SINODI E CONCILI PROVINCIALI DELLA CHIESA FERMANA. Studio di TASSI Emilio

SINODI E CONCILI PROVINCIALI NELLA CHIESA FERMANA Secc. XV – XX di Tassi Emilio

1 – IL SINODO. Il Papa Benedetto XIV definiva  il Sinodo diocesano: “La riunione dei sacerdoti e degli altri ecclesiastici, i quali sono obbligati ad intervenirvi, convocata dal Vescovo, nella quale si trattano e si deliberano le cose che riguardano la cura pastorale”. (1) Il Santo Padre Giovanni XXIII, nel 1959, ebbe a scrivere a proposito del Sinodo diocesano: “Il Sinodo  è la riunione del vescovo e dei suoi sacerdoti per studiare i problemi della vita spirituale dei fedeli, dare e restituire vigore alle leggi ecclesiastiche, finalmente estirpare gli abusi, promuovere la vita cristiana, favorire il culto divino e la pratica religiosa”; dopo averne data la definizione, il Papa precisa ancor meglio il suo pensiero aggiungendo: “Noi giudichiamo venuto il momento di studiare e di mettere in opera tutti i mezzi opportuni per realizzare quello che si è soliti di chiamare oggi: adattamento pastorale” . (2) Il nuovo Codice di Diritto canonico, precisando, approfondendo e aggiornando gli elementi giuridici e teologici contenuti nel vecchio codice pio-benedettino, propone la seguente definizione: “Synodus dioecesana est coetus delectorum sacerdotum aliorumque Christifidelium Ecclesiae particularis, qui in bonum totius commutatis dioecesanae Episcopo dioecesano adjutricem operam praestant, ad norman canonum qui sequuntur”. (3) (Il sinodo diocesano è l’assemblea delle persone scelte, sacerdoti e altri fedeli, della Chiesa particolare, i quali, in ordine al bene di tutta la comunità diocesana, prestano aiuto al vescovo diocesano. La normativa è espressa dai canoni).

Pur non avendo lo scopo di affrontare e di approfondire gli aspetti giuridici e teologici della questione, non possiamo dispensarci dal sottolineare alcuni aspetti interessanti: ad esempio il fatto che il nuovo Codice prevede la partecipazione all’assemblea sinodale di laici designati dal Consiglio pastorale diocesano, nonché la partecipazione di altri laici invitati “motu proprio” (di propria iniziativa) dal Vescovo. Inoltre viene contemplata l’eventualità che vengano invitati, in qualità di osservatori, “ministri o membri di Chiese o comunità ecclesiali che non sono nella piena comunione con la Chiesa cattolica” (cfr. can 463, parr. 1,2,3). Il testo legislativo sottolinea inoltre, accanto alla piena ed unica autorità legislativa del Vescovo, anche l’esigenza che vengano rispettate la comunione e l’unità con gli altri vescovi della Regione conciliare e con quelli della intera Nazione; il can. 467, infatti, impone al Vescovo l’obbligo di comunicare i decreti e le dichiarazioni approvate sia al metropolita che alla Conferenza episcopale nazionale. Anche nell’elencare coloro che hanno il diritto-dovere di partecipare al Sinodo, il nuovo Codice mostra di seguire un criterio squisitamente pastorale, in quanto esso nomina, oltre alle personalità previste dal vecchio testo, anche il vescovo ausiliare, il vicario giudiziale, i vicari episcopali e i membri del Consiglio presbiterale. Nella prassi della Chiesa in tutta la legislazione canonica l’aspetto emergente è che, nel Sinodo diocesano, unico legislatore è il vescovo; a tutti gli altri convenuti, sia ecclesiastici sia laici, non compete alcun voto deliberativo. Essi possono e debbono intervenire nella discussione sui vari progetti di deliberazione preparati dal Vescovo o dalla Commissione preparatoria e possono e debbono esporre liberamente il loro parere. Resta però sempre vero che tutte le loro osservazioni e proposte hanno soltanto un valore consultivo.

Altro punto da sottolineare accuratamente, in rapporto all’evoluzione della nozione di Sinodo, è che, con l’andar del tempo, le norme canoniche che lo regolano tendono sempre di più a considerare e a prendere in esame gli aspetti pastorali della vita diocesana e mettono in secondo ordine quelli puramente disciplinari. Basta infatti confrontare i canoni del codice pio-benedettino con quelli del nuovo codice del 1983, per accorgersi che in quest’ultimo emerge una preoccupazione più squisitamente pastorale. Quanto ai temi da trattare nel Sinodo, sia il vecchio sia il nuovo codice si mantengono sulle generali; il primo infatti dice: “in qua de iis tantum agendum quae ad particulares cleri populique diocesis necessitates vel utilitates refereruntur” (trattare soltanto delle cose che si riferiscono alle necessità e utilità particolari del clero e del popolo della diocesi-cfr. can. 356 par. 1); il secondo fa genericamente riferimento “al bene di tutta la comunità diocesana” (cfr. can. 460). Su questo argomento credo, però, che valga la prassi consolidata nella tradizione della Chiesa: (a)- in materia di fede il Vescovo, come dice lo stesso termine, che indica appunto la sua funzione di “sorvegliante”, ha il dovere di curare la tutela della purezza della fede cattolica; (b)- in materia di disciplina e di governo pastorale, nel legittimo esercizio del suo potere, il Vescovo può legiferare, nei limiti della necessità e della convenienza, tutto ciò che è “iuxta vel praeter jus commune” (secondo il diritto comune o anche fuori di esso), adattando alle circostanze particolari le norme canoniche e dettando disposizioni idonee al bene della comunità diocesana in quelle materie nelle quali le norme generali lasciano spazio alla giurisdizione episcopale. Ora in questo settore, e considerando l’impostazione del nuovo Codice, l’ambito decisionale del Sinodo appare molto ampio.

2 – IL SINODO NELLLA STORIA.  Anticamente si distinguevano due tipi di Sinodo: il Sinodo regio e quello ecclesiastico; il primo era quello che, nel periodo costantiniano ed in quello carolingio, era composto da vescovi e da personalità politiche, e veniva convocato dagli Imperatori o dai Sovrani per occuparsi tanto d’affari temporali che delle questioni religiose; il secondo, invece, nella stessa epoca, veniva convocato dal Vescovo ed era composto solo da ecclesiastici e si occupava solo di questioni riguardanti la vita e la disciplina ecclesiastica. S. Agostino parla di tre tipi di Sinodo: universale, regionale e provinciale. A questi tre tipi di assemblea si è aggiunto, nel corso del IV secolo, il vero e proprio Sinodo diocesano, convocato dal Vescovo e composto da sacerdoti e chierici riuniti attorno a lui.

Nel corso dello stesso IV secolo risultano vari Sinodi romani convocati: da Giulio I nel 340 con la partecipazione di 50 vescovi; da Damaso nel 372 con 93 vescovi; da Siricio nel 386 con 80 vescovi. Abbiamo notizie anche di altri Sinodi tenuti in altre città episcopali: a Milano ne fu celebrato uno nel 355 e a Rimini nel 359. (4) In Francia il più antico Sinodo di cui si ha notizia è quello che si tenne ad Auxerre nel 578. Compito di tali riunioni sinodali, nei tempi più remoti, fu quello di chiamare i sacerdoti in cura d’anime a render conto della loro amministrazione, specialmente per quello che riguarda l’amministrazione dei Sacramenti. (5) Altre volte l’assemblea sinodale era anche utilizzata come un’occasione per effettuare la promulgazione delle decisioni prese nei Concili provinciali. Da ciò si può arguire che questo Sinodo avesse una scadenza annuale, al pari di quello Provinciale. Altre volte esso fungeva da tribunale per i reati più gravi degli ecclesiastici oppure rappresentava l’occasione per il Vescovo di raccogliere il sussidio sinodatico o cattedratico.

