia per la forma che per l’ornamentazione. Si trovano a Cupramarittima, a Ripatransone, a Colli del Tronto, a Belmonte e a Numana.

Le asce-pendagli di Belmonte sono di bronzo, mai più lunghe di cm 12; sono quasi sempre formate da una lamina di bronzo piegata su se stessa, gonfiata e vuota, a forma rettangolare; esternamente sono tempestate di puntini a sbalzo.

A Belmonte sono anche pendaglini di bronzo in forma di frecce di lance; il Dumitrescu considera anche questi oggetti amuleti apotropaici (pg. 150).   -Museo di Ancona, Vetrina 75, Corsia A.

8° – Tibie di capra.    Negli scavi delle tombe del presunto abitato, a Belmonte, si sono trovati pendagli formati da una sola tibia di capra. Uno di essi è eccezionalmente formato da una serie di tibie di capra con foro in testa e decorazioni a circoletti concentrici incisi. -Museo di Ancona, Tomba n°32.

9° – Pendaglio d’argento.  È un curioso pendaglio di forma quasi ellittica, segmento lunare, sorretto da una serie di più fili ugualmente d’argento. D’accordo col Dechelette, il Dumitrescu osserva (pg. 162) che esso rappresenta il simbolo lunare riscontrato rarissime volte tanto nell’età del bronzo quanto in quella del ferro, a differenza delle rappresentazioni solari che sono estremamente numerose. -Museo di Ancona, Tomba n° 43 A.

10° Pendagli vari.

*-Pendaglio di bronzo costituito da due anelli legati fra loro, ad uno dei quali sono appesi quattro pendaglietti a forma di battagli da campana. -Museo di Ancona, Tomba N° 28.

*-Pendaglio di dente di cinghiale rivestito di filo di bronzo.  -Museo di Ancona, Tomba N. 46 A.

*-Pendaglio di bronzo a zampa leonina decorato di sei teste intagliate in avorio.  -Museo di Ancona, Tomba N° 10.  -Dall’Osso, Guida, fg. pg. 50.

*-Tubetti spiraliformi.   -Museo di Ancona, Tomba N° 21.

*-Tubetti spiraliformi desinenti in pometto. Cilindretti vuoti. – Museo di Ancona, Tomba N° 46 A.

*-Cornetti.

*-Netta-orecchie.

*-Mollette.

*-Figurine schematiche.

*-Mani aperte.

*-Piramidi quadrangolari.

*-Bisacce.

*-Verghe con nodo meridiano. -Museo di Ancona, Vetrina 75, Corsia A.

*-Cilindretti vuoti.  -Museo di Ancona, Tomba N° 7.

*-Armillette.

e) PENDAGLI DI AMBRA E DI AVORIO

I pendagli di ambra e di avorio di Belmonte sono splendidamente scolpiti con figure in bassorilievo di stile orientalizzante. Essi rientrano quindi nell’ambito di quelle opere che si rinvennero in territorio italico in tombe del VII-VI secolo e che furono dovuti ad influenze orientali. Sappiamo infatti che la civiltà dei metalli fu abbellita con le forme gentili dell’arte a mezzo dei commercianti orientali. Primi sicuramente furono i Fenici a portare in Italia l’industria specializzata: gioielli d’oro, d’avorio, di bronzo fuso, martellato e inciso a forma di figure; ai Fenici subentrarono poi i Greci.

Secolare era già questa industria del lusso nel bacino orientale del Mediterraneo, dove si affacciavano le vetusta civiltà dell’Egitto e della Mesopotamia, nel bacino dell’Egeo dove aveva fiorito l’arte cretese-micenea e dove ora, in un oscuro rimescolio di tradizioni persistenti e di nuove volontà, si fissavano le origini della Grecia classica. Nei prodotti che furono importati in Italia si scorge questa unione di elementi diversi, questa preponderanza di elementi orientali, così che tale periodo, che corrisponde all’incirca al sec. VII, si dice orientalizzante. Per “unione di elementi diversi” intendiamo una continuazione di elementi egizi, assiri, cretesi, micenei, greci; e il suo luogo di origine sarebbe forse in Cipro, isola compresa fra la Siria, l’Egitto e Creta, la più adatta al sorgere di un’arte composita (Della Seta, Italia Antica, pg. 79).

Vengono dall’Egitto le figurazioni di dei, di faraoni, di numi in pendaglietti di smalto verde e azzurro per collane, gli scarabei in smalto; dall’Assiria provengono i leoni, le scene di caccia e di assedi, in coppe d’argento o di bronzo. La decorazioni a figure d’animali e puramente micenea, è il tratto essenziale di quell’arte che dominava il bacino del Mediterraneo prima che l’arte assira si estendesse fuori dai suoi confini naturali. L’animale interessa all’arte micenea per la sua forma, per i suoi movimenti, al di fuori di qualunque suo valore simbolico; e lo ritrae in gemme, in castoni d’anello, in pissidi d’avorio. L’elemento mitico proviene dall’arte Greca: esso è rappresentato da esseri teriomorfi, quali la sfinge, la sirena, la chimera e il centauro. Oltre l’elemento mitico abbiamo l’elemento geometrico, col quale crediamo si inizi la vera storia dell’arte greca classica; questa decorazione geometrica si diffuse in tutto il bacino dell’Egeo e oltre, nei vasi geometrici.

Il fiorire dell’arte orientalizzante in Italia è documentato dai ricchi corredi di Preneste, di Vetulonia, di Satricum, di Tivoli, di Veio, di Caere, di Vulci, di Marsiliana d’Albegna, di Belmonte e di Numana.   Esaminiamo ora le opere di Belmonte:

1° – Leoni.

*-Pendaglio d’ambra consistente in un gruppo formato da un leone in atto di sbranare un caprone che tiene fra le zampe. -Museo di Ancona, Tomba N° 10.  -Dall’Osso fg. pg. 70.

*-Gruppo in ambra di un leone che addenta un’antilope, le cui membra sono molto confuse. -Museo di Ancona, Tomba N° 10. -Dall’Osso fg. pg. 48.

*-Nocciolo di fibula d’ambra con le due estremità a testa leonina. -Museo di Ancona, Tomba N° 10.

*-Pendagli d’avorio forma di disco, con rappresentazioni in basso rilievo di due leoni accoppiati, uno dei quali retrospiciente  -Museo di Ancona, Tomba N°10

Citiamo per confronto il gruppo in avorio di un leone che opprime con le zampe il nemico atterrato e ha sul dorso sdraiata una figura maschile, appartenente alla collezione Barberini di antichità Prenestine; (Della Seta, Italia antica, pg. 79; La collezione pg. 11.) il gruppo di due leoni che lottano fra loro, proveniente da una tomba di Palestrina; il gruppo di una tomba arcaica di Tivoli rappresentante un leone che divora un uomo atterrato; il gruppo d’avorio rappresentante un leone che sta addentando un cane mentre trattiene sotto gli arti posteriori un toro già domato e porta sul dorso un’antilope come primo trofeo della lotta, appartenente a tombe di Marsiliana d’Albegna (Minto, tav. XVI, 1).

In queste scene di lotta del leone che dà l’assalto al gregge e all’uomo non possiamo disconoscere i rapporti con l’arte orientale, sapendo che i temi più cari ad essa riguardano appunto scene di combattimento di personaggi divini ed umani contro il leone. È da ritenere pertanto (Minto, Marsiliana pg. 219) che questi soggetti d’arte orientale, penetrati anticamente nell’arte egeo-micenea, come testimoniano le placche auree sbalzate scoperte ad Atene e ad Egina, si siano conservati nel periodo successivo: e così si spiega benissimo l’attrazione che essi hanno esercitato nella Grecia continentale e nel Mediterraneo occidentale in piena arte geometrica, nonché la loro persistenza nella primitiva arte ionica della quale divennero patrimonio.

Il motivo degli animali simmetricamente accoppiati (cani, leoni e simili), è anch’esso diffuso nell’arte micenea, e abbiamo esempi di riscontro in necropoli italiane, quali i sigilli a pendaglietto nelle tombe di San Pietro in Campo a Terni (Minto, Marsiliana pg. 230).

2° – Scimmiette.

*-Scimmietta d’ambra accovacciata, schematica. -Dall’Osso fg. pg. 364. Essa richiama la serie numerosa dei pendaglietti amuletici d’avorio e d’ambra comuni nelle necropoli contemporanee dell’Etruria e del Lazio, che trae la sua origine da prototipi trasmessi dal Mediterraneo orientale: ad esempio le statuette ed i pendagli rappresentanti scimmiette scoperti in Egitto e negli scali della missione De Morgan a Susa (v. Mém. de la Delegat. en Perse, XIII, tav.39, 2-3). Ricordiamo le figure di scimmiette ricavate da pezzi d’ambra nelle tombe di Vetulonia e di Satricum, la figurina schematica di scimmietta sedente intagliata sull’orlo di un anello d’avorio di Marsiliana d’Albegna (Minto pg. 234), lo scimmiotto accovacciato inciso in un sigillo della medesima necropoli, lo scimmiotto pure accovacciato in un pendaglietto d’ambra di una tomba predestina (ivi pg. 234).

Il motivo decorativo di animali accovacciati è comune e ricorrere a sbalzo su pendaglietti d’oro o inciso su gemme. Ricordiamo un ventaglio d’oro di Haghia Triada, una brattea d’oro di Micene (Dussand, Les civilisations prehellenistiques, pg. 113), un pendaglietto sferico di elettro del tumulo vetuloniese di Pietrera ove è uno stambecco rannicchiato a sbalzo (Karo, Studi e materiali, II, pg. 129, fg. 115).

3° – Altri animali.

*-Cavalluccio o d’avorio, di fine esecuzione. -Museo di Ancona, Tomba N° 32. -Dall’Osso fg. pg. 76.

*-Pendaglio d’avorio rappresentante una piccola oca. -Dall’Osso fg. pg. 88.

4° – Dischi d’avorio.

*-Pendaglio a forma di disco ornato di un rosone intagliato. -Museo di Ancona, Tomba N°10.

*-Pendagli in forma di dischi infilati in ciambelle o coni tronchi di ferro che fungevano da perni. -Museo di Ancona, Tomba n° 16 B.

5° – Sfingi ed animali fantastici.

*-Pendaglio d’avorio con rappresentazioni a sbalzo di animali fantastici e di leoni. -Museo di Ancona, Tomba N° 43 A.

*-Piastrina d’avorio lavorata a basso rilievo rappresentante una sfinge alata affrontata ad un albero.  -Museo di Ancona, Tomba N° 46 A.

*-Pendagli d’avorio rappresentanti sfingi ed altri animali fantastici. -Museo di Ancona, Tomba N° 32.

*-Pendaglio d’avorio rappresentante una sfinge alata, di così fine lavoro da sembrare una miniatura.  -Dall’Osso pg. 81.

La presenza della sfingi e di animali fantastici mostra che questi oggetti non sorsero fuori dall’influenza Greca: infatti la sfinge ha una sicura origine classica.  La troviamo in una pisside d’avorio della Marsiliana, in un pettine d’avorio della stessa località, negli avambracci d’avorio della collezione Barberini di antichità Prenestine (Della Seta, tav. 1), in una pettiera d’oro e in una fibula d’oro della medesima collezione. Questi elementi figurativi con esseri teriomorfi rientrano nel repertorio dell’arte greca geometrica con influenze orientali e li ritroviamo diffusi in Italia, imitati nei vasi di bronzo e nei vasi fittili d’impasto. A Vetulonia, Preneste e Cerveteri: vasi d’argento con scene d’arte fenicio-cipriota.

6° – Gorgoneion.

Bulla di ambra con una maschera Gorgonica al centro e una serie di teste femminili in bassorilievo sull’orlo. -Museo di Ancona, Tomba N° 19. -Dall’Osso, fg. pg. 364.

Pendaglio d’avorio a forma di disco ideale con inciso in bassorilievo un mascherone gorgonico. -Museo di Ancona, Tomba N° 16 A. -Dall’Osso, fg. pg. 47.

Secondo il Dechelette (Manuel, Vol. 2°, Parte 1°, pg. 438) il Gorgoneion uno dei tanti emblemi conosciuti del sole che a partire dall’epoca classica rimpiazzerà le ruote crocifere e le stelle sui piastroni delle corazze, e sarà spesso associato ai grifi. Esso quindi si riconnette al culto del Sole, divinità tutelare e protettrice.

7° – Figurine femminili.  Pendagli formati da piastrine rettangolari d’avorio, raffiguranti ciascuno una donna alata vestita di chitone con mani quasi congiunte sul ventre e ali solcate da incisioni di linee oblique parallele. Ai fianchi sono due figurine muliebri diritte, pure vestite di chitone lungo sino ai piedi. La testa, ricavata da una laminetta di ambra scolpita e incastonata nell’avorio, presenta lineamenti severi e somiglia moltissimo a un’altra serie di testine femminili in bassorilievo usate come pendagli per collane, e precisamente ai mascheroncini in rilievo sull’orlo della bulla d’ambra già descritta (v. Dall’Osso fg. pg. 68).

Secondo il Dall’Osso anche questa donna alata rappresenterebbe la divinità madre, caratterizzata dall’atteggiamento delle mani riunite sul ventre, mentre due figurine laterali sarebbero Kore. Il Dumitrescu ammette la identificazione in Kore delle figurine laterali, ma non quella in Dea Cupra della figura principale: essa sarebbe forse una divinità madre, ma non di nome Cupra, purché questo nome sembra piuttosto essere etrusco-fenicio. Il Dall’Osso si lascia trasportare un po’ troppo dalla fantasia.  -Museo di Ancona, Tomba N° 15.

Figurine di questo genere derivano (v. Minto, Marsiliana d’Albegna, pg. 216) dai centri di civiltà del bacino orientale del Mediterraneo, sotto l’influenza delle immagini e degli ex-voto figuranti le dee mesopotamiche della Fecondità. Il gesto delle braccia portate verso l’addome simboleggia la potenza fecondatrice e generatrice. Numerose sono le figurine schematiche in marmo, in pietra calcare, in terracotta, in pasta vitrea, ritrovate negli strati preellenici, rappresentanti la dea della Fecondità e della Natura in questo e in consimili atteggiamenti rituali e simbolici. Cipro ha offerto una serie più ricca di questi ex-voto, Micene ha idoletti simili. Tipi di questo genere sono diffusi anche in necropoli dell’Etruria Meridionale (agro Falisco): ricordiamo alcune figurine femminili d’avorio della collezione Barberini in antichità Prenestine (v. Della Seta, op. citata, fg. 9), con lunghi capelli, vestite similmente di un chitone, che forse servivano a sostegno di un oggetto, ed una figurina muliebre d’avorio rappresentante la dea della fecondità, in atto di prendersi la mammella sinistra, nel circolo di Perazzetta a Marsiliana d’Albegna (v. Minto, Marsiliana, pg. 216).

f) PETTORALI

*-Pettorale formato da una lastra di bronzo a sezione di campana, la cui superficie è ornata di bulle a sbalzo. Dal margine inferiore della piastra pende una serie di catenelle desinenti in sferette di bronzo.  -Museo di Ancona, Tomba N° 44. -Dall’Osso fg. pg. 42.

*-Pettorale formato da una piastra semicircolare di bronzo lavorata a giorno. Dal suo margine inferiore pende una serie di catenelle a doppia maglia, di bronzo e di ferro, all’estremità delle quali si trovano altri pendagli sferici, a batocchio, o a forma d’ascia e di cuspide di lancia. -Museo di Ancona, Vetrina 76, Corsia A.

*-Pettorali formati da placche rettangolari o trapezoidali di bronzo, talvolta larghe cm 30, decorate di borchie a sbalzo, più raramente in forma di figura umana schematica, dalle quali dipendono catenelle di bronzo e di ferro con pendagli vari appesi a varie altezze.  In generale i pettorali di Belmonte sono caratteristici per la loro pesantezza e per la loro forma stravagante, barocca e massiccia; differiscono per questi motivi dai pettorali delle altre necropoli Picene.

g) DIADEMA

È interessante notare che tra tutte le necropoli del Piceno soltanto a Belmonte fu trovato un diadema. Si tratta di un complicato ornamento del capo che denota ancora una volta la predilezione barbarica per un sovraccarico di ornamenti metallici e massicci.

Dalla figura che ne dà il Dall’Osso a pg. 82 della sua “Guida” possiamo dedurre la forma del diadema. Esso consiste in catenelle di bronzo sulle quali sono fissati numerosi pendaglietti ad ascia ed altri minuscoli piriformi, tutti in bronzo. Nella parte superiore abbiamo una fascia orizzontale composta di tre ordini orizzontali di catenelle, ciascuna con venti pendaglietti ad ascia; dai due lati della fascia pendono due file verticali di sette pendaglietti pure ad ascia. Alle due estremità di queste file è attaccato un mazzo di circa dieci pendaglietti simili. Sul margine interno del diadema sono attaccati infine innumerevoli minuscoli pendaglietti piriformi. Certamente la fascia orizzontale del diadema era posta sulla fronte e le fibbie laterali di pendaglietti venivano lasciate pendere da una parte e dall’altra della testa fino alle spalle.

Il Von Duhn (pg.. 223) descrive questo diadema come consistente in “lamina splendente e numerose catene”, ma dalla fotografia che ne fornisce il Dall’Osso non mi sembra di riscontrare la presenza di alcuna lamina. Il Dall’Osso(pg. 83) e il Dumitrescu (pg. 101), si trovano d’accordo nel riscontrare la somiglianza di questo diadema con quello ritrovato a Troia 2°, ad Hassarlik, dallo Schliemann, e pubblicato dal Perrot. Non è possibile dedurre la data dell’oggetto.  -Museo di Ancona, Tomba n° 13.

Oltre a questo diadema, si rinvennero a Belmonte parecchi giri di perline o globetti d’ambra che circondavano il capo decorandone forse la fronte a guisa di diadema. Inoltre si trovarono filze di pendaglietti che scendevano ai due lati della testa e lungo le guance, certo riuniti insieme da un filo o da una striscia che circondava la testa sulla fronte, costituendo diadema.  -Museo di Ancona, Tomba 16 B.

h) ORECCHINI

Nella maggior parte dei casi gli orecchini di Belmonte sono d’ambra, costituiti da dischi o rotelle con un foro centrale nel quale passava l’anello di bronzo che li teneva fermi alle orecchie e che in alcuni si trova tuttora infilato. Essendo essi identici agli orecchini rinvenuti nel 1900 a Belmonte , dobbiamo dedurre che qui si usasse un tipo uniforme di orecchini. Orecchini di questo tipo sono notevoli: -Museo di Ancona, Tomba N° 16 B, 7, 46 A.

i) ARMILLE

Le armille compaiono in numero molto grande nelle tombe femminili: intorno a uno scheletro di donna ne furono trovate perfino dodici. Sono tutte di bronzo e di varie forme: a grossa verga di bronzo con le estremità sovrapposte, (verga che può essere sia cilindrica che piatta), di filo cilindrico ritorto a spirale fin quattro o cinque volte, di robusto filo di bronzo a saltaleone, a laminetta trinata (specie nelle tombe dei bambini), a ciambella piena o vuota. Si trovarono sempre nelle mani.

l) ANELLONI

Posti sul petto e sul bacino dello scheletro, anche durante gli scavi governativi vennero trovati questi cerchi pesanti di bronzo di notevole diametro intersecati da quattro o sei nodi sporgenti, che sembrano poco adatti da indossare. Come si disse, essi sono specifici della regione, e in particolare di Belmonte, dove figurano in grande abbondanza. -Museo di Ancona, Tomba N° 21 quadrisoma.

m) ANELLI

Gli anelli di Belmonte sono a saltaleone, di filo cilindrico di bronzo; oppure circolari, di un sol cerchio di bronzo o di ferro.  Vi sono inoltre:

*-Anelli di bronzo a nastro. -Museo di Ancona, Tomba N° 61.

*-Anelli d’oro: uno a saltaleone e due a verga piatta, forse fedi. La presenza dell’oro in Belmonte si esaurisce in questi tre anelli digitali ed in sottili lamine per rivestimento dei vestiti, segno evidente che questa civiltà non fu mai toccata dall’avidità dei metalli preziosi. -Museo di Ancona, Tomba N° 28, 16 B.

n) BOTTONI

Pochi sono i bottoni del Piceno: di bronzo ne troviamo a Novilara, a Colli del Tronto e a Belmonte; di ambra a Novilara Servici, a S. Costanzo, a Belmonte; di terracotta a Novilara. Quelli rinvenuti a Belmonte sono rari. Eccone alcuni esemplari:

*-Bottoni di robusta lamina concavo-convessa di bronzo, con gambo ad occhiello nell’interno per essere applicati alle vesti. Uno di essi misura cm 16 di diametro e ha un appiccagnolo  nell’interno. -Museo di Ancona, Tomba N° 44, 76.  Questi grandi bottoni o dischi convessi sono ritenuti dal Dall’Osso simboli solari portati dalle donne Picene nelle processioni o nelle cerimonie solenni, appesi al collo con nastri o legacci (fg. pg. 86 e 90).  Secondo il Dumitrescu (pg. 120) abbiamo a Belmonte anche bottoni d’ambra a forma conica, con quattro fori alla base in forma di croce, comunicanti fra loro.

o) OGGETTI VARI D’ORNAMENTO ED UTENSILI

*-   Cinturone. Dell’unico cinturone rinvenuto a Belmonte non sono rimaste che le fibbie, e un’impronta della fascia laminata nella terra, essendo il rimanente stato distrutto dall’ossido. -Museo di Ancona, Tomba N° 18.

*-   Spilloni. Sono comuni esemplari di bronzo, che non presentano nulla di notevole; erano usati per fermare i vestiti sul petto, oppure erano posti sui capelli. Il Dall’Osso non ce ne dà alcuna descrizione particolare.

*-   Palettine. Sono oggetti rari nel Piceno, ma a Belmonte se ne trovarono alcune della forma comune nella prima età del ferro nelle necropoli del centro e nord d’Italia. -Museo di Ancona, Tomba N° 27.

*-   Cura-orecchie sormontate da figurine schematiche.

*-   Balsamari proto-corinzi. -Museo di Ancona, Tomba N° 27.

*-   Dischi. Sono dischi o falere di madreperla – secondo il Dumitrescu -, ma d’avorio – secondo il Dall’Osso -, che servivano ad ornare le vesti. Essi sono di forma alquanto ellittica, o di cono tronco, o di ciambella; erano infilati per un foro centrale in perni di ferro. -Museo di Ancona, Tomba N° 16 B.

*-   Fusaiole. Sono poco frequenti, di tipo comune: in genere di terracotta, ma a volte di stagno o di bronzo. -Museo di Ancona, Tomba N°61, 21.

–   Rocchetti. Sono di terracotta, del medesimo tipo rinvenuto nel 1900. -Museo di Ancona, Tomba N° 21.

*-   Dadi da gioco. Si è trovato un dado da gioco in osso con i relativi numeri da uno a sei rappresentati da circoletti graffiti sulle sei facce. Ciò dimostra come il gioco fosse in uso anche in età arcaiche, non solo presso gli Etruschi, ma anche presso i Piceni. Abbiamo anche vertebre di pesce usate forse come segna-gioco. -Museo di Ancona, Tomba N° 43 B.

*-   Cilindro vuoto di bronzo sormontato da due dischi di bronzo laminato; internamente doveva passare un’asta di legno, a giudicare dai chiodetti rimasti ancora nel posto. È un oggetto singolare, ritenuto da Dall’Osso oggetto sacrale d’uso ancora ignoto. È alto circa cm 80. -Museo di Ancona, Tomba N° 16 A. -Dall’Osso fg. pg. 100.

*-   Arte plastica. Idoletto muliebre di terracotta, lavorato in maniera estremamente primitiva, certo opera locale. È un abbozzo ingenuo senza stile e senza concreta conoscenza del corpo umano, che denota l’assoluta primitività dei maestri plastici del paese, primitività che contrasta con la padronanza e con la perfezione delle opere Greche importate. -Museo di Ancona, Tomba N° 37. -Dall’Osso fg. pg. 62.

*-   Galletto di terracotta, altra opera appena abbozzata e molto primitiva, eseguita dai maestri locali. -Museo di Ancona, Tomba N°58.

*-   Rasoi. A Belmonte troviamo solo rasoi a lama semilunata di ferro e di bronzo, derivati certo dalla forma simile dell’età del bronzo. Alcuni rasoi lunati di bronzo hanno un manichetto in forma di tubo terminante in un occhiello con due o tre denti laterali, e nell’altra parte fuso con la lama. -Museo di Ancona, Vetrina 66, Corsia A. -Dall’Osso fg. pg. 56

*-   Alari di ferro.  -Museo di Ancona, Tomba N° 18.

*-   Spiedi (obola) di ferro. Nella Tomba n° 1 se ne rinvennero in tale enorme quantità da non poter credere che servissero esclusivamente all’uso familiare. -Museo di Ancona, Tomba N° 18.

*-   Grattugia rettangolare.  -Museo di Ancona,Vetrina 76, Corsia A.

*-   Morsi equini. Sono di bronzo, a forma semicircolare; hanno cioè i semicerchi formati d’una sola barra piatta e forata nel mezzo. “Il ferro da introdursi nella bocca del cavallo era formato da due pezzi distinti attaccati l’uno all’altro, e passava attraverso il foro che si trovava nel mezzo delle verghe. Nei fori che si trovano all’estremità erano legati i freni. Questa forma semicircolare di morsi è conosciuta nell’Europa Centrale e nel nord d’Italia sin dall’età del bronzo e nella prima età del ferro” (Dumitrescu pg. 52). -Museo di Ancona, Tomba N° 1, 17. -Dall’Osso fg. pg. 75.