Fu nel 1215, nel IV Concilio Lateranense, che venne fissato una scadenza annuale per la celebrazione del Sinodo diocesano; i vescovi che omettessero di ottemperare a tale disposizione, si vedrebbero privati del loro ufficio e del loro beneficio. Gregorio XI nel 1374 emanò un’ordinanza con la quale egli assegna all’assemblea sinodale l’ufficio di rilevare le colpe relativi alla disciplina ecclesiastica che poi sarebbero dovute essere segnalate al Concilio provinciale nel quale sarebbero state prese le misure di correzione. Il Concilio di Basilea (1431-1443) adottò delle decisioni più precise sia per quanto riguarda la scadenza annuale che per le materie da trattare nelle assemblee: vi si dovranno leggere gli statuti approvati dal Concilio provinciale e le disposizioni emanate nei Sinodi precedenti e specialmente vi si dovranno giudicare i crimini più gravi come i delitti di simonia, di usura, di concubinato, di alienazione dei beni della Chiesa e di violazione della clausura.

Il Concilio di Trento, nella sessione XXIV, cap. 2, dedica una particolare attenzione alla celebrazione del Sinodo diocesano: ne fissa in modo stretto la periodicità annuale, stabilisce pene canoniche per i vescovi inadempienti e fa obbligo ai parroci secolari e regolari ad intervenirvi. Lo stesso Concilio amplia la competenza del Sinodo diocesano, prescrivendo l’obbligo per i partecipanti di emettere la professione di fede, dando anche all’assemblea il potere di procedere alla riduzione degli obblighi di messe, assegnando inoltre il compito di designare i giudici sinodali e di approvare gli esaminatori sinodali, proposti dal Vescovo per valutare le prove di concorso all’ufficio di parroco. Le disposizioni del Concilio di Trento determinarono un risveglio dei sinodi diocesani, almeno in alcune regioni nelle quali essi furono utilizzati per fare entrare nella pratica le riforme tridentine.

Sono rimasti giustamente celebri gli undici Sinodi celebrati a Milano da S. Carlo Borromeo durante l’ultimo periodo del suo governo episcopale. A Ginevra S. Francesco di Sales tenne ben tredici sinodi diocesani negli anni che vanno dal 1603 al 1614. Solo alla fine del secolo XVIII contro le dottrine sostenute nel Sinodo di Pistoia, convocato dal vescovo Simone de’ Ricci nel 1786, i Sinodi diocesani subirono un drastico rallentamento. In Francia dal 1789 al 1802 non vennero celebrati Sinodi e, dopo il Concordato del 1801, per convocare l’assemblea sinodale il Vescovo doveva ottenere l’autorizzazione governativa. Durante il Concilio Vaticano I era stato preparato uno schema sulla celebrazione dei Sinodi diocesani, in esso si fissava una periodicità triennale, ma la sospensione dell’assemblea conciliare impedì l’approvazione del decreto.

Le celebrazioni sinodali, al suono delle campane della città dove si svolge, risultano regolate dal capitolo XXXI del Cerimoniale dei Vescovi e dell’Ordo ad Synodum (Disposizioni in ordine al sinodo) contenuto nella III parte del Pontificale Romanum. Sono previste preghiere particolari e canti per ognuno dei tre giorni destinati alle sessioni sinodali.

3 – I SINODI DELLA CHIESA FERMANA

La Chiesa di Fermo conta una lunga serie di Sinodi diocesani; di molti di essi si conservano gli atti nell’archivio storico diocesano, di altri, invece, si ha notizia o perché esistono le lettere di convocazione o perché se ne conservano i verbali sommari nei più antichi registri di cancelleria intitolati Collationes (conferimento di nomine di rettoria beneficiale). Pensiamo di fare cose utile e gradita di fornire l’elenco delle assemblee sinodali celebrate a Fermo e delle quali esiste traccia nei documenti d’archivio; è altresì nostra intenzione illustrare brevemente i più significativi sinodi, quelli cioè che hanno lasciato una traccia notevole nella storia della Chiesa fermana. La serie si apre nel 1412 con il Sinodo convocato il celebrato dall’anti-vescovo Giovanni de Firmonibus; tuttavia non si può dire con certezza che esso sia stato in assoluto il primo Sinodo diocesano; è il primo di cui si possiede una sicura testimonianza documentaria. Bisogna infatti tenere presente che, nel corso dei secoli, la città di Fermo e i suoi archivi subirono vari incendi e devastazioni dei quali si ha notizia dai vari cronisti fermani come Anton di Nicolò e l’Adami, e dei quali parlano anche storici come il Porti e il Trebbi. (6)

-1 – Come abbiamo detto sopra, il primo Sinodo fermano di cui si ha la testimonianza documentaria, fu indetto dall’anti-vescovo Giovanni de Firmonibus che entrò al tempo del vescovo Giovanni De Bertoldis nella diocesi Fermana dal 1412. Possediamo la lettera di convocazione di questa assemblea dell’autunno del 1412. Fu spedita nelle varie località della diocesi a mezzo di inviati speciali una lettera circolare. Tali documenti sono registrati in un libro delle Collationes che porta la segnatura I-B-1, c.113 passim.

-2 – Il secondo Sinodo reca la data 1450; convocato da card. Domenico Capranica, amministratore perpetuo della diocesi Fermana.(7) L’assemblea fu presieduta dal Vicario generale e il Vescovo ausiliare, il domenicano fra Giovanni Battista da Fermo. Di esso non esistono in archivio documenti che ne riportino gli atti; il Catalani, però, ne riporta il Proemio  a pag. 385 n.100 del De Ecclesia Firmana e afferma che gli atti, intitolati Manipulus Episcopalis (manuale episcopale) di carte 194, si conservano in un codice della Biblioteca del monastero di S. Salvatore di Bologna, cod. 382, attualmente custodito nella Biblioteca dell’Università di Bologna e ne esiste una copia nell’archivio dell’almo Collegio Capranica a Roma.

-3 – Del Sinodo celebrato dal card. Angelo Capranica, anch’egli amministratore della diocesi dal 1473 al 1474, esistono in archivio arcivescovile gli atti originali in un codice pergamenaceo che reca la segnatura III-B-1. L’assemblea si tenne nella cattedrale nel 1473 e venne presieduta dallo stesso card. Capranica.

-4 – Dopo quasi un secolo, il 12 luglio del 1564, appena concluso il Concilio di Trento, il Vescovo mons. Lorenzo Lenzi (1544-1571) convocò un’assise sinodale nella cattedrale con lo scopo dichiarato nello stesso decreto di convocazione, rogato dal notaio Prisco Guglielmuzio, di pubblicare e portare a conoscenza del clero diocesano i decreti approvati dal Concilio di Trento. Il Sinodo viene presieduto dal vicario generale il quale, dopo il discorso di inaugurazione dedicato “in laudem Oecumenici Concilii Tridentini” (a lode del concilio ecumenico Tridentino) , ordina che si dia lettura dei principali documenti conciliari; la lettura occupa tutto lo spazio del Sinodo e solo alla fine viene comunicato che in una prossima assise sinodale verrà affrontato il problema della istituzione del Seminario. Il verbale che illustra lo svolgimento dell’assemblea e i temi affrontati è contenuto nel registro delle Collationes segnato con la sigla I-C-13, c. 70 segg.

-5 – Il secondo Sinodo di mons. Lenzi viene celebrato nel 1567; è presieduto personalmente dallo stesso vescovo con un unico argomento all’ordine del giorno: l’istituzione del Seminario vescovile. Di tale Sinodo esiste il processo verbale contenuto nel Liber Collationum segnato con la sigla I-C-14, c. 129 segg.

-6 – Il card. Domenico Pinelli, successe nella Cattedra Fermana al card. Felice Peretti e resse la diocesi dal 1577 al 1584, non celebrò alcun Sinodo diocesano, ma in compenso pubblicò una serie di avvertimenti e di decreti extrasinodali di grandissimo interesse poiché evidentemente raccolse e ordinò le varie disposizioni emanate nei Sinodi precedenti in una specie di direttorio pastorale ad uso del clero in cura d’anime. Sulla scorta di tale interessante documento si può fare un bilancio di come sono stati in pratica attuati i dettami del concilio Tridentino. Il volumetto stampato è conservato in archivio con la segnatura III-B-10.

-7, 8, 9, 10, 11, 12, 13 , 14, 15 ,16, 17 – Al card. Domenico Pinelli successe il bolognese mons. Sigismondo Zanettini, che il resse la Chiesa fermana dal 1584 al 1594; e durante il suo episcopato la sede vescovile Fermana fu elevata dal Papa Sisto V a sede metropolitana. Nei dieci anni del suo ministero episcopale egli indisse e celebrò ben dieci Sinodi e un Concilio provinciale. Le date delle assemblee sinodali sono le seguenti: 1 ottobre 1586; 15 novembre 1587; 10 giugno 1588; 25 maggio 1589; 26 settembre 1590; 24 ottobre 1591; 26 ottobre 1592; 1 ottobre 1593; 1 giugno 1594; 12 settembre 1594 (tale riunione è celebrata in assenza dell’Arcivescovo, gravemente ammalato, probabilmente al fine di dare l’estremo saluto al Presule). Il Concilio provinciale, invece, venne celebrato nel 1591 e vi parteciparono tre dei quattro vescovi suffraganei: quelli di Montalto, di Macerata e Tolentino e di S. Severino, mentre fu assente quello di Ripatransone. (8)

-18, 19 – Il card. Ottavio Bandini, che fu arcivescovo dal 1595 al 1606, ordinò la celebrazione di ben otto Sinodi, presieduti la più parte dal Vicario generale. Le date sono le seguenti: -20 novembre 1595, presieduto dal cardinale in persona; di esso abbiamo solo il verbale di apertura e l’elenco dei partecipanti; -13 novembre 1596, anche questo presieduto da Bandini, che però proprio in questo anno sarebbe partito da Fermo, restandone, pressoché costantemente, lontano. Di esso abbiamo il discorso di apertura e  nove decreti, uno dei quali divide il territorio della diocesi in tre zone: marina, mezzina(fascia intermedia), montana. -13 maggio 1598, preceduto dal vicario generale mons. Bormio, e sarà chiamato a dirigere tutti gli altri. -13 giugno 1600. -Luglio 1602. -21 maggio 1603. -1 maggio 1604. -1 giugno 1605. In tutti vengono affrontati i problemi contingenti di carattere disciplinare con l’emanazione di decreti tesi a  sradicare abusi nella condotta del clero e del popolo. (9)

-20, 21 – Mons. Alessandro Strozzi, arcivescovo dal 1606 al 1621, nipote di Bandini, ordinò la celebrazione del due Sinodi rispettivamente nel 1608 e nel 1615. (10) anche in essi vengono affrontati temi di disciplina del clero; vi si incontrano anche disposizioni riguardanti la proibizione delle rappresentazioni “sacre” nelle chiese.

22 – Il successore sulla Cattedra Fermana mons. Pietro Dini, anche lui nipote del card. Bandini, resse la diocesi dal 1621 al 1625; durante il suo governo pastorale celebrò un solo Sinodo nei giorni 10 e 11 giugno 1624. (11)

-23, 24 – Due furono le assemblee sinodali celebrate da mons. Giovanni Battista Rinuccini (1625-1653); la prima nei giorni 4 e 5 giugno 1628 (12); la seconda tra il 15 e il 16 giugno 1650 (13). Come si può notare, la scadenza dei Sinodi si è molto diradata. Se per mons. Rinuccini si può trovare una ragione plausibile nel fatto che egli fu lungamente utilizzato dalla Santa sede come Nunzio in Irlanda.

-25 – Nel 1654 fu nominato arcivescovo di Fermo il card. Carlo Gualtieri, che restò nella sede Fermana fino al 1668, anno nel quale, per una grave malattia, dovette abdicare per ritirarsi a Roma, dove morì nel 1673. Egli, nel periodo in cui fu arcivescovo della nostra città, celebrò un Sinodo nel 1660 le cui costituzioni sono riportati in un volume recante la segnatura III-B-5.

26 – A Carlo successe sulla Cattedra Fermana il nipote mons. Giannotto Gualtieri che fu a Fermo fino al 1683. Tenne un Sinodo dal 26 al 28 settembre 1678. Gli atti di tale assemblea sono riportati in un registro segnato III-B-8. (14) i successori di Giannotto, card. Francesco Ginetti (1694-1691), card. Baldassarre Cenci (1667-1709) e mons. Girolamo Mattei (1712-1724), non ci risulta che abbiano tenuto Sinodi diocesani; essi si limitarono a richiamare a confermare le disposizioni emanate nei due Sinodi dei Gualtieri.

-27, 28, 29, 30 – Nel 1724 venne trasferito alla sede arcivescovile di Fermo mons. Alessandro Borgia, fino a quell’anno vescovo di Nocera Umbra. Egli pontificò fino al 1764, svolgendo un’incisiva azione culturale e pastorale in ogni settore della vita della diocesi. Nel 1726 convocò un concilio provinciale a cui parteciparono tutti i Vescovi suffraganei; negli anni successivi tenne tre importanti Sinodi diocesani: il primo nel 1728, il secondo 10 anni dopo, nel 1738 e l’ultimo nel 1752. Di tutte queste assemblee si conservano, oltre agli atti manoscritti, anche le edizioni a stampa. (15)

-31 – Il card. Urbano Paracciani, che governò la Chiesa fermana dal 1764 al 1777, celebrò il suo Sinodo nel 1773. (16)

-32 – Allo scadere del secolo, poco tempo prima della venuta delle truppe francesi, mons. Andrea Minucci (1779-1803), che era stato trasferito a Fermo dalla diocesi di Rimini, celebrò un nuovo Sinodo che si tenne, nei giorni 15-17 settembre 1794, nella Chiesa Metropolitana che era stata, in quegli anni, completamente ristrutturata, abbattendo la maggior parte della vecchia struttura gotica, per sostituirla con una struttura architettonica di gusto neoclassico. (17)

-33 – Le confuse e convulse vicende che si susseguirono durante la dominazione napoleonica, durante la quale l’arcivescovo card. Cesare Brancadoro fu tenuto lontano dalla diocesi dal 1808 al 1815 (deportato in Francia per la sua fedeltà al Papa), non consentirono a lui di tenere il Sinodo che pure aveva intenzione di celebrare dopo la visita compiuta alla diocesi, anzi egli non potete neppure completare la Visita pastorale. Il Brancadoro resse la Chiesa fermana per 35 anni, dal 1803 al 1838. Un nuovo Sinodo, invece, fu indetto e tenuto da Filippo De Angelis(1842-1877) nei giorni 8,9 e 10 settembre del 1845. (18)

-34 – Dai canonici Trebbi e Filoni sappiamo che il successore del De Angelis, card. Amilcare Malagola, aveva l’intenzione di indire un Sinodo diocesano a conclusione della Visita pastorale da lui iniziata nel 1887. Tuttavia tale assemblea non venne mai indetta. Solo nel 1900 mons. Carlo Papiri, che del Malagola era stato stretto collaboratore, indisse un nuovo Sinodo e fu anche l’ultimo celebrato nella chiesa fermana. (19)

-35, 36 – Nella prima metà del Novecento, se non si sono celebrati altre riunioni sinodali, sono stati però indetti e si sono svolti a Loreto due Concili plenari piceni: il primo nel 1929, presieduto dal card. Sbarretti, Prefetto della sacra congregazione del Concilio; il secondo nel 1954, presieduto dall’arcivescovo di Fermo, il compianto mons. Norberto Perini.

Riassumendo , a partire dal 1412, possiamo documentare la celebrazione di 36 Sinodi diocesani della Chiesa fermana, di due Concili provinciali della metropolia di Fermo e due Concili plenari che hanno raccolto i Vescovi marchigiani i quali, seppure non celebrati a Fermo, completano il quadro della tradizione sinodale nella nostra chiesa particolare.

Esaminando l’elenco sopra riportato, possiamo avanzare alcune considerazioni per cogliere interessanti linee di tendenza: (a)-nel corso del sec. XV si registra la celebrazione tre soli Sinodi diocesani. Forse ce ne furono altri, ma essi non sono archivisticamente documentabili. (b)-subito dopo la conclusione del Concilio di Trento e tra il 1564-1567 incontriamo due Sinodi dedicati in modo specifico all’attuazione delle deliberazioni dello stesso grande Concilio. (c)- tra il 1580 il 1610 le celebrazioni dei Sinodi si infittiscono tanto da assumere una scadenza quasi annuale. (d)- dal secondo decennio del sec. XVII fino alla metà del successivo le assemblee sinodali si diradano e, facendo una media matematica, si può affermare che la scadenza diventa di venti anni.

e)- a seguito del Sinodo di Pistoia, celebrato nel 1786 da mons. Scipione de’ Ricci e in conseguenza della condanna pronunciata da Pio VI con la costituzione apostolica “Auctorem fidei” del 1794, la serie dei Sinodi si interrompe. Infatti, dopo il Sinodo di monsignor Minucci, nel corso di oltre cento anni, nella chiesa fermana sono state celebrate soltanto tre assemblee sinodali.