***   SUPPELLETTILE FUNEBRE: notiamo  i vasi  di bronzo; e quelli in ceramica. Inoltre le armi di difesa e di offesa.

a) VASI DI BRONZO

Abbiamo a Belmonte numerosi vasi di bronzo, pochissimi di rame, nessuno di ferro. La maggior parte di essi fu importata o imitata da prodotti importati; un’altra parte fu di produzione locale e sta a testimoniare lo sviluppo a cui era pervenuta l’arte Picena. È da notare però che non furono trovate tracce di officine per la fabbricazione dei vasi di bronzo. Secondo il Dechelette (Manuel,Vol. II, Parte 2°, pg. 755) i vasi di bronzo italici sarebbero originari dalle officine Greche e particolarmente da Calcide in Eubea, che era uno dei principali centri dell’industria dei metalli nei paesi Greci;  oppure originari  dalle colonie calcidesi in Italia meridionale, specie da Cuma, che era un porto di commercio e in seguito divenne il centro di fabbricazione degli oggetti metallici.

1° – Situle.  Le situle, in latino “situlae”, sono secchi di lamine di bronzo tirate col martello e riunite con chiodi ribaditi, di forma conica. Secondo il Ghirardini (La situla italica) l’invenzione di questo tipo di vaso è dovuta all’Oriente, e l’introduzione di esso in Italia, ai Fenici: infatti quando esso appare nell’Etruria e nel Lazio è sempre associato a suppellettile di tipo orientale. Secondo il Ducati (La situla della Certosa, pg. 14) invece, esso non fu introdotto in Italia dai Fenici. I rappresentanti della civiltà ellenica o cretese micenea l’inventarono e ne trasmisero il tipo ai Tirreni colonizzatori che l’introdussero in Italia.

Nel sarcofago di Haghia Triada  in Creta era rappresentato un recipiente con la forma precisa della situla in una raffigurazione di riti funebri del sec. XV a. C.; la stessa forma appare chiara in un altro monumento dell’arte cretese: nei frammenti di una pittura del palazzo di Haghia Triada. Ancora ritroviamo un vaso di metallo prezioso che richiama per sagoma la situla nelle pitture murali egizie della tomba di Reckmara della XVIII dinastia (1500-1450), fra i vasi dati come tributi dai Kefa. Essa accusa dunque origine orientale.

La situla appare primamente in Italia nella tarda civiltà villanoviana (sec. VIII), donde si diffonde in una vasta zona. La troviamo infatti in Sicilia nella colonia calcidese di Leontini, nell’Italia Centrale (Vetulonia, Chiusi, Palestrina), sulla sponda est dell’Adriatico, nell’Etruria, nel Bolognese, nel Veneto (Estes), nella civiltà di Golasecca, nel Comasco (Sesto Calende), nella civiltà istriana (Santa Lucia); infine si diffonde in Europa centrale e settentrionale: Hallstatt, Dowris (Irlanda), Armorica (Francia).

Particolari sono alcune situle con ornati di stile greco-orientale, cioè piccole scene viventi, rappresentazioni di vita reale e figurazioni orientali eseguite a sbalzo. Troviamo queste situle istoriate principalmente ad Este (v. Ghirardini), a Bologna (v. Ducati), in Carniola, in Istria, nel Tirolo, nell’Austria e nella Stiria.

Le situle apparvero nel Piceno all’incirca verso il sec. VII, cioè poco dopo che in Etruria. Esse si trovano nelle necropoli Cuprenses, a Belmonte, a Fermo, a Fabriano, a Numana, a Offida e a San Ginesio.

A Belmonte abbiamo due  situle laminate. Secondo la descrizione che ne fornisce il Dumitrescu (pg. 56) esse hanno forma perfetta di tronco di cono e sono formate di lamine di bronzo battute a sbalzo. Hanno un piccolo collo realizzato restringendo la situla qualche centimetro prima della bocca; e doppie anse mobili in forma di arco semicircolare con le estremità rivoltate all’insù onde passare attraverso gli anelli che si trovano sempre diametralmente opposti sul bordo della situla e attaccati alle pareti di essa a mezzo di chiodi ribaditi. Sono ornate di puntini a sbalzo come le situle di Numana, a differenza delle altre situle Picene che non sono ornate. -Museo di Ancona, Tomba N° 19.

2° – Ciste.  Le ciste dette a cordoni sono vasi cilindrici formati di uno o due lamine di bronzo ondulate, i cui bordi sono riuniti a mezzo di forti chiodi ribattuti. Le ondulazioni della lamiera, più o meno distanziate, disegnano su tutto il circuito del vaso cordoni rilevati orizzontali, secondo il Dechelette (Manuel, Vol. 2°, Parte 2° pg. 771) le ciste si dividono in due categorie: ciste a manici fissi laterali, che provengono quasi esclusivamente da Bologna o da località vicine; ciste ad anse mobili attaccate ai bordi superiori del vaso, più piccole; queste ultime sono disseminate in tutta Italia, ma in modo speciale nella regione lombardo-veneta, sul litorale Adriatico e nei paesi transalpini.

Secondo le opinioni del Marchesetti (Uber die Herkunft der gerippten Bronzecisten, CBL.A, 1894, pg. 103) confermate poi da ricerche dell’Orsi (in BPI, 1912, pg. 168-175), circa un terzo delle ciste a cordoni scoperte provengono da Bologna, quasi un quinto dal Veneto e dall’Istria, quasi un quinto dall’Europa centrale, e poche dall’Italia peninsulare: circa 50 ciste provengono dalle Marche, dove secondo il Dumitrescu (pg. 62) esse sono più numerose che nel Bolognese. Il Patroni sarebbe incline ad attribuirle, per la prossimità territoriale, a Bologna, ma contro questa attribuzione sta il fatto che le ciste a cordoni delle Marche hanno tutte anse mobili mentre quelle di Bologna le hanno fisse. Quindi ragionevolmente dovremo collegarle con quelle del Veneto e dell’Istria, cioè del litorale settentrionale dell’Adriatico, che hanno anch’essi i manici semicircolari snodati. Forse il centro di fabbricazione di diffusione in Italia fu Bologna (v. Gabrici, Cuma) e insieme un altro centro forse della regione veneta; quindi il Piceno avrebbe importato le ciste nel sec. VIII, e le avrebbe in seguito- sec. VII-V – fabbricate sul posto. Secondo il Dechelette (Manuel, Vol. 2°, Parte 2°, pg. 771) invece, la provenienza di questi vasi è forse nelle officine Greche dell’Italia meridionale; essi sarebbero stati imitati dai centri industriali dell’Italia centrale e settentrionale. Al nord la fabbricazione di essi si prolunga nel tempo, mentre a sud del Po cessa verso il sec. V; essa si continua nella seconda età del ferro nell’Italia transpadana e al nord delle Alpi.

Secondo il Dumitrescu e l’Orsi, le ciste sono dovute all’imitazione di una forma paleogreca, cioè all’influsso del commercio Greco arcaico; a proposito, l’Orsi ricorda che in pitture minoiche sono vasi cilindrici simili alle ciste.

Le ciste ad anse mobili del Piceno sono: a Novilara Servici, nelle necropoli dei Cuprenses, a Belmonte, a Recanati, a Montelparo, a Fermo, a Fabriano, a Numana, a Montegiorgio e a Tolentino.  A Belmonte si trovarono due ciste a cordoni ben conservate, e molte altre in frammenti, come pure manici arcuati di ciste con pezzi del vaso relativo. Questi due che abbiamo intere hanno anse mobili semicircolari passate attraverso le orecchie di sostegno, battute nella parte superiore a mezzo di chiodi ribaditi. Sono ornate con decorazione di puntini a sbalzo.  -Museo di Ancona, Tomba N° 55, 18, 1.

3° – Coppe.   Il Dumitrescu (pg. 64) dice che a Belmonte si rinvennero alcune coppe di bronzo con una sola ansa sopraelevata in forma di anello, formata da una banda piatta di bronzo, forma conosciuta nell’epoca di Hallstatt. Ma il Dall’Osso non ne parla affatto.

4° – Patere.  Abbiamo a Belmonte grandi patere baccellate di bronzo che il Dall’Osso (pg. XIII) ritiene identiche per forma e decorazione a certe ciotole in terracotta con ornati o a strigliature, di Filottrano, così da dover ammettere che queste ultime siano state riprodotte in terracotta sui modelli Piceni della prima età del ferro.

Eccezionale è la presenza di una patera d’argento, l’unica ritrovata nel Piceno di questo metallo. Essa è di lamina accartocciata, col fondo decorato da un giro di palmette a sbalzo con una rosetta al centro; è decorata esternamente con figure bulinate di animali fantastici di stile orientalizzante. -Museo di Ancona, Tomba 16 A. -Dall’Osso fg. pg. 107.

5° – Bacinelle e bacini.  Sono numerosissimi nel Piceno: si trovano nelle necropoli di Novilara Servici, Belmonte, Atri, Numana, Fabriano e Tolentino.  Assai numerose sono le bacinelle di Belmonte. – Museo di Ancona, Tomba N° 18, 16 B, 1.

I bacini sono vasi di bronzo di grande diametro; questi di Belmonte sono ricordati dal Dumitrescu (pg. 65) e dal Mac Iver (pg. 331), hanno l’orlo piatto rivolto orizzontalmente all’infuori ove si trovano ornati con linee graffite incise e rilievi lentoidi .  Nove bacini molto grandi, con orlo piatto, alcuni dei quali decorati da giri di trecce incise. -Museo di Ancona, Vetrina 5-4, Sala B

6° – Caldaie.  Le caldaie del Piceno si trovano a Belmonte, a Fabriano, a Gallignano e a Numana.  A Belmonte abbiamo alcuni grandi esemplari di caldaie di bronzo a forma emisferica con anse semicircolari mobili di bronzo o di ferro.

7° – Capeduncole.  Sono tazze di bronzo emisferiche, con una lunga ansa verticale, che servivano a prendere i liquidi da un recipiente più grande. Le capedungole di Belmonte, a quanto ci dice il Dall’Osso, sono di forme nuove e originali. Allo stesso scopo serviva inoltre un attingitoio o simpulo con manico fuso a giorno, terminante in testa di cigno, e con una piccola ranocchia a tutto tondo presso l’orlo. Il Dumitrescu lo ritiene certamente un vaso greco importato.  -Museo di Ancona, Tomba N° 1.

8° – Treppiedi.  Vaso di bronzo coi treppiedi terminanti a zampa di cavallo; la parte superiore è a forma di disco o di ruota coi tre raggi equidistanti riuniti nel centro da un disco orizzontale. Serviva per sostenere vasi dalla base piatta. -Museo di Ancona, Tomba N° 16 B.   -Dall’Osso, pg. 84.

*-Treppiedi di ferro frammentati. -Museo di Ancona, Tomba N° 58.

9° – Vaso sferico con piede conico.  Vasi di questo tipo sono rarissimi nel Piceno: ve ne sono solo due a Novilara ed uno a Belmonte. Quest’ultimo è un grandioso vaso formato da due alte calotte emisferiche di lamine di bronzo unite insieme da una banda di lamina di bronzo che corre orizzontalmente interno al vaso. Su essa sono attaccate, con chiodi ribaditi, due anse orizzontali fisse diametralmente opposte. Ha un piede quasi perfettamente conico, vuoto all’interno. La calotta superiore termina con un piccolo collo dall’orlo evaso orizzontalmente all’infuori e di larga bocca con le labbra inclinate. Il Dumitrescu (pg. 68) lo paragona ad un vaso pre -etrusco di Corneto. È alto cm 30-35.  -Museo di Ancona, Vetrina 5, Sala B.  -Dall’Osso fg. pg. 175.

10° – Incensiere.  Presso le ruote di un carrello si sono ritrovati i frammenti d’un magnifico incensiere laminato; essi consistono soltanto in due appliques che forse ornavano gli omeri del vaso. Sono fuse a giorno e “rappresentano ciascuna un guerriero al centro, che tiene per le mani due teste di cavalli nani e nella parte superiore un orlo sormontato da due leoni accovacciati, sovrapposti. Da ciascuna testa di cavallo parte un serpente la cui testa si trova accanto al leone, e sotto al leone si trova una striscia di bronzo che scende fin sulla groppa del cavallo. Il guerriero ha sulla testa un elmo Greco dalla punta del quale parte un manico torto, forse destinato all’attacco delle catene ma che rappresenta anche la criniera dell’elmo” (Dumitrescu, pg. 69).

Sotto queste appliques si trovarono le due anse del vaso, formate ciascuna da una striscia di bronzo curva, aventi ad ogni estremità due teste di cavallo, con la parte anteriore del corpo, contrapposte, con un solo piede.