4 – I   SINODI   FERMANI   PIU ‘   SIGNIFICATIVI. Crediamo opportuno ed utile proporre una serie di brevi considerazioni per sottolineare i sinodi più significativi celebrati, nel corso di cinque secoli, nella Chiesa Fermana.

-A- Sinodo del 1412. Ci sia consentito di aprire il discorso proponendo alcune osservazioni sulla riunione sinodale celebrata nel 1412 dall’anti-vescovo Giovanni de Firmonibus. (20)  Di essa, come abbiamo rilevato sopra, possediamo soltanto la lettera di convocazione e le comunicazioni circolari inviate ai sacerdoti dei vari paesi della diocesi. Da tale documento si possono capire le finalità che hanno spinto il vescovo Giovanni ad indire l’assemblea. Si evidenzia innanzitutto un motivo contingente che costituisce anche il punto centrale della discussione: si tratta dell’imposizione di un obolo straordinario, un sussidio caritativo “una tantum” destinato a sostenere il comune servizio apostolico del Papa. Ma accanto a tale questione, il vescovo tratta altre questioni riguardanti la vita religiosa dei fedeli e la disciplina del clero, onde contribuire a promuovere il culto divino e la pratica cristiana. (21)

-B- Sinodo del 1450.  Nella storia della Chiesa Fermana colui che ha fissato norme precise per la celebrazione dei Sinodi, si può considerare il card. Domenico Capranica. Nel 1450 egli fa pubblicare le costituzioni sinodali Fermane alle quali dà il titolo di “Manipulus episcopalis” (manuale del vescovo); l’opera è destinata a divenire un vero e proprio manuale per il governo pastorale della diocesi e delle parrocchie e una guida per la celebrazione dei Sinodi. Il Catalani ne pubblica il proemio proprio perché in esso il Capranica dichiara gli scopi che intende raggiungere, raccomandando al vescovo ausiliare, il domenicano Giovanni Battista Antonucci, e al Vicario generale Gabriele da Camerino, priore di S. Severino, di curare l’esatta osservanza delle norme contenute nel testo. (22) Il documento rileva, in modo evidente, l’acuta sensibilità pastorale del Capranica. Egli individua infatti le radici scritturistiche che stanno alla base della celebrazione di ogni Sinodo, riferendosi al comando di Gesù rivolto a Pietro in relazione al governo del Suo gregge e collegandosi alla secolare prassi della Chiesa. La preoccupazione pastorale del Capranica si estende a tre settori, che in seguito diventeranno normali: quello della difesa della dottrina cattolica, quello della promozione della vita cristiana del popolo ed infine il tema della disciplina ecclesiastica e della correzione degli abusi che si notano nella condotta morale del clero e del popolo.

-C- Sinodo di Angelo Capranica. Il primo Sinodo Fermano, del quale si conservano gli atti originali in un codice pergamenaceo, è quello che venne celebrato nel 1473 dal card. Angelo Capranica, fratello minore di Domenico. Scorrendo le rubriche del testo, si ha la netta impressione che egli abbia voluto seguire fedelmente la traccia fissata dal fratello nel “Manipulus episcopalis” (manuale del vescovo); infatti l’ordine delle materie trattate rispecchia il proemio del “Manipulus”. Nella prima parte vengono affrontate le questioni che si riferiscono alla fede cattolica: “Incipit prima pars constitutionum praedictarum et primo de fide et de his quae sunt necessaria ad salutem”(inizia la prima parte  delle dette costituzioni, anzitutto sulla fede e su quanto necessario alla salvezza). Nella seconda parte vengono trattati gli argomenti di carattere processuale: “Incipit pars secunda super civilibus et qualiter in contumacia alicuius procedatur”(inizia la seconda parte sopra i processi civili e su come procedere in caso di contumacia di qualcuno). Nella terza sezione si tratta della disciplina del clero: ”Incipit tertia pars de his quae debent facere clerici et de vita et honestate ipsorum” (inizia sul terza parte sui doveri del clero e sulla vita onesta sacerdotale). La quarta sezione dedicata alle norme penali: “Incipit quarta pars de malefitiis et poenis et primo de modo procedendi super malefitiis”(inizia la quarta parte sulle malefatte e sulle pene, anzitutto sul modo di procedere contro i malefici). La quinta parte, infine, tratta dei testamenti.

-D- Sinodi attuativi del Concilio tridentino. Particolare interesse suscitano nello storico i due Sinodi celebrati da mons. Lenzi a ridosso della chiusura del Concilio di Trento, rispettivamente nel 1564 e nel 1567. Il primo interessa perché è finalizzato esplicitamente per l’attuazione in diocesi dei decreti del Tridentino; il secondo perché dedicato all’istituzione del Seminario diocesano. Il 12 luglio 1564, sotto la presidenza del Vicario generale di mons. Lenzi, si riuniscono in Sinodo 125 sacerdoti della diocesi. Il presidente pronuncia l’orazione introduttiva “in laudem Oecumenici Concili tridentini”; si dà poi l’avvio alla lettura pubblica dei principali canone del Concilio, cominciando dal cap. 2 della sessione XXV, in cui viene stabilito che in ogni Sinodo diocesano vengano lette ed accettate “ea omnia et singula quae  ab hac sancta Synodo definita et statuta sunt” (tutte e singole le cose che sono state definite e stabilito da questo sacro Sinodo). Il notaio prosegue la lettura dei testi relativi ai seguenti punti: la residenza dei parroci; la tenuta dei registri parrocchiali; la celebrazione della messa; le disposizioni “de rebus ecclesiasticis non aliendandis” (sul dovere di non dare ad altri le cose ecclesiastiche); l’obbligo per i beneficiati maggiori di ricevere gli ordini sacri; la proibizione della “cumulatio beneficiorum” (Cumulo di benedici). Espletata la lettura del testo, vengono emanati una serie di decreti riguardanti il comportamento morale del clero, l’obbligo di indossare la veste talare, la proibizione di esercitare i “negozi secolari”, i giochi, le rappresentazioni pubbliche e i balli. L’assemblea passa poi alla designazione dei giudici delegati e degli esaminatori del clero per la promozione agli ordini sacri e il conseguimento dei benefici ecclesiastici. Da ultimo il Vicario propone di affrontare il problema dell’istituzione del Seminario diocesano; i presenti, però, chiedono che l’argomento venga rimandato all’esame di un prossimo Sinodo. (23) Tre anni più tardi, il 17 giugno 1567, viene convocato un nuovo Sinodo, questa volta sotto la presidenza di mons. Lenzi, vi partecipano 178 sacerdoti. Dopo il discorso introduttivo, in cui il vescovo illustra l’ordine del giorno, il priore del convento di S. Domenico tiene il discorso ufficiale sull’importanza del Sinodo nella vita della diocesi. Espletate queste prime formalità, la seduta viene sospesa per dar modo ai partecipanti di consumare il pranzo; anzi il vescovo invita tutti alla sua mensa: “addens ut si quis veliet (sic) venire ad comedendum cum Dominatione sua Rev.ma, eum libenti animo et hilari fronte recipiet”(dicendo che se qualcuno volesse venire a mangiare con sua signoria rev.ma, lui lo accoglierà con fronte serena e di buon animo ). (24) Alla ripresa pomeridiana, il notaio legge numerosi decreti sulla vita e l’onestà dei chierici (25). Conclusa la parte normativa, il vescovo introduce l’argomento dell’istituzione del Seminario:  “Tunc idem rev.mus Dominus Episcopus omnes eleganti colloquio cohortatus fuit ad utilissimum et sanctum opus Seminarii, quo facile doctis et fidelibus personis Ecclesiae Dei et dioecesis universa replebuntur, constructionem et subventionem et contribuire sponte et liberali animo vellent”(Il rev.mo vescovo parlando in modo elegante esortò tutti all’opera utilissima e santa del seminario per mezzo del quale l’intera diocesi sarà piena di persone dotte e fedeli alla Chiesa di Dio e che volessero contribuire spontaneamente con animo generoso a costruirlo e sovvenzionarlo). (26) La discussione evidenzia l’accordo unanime dei partecipanti: “omnesque astantes per verbum placet convenerunt seminarium fieri et approbaverunt dicti Seminarii aedificationem offerente propterea se contribuire iuxta tenues eorum facultates”(La decisione presa da tutti i presenti fu di fare il seminario, dicendo ”placet” Nell’approvare l’edificazione del seminario si dichiararono disponibili ad offrire il proprio contributo in proporzione delle tenui risorse). Il Vescovo quindi propone la nomina di una Commissione con il compito di fissare le contribuzioni del clero secolare, di raccogliere le offerte e di curare l’organizzazione della pia istituzione. La commissione risulta composta da otto membri, scelti secondo un criterio di rappresentanza tutto il clero diocesano. Il 18 agosto dello stesso anno, nel palazzo vescovile, si riunisce la Commissione per il Seminario che,”habito prius inter eos maturo colloquio super dicto Seminario conficiendo, unanimiter et concorditer decretaverunt infrascipta, videlicet: in primis ut eligatur locus pro habitatione puerorum, item quod statuatur numerus puerorum, item quod fiat calculus de pecunia impendendo pro victu et aliis necessariis, item quod fiat provisio magistrotum et ministrorum”(Prima svolsero maturamente un colloquio tra di loro sulla fondazione del seminario e giunsero alle seguenti decisioni in modo unanime e concorde: si doveva scegliere anzitutto il luogo di abitazione dei ragazzi; decidere il numero di questi ragazzi; calcolare in moneta l’ammontare delle spese da fare per il loro cibo e per quant’altro necessario; inoltre dovevano esser nominati i docenti e le altre persone in servizio). (27) Da questo documento appare chiaro che il Seminario diocesano a Fermo è stato istituito e reso operante fin dalla seconda metà del 1567.

-E- Il primo concilio provinciale del 1591. (28) La celebrazione di tale assemblea segna un momento importante per la Sede Fermana, elevata a sede metropolitana (1589). Mons. Zanettini, che da poco ha ricevuto il Pallio, convoca l’assemblea per realizzare il coordinamento del governo pastorale della nuova Provincia ecclesiastica alla luce delle disposizioni del Concilio tridentino. Quanto alle materie trattate, a nostro avviso, non esistono differenze sostanziali tra il Concilio provinciale e gli altri Sinodi diocesani; si evince però la preoccupazione del neo metropolita di stabilire uno stretto collegamento con i Vescovi suffraganei e di armonizzare le disposizioni vigenti in ogni diocesi e coordinare l’attività pastorale del clero nell’intera metropolia. Firmano gli atti, oltre a mons. Zanettini, il vescovo di Macerata e Tolentino, quello di S. Severino e il primo vescovo di Montalto, mentre quello di Ripatransone risulta assente. (29)

-F- I Sinodi di mons. Alessandro Borgia. Dopo i Sinodi celebrati tra il 1595 e il 1678, fra i quali spiccano per organicità e completezza i due che furono tenuti rispettivamente dal card. Carlo Gualtieri e dal nipote Giannotto, bisogna attendere il 1726 per incontrare il secondo Concilio provinciale indetto da Alessandro Borgia. Con questo arcivescovo, che tanto si adoperò nei quaranta anni del suo governo episcopale a Fermo per promuovere e rinnovare la vita religiosa e culturale, le assemblee sinodali diventano realmente un momento importante per la vita della diocesi e costituiscono un punto di riferimento atto ad orientare l’attività degli ecclesiastici e a coordinarne l’azione pastorale. Mons. Borgia, come si è accennato sopra, celebrò un Concilio provinciale del 1726 e tre sinodi diocesani rispettivamente nel 1728, nel 1738 e nel 1752. Lo stesso arcivescovo, nel suo Chronicorum sanctae firmanae Ecclesiae <libri>, sottolinea l’importanza che egli annette ai sinodi e illustra la cura con cui preparava le riunioni preparatorie, nonché la severità usata contro alcuni ecclesiastici che si rifiutavano di parteciparvi con la scusa che non era stata definitivamente chiusa la vertenza sulla giurisdizione dell’arcivescovo di Fermo su alcuni luoghi che nel passato erano stati sottomessi all’abbazia di Farfa. (30) Per prima cosa bisogna osservare che i Sinodi del Borgia vengono celebrati sempre a conclusione di lunghe ed accurate visite pastorali e dopo un’intensa preparazione durante la quale egli consulta i vicari foranei e dispone il deposito nella Cancelleria dei registri parrocchiali corredati da precisi resoconti statistici; richiede inoltre, dai vicari foranei, precise relazioni sulla situazione religiosa esistente nelle loro rispettive foranie; raccomanda inoltre che i sacerdoti si preparino spiritualmente alla celebrazione e raccomandino ai fedeli di accompagnare con la preghiera i lavori del Sinodo. Sarebbe troppo lungo esaminare partitamente i tre sinodi e il Concilio provinciale; preferiamo attirare l’attenzione sul secondo Sinodo del 1738 in quanto esso si colloca in un momento dterminante dell’attività pastorale del Borgia. Nel discorso di apertura, pronunciato il 20 aprile 1838, l’arcivescovo tiene a sottolineare che la conoscenza diretta che egli ha delle situazioni esistenti in diocesi e la stima che nutre per il lavoro pastorale compiuto dai sacerdoti lo inducono a desiderare di trascorrere tre giorni di intensa discussione per riconfermare lo zelo del clero e per ricercare insieme il modo di migliorare il culto divino, incoraggiare i buoni costumi e correggere quelli cattivi. Prendendo poi lo spunto dai lavori di consolidamento e di restauro della chiesa metropolitana, si augura di riuscire a meglio santificare la Chiesa spirituale e ricorda anche che, al fine di far arrivare la sua voce e il suo insegnamento di pastore a tutto il clero e al popolo della diocesi, ha curato la pubblicazione delle sue omelie. (31) A testimonianza poi del lavoro svolto sia nella fase di preparazione del Sinodo, sia nel corso dello svolgimento dell’assemblea, nel discorso conclusivo, l’arciv. Borgia osserva che quanto è stato decretato non è frutto di improvvisazione, ma discende da matura riflessione sui dieci anni di esperienza e sui consigli e suggerimenti che gli sono venuti dai sacerdoti; si tratta quindi di un lavoro scaturito da un’esperienza di comunione di tutto il presbiterio. Per quanto riguarda il merito dei problemi trattati e delle decisioni adottate, si possono individuare alcuni punti di grande interesse che testimoniano la volontà del Borgia di operare un deciso aggiornamento della legislazione ecclesiastica locale per rispondere alle nuove situazioni socio-culturali della nuova epoca, pur mostrando la preoccupazione che l’opera di rinnovamento non cancelli valori della tradizione ecclesiastica. Già nelle indicazioni generali il Sinodo riconosce che per nel futuro non bisogna tanto puntare sulle pene repressive, quanto sulla formazione delle coscienze. Il desiderio della virtù, recita infatti il testo, e la speranza del premio eterno hanno maggiore efficacia (“potiorem vim”) della pena. Nei capitoli II e III vengono affrontati due punti di grande rilievo: l’istruzione religiosa al popolo da svolgere secondo lo schema del Catechismo tridentino e l’introduzione dello studio della Bibbia nel Seminario e nelle chiese collegiate mediante l’istituzione nei capitoli collegiali di prebende teologali. Nei capitoli IV-IX e XI-XVII sono contenute norme disciplinari relative alla vita e alla condotta del clero e del popolo. Esse non si discostano molto da quelle fissate, ad esempio, nei Sinodi dei Gualtieri. Al capitolo X viene invece affrontato il problema del restauro delle chiese, della costruzione di nuovi altari ed anche del restauro delle opere d’arte. Dopo aver condannato le stranezze del nuovo gusto estetico, che intende introdurre nelle chiese lo spirito profano, Borgia richiama le disposizioni contenute nel tit. XVI del Concilio provinciale del 1726, dove viene stabilito che non si possono edificare altari e chiese ”nisi exhibita nobis prius novi operis idea (prima di costruire un’opera nuova deve esser presentato il progetto al vescovo); in particolare viene ricordato che il decoro della Chiesa non riposa nella luce che splende come il sole, quando invece le antiche chiese erano semioscure  “ne quis posset in faciem alterius intendere” (affinché qualcuno non potesse fissare il volto dell’altro); “non nei bambini ignudi di gesso e di legno che l’antico senso religioso e il Concilio nostro provinciale ha riprovato nel tit. XIV; né in altre opere plastiche che non rappresentano nulla di religioso o di sacro; non in pitture vuote che non istruiscono il popolo in forma sobria e casta; non nella moltitudine di altari che sono piuttosto di ingiuria al popolo che accorre per i divini misteri, ma piuttosto risiede nella completezza della Chiesa in tutte le sue parti, il presbiterio eminente ecc.”  (pag. 40 ed. 1738). Il capitolo XIX, pur essendo in larga parte dedicato alla pia istituzione del Brefotrofio di Fermo (Borgia infatti ne riforma lo statuto), rappresenta un prezioso documento riguardante la pratica della carità a livello sociale. Ecco che l’arcivescovo raccomanda ai parroci di istituire opere destinate all’assistenza ai fanciulli e alle fanciulle poveri o abbandonati; di istituire laboratori nei quali poter insegnare ai ragazzi un mestiere; di rivitalizzare le istituzioni dotali a favore delle giovani povere. Egli offre il suo esempio e il suo incoraggiamento, infatti tre anni prima ha istituito a Fermo una scuola di mestieri e un istituto per ragazze onde prepararle ai lavori femminili. Al capitolo XXII affronta, in modo più organico, il problema delle scuole per la formazione culturale dei giovani. Il capitolo XXIV è dedicato al ruolo dei vicari foranei. Sin dal capitolo XVII il Sinodo insiste sull’utilità, anzi sulla necessità delle adunanze mensili del clero nell’ambito delle singole foranie. In tale occasione viene sottolineata la funzione stimolatrice dei vicari foranei. In questo capitolo XXIV la sua figura viene considerata in relazione alla sorveglianza da esercitare sul clero e sul popolo in ordine alla disciplina e alla moralità. Ogni vicario ha il dovere di tener desto l’impegno dei parroci e dei chierici nel compimento dei loro doveri sacerdotali e pastorali; altro loro dovere è quello di portare a conoscenza del vescovo tutti gli abusi e le situazioni irregolari che si verificassero nell’ambito della loro forania. Il vero filo conduttore del Sinodo sembra essere la difesa della vita in ogni fase dell’esistenza e la condanna della violenza, sia di quella che si perpetra mediante delitti contro la vita, sia di quella più subdola che sfrutta la povertà, o che approfitta delle debolezze dei minori sia di quella che insidia la virtù e la dignità della donna. Contro i delitti di sangue, ad esempio, il Sinodo restringe di molto la pratica del diritto di asilo da concedersi ai ricercati e pone condizioni, legandolo a precise ristrette norme. Riguardo poi alla tutela dei minori, dà severi avvertimenti ai genitori al fine di scoraggiare la deprecabile pratica dell’abbandono dei neonati davanti alle porte delle chiese; l’arcivescovo, a questo proposito, esorta i genitori, che si trovassero in gravi condizioni economiche, ad esporre il loro caso direttamente a lui, mentre assicura che “faremo quanto la cristiana carità ci suggerirà”. Sulla difesa della dignità della donna, le disposizioni si limitano a far sì che vengano ridotte le occasioni di incontri promiscui fra i due sessi. Gravi e severe sono le ammonizioni e le pene nei confronti della pratica dell’aborto.