Di questo thymiaterion si sono occupati molti studiosi, fra cui il Mac Iver (pg. 133) che lo cita fra le migliori opere di bronzo del Piceno e lo paragona a manici simili figuranti al Museo di Pesaro senza indicazione di località. Il Moretti (Lo svolgimento della civiltà Picena, pg. 11) lo ritiene opera di importazione Greca o comunque di imitazione diretta. Il Marconi e il  Serra (op. cit. pg. 25) lo considerano un bronzo decorativo ionico o ionizzante; il Dumitrescu ritiene siano appliques di fabbricazione greca del sec. VI – dato il carattere arcaico del lavoro e il costume greco del guerriero – importate nel Piceno; ma non crede che appartenessero ad un incensiere perché nessuno degli incensieri già noti possiede delle appliques. Il Dall’Osso è l’unico a ritenere questo lavoro un’opera locale, ma quasi certamente è in errore. -Museo di Ancona, Tomba N° 1.  -Dall’Osso fg. pg. 95 e 59.

11° – Lebeti.  Abbiamo a Belmonte esemplari di grandi lebeti con manico di ferro, uno dei quali misura circa m. 1 di diametro.  -Museo di Ancona, Tomba N° 1, 16 B.

12° – Oinochoai.   Sono vasi di bronzo di forma Greca importati o imitati da forme importate. Hanno una sola ansa e bocca semplice o trilobata, e un solo lobo increspato per cui scorre il liquido. Il Mac Iver nota le oinochoai di Belmonte per la loro forma graziosa e le ricollega a tipi Greci del sec. VI; cita in particolare uno splendido esemplare con manico “con l’estremità superiore desinente con protome di leone e nei quattro bracci in protome di cane”(pg. 133). È un oggetto greco di importazione.  -Museo di Ancona, Tomba N° 1.

13° Vasi vari.  Colatoi di bronzo. Hanno la forma di caffettiera moderna con la parte inferiore terminante in forma di cono dalla punta all’ingiù, certamente forato. Il manico che parte orizzontalmente dall’orlo, fuso col medesimo, si assottiglia gradualmente verso l’estremità, in modo da avere quasi la forma di un triangolo lungo e sottile, con la parte larga traforata da due fori longitudinali e con i lati alquanto crestati (Dumitrescu, pg. 75). -Dall’Osso fg. pg. 108,109.

* –Vasi a forma discoidale con pareti laterali rigonfie e un piccolo collo cilindrico. Sono di lamina di bronzo con ornamenti a sbalzo in forma di puntini, borchie e cerchi concentrici. Si sono trovati finora solo a Belmonte, e sono forse dovuti all’influenza e agli scambi con l’ovest degli Appennini nel periodo etrusco. Sono riportati descritti in questo modo solo dal Dumitrescu (pg. 70), dal momento che il Dall’Osso non ne parla pur essendo essi nel Museo di Ancona.

b) CERAMICA

Abbiamo a Belmonte molti vasi di argilla, sia opere locali, sia opere d’importazione. I vasi locali sono i più numerosi; per la maggior parte dei casi continuano la tradizione della ceramica locale della precedente età del bronzo. I vasi importati offrono l’interesse dal punto di vista della constatazione di correnti commerciali ed in quanto forniscono elementi che possono stabilire la data quasi precisa della loro fabbricazione.

 I VASI LOCALI  sono quasi sempre piccoli, di bucchero non lucidato, quindi di color marrone-rosso o marrone-grigio, di pasta ben maneggiata e ben cotta, oppure di argilla ordinaria gialla chiara non perfettamente depurata. La ceramica indigena, elaborata dalle famiglie entro le capanne, è di gran lunga prevalente sulla ceramica d’argilla figulina dipinta. Ciò sta a dimostrare come abbia prevalso nella necropoli l’elemento indigeno sul forestiero.

Ecco alcuni esempi di vasi locali:

1° – Skyphoi.   Sono vasi primitivi dalla bocca perfettamente circolare, a forma di tronco di cono non perfetto che perciò fa presentare loro un profilo molto inarcato all’infuori. Hanno orlati in rilievo con solchi rilevati serpentini.

2° – Nappi.  Sono tipi di vasi piccoli senza piede, le cui anse partono dalla metà del vaso. Notevole è un nappo con anse verticali poste alla metà del vaso, corpo rigonfio, bocca circolare, collo scannellato orizzontalmente. -Dall’Osso fg. pg. 141 (centro in alto).

3° – Coppe senza piede.  Sono di forme variate, fabbricate con pasta nera fine.

*-Ciotole dal corpo ovale più largo che alto, con due manici cilindrici verticali. -Dall’Osso fg. pg. 57.

*-Coppa a forma di bacino dal fondo di stretto e dalla bocca amplissima, con due anse attaccate sull’orlo del vaso e dirette obliquamente, quasi orizzontalmente. -Dall’Osso, Guida, fg. pg. 141 (in alto a sinistra).

*-Coppa con base molto larga, che, secondo la descrizione di Dumitrescu (pg. 83) ha un’ansa semi-anulare che si appiattisce nella parte superiore, ansa piazzata quasi verticale sull’orlo del vaso. -Dall’Osso fg. pg. 141.  Le coppe di questa categoria non sono ornate.

4° – Coppe con piede.

*-Coppa con un piede, senza anse, col corpo molto aperto alla bocca e le pareti rivolti obliquamente all’infuori, senza ornamenti. – Dall’Osso fg. pg. 141 (seconda in alto).

*- Coppa con anse e con piede. – Dall’Osso fg. pg. 141 (prima in alto).

*- Coppa con piede e con anse che partono dall’orlo del vaso.- Dall’Osso fg. pg. 141(quinta in alto.)

*- Coppa con piede e con anse piazzate orizzontalmente sulla metà del corpo. -Dall’Osso, Guida, fg. pg. 141 (centro, a destra).  Secondo il Dumitrescu (pg. 86) queste coppe si svilupparono per influssi Greci: infatti fra i vasi importati c’è anche una coppa di forma simile a queste.

5° – Olle.   Sono derivate dalle olle biconiche villanoviane. Hanno la parte mediana del corpo molto rigonfia, tanto da non poter distinguere se si tratti o meno di coni sovrapposti; hanno collo alto e orlo piatto evaso orizzontalmente, senza ornamenti. -Dall’Osso fg. pg. 141(centro, a destra).

*-Altre olle, non più simili al tipo villanoviano, hanno corpo gonfio, grande, collo relativamente corto e slanciato. -Dall’Osso fg. pg. 91 (prima in alto) abbiamo inoltre ollette biconiche con anse a bugna.

6° – Oinochoai. Imitano le forme Greche importate e hanno bocca trilobata. Le figure a pg. 91 (in basso) e 141 (in alto) della Guida del Dall’Osso, mostrano oinochoai trilobate e di proporzioni diverse ma di eguale tipo, e cioè collo sottile, corpo gonfio in mezzo che si restringe in basso ma si riallarga alla base, ansa dapprima innalzantesi verticale, poi curva.

7° – Askoi.  Notevole fra gli askoi è un askos di bucchero a superficie lucida col corpo in forma di uccello, con un piede bassissimo da coppa e un manico semicircolare nella parte superiore ove il vaso sembra essere forato. -Dall’Osso fg. pg. 141 (centro seconda fila).  -Museo di Ancona, Tomba N° 63.

8° – Kantharoi.  Sono anche questi tipi di vasi a forme grecizzanti.

9° – Vasi orcioli.  Sono vasi che, oltre la bocca normale, hanno anche due bocche da orcio a forma di tubo cilindrico diametralmente opposte sul centro del vaso e dirette obliquamente all’insù. Il manico e sopra la bocca e sul corpo figurano ornati incisi. -Dall’Osso fg. pg. 141 (centro, nel mezzo).

10° – Vasi vari.

*-Splendido vaso di terracotta con due anse e decorazioni geometriche in rilievo e fasce orizzontali.  -Museo di Ancona, Tomba N° 10.

*-Vaso d’impasto grossolano con bocca imbutiforme, con anse verticali biforcarte nell’attacco al corpo e desinenti sopra l’orlo in protome di uccello.  -Museo di Ancona, Tomba N° 6.

*-Vaso che ha per manico una figurina di cavallo con il cavaliere; il cavallo ha le zampe anteriori attaccate sull’orlo del vaso. Forse esso si deve mettere in rapporto con i vasi ornati con animali sull’orlo e nell’interno che si trovano in Europa e altrove nella prima età del ferro.  -Dall’Osso, fg. pg. 141 (centro, secondo a sinistra).

*-Anfore di forma greco-arcaica con decorazioni esclusivamente lineare.

I vasi locali hanno forme comuni e forme originali e nuove.

       VASI D’IMPORTAZIONE.  Sono Greci e  Messapo-Apuli.

1° – Vasi Greci.    Sono vasi a stile geometrico greco di pasta gialla patinata con ornamentazione a strisce orizzontali oppure ad altri motivi di colore cupo o granato, protocorinzi e corinzi, e vasi attici a forma di coppe con figure rosse.

*-Vasi d’argilla purissima con ornamentazioni geometriche, tra cui un cratere con coperchio d’argilla figulina chiara, decorato a zone di strisce concentriche e a spirali sotto l’orlo; esso a due piccole anse cilindriche oblique. -Dall’Osso, Guida, fg. pg. 58.

*-Due kylikes attiche a figure di stile severo; la prima a figure umane chiare su fondo rosso e rappresenta una scena di simposio; la seconda ha raffigurazioni di animali rossi su fondo chiaro. Sono entrambe biansate. Sec. V. -Museo di Ancona, Tomba N° 38. -Dall’Osso, fg. pg. 133.

Il Dall’Osso (pg. 141 in basso) dà molti esempi di questi vasi importati, più fini e ornamentati.

*-Abbiamo due oinochoai con un corpo gonfio sul tipo di quelle locali, ma molto ornamentate.

* Deliziose coppette con piedi e senza anse, oppure con piede e con anse.

*-Tazzette molto concave.

In breve le forme sono fondamentalmente simili a quelle locali; la diversità consiste nella finezza della esecuzione e nelle ornamentazioni.

2 – ° Vasi messapo-apuli.  Sono vasi a pasta giallo-marrone, ornamentazione geometrica e dipinta in rosso scuro o nerastro a strisce orizzontali, a trapezi, triangoli, rombi e simili.

*-Caratteristici sono due crateri pugliesi d’argilla chiara con decorazioni in color nerastro. -Museo di Ancona, Tomba N° 3.

*-Vi sono poi crateri pugliesi di tipo così detto messapico, con orifizi imbutiformi.  Questi vasi sono dei secoli VII-VI.

Certamente Apuli e Piceni ebbero rapporti etnici oltre che affinità di razza: lo prova la somiglianza del rito di sepoltura in posizione rannicchiata, e le analogie esistenti nella ceramica a decorazione geometrica plasmata con argilla chiara. Non fa meraviglia perciò di trovare in una delle più ricche necropoli del Piceno le testimonianze di quello scambio di merci e di relazioni che esistette con il sud della penisola.  È da ricordare inoltre che i prodotti della ceramica apula furono largamente esportati lungo i paesi delle due sponde Adriatiche, e raggiunsero persino l’Istria (Nesazio) e la Dalmazia (Zara).

A R M I

Mentre negli scavi precedenti si erano rinvenuti pochi esemplari di armi, in questi scavi governativi se ne trovò una tale abbondanza da costituire una speciale caratteristica della necropoli. Da esse abbiamo conferma dell’educazione militare del popolo e del suo spirito di fierezza e di combattività.  Ecco i vari esemplari:

ARMI DI OFFESA.

1° – Lance.  Le lance dei Piceno sono due tipi: tipo triangolare e tipo a foglia. Possono essere sia di bronzo che di ferro; le lance di bronzo sono piccole, quelle di ferro variano dai 10 ai 55 centimetri. Anche le lance di Belmonte rientrano in queste caratteristiche; a volte le troviamo con i relativi sauroters rivestiti di lamina di bronzo.

*-Lancia di bronzo triangolare con un cartoccio conico, unico esemplare di lancia in bronzo rinvenuto a Belmonte. -Museo di Ancona,Tomba N° 76.

*-Lance a foglia molto allargata e molto lunga.  -Museo di Ancona, Tomba N° 19.

*-Lance a cannone lunghissimo e piccola foglia piazzata in punta.

*-Lance con gonfiore accentuato alla base che si prolunga in una foglia triangolare decrescente, gradualmente, verso la punta. -Dall’Osso fg. pg. 66.

*-Lunghe lance con foglia ugualmente larga per tutta la lunghezza, assottigliantesi solo alla punta.

*-Cuspidi di lance di cui una a foglia di lauro.  -Museo di Ancona, Vetrina 67, Corsia A.