-F-  Quanto ai Sinodi del Paracciani (1773) e del Minucci (1794), essi si possono considerare come aggiornamenti della legislazione fissata nei Sinodi borgiani con delle interessanti sottolineature su alcuni aspetti particolari. Così il primo pone l’accento sulla difesa dei poveri e quindi insiste particolarmente sulla condanna dell’usura (pag. 239 ed. 1773), sulla necessità di una rete ed un’efficiente organizzazione del Monti pecuniari e frumentari della diocesi e delle istituzioni dotali (appendice n. 49, ed. 1773) nonché sulla riorganizzazione nei vari paesi degli ospedali, specialmente per l’assistenza ai malati indigenti. Quello del Minucci, invece, mostra una particolare sensibilità ed attenzione per il riordinamento dell’insegnamento delle scuole, dai gradi inferiori fino all’università(pag. 101 ed. 1794).

-G- Il Sinodo diocesano di mons. Roberto Papiri. (32)

Nei giorni 8,9 e 10 settembre 1845 il card. Filippo De Angelis celebrò il suo unico Sinodo; sarebbe interessante esaminarlo accuratamente per il fatto che in esso si evidenziano il proposito di esercitare un rigido controllo sulla vita religiosa e sociale della diocesi e il proposito di controllare rigidamente le idee nuove, in un momento cruciale della storia italiana, da parte di un vescovo legato ad una visione non certo liberale, mentre egli occupa un posto di altissimo rilievo nella gerarchia della Chiesa. Un simile esame, però, richiederebbe un eccessivo ampliamento del discorso e costringerebbe ad affrontare problemi che esulerebbero dal tema che ci siamo proposti nel presente lavoro. Preferiamo quindi soffermarci, anche se brevemente, sull’ultimo Sinodo diocesano che manifesta da una parte l’aderenza al momento storico che la Chiesa sta attraversando, dall’altra, esprime l’ansia di adeguare l’azione pastorale alle nuove esigenze del mondo cattolico, a partire dalla pubblicazione delle importanti Encicliche di Leone XIII e specialmente della Rerum Novarum

Sotto questo profilo, l’ultimo Sinodo Fermano del sec. XIX, appare assai diverso rispetto agli altri riflette problemi nuovi quali la presenza della massoneria, l’avanzare del socialismo e la pratica di nuove devozioni, le nuove associazioni del mondo cattolico da regolamentare con particolare riferimento a quelle legate all’Opera dei Congressi, la questione della demaniazione dei beni della Chiesa e delle Opere pie.  È innanzitutto interessante notare come nella Commissione del Sinodo, sugli otto membri scelti tra il clero secolare, la metà erano impegnati nel Comitato diocesano dell’Opera dei Congressi. (33). Il testo approvato si compone di tre parti:

(a)-la prima è formata da 16 titoli e comprende alcuni temi riguardanti la verità della fede, la predicazione, la catechesi, le pubbliche funzioni, lo spiritismo, la massoneria, le devozione alla Vergine, al Sacro Cuore di Gesù, a San Giuseppe e alla sacra Famiglia di Nazareth;

(b)- nella seconda parte si tratta dei Sacramenti, della celebrazione della Messa, dei peccati riservati;

(c)- la terza parte riservata al tema “de personis”: il clero secolare, quello regolare; i monasteri di monache e le case religiose femminili, le confraternite, le varie associazioni cattoliche. Non è opportuno esporre compiutamente i singoli argomenti affrontati dal Sinodo; proponiamo quindi alcuni punti che consideriamo più significativi perché danno la sensazione della novità che esso presenta.