2° – Spade.  Sono di varie lunghezze; le maggiori raggiungono proporzioni veramente straordinarie e rassomigliano agli enormi spadoni del Medio Evo; hanno tutte elsa diritta.  Notevole un colossale tronco di spada ancora avvolto nel fodero di legno.

3° – Aste.  Poco numerose sono le aste dei Piceno. Quelle di Belmonte sono di ferro, cilindriche o quadrangolari terminanti a forma di saetta; vi sono anche le aste di legno, tra le quali notevoli sono alcune rinforzate alla punta con una sottile foglia di bronzo, rinvenute nella Tomba così detta delle Amazzoni (Tomba n° 10).

4° – Asce.  Rare sono le asce di Belmonte; esse sono di ferro a forma rettangolare con foro (douille) nella parte superiore.   Abbiamo anche un’ascia di pietra, levigata solo nella metà inferiore, giacché l’altra metà doveva essere internata nel manico di legno. Forse era un’arma dell’età della pietra raccolta alla superficie dei capi e introdotta come amuleto nella tomba. -Museo di Ancona, Tomba 46 B.

5° – Bipenni.  Queste sono molto rare, e forse riservate ai capi, dal momento che non se ne sono rinvenuti che tre o quattro esemplari nelle tombe principali dei guerrieri.  Notevole è una bipenne di bronzo con i due tagli curvi e molto acuti. Il corpo si restringe nella parte centrale ove si trova il foro verticale per l’introduzione del manico, il quale deve essere stato di legno ma con un piccolo pomo della parte inferiore (Dumitrescu, pg. 37).

6° – Mazze.  Sono di bronzo o di ferro, sferiche od ovoidi; alcune mazze sono piombate. Questi tipi di mazze erano già in uso in Europa sin dall’età del bronzo.

7° – Coltelli.  Sono di ferro, con lama strettissima ed ondulata e manico di osso o di legno attaccato alla lama da chiodi di ferro; a volte sono piccoli, quasi rasoi; altre volte invece molto grandi con lunghi manici a verga quadrangolare massiccia. Eccezionale è la presenza di un coltello a lama diritta.  Abbiamo inoltre pugnali di ferro inseriti nei loro foderi, punte di freccia di pietra e cuspidi di freccia con peduncolo in selce bionda.

ARMI DI DIFESA

1° – Elmi.  Gli elmi ritrovati nelle necropoli Picene sono di vari tipi.

*-Elmi a cresta di derivazione etrusca trasmessi ai Latini, agli Umbri e ai Piceni li troviamo soltanto a Fermo e a Novilara Servici; li consideriamo compresi fra i secoli XI-IX.

*-Gli elmi più numerosi sono quelli a calotta emisferica; sono formati da lamine di bronzo battute e tenute insieme con chiodini ribattuti, oppure da una sola lamina battuta; hanno calotta tondeggiante con alto collo e larga falda orizzontale. Alla sommità della cupola il cimiero è fissato da due pernetti aventi forma di Vittoria alata – testa, busto e ali -; questi pernetti si riscontrano anche nell’elmo di Watsch in Carniola, negli elmi della villa Febrecce presso Città di Castello (v. Notizie ,1902 , pg. 479 segg.) in quelli di S. Bernardino  di Briona in prov. di Novara (Barocelli, Ricerche sulla civiltà del ferro nel Novarese), di Sesto Calende (Ghislanzoni, Una nuova tomba di guerriero) e perfino delle regioni in liriche.   Elmi di tale foggia coprono il capo di dieci guerriglieri della zona superiore della situla della Certosa (Ducati, La situla, pg. 21), come pure un simile elmo in testa ad una rossa figurina di Cupramarittima ed un altro figura in una stele funeraria felsinea. Questi elmi avevano una spessa imbottitura interna, forse di sughero o di trecce leggere e soffici, che non solo serviva ad attutire i colpi, ma anche a riparare il capo dall’eccessivo calore, quando la cupola dell’elmo era investita dai cocenti raggi del sole. Perciò per contenere l’imbottitura, la cupola era molto grande. Questo tipo di elmo, pur essendo di forma primordialmente Greca, fu certo di produzione locale e si rinvenne nel Piceno più che altrove in Italia, tanto da assumere la denominazione di elmo “Piceno”; le località in cui venne trovato sono quelle di Novilara Servici, Ripatransone, Cupramarittima, Recanati, Belmonte, Numana, Fermo, Pergola, Montegiorgio.

*-Meno numerosi sono nel Piceno gli elmi corinto-greci. Essi sono della nota forma dell’elmo dell’erma  di Pericles, cioè a calotta semi-ovoide, con visiera mobile a cerniera che può essere sia molto lunga, sia molto corta. Gli elmi con visiera corta hanno anche il para-nuca. Elmi di questa foggia furono importati oltre che nel Piceno anche sulla sponda opposta dell’Adriatico e nell’Italia Centrale; vanno classificati tra il VII e il V secolo. Quelli nel Piceno sono nelle necropoli di Colli del Tronto, Belmonte, Numana e Recanati.  Gli elmi di Belmonte sono del cosiddetto tipo Piceno (Tomba N° 18 – Vetrina 75, Corsia A) e del tipo corinto-greco or ora descritti.  -Dall’Osso fg. pg. 53.

2° – Gambali.  I gambali o cnemidi di bronzo sono abbastanza frequenti nel Piceno; a Belmonte se ne trovarono anche due paia in una sola tomba. Alcuni di essi superano il ginocchio.

Molto rimarchevoli sono due paia di gambali di fabbricazione Greca: in ognuno dei ginocchiali di tutti e quattro gli schinieri è splendidamente raffigurato a sbalzo il mito arcaico di Ercole che uccide il leone nel Nemeo. -Museo di Ancona, Tomba N° 1. – Dall’Osso fg. pg. 55 e 305.

3° – Corazze.  Non si trovarono a Belmonte corazze per la parte superiore del corpo perché, essendo probabilmente di cuoio, andarono distrutte. Abbiamo invece i dischi rotondi di bronzo che proteggevano il petto come corazza, essendo rivestiti, come si può pensare, da fodera di cuoio, già in quella forma come più tardi è stato dimostrato in tutta la regione orientale della penisola fino al sud (Von Duhn,  pg. 220).   I più notevoli sono:

*-Due grandi dischi di bronzo piatti, ornati esternamente da piccole borchie di bronzo battute tutt’in giro. Essi sono muniti ai lati di due o tre fori dove con viti sono attaccate cinghie ricoperte da una lastra di bronzo e munite di cerniere che servivano a riunire i due dischi.  -Museo di Ancona, Tomba N° 1. -Dall’Osso, fg. pg. 121.

*-Un grande disco di bronzo, appartenente forse a corazza, la cui superficie esterna è ornata presso l’orlo da borchie sferiche. -Museo di Ancona, Vetrina 76, Corsia A.

4° – Scudi.  Non ne fu trovato alcun esemplare, forse perché, come le corazze, essi dovettero essere di cuoio e furono corrosi dal tempo. Infatti nelle tombe più cospicue di guerrieri si è osservato, sopra il petto dello scheletro, un denso strato di polvere color tabacco, che non si può spiegare altrimenti che come avanzo di scudo e corazza in legno e cuoio.

ARMI DI OFFESA E DI DIFESA

1° – Carri da battaglia.   Il carro da guerra, in uso fin dalla remota antichità nella Grecia Asiatica e continentale come presso i popoli d’oriente (Egiziani, Assiri, Persi, Ittiti, Siri), penetrò ben presto- all’incirca durante la fase d’influenza orientaleggiante – nell’Italia Centrale e particolarmente in quel territorio nel quale si diffuse la civiltà Etrusca; da qui si propagò in Europa centrale e in Gallia.   In Grecia le stele scolpite dell’acropoli di Micene ci mostrano già guerrieri combattenti in piedi su carri a due ruote; i poemi omerici ci presentano come i carri venissero utilizzati per spostarsi rapidamente da un punto all’altro del fronte d’attacco, per dare la caccia ai fuggitivi o per sfuggire agli inseguitori; i vasi arcaici Greci, specie quelli del Dipylon, ce ne raffigurano l’aspetto esteriore.

A partire dalla prima età del ferro si sparse presso gli italici il costume di seppellire i guerrieri di alto rango insieme con i loro carri. Queste tombe con carri si trovano in Etruria già nelle tombe a pozzo, ma diventano abbondanti nelle ricche sepolture a fossa: citiamo ad esempio i carri delle più antiche tombe a camera come quella Regulini-Galassi di Cerveteri, quelli numerosi di Vetulonia e della tholos seconda, scoperta nel podere di San Cerbone a Populonia (v. Minto). Anche in Italia meridionale e settentrionale abbiamo tombe con carri, ad esempio a Cuma, Capua, Perugia, San Mariano, Sesto Calende, dove si rinvennero i frammenti più numerosi che in qualsiasi altra necropoli italica (Ghislanzoni, Una nuova tomba), ed in alcune necropoli delle Marche. Essi apparvero per la prima volta a nord delle Alpi quando nell’Italia centrale erano già in numero notevole (Dechelette, Manuel, Vol. 2°, Parte 2°, pg. 747-754); e si potettero ricostruire grazie alle rappresentazioni figurate esistenti su ornamenti greci ed etruschi.

Questi carri dovevano essere costruiti in modo da raggiungere la leggerezza necessaria ad ottenere rapidità in un terreno accidentato; erano montati su due ruote tirati da un paio di cavalli a mezzo di un giogo di legno; differivano tra loro a causa della cassa che poteva essere con pareti a strafori o con pareti rettangolari.  Non molto numerosi sono i carri da guerra ritrovati nel Piceno, e il maggior numero di essi si trovò a Belmonte, dove, come si è detto, anche due delle più ricche tombe femminili ne erano fornite. In numero più limitato ne abbiamo provenienti da Cupramarittima, Numana, Fabriano, Tolentino, Potenza Picena, Recanati. Poiché non ve ne è traccia nei sepolcri e di Novilara, dobbiamo dedurre che i carri non penetrarono in questa zona d’Italia prima del secolo VI.

I carri da battaglia di Belmonte costituiscono l’interesse delle tombe maschili; ne descriviamo uno, sulla base della descrizione data dal Dall’Osso (pg.. 71).  Carro da battaglia che fa parte di una tomba ricomposta al Museo così come fu trovata nella necropoli, di cui restano solo i guarnimenti in ferro, cioè i cerchioni delle ruote, la copertura in lamina di bronzo del giogo, le tre fascette e la boccola del timone in bronzo, i morsi in bronzo con i relativi montanti, le caviglie in ferro per congiungere il giogo al timone. Il carro fu deposto completo e tutto montato sopra il cadavere, e ne andarono distrutte col tempo le parti di legno. Dice Dall’Osso (pg. 72) che fra l’arredamento del carro sono tre cose singolari, e cioè: un disco leggermente convesso di robusta lastra di bronzo traforata a giorno forse un amuleto, il disco o ruota solare, sotto la cui protezione era posto il carro; una specie di griglia formata da due asticelle di ferro riunite da perni che forse servivano per poggiarvi le briglie; due robuste lastre di ferro a forma di sandali con grossi perni di ferro disposti in giro presso l’orlo e ribaditi nel piano del carro. Questa specie di sandali serviva guerriero per appoggiarvi i piedi e mantenersi saldo sul piano del carro in caso di corsa a grande velocità. Perciò il carro doveva essere certamente di tipo Greco a cassa rettangolare.   -Museo di Ancona, Tomba N° 58.  -Dall’Osso fg. pgg. 71, 72, 73, 74, 75, 77.

Sei carri da guerra rinvenuti tutti nella medesima tomba. Questo fatto insolito prova l’importanza del personaggio ivi sepolto: infatti trattasi della prima tomba scoperta, quella del condottiero, il quale aveva anche il grado di sommo sacerdote: tomba con suppellettile quanto mai ricca e grandiosa. Di tutti questi carri si conservano i cerchioni e i mozzi delle ruote.  -Museo di Ancona, Tomba N° 1.  Altri resti di carri da battaglia sono nelle tombe N° 17, 16 B, 7, 16, 10 e 19.

Da ciò che abbiamo detto e descritto risulta come l’armamento della popolazione di Belmonte e dei Piceni in genere fosse completo, e si comprende come essi resistettero ai Galli e ai Romani fino al 268 a.C.

Capitolo 4° –  LA NECROPOLI DI BELMONTE ED ALTRE NECROPOLI PICENE DELLA PRIMA ETA’ DEL FERRO.

In generale è stato assodato che la civiltà di questa regione del Piceno inferiore a sud del Chienti, si distingue assolutamente da quella del Piceno superiore a nord del Chienti. Molti caratteri perciò fanno differire la necropoli di Belmonte da quella più antica di Novilara, mentre molti caratteri l’avvicinano a quella di Montegiorgio, Fermo e Cupramarittima.    Cercherò ora di precisare in che cosa consistono queste analogie e queste differenze, mediante un esame tipologico degli oggetti appartenenti a ciascuna necropoli. I confronti che seguiranno furono condotti da me personalmente e direttamente sul materiale inedito esistente al museo di Roma; in parte minore si basano sui cenni del Brizio e del Dall’Osso.

BELMONTE E MONTEGIORGIO

Montegiorgio è un piccolo paese Piceno situato sulla sinistra del fiume Tenna, quasi di fronte a Belmonte che vi sorge sulla destra. I rinvenimenti di oggetti preromani di Montegiorgio hanno notevoli affinità con quelli di Belmonte; a volte più che di affinità si tratta addirittura di identità. Così siamo indotti a pensare che le due cittadine fossero abitate da popolazioni simili, praticanti gli stessi usi e costumi.

a) SOMIGLIANZE.   La prima somiglianza fra le due necropoli è data dal rito funebre ad inumazione rannicchiata. Inoltre ci sono suppellettili e armi comparabili.

-1° – Suppellettile.  Nella suppellettile riscontriamo le seguenti analogie: sono presenti a Montegiorgio alcuni anelloni di bronzo ornati di quattro o sei nodi, del tipo identico a quelli rinvenuti a Belmonte (Museo di Ancona, Tomba n° 2; Museo di Roma n° 28632, 28633, 42593, 49538). Quasi identiche sono le armille ad asta poligonale avvolta in mezzo giro di spirale (Roma n° 55646,55648; Ancona, Tomba n° 5); le armille a semplici anelli di bronzo ad asta cilindrica piena (Roma, n° 49529,49537). Simili sono gli anellini a spirale, gli anellini piatti, gli anellini a fascia di bronzo, gli anelli ad alta lamina di bronzo, gli anelli a fili di spirale. Un cilindro di filo di bronzo a spirale richiama il n° 64995 di Belmonte del Museo di Roma. Identiche sono le doppie protomi d’ariete di bronzo, questo singolare pendaglio è dunque caratteristico della Valle del Tenna, non riscontrandosi altrove nel Piceno (Roma, n°42594,49533). Pendagli simili sono inoltre i bastoncelli di bronzo con nodo anche alla estremità inferiore con foro di sospensione (n° 49535, 55666); le oinochoai trilobate sospese ad una catenella (Ancona, Tomba n°3); i cilindretti formati di un nastro di bronzo semplice o doppio piegato a spirale (n°55661, 64118); le piramidi quadrangolari vuote (n°49531, 49532); i bottoni di bronzo, le bulle di bronzo; i denti di cinghiale ornati con rivestimenti di filo di bronzo. Notevole è anche a Montegiorgio la presenza di ciondoli ad occhio di dado. A Belmonte avevamo trovato un vero e proprio dado da gioco, qui troviamo ciondoli che del dado richiamano le apparenze.

Anche le torques sono simili, e a volte identiche (Ancona, Tomba n°1; Roma, n°49536); somiglianze sono nelle collane con grossi grani di bronzo, con grani di vetro, di ambra, di pasta vitrea (Ancona, Tomba n°1); nelle catenelle ad anelli spiraliformi di bronzo (n°55655); negli orecchini costituiti da dischi di ambra forati e attraversati da cerchietti di fili di bronzo (Ancona, Tomba n°2,3). Il grande e massiccio pettorale di bronzo ritrovato sullo scheletro della Tomba n°5 è quasi identico al pettorale di Belmonte del Museo di Bologna; lo stesso Brizio riconosce la somiglianza dei due pettorali. Abbiamo a Montegiorgio le fibule di bronzo ad arco girato in tondo vedute a Belmonte (n°28627, 28628); le fibule serpeggianti di ferro n°55652, 55653); le fibule con ambra sull’arco, del tipo semplice con il solo ornamento di un grosso pezzo ovoide di ambra (n°64111); le fibule a sanguisuga (n°42601); le grandi fibule a navicella con decorazioni in incavo lineari e a circoli di concentrici(n°42595,49514,55654); le fibule con globetti o bottoni sull’arco. Identiche sono le fusaiole biconiche di terracotta, e i rocchetti cilindrici con foro trasversale.

In generale questi oggetti di ornamento che abbiamo veduto si assomigliano estremamente ai tipi simili di Belmonte; e questa somiglianza è notevole negli oggetti più massicci e barocchi, nello sfarzo delle vesti decorate da oggettini luccicanti.  Importantissimo è poi il fatto che oggetti così rari e caratteristici (anelloni, doppie protomi, denti di cinghiale, orecchini d’ambra) che costituiscono una delle particolarità di Belmonte, siano gli stessi che figurano a Montegiorgio e danno anche a lei un carattere specifico.

2° – Armi.   Sono simili alle armi di Belmonte: cuspidi di lance sia aguzze che a  larga foglia con relativi sauroters, oppure in forma di foglia d’edera; spade di ferro con fodero di ferro; spada di bronzo a guisa di foglia (n°28634); accetta di bronzo con taglio curvo e alette (n°28625); ascia piatta di bronzo con i margini alquanto rialzati (n°42599); elmo a calotta emisferica con falda ripiegata; elmo conico con apice decorato a rilievi e con piccola visiera (n°28655); morso di ferro snodato con montanti curvi; rasoi di ferro lunati.

3° – Suppellettile funebre.   Richiamano la suppellettile di Belmonte: olla di terracotta, grande e robusta; urna  ovoide di terracotta; tazzetta a due manici di terracotta; grande vaso d’impasto grossolano con cordoni di rilievo intorno all’orlo; una cista cilindrica a cordoni con anse mobili semicircolari e ornamenti zoomorfi; vasi d’importazione in argilla figulina depurata lavorati al tornio.

b) DIFFERENZE.

–   Montegiorgio: non vediamo a Belmonte i seguenti oggetti di Montegiorgio: pugnali e spade con elsa terminante ad antenne, alcuni tipi di fibule, quali quelle a occhiali, a foglia (n°49515), a doppia foglia (n°55664),  ad arco semplice in cui sono infilati grani di vetro (n°55659); tipi speciali di anelli quale quello formato con asticella di bronzo rotonda sormontata da due teste di animali e con bottoni ai lati e alla base (n° 55656); e l’altro con decorazioni a guisa di mano (n°28626); i grandi cerchi piatti con costa nel mezzo, e taglienti ai margini (n°28653, 42590); le figurine di animali di bronzo: cavallo, pesce, uccello (n°28646, 28649, 28650); il tintinnabolo; la fusaiola d’ambra (n°49525); il grande e rozzo dolio ornato sotto il collo di quattro dischi piatti.

–       Belmonte: abbiamo in più, nei confronti di Montegiorgio, anzitutto tutti i vasi di bronzo di cui non c’è a Montegiorgio un solo esemplare; tutta la ceramica d’importazione e quasi tutta la ceramica locale che scarseggia a Montegiorgio. Tra le armi abbiamo in primo luogo i carri; poi i dischi in uso di corazza, le gambiere di bronzo, gli elmi di tutti gli altri tipi. Tra gli oggetti di ornamento tutte le splendide opere in avorio e in ambra, le magnifiche torques con estremità lavorate, il diadema, i fibuloni con ambra sull’arco e globetti di vetro, la rara fibula con tre volute sulla staffa innumerevoli pendagli, le conchiglie cypree ecc.

Concludendo, la suppellettile di Belmonte risulta molto più ricca e più varia di quella di Montegiorgio, ma fondamentalmente simile. Riteniamo dunque che la popolazione che abitò Montegiorgio fu coeva con quella di Belmonte; la sua razza fu identica, i riti e costumi non ebbero la minima differenza. Nelle espressioni dell’arte e della civiltà essa fu di carattere simile, ma giunse ad altezza minore, di modo che possiamo riconoscere in Belmonte (e non in Montegiorgio) sfarzo, lusso, sovrabbondanza e finezza di esecuzione. In generale, le uniche differenze che possiamo quindi notare fra le due necropoli sono: diversità di quantità negli oggetti rimastici con conseguente presenza nell’una di materiale assente nell’altra, superiorità di arte e cultura di Belmonte su Montegiorgio, superiorità attuatasi però con mezzi e per vie percorse da entrambe.

BELMONTE E FERMO

Fermo è situato a poche decine di chilometri di distanza da Belmonte, la quale appartiene al suo circondario. La necropoli che fu rinvenuta a Fermo nel 1908, in seguito ai regolari scavi, si distacca per molti elementi da quella di Belmonte e si riavvicina piuttosto a quelle felsinee del tipo di Villanova. Esaminiamo dapprima quei pochi elementi di somiglianza che esistono fra le due necropoli.

a) SOMIGLIANZE.

Anzitutto il rito del rannicchiamento del cadavere, che non è però mantenuto con la stessa scrupolosità: vediamo infatti che alcuni cadaveri sono stesi.

Tra gli oggetti rinvenuti le maggiori analogie si notano con gli oggetti d’ornamento. Eccone alcuni esempi:

Oggetti di ornamento. Abbiamo alcuni tipi di fibule simili a quelli di Belmonte: ad esempio le fibule ad arco semplice, le fibule coll’arco attraversato da un nocciolo d’ambra, le fibule serpeggianti di ferro, le fibule a navicella piena e vuota. Simili sono quei pendagli a tubetti spiraliformi desinenti in pometti, quei pendagli a lunghe frange di catenelle formate da doppi anellini di fili di bronzo.  Anche a Fermo sono state notate le  armille a grossa verga di bronzo, bracciali ritorti a spirale, anelli circolari da dita, ed in genere molti ornamenti tipicamente Piceni.

Tra gli utensili e gli oggetti da toeletta alcuni spiedi ed alcuni rasoi di bronzo assomigliano ad oggetti di Belmonte.

Tra le armi troviamo spade di una certa somiglianza con quelle di Belmonte, cioè a doppio taglio, una zappetta e quattro elmi a calotta emisferica del noto tipo Piceno.

Tra i vasi di bronzo classifichiamo simili alcune coppe, frammenti di cista e frammenti di una situla che, data l’arcaicità della necropoli, è strano vi si trovi.

Abbiamo veduto perciò che pochi sono gli oggetti ugualmente comuni a Fermo e a Belmonte; essi si riassumono negli oggetti più propriamente Piceni. Vediamo ora quali sono le differenze.

b) DIFFERENZE.

–   Fermo: Molti degli elementi caratteristici di Fermo non hanno alcuna traccia in Belmonte. Fra essi annoveriamo: un meraviglioso elmo crestato di bronzo, tipo arcaicissimo di elmo etrusco; un elmo conico italico. Tra gli oggetti d’ornamento sono caratteristici i cinturoni trovati in tombe femminili formati da lamina di bronzo a losanga con ornamento di borchiette di bronzo poste in tre file parallele orizzontali; alcune fibule a foglia; pendagli d’avorio con ornati incisi a cerchielli concentrici; conocchie di bronzo. Fra la suppellettile funebre è un grande vaso biconico del tipo di Villanova; un vaso di terracotta in forma di fiasco, forse un vaso-giocattolo. La parte più diversa da Belmonte costituita, insieme con gli elmi etruschi, da quattro olle biconiche grandi ornate da ornati geometrici graffiti e da borchiette di bronzo; interessante è un’urna di tipo villanoviano con ansa adorna di protomi di animale (Rellini, Il Museo delle origini e della tradizione, tav XI fg. b).

–       Belmonte: di fronte alla piccola quantità di oggetti che abbiamo riscontrato comuni alle due necropoli, sta il gran numero di oggetti appartenenti solo a Belmonte. Non è il caso di elencarli, solo nel ricorderemo alcuni: in primo luogo i carri da battaglia; poi i gambali, quasi tutti i vasi di bronzo così vari e numerosi; tutti i vasi d’importazione; gli oggetti caratteristici quali le doppie protomi bovine ed ovine, gli anelloni a quattro o a sei nodi, la fibula con tre volute sull’arco; le opere d’ambra e di avorio di stile orientalizzante; le artistiche torques, le collane, gli orecchini, il diadema, i pettorali ecc.

Possiamo dunque concludere che Belmonte di fronte a Fermo ha oggetti in netta superiorità: lo testimonia la sua suppellettile molto più ricca e sfarzosa. Le due necropoli hanno in comune solo gli oggetti di ornamento di tipo Piceno, ma sempre con una enorme differenza di qualità e di quantità. Per le influenze estranee, siamo agli antipodi: Fermo sembra aver subito l’influenza villanoviano-etrusca; Belmonte un’influenza greco-orientalizzante. Anche cronologicamente le due necropoli non sono coeve, dovendosi ammettere che Fermo, per i suoi elementi arcaici villanoviani sia incominciata verso il IX secolo.