1 – La questione morale e della demaniazione dei beni della Chiesa. Uno dei problemi morali più scottanti e delle questioni pastorali più complicate era allora l’applicazione del noto regio decreto Valerio in forza del quale vennero incamerate dal neonato Regno d’Italia numerosi beni della Chiesa delle Opere pie. A pagina 149 del testo del Sinodo vengono fissati i principi dottrinari da seguire per dare un giudizio morale sulla spinosa questione. Il testo fa obbligo ai parroci di istruire il popolo sull’”empietà e il sacrilegio” commesso da coloro che hanno acquistato i beni confiscati alla Chiesa. Tuttavia la preoccupazione vera dell’arcivescovo è quella che i parroci esortino queste persone a trovare una qualche composizione per tranquillizzare la propria coscienza. Disposizioni più precise in merito alla questione sono contenute nel titolo VI della seconda parte dove si parla della confessione: “Coloro che hanno acquistato i beni usurpati dal governo, siano inviati al Vescovo per ottenere l’assoluzione. Parimenti chi si è appropriato dei beni immobili o di diritti appartenenti alla Chiesa, sia inviato all’Ordinario per trattare una composizione”. Come si può ben notare, appare chiaro che l’intenzione del legislatore non è rivendicazionista, ma quella di esprimere il desiderio del Pastore a risolvere le situazioni personali che possono compromettere la tranquillità di coscienza dei fedeli. Un’impressione di sapiente realismo si ricava allorché si leggono le disposizioni sinodali relative alla questione del “non expedit” cioè al problema della partecipazione dei cattolici alle elezioni politiche generali. Dopo aver richiamato le norme emanate dalla Sede apostolica, il testo approvato invita i parroci a giudicare caso per caso la situazione morale di quei fedeli che avessero partecipato alle votazioni; “ex aperta declaratione sanctae Sedis, non licet suffragium dare in electionibus politicis, cum hac in re habeatur expressa prohibitio. Verum judicare in singulis casibus an ii qui suffragium dederint incurrerint in censura, dependet ex adiunctis facti et ex dispositionibus animi electorum: quae circumstantiae sunt iuxta normas traditas a probatis auctoribus” (Quando dall’espressa dichiarazione della santa Sede, si ha un proibizione per le elezioni politiche, non è lecito dargli il voto. Per giudicare poi se quelli che gli hanno dato il voto siano da censurare, questa cosa dipende nei singoli casi, dalle circostanze che accompagnano i fatti e anche dalle disposizioni degli animi degli eletti, secondo le norme trasmesse dagli autori approvati. pag. 95). L’arcivescovo Papiri, pur aderendo, come è ovvio, alle disposizioni generali emanate dalla santa Sede, sembra assumere una posizione sfumata, appellandosi, per la valutazione concreta della questione, alle norme generali del diritto e della dottrina morale.

2 – Le nuove devozioni. Il Sinodo pone una particolare attenzione ai pericoli che possono derivare al popolo cristiano dalla propaganda laicista e anticattolica, particolarmente violenta e insidiosa a fine secolo. Per fronteggiare tale pericolo, mons. Papiri richiama i cattolici a manifestare apertamente la loro fede con una pratica religiosa seria e profonda. A questo fine raccomanda le devozioni che si sono andate diffondendo negli ultimi decenni del secolo XIX.

Si ha l’impressione che mons. Papiri dia una particolare preferenza alla devozione al sacro Cuore di Gesù che definisce ”sommamente adatta a rafforzare la fede dei cristiani;” per questo esorta alla pratica del mese di giugno, raccomanda la consacrazione delle famiglie al sacro Cuore consigliata dal papa Leone XIII e specialmente il pio esercizio del primo Venerdì di ogni mese dedicato alla riparazione dei peccati, specialmente delle bestemmie e delle profanazioni dell’Eucaristia.

Altra devozione caldeggiata nel Sinodo è quella tradizionale alla Vergine da onorare con la pratica del mese di maggio e di ottobre, con la recita del Rosario nelle famiglie e con l’adesione alle varie associazioni mariane. Anche la devozione a San Giuseppe, dichiarato patrono della Chiesa universale da Leone XIII, viene caldamente raccomandata mediante la pratica del mese di marzo.

2 – L’associazionismo cattolico. Ciò che sta più a cuore a mons. Papiri è l’attiva e concreta presenza dei cattolici nella vita sociale. Dopo aver raccomandato la coraggiosa e chiara testimonianza di fede con l’intensificazione della vita spirituale attraverso la pratica delle devozioni, affronta decisamente il problema dell’impegno dei cattolici nella società. E’ risaputo che, alla fine del secolo XIX, la diocesi di Fermo è stato il centro propulsore di tutta l’attività sociale dei cattolici delle Marche: vi si stampava infatti uno dei più vivaci e combattivi settimanali cattolici dell’Italia, La Voce delle Marche; c’erano circoli della gioventù cattolica in quasi tutte le parrocchie della diocesi; proliferavano le casse rurali e le banche popolari e mons. Artesi si era fatto promotore della Federazione delle casse rurali di tutta la Regione; erano state costituite società agricole e operaie di mutuo soccorso.

Il Sinodo celebrato da mons. Papiri recepisce questa ricca realtà di presenza dei cattolici nel sociale e con autorità le dà la consacrazione giuridica e ne incoraggia ulteriormente l’attività. Il titolo VIII della terza parte è quasi interamente dedicato all’associazionismo cattolico. Oltre alle tradizionali confraternite, che mons. Papiri desidera che vengano riorganizzate e rivitalizzate, il Sinodo prende in considerazione tutti i tipi di associazioni sorte nel corso degli ultimi quindici anni, durante l’episcopato del cardinale Amilcare Malagola: i Luigini, le Figlie di Maria, la pia Unione delle Madri cristiane, i circoli giovanili cattolici, i ricreatori festivi, le Società di mutuo soccorso, le banche popolari e le casse rurali e artigiane “ad usurariorum aviditatem compescendam et inopiam ruriculorum sublevandam” (per reprimere l’avidità degli usurai e alleviare la miseria delle persone dei campi; pag. 145), i Segretariati del popolo per l’assistenza ai poveri dei centri urbani, le cucine economiche, i laboratori femminili e le scuole per gli artigianelli; tutte queste associazioni o iniziative dovranno far capo ed essere coordinate dal Comitato diocesano dell’Opera dei Congressi. (34)

CONCLUSIONE

I trentasei Sinodi diocesani e i due Concili provinciali, ai quali vanno aggiunti due Concili plenari Piceni, rappresentano una preziosa eroica documentazione del cammino compiuto dalla Chiesa Fermana nel corso di sei secoli. Essi testimoniano da una parte lo zelo dei Pastori che l’anno guidata, dall’altra la partecipazione attiva e la fraterna unità del clero diocesano. Certamente dai Sinodi presi in esame la posizione dei laici appare secondaria; essi, per lo più, sono considerati l’oggetto delle cure dei Pastori e delle disposizioni legislative elaborate dalle varie assemblee sinodali. Soltanto nell’ultimo Sinodo, quello celebrato nel 1900, si comincia a notare un significativo cambiamento: qui il laicato cattolico viene considerato protagonista in alcuni settori della vita sociale, pur se ancora la responsabilità ultima di ogni attività è riservata alla Gerarchia. Tale limitazione, perfettamente spiegabile con la natura dei tempi, non può però autorizzare alcuno a sminuire tantomeno ad annullare il valore della trattazione sinodale della Chiesa di Fermo. E’ innegabile il valore storico documentario di tutti i Sinodi Fermani, che rappresentano una fonte di primaria importanza per la storia della Chiesa particolare e anche per quella del costume della nostra gente; ma essi costituiscono una ricchezza anche sul piano dei contenuti religiosi e della spiritualità cristiana. Pertanto, in questo breve e generico saggio, ricostruendo fedelmente la serie dei Sinodi Fermani, di cui abbiamo testimonianza nei documenti d’archivio, e cercando di sottolineare la tradizione di esperienza cristiana vissuta dalla comunità diocesana di Fermo, siamo fiduciosi di aver fornito agli studiosi di storia ecclesiastica indicazioni utili a realizzare interessanti approfondimenti, servendosi del copioso materiale documentario che ci siamo sforzati di indicare. Confidiamo anche di aver voluto dare un contributo, seppur modesto e marginale, atto a sollecitare l’attenzione dei sacerdoti e dei laici su un significativo e importante evento che la comunità ecclesiale diocesana prepara con diligenze ed amore sotto la guida dell’Arcivescovo: il XXXVII Sinodo diocesano a Fermo.

NOTE

(1)  BENEDETTO XIV: De Synodo diocesana, Ferrara 1758, l.1,c.1 .

(2)  GIOVANNI XXIII: Lettera pastorale del 21 febb. 1959, in “Documenta Cath., LVI, 329”.

(3)  Codice di Diritto Canonico, Roma 1983 can. 460 . Preferiamo citare il testo latino, poiché la versione proposta nell’edizione suddetta dal gruppo che ha curato la traduzione per conto dell’unione editori cattolici (UECI) traduce “scelti per prestare aiuto” “qui …operam praestant” è errata e, a nostro avviso, rischia di distorcere la stessa immagine di Sinodo intesa dal legislatore. Infatti i suddetti traduttori intendono la proposizione relativa “qui in bonum totius Communitatis dioecesanae Episcopo diocesano operam praestant” come una relativa impropria con valore finale, cosa questa inammissibile dal momento che il verbo è all’indicativo e non al congiuntivo, del resto il genitivo “delectorum” (delle persone scelte) ha valore aggettivale ed è troppo distante dal pronome relativo “qui” per  poter giustificare una proposizione finale. Sinceramente desta meraviglia il fatto che gli esperti giuristi e gli abili latinisti siano incorsi in un simile errore.