BELMONTE E CUPRAMARITTIMA

Il vasto altopiano fra Grottammare e Cupramarittima è noto per esservisi trovati i resti di circa 400 tombe durante gli scavi sistematici del 1912. La necropoli Cuprense ha molti punti di contatto con quelle di Belmonte e di Montegiorgio, sì da pensare che le tre cittadine fossero abitate da popolazioni molto simili di gusti e di civiltà. Fra le tre eccelle Belmonte per ricchezza e sfarzosità di produzione.

a) SOMIGLIANZE.

I cadaveri furono anche qui deposti inumati sulla nuda terra in fosse rettangolari senza contorni o riconoscimenti di pietre. Come a Belmonte si nota una mescolanza di tombe ricche con tombe povere, denotando così un’assenza assoluta di classi sociali. Non si conosce una precisa orientazione degli scheletri. Esaminiamo gli oggetti simili.

1° – Oggetti d’ornamento.  Da notare l’identica predilezione per le guarnizioni metalliche delle vesti. Esse consistono, oltre che in borchiette e anelli e bottoni d’ambra, in dischetti di piombo a forma di rosetta e di croci gammate impresse a stampo.

Abbiamo fibule con nocciolo d’ambra sull’arco (Roma, n°88475), fibule a navicella con larga staffa (n°88375) , fibule ad arco girato in tondo di bronzo o di ferro (n°22863, 66, 88034, 88213), fibule a sanguisuga (n°22848, 22863), fibule ad arco serpeggiante (88035, 88259), fibule tipo Certosa con tre bottoni sull’arco (88372,88384, 88493). Sono anche qui caratteristici grandi anelloni a quattro o sei nodi ritrovati in tombe femminili. Abbiamo torques al tortiglione, torques filiformi con estremità piegate  a uncino, torques tubolari grosse desinenti in sfere piriformi; anelli semplici di bronzo a verga grossa o sottile, a uno o più giri di spirale, ad asta cilindrica o poligonale; armille di bronzo, di ferro, di verga sottile o massiccia, a volte chiusa con piccoli uncini a spirale (n°88450), a volte non chiusa; orecchini formati da dischi d’ambra infilati in cerchi a filo cilindrico di bronzo; bottoni concavo-convessi di bronzo. Ritroviamo a Cupramarittima le svariate forme di pendagli che già ammirammo in Belmonte: piramidi quadrangolari, asce, punte di lance e di frecce, conchiglie cypree vere o di bronzo, i piedi di capra con rivestimento metallico, pendagli a spirale semplice doppia (n° 88231, 22907), cilindrici (n°22907), conici, a bulle (88193,88008,88489), a globetti (n°22882), a verga,  a bastoncelli con nodi (n°22896), a oinochoe trilobate (n°88522, 88365, 88408), a batocchio, a denti di cinghiale rivestiti di filo metallico con le spirali innestate (n°88466,88175), d’osso forato o a forma di disco ( n°22731, 33743), pendagli a forma di quadrupede.

Le collane sono identiche a quelle di Belmonte, cioè formate di anelli di bronzo (n°22429, 22940), di grani di vetro (n°22964, 88050), di pasta vitrea (n°88054, 88457), di pendagli trapezoidali di ambra.

2° – Armi. Anche le armi hanno somiglianze notevoli. Dopo Belmonte, anche Cupramarittima ci ha fornito i resti di un carro da battaglia, consistenti nei cerchioni delle ruote e nei frammenti di mozzi di ferro. Abbiamo anche qui elmi a calotta emisferica di bronzo; gambali di bronzo; spade lunghe a doppio taglio di ferro (n°88253); coltelli di ferro (n°22286); aste di ferro (n°88347); mazze di bronzo e di ferro; piccole lance di bronzo e di ferro a foglia; spiedi di ferro; pugnali; morsi equini a forma semicircolare; asce a cannone, piatte ad alette di ferro; asce di bronzo con codolo quadrangolare (n°88100, 88089); rasoi di tipo lunato del sec. VII con manico piatto forato. Tra gli oggetti utili, abbiamo identici rocchetti fittili con un foro trasversale (n°88180, 88350) e fusaiole poliedriche con foro pervio (n°2284, 88357).

3° – Suppellettile funebre.  Consiste in svariato e copioso vasellame di terracotta ordinaria e di bucchero, e in vasi di bronzo. Le forme simili a quelle di Belmonte sono: situla lavorata esclusivamente alle lamine di bronzo battute a sbalzo con tecnica primitiva e locale; sei ciste di bronzo a cordoni con ornati a sbalzo; tripodi di bronzo con piedi piatti arcuati, olle biconiche dall’orlo molto evaso orizzontalmente; olle a corpo conico espanso con anse a bastoncelli; olle dal corpo uguale grande e gonfio; olle-boccali d’impasto rossiccio; skyphoi con solchi rilevati serpentini sotto l’orlo in forma di U rovesciato; nappi con due anse arcuate e profilo cilindrico con corpo gonfio; coppe senza piede, oppure con alto piede conico (n°22281, 22300); oinochoai trilobate con collo sottile e corpo gonfio, di tipo greco; vasi orcioli; tazzette di color nerastro con un fondo convesso e alti orli che si allargano a guisa di imbuto; vasi a guisa di tronco di cono con corto collo a imbuto e tre piccoli rilievi sotto l’orlo (22223, 22225); vasi greci d’importazione di tipo geometrico proto-corinzio e corinzio arcaico: oinochoe, crateri, coppe, ornati a strisce orizzontali nerastre e altri motivi geometrici; vasi messapici con anse a orecchie feline, orli imbutiformi e decorazione a zone dipinte in rosso-cupo.

b) DIFFERENZE.

–   Cupramarittima: un maggior numero di cadaveri distesi di quanti non ve ne fossero a Belmonte e la particolarità che alcuni di essi erano posti su uno strato di ghiaia fluviale anziché su una tavola di legno.

Tra gli oggetti abbiamo qualcosa di diverso: pendagli composti di piastrina orizzontale sormontata da doppie spirali dal cui margine inferiore pendono serie di pendaglietti vari (n°22901, 22902,22907); pendagli in forma di cavallucci, di pinze di gamberi, di ghiande (n°88470), di mano con linee orizzontali incise, di gesso attorcigliato in filo di bronzo a spirale (n°88210); pettorali formati da cerchi concentrici di verghe attraversate da quattro o più raggi, oppure da lastrine a protomi femminili schematiche dai cui bordi pendono bastoncelli terminanti in pendagli a batocchio; fibule a doppia spirale, fibule con anelli a saltaleone infilati nell’arco, fibule ad arco depresso, fibule a doppio arco; torques con le estremità trattenute da un anello e con cerchietti infilati nella verga; anelli digitali di bronzo con estremità spiraliformi; armille a quattro giri con pendaglietti a doppia spirale di bronzo; tintinnabolo; forcinelle di bronzo; accette di ferro; aghi crinali di bronzo con testa conica (n°22938); ciotole con anse cornute; askoi con anse cornute; vasi di fattura locale ornati di grossolane plastiche di uccelli o di felini; coperchi conici terminanti alla sommità in presa triforata (n°88148); aryballos a corpo sferico d’argilla chiara decorato a zone geometriche di color bruno; un enorme abbondanza di ceramica d’impasto grossolano; statuetta umana di bronzo con grande testa ed elmo crestato. Mancano anche qui a Cupramarittima corazze e scudi.

–       Belmonte: più cadaveri rannicchiati; un maggior numero di vasi di bronzo e un minor numero di vasi di terracotta d’aspetto rozzo; ambre e avori lavorati in stile orientalizzante; pendagli a doppie protomi bovine ed ovine; fibule ad arco di violino, a tre volute sulla staffa,  ad uccellini; catenine a doppi anellini di fili di bronzo; torques con estremità artisticamente lavorate; pettorali a forma diversa; diadema; gambali con raffigurazioni a sbalzo; elmi di tipi svariati; carri da battaglia in numero molto maggiore. Inoltre corazze e scudi. L’ornamentazione delle ciste differisce perché a Belmonte questa, oltre che essere dei punti a sbalzo, consiste in ornamenti zoomorfi di stile orientalizzante schematico

Come si vede, le minime differenze si limitano a variazioni di esemplari fondamentali; le somiglianze sono più che evidenti; ad essi dobbiamo aggiungere l’abbondanza d’ambra trovata in entrambe le necropoli, le medesime influenze orientalizzante palesatesi nelle ornamentazioni a sbalzo dei bronzi, la somiglianza della lingua usata che deduciamo dagli elementi che hanno in comune le iscrizioni delle due necropoli. Identica è la predilezione per gli ornamenti sfarzosi e metallici, identici i costumi, le occupazioni e lo spirito guerresco. Quindi possiamo dedurre che fra le necropoli Picene Cupramarittima è la necropoli che ha più somiglianza di materiale e di civiltà con la coeva Belmonte, e dalla quale è superata solo per lusso e per ricchezza.

BELMONTE E NOVILARA.

Dopo aver posto Belmonte nei confronti di altre necropoli del Piceno meridionale alcune delle quali a lei vicinissime, altre coeve, esaminiamo i rapporti che esistono tra Belmonte e la principale necropoli del Piceno settentrionale. Novilara (prov. Pesaro) fu scoperta dal Brizio nel 1892-93. Vi si rinvennero due necropoli, una più arcaica (Molaroni), l’altra più recente (Servici). Il Brizio stesso ce le ha descritte nella sua trattazione “La necropoli di Novilara”.   Novilara si stacca nettamente da Belmonte per la quasi totalità dei suoi oggetti, e vi si ricollega in pochi di essi.

a) SOMIGLIANZE.

Anche a Novilara predomina e il costume di seppellire il cadavere in posizione rannicchiata; le tombe sono a forma rettangolare.

1° – Armi. Hanno affinità con le armi di Belmonte: lance di ferro di bronzo a tipo triangolare o a foglia; aste di ferro; coltelli di ferro a lama ondulata e stretta; accette di ferro; spiedi a quadrello; elmi di bronzo a calotta emisferica; elmi con piccola falda; cuspidi di lancia; pugnali a lama triangolare; rasoi lunati di bronzo; è da notare anche a Novilara l’assenza di corazze e di scudi.

2° – Oggetti di ornamento. Hanno somiglianze con gli oggetti di Belmonte: fibula ad arco di violino (Molaroni); fibule con grosso nocciolo d’ambra nell’arco (Molaroni e Servici); fibule a navicella semplice (Molaroni), a navicella con ornamentazioni (Servici); fibule ad arco serpeggiante, fibule a sanguisuga; Orecchini a disco d’ambra forato (Molaroni e Servici); collane a grani d’ambra, di osso, di pasta vitrea in color giallo e turchino; armille a grossa verga cilindrica di bronzo ritorta a spirale; anelli di bronzo a saltaleone (Molaroni); bottoni e borchiette di bronzo; pettorali con frangia di catenelle; pendagli di bronzo ad anello tubolare pieno, a batocchio, in forma di conchiglie cypree, pendagli formati da denti di cinghiali avvolti da un filo di bronzo (Molaroni e Servici); netta-unghie e cura-orecchie con figurine femminili schematiche; balsamari; palettine; aghi; rocchetti cilindro-conici; fusaiole fittili.

3° – Suppellettile funebre. Sono simili a Belmonte: ciste di bronzo a cordoni (Servici); vasi sferici di bronzo con un piede conico; ornati di puntini a sbalzo. Fra la ceramica abbiamo: alcuni skyphoi (Molaroni) con ornati in rilievo a solchi serpentini; nappi con due manici (Servici e Molaroni); coppe con piede col corpo a tronco di cono; olle dal corpo sferico; olle biconiche col corpo rigonfio; ornate con puntini incisi formanti disegni geometrici; vasi dipinti messapo-apuli di terra giallognola o rosso-pallida con fasce e circoli e ornati geometrici dipinti a color scuro.

Ulteriore affinità è data dagli elementi che costituiscono le epigrafi della stele funerarie, ad esempio il segno diacritico formato da tre punti in linea verticale.

b) DIFFERENZE.

Se lievi sono le affinità fra le due necropoli, molteplici sono le differenze.

–   Novilara: troviamo a volte tombe scavate nello spazio di altre tombe; il fondo è spesso coperto di ghiaia marina, e le pareti della tomba come pure la terra che ricopre il cadavere sono mescolati a calce. Spesso a Servici il cadavere è in un’altra escavazione nel fondo stesso della tomba; a Molaroni si notano mutilazione e compenetrazione di scheletri. Sono presenti sepolcreti di famiglia, e piccoli cippi trapezoidali fissati al suolo a recingere e ad indicare le tombe. Abbiamo poi otto stele ornamentate, cioè con iscrizione ed elementi ornamentali geometrici e figurali. Nel 1892-93 furono scoperti i resti di fondi di capanne.

La suppellettile mostra il popolo Piceno già costituito nei suoi caratteri ma nella sua fase più arcaica.

1° – Armi. Utensili. Differiscono da Belmonte: spade curve; pugnali ricurvi; assi di ferro usati come armi; frecce di bronzo triangolare; aste e accette di ferro; umbone ellittico di scudo; elmi a cresta; coltello di bronzo al lama ricurva; pempobole; punteruoli di ferro; scalpelli e conocchie di bronzo.

2° – Oggetti di ornamento. Fibule a foglia con disco (Molaroni), a doppia spirale, a tre piccoli dischi, ad arco romboidale con cavità a losanga nella parte superiore (Servici); pettorali a cerchi concentrici; pettorali con piastra trapezoidale e teste di cigno e catenelle; pendagli ad occhiali, a rotelle, a idoletti; cinturoni a filo di maglia di bronzo formati di piccoli anelli tenuti insieme da fili tessili; collane composte di pendagli di lastrina d’osso e d’avorio; collane ad anelli di bronzo tenuti con lino; collane con laminette d’ambra; anelli di piombo; anelloni finissimi di bronzo; anelli concentrici; fascette a nastro; bottoni di terracotta (Servici); spiedi con capocchia spinata; spilloni con estremità rivolte a riccio; forcelle di verga di bronzo piegata; pinzette di bronzo.

3° – Suppellettile funebre. Vasi di bronzo diversi: coppe emisteriche con fregio di incisioni geometriche sull’orlo (Servici); bacinelle con orli evasi orizzontalmente ornati di borchie; kantharoi a due manici; incensiere di bronzo – sec. IX -; grandi piatti concavi fittamente disegnati. Ceramica diversa: askoi bassi con bocca tonda, gonfi e disadorni; ciotole quadrangolari con anse; vasi dal corpo ovale a tre colli cilindrici; vasi di terra nera lucente con fregi; vasi a forma di stivale (Servici); vasi a barchetta: gutti in forma di animale, esemplari molto rari.

Nell’insieme il materiale di Novilara, sia nella suppellettile domestica che nelle armi e negli ornamenti, dimostra quella certa sobrietà e semplicità proprie del gusto ellenico ben lontane dalle forme esagerate e stravaganti delle necropoli del Piceno meridionale e di Belmonte in particolare.

Novilara è il tipo esemplare del Piceno nord, il capostipite della gente Picena, essa è notevolmente anteriore a Belmonte e a tutte le altre necropoli del Piceno; considerando che in essa abbiamo solo pochi oggetti di ferro, la fibula ad arco di violino, incensieri e vasi di bronzo e nessuna fibula Certosa. Novilara è inclusa fra i secc. IX-VI.

Belmonte: mancano a Novilara: gambali di bronzo e i carri da battaglia; fra gli oggetti d’ornamento non ritroviamo lo sfarzo, la ricchezza e la appariscenza proprie di Belmonte. Mancano il diadema, i pettorali massicci, le torques, gli anelloni, le doppie protomi bovine ed ovine, gli avori e le ambre artisticamente lavorate in bassorilievo; mancano le fibule del tipo Certosa, la tipica fibula con tre volute sull’arco; i pendagli a oinochoai trilobate, a bulle, ad ascia, e nelle infinite varietà che abbiamo trovato: le catenine ad anellini di due o tre fili concentrici di bronzo. Anche nella suppellettile funebre: maggior quantità di vasi di bronzo tra cui tipi non veduti a Novilara (situle, patere, bacini, capeduncole, treppiedi, oinochoai, colatoi). Fra la ceramica manca a Novilara il bucchero nero-lucido di Belmonte; l’argilla chiara ornata a disegni geometrici; non vi sono le oinochoai trilobate, le kylikes grecizzanti; mancano del tutto i vasi greci d’importazione, e quindi manca a Novilara quell’influsso orientale che ha prodotto in Belmonte opere sì pregevoli.

Circa il materiale usato a Belmonte c’è più ferro e più ambra.

Dall’esame dei rispettivi materiali si deduce quindi una maggiore arcaicità e semplicità nella necropoli di Novilara rispetto a quella di Belmonte. Ciò è spiegato col fatto che la prima cessò di esistere quando la seconda era giunta al periodo del suo massimo fiore.

___***   Riepilogando la posizione di Belmonte rispetto ad altre necropoli preromane del Piceno, possiamo fare queste deduzioni. Belmonte presenta le maggiori analogie con Montegiorgio e con Cupramarittima a lei coeve; ma il suo corredo le supera in ricchezza. Ciò potrebbe dipendere dalla casualità degli scavi, ma può anche avere la sua ragione nella maggiore floridezza di un abitato rispetto a un altro.

Riguardo a Fermo le analogie sono minori essendo Fermo più arcaica ed avendo ricevuto differenti influenze esterne. Quindi tra le necropoli vicine (Montegiorgio nella sua stessa valle, Fermo nel suo circondario) e fra quelle coeve (Montegiorgio e Cupramarittima) del Piceno meridionale, Belmonte risulta in modo evidente essere la più ricca e le più avanzata in arte e in cultura.

Di fronte a Novilara, Belmonte ha minimi punti di contatto ed enormi differenze con essa, che testimoniano ancora una volta la diversità di civiltà esistente tra il Piceno a sud e quello a nord del Chienti. Possiamo dunque concludere che ciascuna delle due regioni Picene separate da questo fiume, Novilara e Belmonte rappresentano i centri principali e più tipici; e che le due necropoli, se si trovano in difformità circa i caratteri che le costituiscono, sono però sullo stesso piano come importanza storica, ed in modo ugualmente decisivo contribuiscono ad illuminarci sulla vita preistorica della gente Picena.

CONCLUSIONI < Raffronti con Alfedena abruzzese>

Non è possibile definire completamente gli usi, i costumi, l’età della gente di Belmonte, senza aver prima dato uno sguardo a quella popolazione confinante che visse nella zona aspra e impervia dell’Abruzzo montagnoso. Occorre chiarire quali rapporti siano esistiti fra la civiltà sabellica e la civiltà del Piceno meridionale, rappresentata da Belmonte.

La civiltà sabellica è rappresentata da Alfedena sul Sangro; esaminando il materiale trovato nel vasto sepolcreto presso la città, abbiamo l’impressione di trovarci a contatto con un popolo attaccato alle proprie tradizioni, popolo forte e fiero; in realtà la forza e la fierezza dei montanari guerrieri e pastori si rispecchiano nelle poderose cinta di mura poligonali, possenti nella loro durezza, che hanno un carattere di ostacolo, di impedimento ad eventuali invasori. In tutto ciò è la documentazione del selvaggio isolamento di questa aspra zona d’Italia: essa visse lontana dalle correnti acculturatrici che agivano maggiormente sulle coste marittime, e subì soltanto lievi influenze esterne.

Pure alcuni caratteri sembrano avvicinare gli abitanti di questa zona segregata a quelli di Belmonte e del Piceno meridionale in genere: identico il rito funebre, segno indubbio di fedeltà alle vetusta tradizioni che essi ebbero in comune. Anche il materiale presenta sensibili analogie, cioè quel materiale che è di sicura produzione locale, essendo in Alfedena quasi assente ogni influenza greca. Troviamo nelle due cittadine la stessa predilezione per tutti i ciondoli da attaccare alla persona, lo stesso sviluppo degli ornamenti di bronzo di dimensioni considerevoli, la stessa scarsezza di metalli preziosi. Spesso le forme degli ornamenti sono identiche: così accade per le torques. Ma notevoli sono le differenze, specie nella ceramica e nelle armi. Differenza di carattere generale senza dubbio quello di aspetto di rudezza e  semplicità che emana dalle tombe di Alfedena, al confronto dell’arte e della raffinatezza che gli oggetti più ricercati di Belmonte evocano. Pure la civiltà caratteristica di quel popolo fiero ed indomito è simile alla parte più semplice e più schiettamente indigena della civiltà del Piceno meridionale; e se riflettiamo che relativamente difficili dovettero essere gli scambi con una zona isolata tra i monti, non possiamo non pensare che le somiglianze che abbiamo riscontrato fossero dovute ad un punto etnico comune che si mantiene integro e severo nel Sannio, mentre raggiunge nel Piceno un elevato grado di raffinatezza e di arte avendo, per la posizione geografica, agio di gustare  e di apprezzare più progredite civiltà. La popolazione di Belmonte rimane definita nei suoi caratteri in rapporto alle popolazioni coeve e confinanti. Essa discende da un unico ceppo che si stanziò dai tempi anteriori nel Piceno e nel Sannio, e i cui caratteri fondamentali furono il rito funebre dell’inumazione e il carattere guerriero. Dal punto di vista archeologico: le tombe di Belmonte, per le forme della ceramica e per le suppellettili che le accompagnano, devono classificarsi insieme con le tombe di Montegiorgio e di Cupramarittima, e in genere con le tombe del Piceno meridionale, che rappresentano popolazioni della prima età del ferro a civiltà simile. Per certi aspetti particolari Belmonte si ricollega ad Alfedena, ma se ne distacca per la sua ricchezza e sfarzosità che non trova riscontro in Alfedena stessa. Per altri molteplici aspetti le tombe di Belmonte differiscono da quelle di Fermo e di Novilara più arcaiche, e da quelli di Numana, di Ancona e di Montefortino più recenti.  I fatti esposti provano che la necropoli in territorio belmontese appartiene cronologicamente al periodo dell’età del ferro che va dall’VIII al V secolo.

Nessun oggetto autorizzerebbe a far iniziare la datazione della necropoli prima del sec. VII se non avessimo quella fibula ad arco di violino che ha originato tante discussioni. Molti si trovano d’accordo nel non darle valore alcuno, e tra questi è il Dumitrescu che la considera trovata lì per caso e non attribuibile al sepolcreto. Non si può certo spostare l’inizio della necropoli molto indietro nel tempo perché mancano altri dati per farlo, e il solo in nostro possesso, proprio per la sua unicità, ci fa pensare che appartenesse ad una stazione o ad una tomba alquanto più antica delle più antiche tombe del sepolcreto. Tutt’al più si può fare iniziare verso il secolo VIII.

Per il VII secolo abbiamo molti elementi sicuri, quali ad esempio la ceramica protocorinzia, una certa somma di stoviglie dipinte a imitazione dei modelli greci con linee rosse su fondo chiaro, gli elmi corinzi e  un balsamario protocorinzio. Infiniti sono gli elementi che ci dimostrano come l’abitato rispettivo abbia avuto una vita più intensa nel secolo VI: in special modo i vasi di bucchero che, secondo quanto sostiene il Montelius , appaiono nel 5° periodo dell’età del ferro – quindi conformemente alla sua cronologia nel VII, e secondo la nostra cronologia nel VI secolo -; le fibule tipo Certosa e derivate, l’abbondanza del materiale di ferro in rapporto a quello di bronzo e altri elementi, fra i quali pure i vasi greci d’importazione. Poi ben altri vasi greci del secolo V dimostrano come la necropoli sia stata usata pure durante questo secolo. Secondo  il Dumitrescu e il Mac Iver non avremmo nessun elemento per tentare di fissare una datazione anche posteriore anche al sec. V:

Belmonte sarebbe dunque coeva di Montegiorgio, di Cupramarittima, di Offida, di Atri e di Spinetoli; sarebbe posteriore alla parte più antica del sepolcreto di Novilara, a Fermo e a Monte Giorgio: terminerebbe prima di Numana e di Ancona.

I corredi delle tombe di Belmonte, spiccano, come si disse, per la loro ricchezza e per la loro varietà; queste denotano una civiltà ben avanzata per quanto ancora amante delle forme fastose e pesanti barbare.

Accanto ai prodotti di sicura produzione locale figurano opere di diretta importazione dalla Grecia o di imitazione locale di tipi e di forme Greche; queste opere si distinguono dalle opere puramente Picene per una sobrietà ed una finezza estranee all’arte locale. L’influenza Greca sarebbe la sola ad essere penetrata in Belmonte, ed attesterebbe un intenso commercio esistente tra la popolazione del luogo e quella Greca.  Il commercio, sebbene scarso, sarebbe esistito anche con l’Apulia, senza però che ne venisse una benché minima influenza artistica e culturale. L’influenza etrusca non si noterebbe in nessuno degli oggetti.

La magnifica ricchezza e fioritura d’arte di Belmonte era certamente messa in rapporto con la posizione geografica della necropoli, trovandosi essa sul fianco di una collina presso la valle lunga e ampia che dagli ultimi declivi dell’Appennino si apre fino al mare; l’abitato dovette essere perciò il punto di partenza e di arrivo di coloro che risalivano o scendevano i monti, l’ultima zona di <relativa> pianura venendo dal mare; perciò fu certamente punto di traffico e di commercio. A ciò si aggiunge la vicinanza del fiume, che fu sempre ricercata dalle popolazioni arcaiche quale luogo di residenza.    Si ha pertanto un quadro di vita varia ed intensa di una delle genti le quali, sempre più accostandosi e fondendosi, davano gradatamente origine all’ethnos italico.

<Digitazione di Vesprini Albino>

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