(4)  LANZONI, F.: Le diocesi d’Italia dalle origini al principio del sec. VII; Studi e Testi n.35, Faenza 1927, pag. 1068.

(5)  Dictionnaire de Droit Canonique, R. Naz., Paris 1935 col. 1099.

(6)  PORTI, G.B.: Tavole sinottiche della Città di Fermo, Fermo 1836, e TREBBI-FILONI: Erezione della Chiesa Cattedrale di Fermo a Metropolitana, Fermo 1890, reprint 1991.

(7)  Domenico Capranica, resse la Chiesa Fermana dal 1434 al 1458. Michele Catalani parla diffusamente di questo Pastore della diocesi sia nel De Ecclesia firmana…. sia nel volume dedicato specificamente al card. Capranica nel quale egli ne delinea una particolareggiata biografia, ricca di riferimenti documentali. Cfr. De Ecclesia firmana eiusque Episcopi set Archiepiscopis commentarius, Firmi 1783, pagg. 244-255 traduzione di E: TASSSI 2012; e De vita et scriptis Dominici Capranica cardinalis antistitis firmani commentarius.

(8)  Cfr. Liber Collationum, I-C-13 c. 70 segg.

(9)  Il Catalani a pag. 283 del De Ecclesia Firmana afferma che il card. Bandini tenne cinque Sinodi; un esame attento, condotto su registri delle Collationes ci fa ritenere che egli celebrò otto Sinodi diocesani. La segnatura d’archivio di essi è la seguente: 1595: I-L-5; 1596: I-L-6; 1598: I-L-6 c. 72; 1600: I-L-6 c. 163; 1602: I-L-6 c. 229; 1603: I-K-14 c. 5; 1604: I-K-14 c. 60; 1605: I-K-14 c. 137.

(10)  Il volume reca la segnatura III-B-3.

(11)  Gli atti sinodali sono registrati nel medesimo volume manoscritto che riporta due Sinodi celebrati da mons. Alessandro Strozzi.

(12)  Gli atti sono contenute nel medesimo volume segnato con la sigla III-B-3 c. 126.

(13)  I decreti sinodali recano la sigla III-B-4.

(14)  I Sinodi di Carlo e Giannotto Gualtieri sono stati pubblicati, unitamente al testo del primo Concilio  provinciale di mons. Zanettini, in un volume edito a Fermo per i tipi di Bolis, nel 1680.

(15)  Gli atti delle quattro riunioni sinodali sono stati pubblicati raccolti in altrettanti volumi recanti rispettivamente la seguente segnatura: 1726: III-B-10; 1728: III-B-15; 1738: III-B-16; 1752: III-B-17. Del Concilio provinciale del 1726 del primo Sinodo esistono gli atti originali manoscritti.

(16)  Di tale Sinodo, oltre agli atti pubblicati a stampa era recanti la segnatura D/219, possediamo una mappa raffigurante la pianta della chiesa Metropolitana con l’indicazione del luogo destinato alle varie categorie del clero che vi prese parte.

(17)  La segnatura del volume è: III-B-18.

(18)  Il volume a stampa recante gli atti del Sinodo porta la segnatura III-B-29; al III-B-28 si trova un fascicolo contenente l’Ordo Celebrationis (ordine della celebrazione)relativo ad ognuna delle tre giornate e la corrispondenza con i vicari di foranei per la preparazione del Sinodo.

(19)  I Decreti sinodali a stampa portano la segnatura: III-B-30.

(20)  CATALANI, M.: De Ecclesia Firmana… cit. pp. 239-241. Molto tristi gli anni che corrono all’inizio del sec. XV, a causa del grande scisma che dal centro della cristianità, per il papato conteso tra Gregorio XII, Benedetto XIII e Giovanni XXIII,  si rifletteva nelle varie diocesi con diverse nomine dei vescovi. Sicché a Fermo in tre anni si ebbero cinque vescovi, fino a che il papa legittimo, riconosciuto nel Concilio di Costanza, ricevuto l’atto di obbedienza di Giovanni XXIII, confermò nella sede fermana Giovanni de Firmonibus, egli era già stato preconizzato nell’aprile precedente dal Vicario Capitolare di Fermo. Di questo vescovo resta un prezioso cimelio di grande valore artistico: il Messale che gli feci scrivere per suo uso, secondo l’Ordo della Chiesa Romana, abbellito poi dalle stupende miniature aggiunte per  volere del card. Domenico Capranica nel 1436. Il vescovo Giovanni abbia rettamente operato, è opinione comune degli storiografi, dall’Ughelli, che ha sottolineato la riforma da lui operata nel monastero delle Benedettine, al Catalani, che ne ha messo in luce la cultura e la saggezza, al Fagotti, che ha analizzato è descritto il Messale. Cfr. FAGOTTI, F.: Il Messale De Firmonibus, Modena 1873.

(21)  Sul Subsidium charitatis cfr PRAZ, R.: Dictionaire de Droit Canonique, Paris 1935, III, col. 1100. PALAZZINI, G. in Enciclopedia Cattolica, alla voce: Città del Vaticano, 1953, vol.XI, col. 1956.

(22)  CATALANI, M.: De Ecclesia firmana … cit. pagg. 385-387.

(23)  I-C-13, cc. 68-73.

(24)  I-C-14, c. 167v.

(25)  Il testo non dice di più; il manoscritto non riporta gli atti originali, ma soltanto il verbale sommario della seduta sinodale.

(26)  I-C-14, c. 168

(27)  I-C-14, c. 170.

(28)  Nell’archivio diocesano esiste il volume manoscritto gli Atti originali del concilio provinciale di 20 carte con coperta di velluto rosso e fregi in oro, collocate in una cassetta di noce del secolo XVIII e recante la segnatura III-F-9.

(29)  Come sappiamo, mons. Zanettini ha celebrato ben dieci Sinodi. Prima di essere nominato vescovo di Fermo, egli si era affermato come avvocato nelle Congregazioni romane e tale sua esperienza giuridica emerge dai decreti che emana. Il suoi Sinodi, anche se ci sono giunti solo attraverso dei verbali, riescono a creare una legislazione organica, pertanto i suoi canoni hanno probabilmente costituito un punto di riferimento per i successivi Sinodi, almeno fino al 1660, cioè fino al sinodo del card. Carlo Gualtieri.

(30)  BORGIA, A.: Chronicorum sanctae firmanae Ecclesiae, ms in A.S.A.F. III-L-19/20, vol. I a. 1728 n. 4; vol. II a. 1738 n. 2 e vol. II a. 1752 n. 5. Nell’archivio arcivesvoile Fermano esistono gli atti manoscritti delle quattro assemblee sinodali, essi inoltre sono stati pubblicati a stampa. Vediamo i titoli e l’edizione: 1- Concilium provinciale Firmanum… anno MDCCXXVI, Firmi 1727;  2- Prima dioecesana Synodus sanctae firmanae Ecclesiae ab ill.mo et rev.mo Alexandro Borgia Archiepiscopo et Principe habita anno MDCCLII, Firmi 1752.

(31)  Si riferisce specialmente a due pubblicazioni: – Omelie di Alessandro Borgia arcivescovo il principe di Fermo in varie solennità e funzioni pastorali mentre egli era vescovo a Nocera, Camerino 1734; – Omelie dette da Alessandro Borgia arcivescovo il principe di Fermo in varie funzioni pontificali nella stessa Città, Camerino 1738.

(32)  Vol. Synodus diocesana ab ill.mo ac rev.mo dom. Roberto Papiri archiepiscopo et principe firmano celebrato in ecclesia metropolitana diebus 9 et 10 octobris an. Iubilei magni 1900. Firmi, Mucci, 1900

(33)  Cfr. TASSI, Emilio, Artesi Domenico [ad vocem] in “ Dizionario storico del Movimento cattolico in Italia” vol. III\1, Casale Monferrato (Marietti) 1982

(34)   Cfr. Ibidem

********************** digitazione di Albino Vesprini

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